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Roma | Spazio.
Omaggio a Fabio
Mauri
23/01/2011
Ogni angolo del MAXXI nasconde un pezzo di storia artistica e culturale del secolo scorso. Un excursus toccante sulla società, sull’arte e l’architettura, sul pensiero astratto e sul pensiero razionale. Difficile non parlare dell’omaggio che lo splendido museo progettato dall’archi star Zaha Adid, ha dedicato al grande Fabio Mauri( Roma, 1926, 2009), con le sue due opere più famose: Manipolazione di cultura / Manipolation der Kultur, 1976, 11 stampe fotografiche riportate su tela, acrilico, cm 45 × 72 ciascuna, Associazione per l’Arte Fabio Mauri, Roma e Il muro occidentale o del pianto, 1993, valigie, borse, casse, involucri in cuoio, tela e legno, pianta di edera, fotografia intelata, cm 400 × 400 × 60, Associazione per l’Arte Fabio Mauri, Roma. Le opere sono due ma in realtà rappresentano uno spazio infinito in cui si mescolano arte, sentimenti, riflessioni, cultura, immagini indelebili nello spirito e nell’immaginario storico-sociale dell’uomo occidentale. Chiunque si soffermi, anche solo per un istante, ad osservare da vicino le due opere, non può che provare un senso di commozione profonda per un secolo, il ventesimo, intriso di guerre, emigrazioni, nazismo, fascismo, senso di estraniamento, di alienazione e molto altro. La prima opera, la Manipolazione della cultura, è concepita intorno alla manipolazione del linguaggio, grandi fotografie intelate da una struttura tripartita. Sopra, una fotografia che documenta l’iconografia nazi-fascista, al centro una fascia dipinta di nero e in basso, una scritta che riprende il soggetto, il tutto per svelare la manipolazione della cultura che si cela dietro le immagini, l’ideologia e il linguaggio che sono alla base della radice del male. Il muro occidentale del pianto è invece una delle opere più rappresentative di Mauri : vecchie valigie di cuoio issate le une sulle altre, accatastate come a rappresentare una sorta di monumento alle fughe, alle emigrazioni, alla trasmigrazione, alienante e destabilizzante, che costringe l’uomo a rivedere le sue radici, a ricostituirle in qualche dove, secondo possibili perché. Un muro occidentale del pianto, di espiazione, davanti al quale l’artista cerca di far convivere qualsiasi diversità.