Paolo Falasconi //
Il manuale originale del NYCTA di Massimo Vignelli
Una edizione originale fotografata interamente e messa online a disposizione di tutti.
Non è un'iniziativa di area femminista, non viene dalla società civile, dalla rete e da quegli ambienti reali e virtuali da cui oggi sembra debbano partire tutte le iniziative degne di un minimo di attenzione. Questa nasce dove meno te lo aspetti: dall'Art Directors Club italiano, porta la firma di due giovani creativi - Lara Rodriguez e Giorgio Fresi (Tbwa) - vincitori del brief per la sezione stampa dei 'Giovani Leoni', una manifestazione per giovani creativi organizzata da Sipra.
Il concept della campagna è semplice e gioca sullo stereotipo della donna che vive e lavora nel focolare domestico, stereotipo che contrasta con una realtà in cui le laureate sono in numero maggiore dei laureati, e sono quelle che ottengono i migliori risultati accademici.
«A quante figure carismatiche, possibili premier, premi nobel, imprenditrici, artisti, stiamo rinunciando, tarpando loro le ali, senza esserne consapevoli? Siamo certi che sia conveniente, per un paese a terra, accontentarsi di un solo motore quando per decollare ce ne servirebbero due?»
A me ha fatto pensare a "la sorella di Shakespeare" così come l'immaginò Virginia Woolf in una splendida conferenza rivolta a giovani donne: come un talento soffocato dalla circostanze, come una poetessa mai venuta alla luce, la cui opera ci sarebbe stata negata da un mondo in cui le donne non avevano altri spazi oltre a quello domestico.
In un paese in cui «l’80% degli individui si forma un’opinione sulla base di quello che trasmette la televisione» questa iniziativa dell'ADCI ha due meriti: il primo, quello di sforzarsi di portare avanti un discorso importante sui diritti di cui non gode, almeno non in misura degna, il 50% della popolazione italiana, il secondo di non liquidare la questione del rapporto tra media/pubblicità/società con la solita scrollata di spalle. È significativo che proprio dall'associazione che riunisce i migliori pubblicitari italiani venga questo appello a fermare la pubblicità sessista, e dunque il riconoscimento della sua esistenza: è un'iniziativa che fa bene alla pubblicità e fa bene alla società.
A settembre 2012 sul sito del corriere della sera si potevano vedere questo banner e leggere questo articolo contemporaneamente. Cosa che di certo non avrà fatto la gioia dell’inserzionista – una rivista di culto per gli amanti della culinaria – ma che ha invece suscitato l’ilarità di molti, inclusa la sottoscritta, che apprezza sempre l’ironia del caso.
Capita: si pianifica una media strategy con cura e attenzione e poi il destino ti fa uno scherzo. Sei lì che promuovi un importante torneo di ciclismo e sulla pagina di fianco spicca la lista degli ultimi arresti per doping. Stai offrendo un volo a prezzi eccezionali e cinque centimetri più sotto si parla di un quasi disastro aereo sventato all’ultimo momento.
Sono cose imprevedibili, c’è poco da recriminare.
Altre volte invece capita di lavorare a una campagna scrupolosamente, di curarla nei dettagli, di analizzarla da ogni punto di vista, o almeno così si crede. Perché spesso i nostri punti di vista sono un po’ limitati, soprattutto quando lavoriamo a qualcosa che sentiamo ‘nostro’, come può capitare con le idee.
Così, un annuncio stampa che voleva richiamare in tono ironico le serie televisive alla C.S.I. si trova al centro di una bufera.
L’annuncio incriminato vede un uomo seduto sul bordo di un letto, con uno degli strofinacci pubblicizzati, dietro di lui un corpo femminile, il claim recita «elimina tutte le tracce». Risultato: una lista di proteste infinita per aver sfruttato uno tra i temi più sentiti del momento, il femminicidio.
Il tema è serissimo e, in Italia, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria dice chiaramente che le pubblicità hanno l’obbligo di non offendere la sensibilità di nessuno. Quindi non si discute sulla sensibilità di chi si è sentito colpito.
Tuttavia, a me è sembrato un grosso caso di ingenuità molto più che di malafede.
In primo luogo: si tratta di una campagna multisoggetto, in cui c’è anche una protagonista femminile, nella stessa identica situazione e questo, mi pare, assolve dalle accuse di sessismo che pure erano state rivolte alla campagna. D’altra parte anche le vittime sono sia una donna sia un uomo.
Poco importano però i ragionamenti a posteriori.
La sensazione è che non ci si sia resi conto di andare a toccare un nervo scoperto, in un paese dove le donne muoiono uccise da uomini cui sono legate a un ritmo da far pensare a un bilancio di guerra. Sarebbe bastato che qualcuno, in agenzia, avesse avuto un dubbio: ma vuoi vedere che questa campagna si può leggere anche da una prospettiva diversa dalla nostra? Vuoi vedere che rischiamo un gaffe grande come un grattacielo?
Da un punto di vista creativo, poi, ci si potrebbe anche chiedere se si tratti o meno di una bella campagna, di una campagna valida, di una di quelle che, se non ci fosse stato questo grand trambusto, qualcuno avrebbe poi ricordato. Io propenderei per il no, ma non conta, perché quello che è certo è che l’azienda, che pure si è scusata ufficialmente e ha deciso (ma ci aveva già pensato lo I.A.P.) di ritirare la campagna, ha goduto di quello si potrebbe definire l’effetto Toscani: come molti degli annunci creati dal fotografo per la famosa azienda di abbigliamento, anche questo ha avuto un’eco e una risonanza non grazie all’idea in sé, ma grazie allo scalpore che ha suscitato.
Alle spalle mancava però la brand awarness dell’azienda di abbigliamento e solo il tempo ci dirà se qualcuno ricorderà il nome di questi strofinacci o sarà l’ennesimo “Buonaseeeeera” della pubblicità italiana.
A cosa serve la retorica? Ad annoiare gli studenti di liceo, certo, non c’è dubbio; ma si tratta solo di un vantaggio secondario o di un danno collaterale, (a seconda dei punti di vista).
Il primo scopo dell’ars retorica è costruire un discorso che sia in grado di convincere qualcuno a fare qualcosa: votare per un candidato, prosciogliere o condannare un imputato e oggi, inevitabilmente, acquistare una bibita o un’automobile.
In altre parole: l’arte oratoria ha uno scopo preciso che è la persuasione, e strumenti per raggiungerlo, cioè le strutture di un discorso che, se organizzate in modo accurato, possono rendere convincente – così sostenevano quei mattacchioni dei sofisti – perfino un discorso falso.
Nella cassetta degli attrezzi del bravo oratore non possono mancare le figure retoriche, che sarebbero gli effetti speciali di un discorso: non fanno la sostanza, ma la presentano al top.
La pubblicità fa grande uso delle figure retoriche, ma del resto tutti quanti ne facciamo un uso inconsapevole nella vita quotidiana: quando diciamo è una catastrofe per una cosa che chiaramente non lo è usiamo un’iperbole, lo stesso vale per sei una lumaca a qualcuno che non si trascina la casa sulla schiena, in questo caso abbiamo usato una metafora, se invece abbiamo abbassato il livello delle nostre frequentazioni potrebbe capitarci di chiamare ferro una pistola, infine potremmo dire che abbiamo ormai trenta primavera e staremmo usando una sineddoche.
Questa campagna della Land Rover utilizza una metonimia, una di quelle figure che sono più facili a usarsi che a spiegarsi. Di definizioni ce ne sono tante, questa è quella di Cicerone : «chiamo metonimie quelle in cui per una cosa al posto di un vocabolo proprio se ne sostituisce un altro che abbia il medesimo significato».
O per dirla in modo più semplice: l’auto viene indicata non con la sua immagine fotografica, ma con le guide dei viaggi avventurosi, alla scoperta di mondi nuovi e inesplorati che si possono fare alla guida di una Land Rover.
Se Land Rover = Avventura
e
Guide Turistiche di Posti Lontani = Avventura,
allora per la proprietà transitiva
Land Rover = Guide Turistiche di Posti Lontani.
Allora: vi è venuta voglia di partire, di comprare un auto o di studiare retorica?
P.S. Carneade era un filosofo e oratore greco morto ad Atene nel 129 a.C., citato da Don Abbondio nei Promessi Sposi e non particolarmente famoso; per cui quando si dice di qualcuno che è un carneade per dire che è un perfetto sconosciuto si sta usando un’altra figura retorica, l’antonomasia!
Qualche anno fa fece notizia un divorzio reale scatenato da un tradimento virtuale, il luogo del delitto era Second Life e la signora tradita mal digerì la rivale telematica, al punto da decidere per una separazione a tutti gli effetti. Era un caso 'segnale', uno di quelli che ti mettono sull'avviso e ti dicono che qualcosa sta cambiando. Quello era un episodio di vita sul web che impattava su quella in carne e ossa e a questo ne seguirono molti altri.
Quello che invece accadrà a giorni è un esempio di come la vita virtuale sembra essere diventata il prolungamento di quella reale, al punto che forse comincia a trasformarsi anche l'idea di una vita eterna.
Si vede che a qualcuno proprio non andava giù l'idea della morte come grande silenzio, soprattutto se si tratta di e-silence, di assenza dal mondo 2.0 in cui molti si dilettano nell'arte di costruire un'identità virtuale, poco importa se aderisce a quella reale oppure no. Per tutti coloro che proprio non vogliono pensare a un mondo social in cui non saranno più presenti dopo la morte (quella vera), ecco spuntare un app dedicata: si chiama _liveson, verrà lanciata a giorni e si occuperà di creare un alterego virtuale che continuerà a tweettare con il vostro account anche dopo la dipartita dal mondo dei vivi.
Come sceglierà cosa dire? Imparerà, fintanto che siete in grado di insegnare, cosa vi piace, cosa vi interessa, potrete correggerlo e, tanto per andare sul sicuro, potete nominare una sorta di 'esecutore testamentario', che potrà decidere, per esempio, di chiudere l'account o di eliminare tweet che non sarebbero in linea con le vostre (ultime) volontà.
Singolare il claim: «When your heart stops beating, you'll keep tweeting» (quando il tuo cuore smette di battere, continuer a tweettare. Ma in inglese suona meno macabro).
La vita è così: quando pensi di averle viste tutte...
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