Faccio ammenda, fino a questa mattina non conoscevo Casey Neistat, malgrado il nuomero di iscritti al suo canale YouTube: 1.713.596!
Oggi ho letto un post molto interessante sui tubers più efficaci e al secondo posto (ma non è una classifica) c’era lui.
In particolare, l’autore invitava a guardare questo filmato girato su commissione per Nike: chiamato dall’azienda a esprimere con le immagini il concetto “make it count” a proposito della vita, Neistat ha ben pensato di spendere l’intero budget per girare il mondo in dieci giorni insieme a un amico.
Non so quanto abbia investito Nike, ma le views, solo sul canale di Neistat, sono 16.857.565.
L’articolo sui migliori canali YouTube invece è questo qui.
Tall, Petite, Curvy: le nuove Barbie umane troppo umane
Blog! di Daria La Ragione
È alta, bionda, occhi azzurri, sedere e tette che non conoscono cedimento e negli anni è diventata l’icona della bellezza finta, di plastica.
Perché in effetti, anche se qualcuno se lo dimentica, lei è di plastica. È Barbie.
Eppure, alla Mattel devono aver pensato che era ora di cambiare rotta (il calo delle vendite deve averlo suggerito di certo) ed ecco che, dopo due anni di ricerca e sviluppo, arrivano curvy, tall e petite.
4 diverse silhouette, 7 tonalità di carnagione, 22 colori degli occhi e 24 pettinature per portare la fashion doll numero uno al mondo un po’ più vicina alla realtà.
I commenti delle consumatrici vanno dall’entusiasmo alla rabbia, qualcuno si indigna perché “non sono le bambole che devono educare le bambine”, ma la sostanza è che se ne parla e tanto anche: #BarbieRealistiche è una delle tendenze del giorno, #TheDollEvolves e #Barbie fanno numeri di tutto rispetto. Su YouTube, il video ha realizzato 657.003 views in poche ore.
Le nuove amiche di Barbie sono bassine, hanno i fianchi abbondanti, capelli ricci ed escono dal cliché della bella di plastica. Sono umane troppo umane.
Certo, avranno abiti non più intercambiabili, con un vantaggio consistente per le vendite degli accessori. Ma soprattutto potranno chiamarsi fuori dalle discussioni sugli stereotipi, sui modelli di bellezza fasulli e inarrivabili. Insomma: via dalle polemiche.
E la domanda è: è una buona idea tirarsi via dalle polemiche? O era meglio starci dentro e dire la propria? Riusciranno a farlo ancora?
Per il momento è un grande successo, stiamo a vedere cosa accadrà.
Just do the impossible: Nike e Adidas si scambiano i ruoli
Blog! di Daria La Ragione
Nike aggiusta la mira: dopo anni a costruire un’epica (voi continuato a chiamarlo storytelling se preferite) il cui protagonista era l’atleta sborone (e quasi sempre famoso), quello che del virtuosismo ha fatto il biglietto da visita, quello che a porta vuota deve fare una rovesciata con triplo salto mortale, ecco che fa un cambiamento di rotta.
Non più il momento vincente, non il goal spettacolare, la schiacciata a canestro, ma l’allenamento, la fatica, le cadute: la prospettiva cambia, e tanto; l’eroe non è più quello che vince, ma quello che persevera, si rialza, suda, lavora sodo.
E Just do it diventa un invito a superare i propri limiti, mettere tutto se stesso in quello che si fa: pensiero, volontà, concentrazione ed energia.
Io ho pensato ad Adidas, a quando lanciò Impossible is nothing: all’epoca l’operazione era simile, perché metteva in risalto il momento dell’allenamento, parlava e faceva parlare atleti che avevano conquistato l’alloro contro ogni pronostico in virtù della loro perseveranza e del loro talento: Alì e figlia, Jesse Owens, Nadia Comaneci.
Al centro la sfida: contro se stessi, contro chi diceva loro che non ce l’avrebbero fatta, contro tutto.
Oggi anche Adidas ha cambiato epica, al centro l’atleta che esprime al meglio il suo talento e anche il claim è cambiato: Good things come to those who take. Take it.
Stesso discorso per l’ultima uscita: I’m here to create, con un Messi in grande spolvero che passa da una passerella al campo con la stessa sicurezza.
Aggressivo ed energico, probabilmente efficace, ma l’emozione di quei tempi non c’è più ed è un peccato.
Il tema dei pregiudizi di genere è all’ordine del giorno, la pubblicità ne parla in continuazione. Non in Italia in verità, dove siamo capaci di parlare di una questione alla volta e di volta in volta ogni tema è più importante di questo, che però riguarda la maggioranza della popolazione.
Solo negli ultimi sette giorni ho scritto di almeno tre campagne che partono dai pregiudizi di genere per sviluppare discorsi molto diversi tra loro.
Come la campagna sul Babbo Natale donna, anche questa mette in scena i bambini come cartine tornasole di idee che gli adulti trasferiscono loro non certo per osmosi, ma con l’esempio, con gli atteggiamenti del quotidiano, con i discorsi.
Può un gioco cambiare le cose? Forse non per i bambini, ma può far riflettere i genitori su cosa stanno insegnando ai propri figli.
Le pubblicità della lotteria di Natale Buona fine e buon inizio, si dice così per salutarsi in vista dell’ultimo giorno dell’anno. Tempo di bilanci, vero, ma tempo di propositi, speranze sogni. Non è un caso se la lotteria più importante del nostro paese raggiunge il suo acme ai primi di gennaio, quando tutti siamo portati a desiderare, immaginare, fantasticare su quello che vorremmo e sugli obiettivi da raggiungere. Ecco una piccola gallery di commercail di lotterie che hanno l’estrazione a ridosso del Natale. Molto carino questo ppfffff de La Primitiva, lotteria spagnola, che ha scelto di raccontarsi con i sospiri degli aspiranti vincitori.
Advertising Agency: Publicis, Spain Executive Creative Directors: Bitan Franco, Oscar Martínez, Sito Morillo Account Director: Carlos Thomson
Un’operazione in grande stile quella di Leo Burnett Madrid per la Lotteria de Navidad, spagnola come la precedente, che però non si limit a questo commercial buffo e divertente (ma strappalacrime, ché non si dica che a Natale ce le facciamo mancare), c’è anche un sito e un canale Instagram justino_vigilante che potete seguire se volete vedere le trovate del protagonosita. Altro che storytelling!
Agency: Leo Burnett Iberia (Madrid) Chief Creative Officer: Juan García-Escudero Executive Creative Director: Jesús Lada Digital Creative Director: Iñaki Martí Creative Supervisors: Ignacio Soria, Arturo Benlloch Art Directors: Javier López Canle, Sergio García
E infine andiamo in Belgio, per un poetico sogno hawaiano, impossibile da realizzare per un pupazzo di neve che sogna il sole.
Perfettamente efficace questa campagna di JWT per KitKat: il claim Have a break preso alla lettera per stravolgere il tradizionale annuncio pubblicitario natalizio.
Schermo grigio e un elenco di cose che non vedremo né sentiremo: regali, campanelle, canzoni, famiglie sedute a tavola, tacchini (è una campagna USA), nulla di tutto questo.
Un attimo di calma prima di riprendere con l’affollamento di palline, canzoncine, lucine e suggerimenti di regali.