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Milano | La città fragile | Triennale
Fino al 10/01/2010
Perché città fragile? Cos'è la città fragile? È quella in cui spesso ci troviamo a vivere, fatta di disarmonia, uno spazio diviso in zone che faticano a comunicare tra loro e ad elaborare visoni del futuro condivise e condivisibili. La fragilità e le paure che investono le persone, sempre più inglobate in un processo di modernizzazione a cui è difficile sottrarsi, in cui i riferimenti comunitari e familiari vengono facilmente spezzati e i valori tra una generazione e l'altra si assottigliano fino ad interrompersi del tutto. Ecco, la città fragile. Una mostra curata da Aldo Bonomi, dopo la Città infinita del 2003, La rappresentazione della pena del 2006 e La vita nuda del 2008. L'esposizione illustra attraverso fotografie, filmati, illustrazioni, mappe e dati statistici, in maniera emblematica, le fragilità della città contemporanea che espone le persone alle conseguenti debolezze sociali, in cui vediamo protagonista il rapporto, come scontro e incontro tra il rancore della comunità, tra la chiusura della comunità che cerca il capro espiatorio, tra la comunità privilegiata che opera nel campo produttivo e delle professioni e tra la comunità che si fa onere delle fragilità sociali attraverso la cura di esse. I percorsi su cui si snoda la mostra sono tre, paralleli, collegati da linee d'ombra in cui s'intrecciano rancore, cura e fragilità. In questo contesto il visitatore è parte attiva della mostra in quanto rappresenta egli stesso la comunità operosa secondo un processo di identificazione sociale. Al centro di tutto ci sono cinque schegge tematiche su: società securitaria, biscotto nero-il caso Abba, femminicidio, malaombra-i suicidi nel mondo, la secessione dei benestanti. Da qui si snodano due percorsi, quello dedicato alle fragilità dei giovani, degli stranieri, dei matti, degli anziani e delle donne accanto alle pratiche di cura come scuole, istituzioni, professioni della cura, impegno sociale, insomma, i buoni che si fanno carico dei fragili. L'identificazione del visitatore, alla fine della mostra, non può che realizzare il concetto di fusione tra comunità operosa, di cui egli è rappresentante e comunità di cura in cui troverà eco anche la comunità del rancore, in un'agorà finale in cui sarà possibile dibattere ciò che si è visto, ascoltato e vissuto.