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Via Alcide De Gasperi, 45
Scala A
Docente Daria La Ragione
Il lunedì o il giovedì 2 turni
Come ogni anno parte la sessione gratuita riservata agli studenti dei corsi di grafica Ilas: dall'8 giugno 2015 il nuovo corso extra di Storia della Grafica.
Turni
Turno Gr-1: lunedì 13.00 - 15.00
Turno Gr-2: giovedì 13.00 - 15.00
Date del corso
Per il turno Gr-1
Giugno 8 - 15 - 22 - 29
Per il turno Gr-2
Giugno 11 - 25
Luglio 2 - 9
Partecipazione gratuita salvo disponibilità di posti
Il corso, tenuto da Daria La Ragione, si articolerà in 4 lezioni da 2 ore ciascuna, per un totale di 8 ore, dedicate allo studio dei maggiori graphic designer e dei movimenti artistici che hanno influenzato il mondo della grafica.
Una lezione a settimana per scoprire le tappe fondamentali attraverso cui la grafica si è evoluta a partire dal 1800 fino a oggi: verranno messi in rilievo i momenti in cui i grandi cambiamenti sociali, artistici e tecnologici hanno dato impulso alla comunicazione visiva trasformandola nella disciplina di primissimo piano che è diventata.
Non c'è attività che oggi possa prescindere dalla comunicazione e dalla sua espressione visiva: il corso ne racconterà la storia e i protagonisti da Jules Cheret a Marcello Dudovich, da Bob Noorda ad Armando Testa, da Milton Glaser a Saul Bass.
Il corso è gratuito.
I moduli Extra sono dei nuovi percorsi formativi brevi, progettati per consentire agli studenti di ogni area didattica correlata di ampliare le proprie conoscenze teoriche.
Tutti i corsi Extra sono costituiti da un unico modulo affidato a docenti laureati esperti nella materia.
Gli obiettivi
L'obiettivo è di fornire una panoramica sul percorso che in poco più di due secoli ha fatto sì che la grafica evolvesse diventando una disciplina autonoma, conquistandosi un ruolo di primissimo piano nella vita quotidiana delle persone, continuamente esposte a messaggi visivi: marchi, manifesti, copertine, magazines per citare solo pochi esempi.
Scopo del modulo è analizzare questo percorso, marcando le tappe di questa evoluzione: tappe che inevitabilmente si intrecciano con momenti di fondamentale cambiamento sociale, tecnologico e culturale. I rapporti, tra grafica, industria, arte e cultura sono il filo conduttore di questo modulo.
Il metodo
Il corso prevede lezioni frontali di due ore ciascuna.
Annie Leibovitz è nata nel 1949, figlia di un militare, ha cominciato a fotografare fin da giovane e da subito si è fatta notare per il suo stile forte; per la sua capacità nel plasmare il soggetto e con lui costruire lo scatto, creando immagini di grande impatto; credendo fortemente che prima di tutto nelle fotografie ci dev’essere “l’idea”.
Il suo primo lavoro importante fu la tournée del 1975 con i Rolling Stones di cui l’edizione americana del Rolling Stone aveva l’esclusiva, la Leibovitz riuscì ad entrare in sintonia con la band e creare delle immagini – ormai diventate storiche – che ritraevano la vita della band. Da li l’escalation fu inarrestabile, in pochi anni arrivò a firmare contratti milionari con Vogue e scattare per prestigiose campagne pubblicitarie in tutto il mondo.
Moltissime le sue fotografie sono diventate vere e proprie icone, solo per citarne alcune: i Blues Brothers con la faccia sporca di blu, John Lennon nudo abbracciato a Yoko Ono (fotografia scattata poche ore prima della morte di Lennon), Demi Moore incinta sulla copertina di Vanity Fair.
A Photographer’s Life è una raccolta di fotografie tra il 1990 e il 2005, non raccoglie solo i lavori della fotografa americana; ma anche ricordi, istanti, momenti della sua vita privata; la sua famiglia, la nascita delle sue figlie, il suo rapporto segreto, o meglio non apertamente dichiarato, con la scrittrice americana Susan Sontag; un lavoro che non stilisticamente, ma concettualmente, ricorda Nan Goldin.
Come il suo amico e punto di riferimento Richard Avedon, Annie Leibovitz ha fotografato politici, musicisti, attori, atleti, pittori, scrittori, americani e non; ma in questo libro ci sono anche fotografie molto intime, foto di famiglia delle vacanze, feste, ma anche di dolore rappresentato dalla perdita di due persone per lei importantissime: il padre e la compagna, morti a pochi mesi di distanza dopo una lunga lotta contro la malattia che li consumati. Anni di malattia che la Leibovitz ha documentato minuziosamente ed inizialmente tenuto per se, ma poi pubblicato; un esempio di come il fotografo diventi tutt’uno con la sua macchina e le sue fotografie.
Dalla sequenza del libro emerge una sorta di doppia vita privata; da un lato la sua numerosa famiglia in vacanza e in festa; dall’altro la vita con un’intellettuale come Susan Sontag più solitaria e riflessiva.
Lo stile di Annie Leibovitz non è facilmente classificabile e riconoscibile, spesso viene associata ad immagini di grande impatto scenico, ma in realtà la fotografa passa dalla foto da studio in bianco e nero al ritratto ambientato a colori con estrema facilità; anche se a suo dire sente di dare il meglio; dove riesce ad instaurare un rapporto migliore con il soggetto vedendo la sua casa, i suoi libri, i suoi oggetti. Non a caso tra le prime foto del libro troviamo la collezione di conchiglie della Sontag, una delle prime cose che ha visto a casa sua appena conosciute in occasione di un ritratto.
I ritratti sono pieni di citazioni e riferimenti che vanno dalla scultura, al rinascimento, ai fotografi del passato; citando anche se stessa come la foto di Kate Moss e Johnny Deep che ricorda John Lennon e Yoko Ono;
La cosa che accomuna le foto di Annie Leibovitz è sempre, un’idea forte, un intuizione – perfettamente realizzata – che spesso gioca con il soggetto le forme, aspetti e i dettagli di questo; altre volte decontestualizzando i protagonisti in ambienti e travestimenti insoliti; a volte cercando di catturarne le espressioni che lo caratterizzano.
Nato a Modena nel 1933, è uno tra i fotografi italiani più conosciuti a livello internazionale.
I suoi esordi come fotografo risalgono agli anni sessanta ma è nel decennio successivo che la sua personale visione del paesaggio, carica di valenze cromatiche nuove, si impone con forza nel mondo della fotografia di ricerca.
Risale al 1976 una sua prima importante mostra presso l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Parma, esposizione in cui si delinea chiaramente l’uso prepotente e personale del colore.
Occorre ricordare, a proposito, che fino a quegli anni la fotografia si era sempre espressa nei toni tradizionali del bianco e nero: il colore era ancora una prerogativa limitata per lo più ai reportage turistici e ambientali o ai servizi di moda per riviste patinate.
Fontana fotografa paesaggi urbani e naturali cogliendone certi tratti cromaticamente intensi.
La sua fama, in Italia e all’estero, si intensifica con i suoi lavori in cui il paesaggio – grazie all’uso di focali lunghe e sapienti saturazioni – si trasforma in una sorta di segno grafico quasi astratto, modulato in strisce di colori intensi.
Da quegli anni ai nostri giorni molti saranno i lavori che Fontana porta a termine e presenta nelle gallerie e istituzioni di tutto il mondo: tra gli altri ricordiamo alcuni lavori degli anni ottanta come Paesaggio urbano, realizzato dopo un viaggio negli Stati Uniti; Presenzassenza, con ombre di persone che suggeriscono l’uomo in paesaggi di sapore metafisico; Piscine sul corpo femminile. Risalgono agli ultimi anni ulteriori ricerche sul paesaggio urbano e su certi suoi dettagli come la ricerca Asfalti.
Negli ultimi anni si dedica alla manipolazione fotografica ricorrendo anche alla tecnologia digitale.
I suoi lavori sono esposti nei più importanti musei di tutto il mondo e ha partecipato a centinaia di mostre ricevendo decine di premi internazionali.
Ha collaborato con grandi aziende per campagne pubblicitarie e le sue immagini sono state pubblicate dai più importanti giornali e riviste.
Ha svolto e continua a svolgere una intensa attività didattica, tenendo conferenze. workshops e avendo la direzione artistica di numerosi eventi fotografici.
“Mi considero un reporter, qualunque cosa abbia fatto nella vita, ma sono piuttosto diffidente nei confronti dei generi e delle etichette. Guardo il mondo attraverso il prisma del linguaggio fotografico, tra le componenti del quale è fondamentale il rapporto col tempo e la memoria”….“Ricordare è lo stesso di immaginare; così raccontando un proprio tempo, uno lo trasfigura, lo immagina: letteralmente "lo racconta". E poiché il racconto è fatto di cose che si eliminano inconsciamente e di cose che si valorizzano, è sempre molto arbitrario, come lo è ogni gesto letterario. E ancora sulla fotografia e la "memoria": le fotografie non restituiscono "ciò che è stato", piuttosto ripropongono in una sorta di lancinante presente ciò che non è più”.
Ferdinando Scianna è uno dei più noti fotografi italiani.
Nato a Bagheria, il 4 luglio 1943, ha iniziato negli anni Sessanta raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d'origine.
Il lungo percorso artistico del fotografo siciliano si snoda attraverso tematiche quali la guerra, frammenti di viaggio, esperienze mistiche, religiosità popolare, legati da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita.
Iscrittosi inizialmente alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università di Palermo, non porta a termine gli studi per dedicarsi alla passione fotografica. Nel 1963 Leonardo Sciascia visita quasi per caso la sua prima mostra fotografica, che ha per tema le feste popolari, presso il circolo culturale di Bagheria.
Tra i due nasce una profonda amicizia determinante nel dare una spinta propulsiva alla carriera del giovane fotografo, dandogli la possibilità di accedere al mondo dell’editoria e ottenere la pubblicazione dei lavori fotografici.
Sciascia partecipa, infatti, con prefazione e testi alla stesura del suo primo libro, Feste religiose in Sicilia, che gli fa vincere il premio Nadar nel 1966.
Ferdinando Scianna si trasferisce a Milano nel 1967 ed inizia a collaborare come fotoreporter e inviato speciale con l'Europeo, diventandone in seguito il corrispondente da Parigi. Nel 1977 pubblica in Francia “Les Siciliens” (Denoel), con testi di Domenique Fernandez e Leonardo Sciascia, e in Italia “La villa dei mostri” (introduzione di Leonardo Sciascia).
A Parigi scrive per Le Monde Diplomatique e La Quinzaine Littéraire.
Incontra Henri Cartier-Bresson, le cui opere lo avevano influenzato fin dalla gioventù. Il grande fotografo lo introduce, come primo italiano, nella prestigiosa agenzia Magnum, di cui diventerà socio a tutti gli effetti nel 1989. Nel frattempo stringe amicizia e collabora con vari scrittori di successo, tra i quali Manuel Vázquez Montalbán (che qualche anno più tardi scrive l'introduzione di “Le forme del caos”, 1989)
Negli anni Ottanta lavora anche nell'alta moda e in pubblicità, affermandosi come uno dei fotografi più richiesti. Fornisce un contributo essenziale al successo delle campagne di Dolce e Gabbana della seconda metà degli anni Ottanta.
La fotografia di Scianna è un gioco di luce-ombra. Il fotografo siciliano interpreta con il bianco e nero della sua pellicola la realtà, restituendo immagini di un mondo che vive oltre il dualismo dei contrasti. Lo sguardo di Scianna coglie sfumature e complessità. Il suo stile vive dello straordinario intreccio di tensione drammatica, visceralità, ironia e partecipazione.
Le fotografie di Scianna trovano la loro dimensione nel racconto, nel narrare attraverso le immagini. Sono la testimonianza visiva di un mondo sconosciuto, popolare e parallelo. La sua indagine fotografica compie una ricerca sull’identità, individuale e collettiva, che si risolve nella scoperta del senso di appartenenza ad una tradizione, senza rinunciare ad uno sguardo critico.
Scianna trova un linguaggio in grado di raccontare una Sicilia che sta velocemente cambiando e sparendo. Appropriatosi del sentimento di amore-odio, che il cuore di ogni vero siciliano ha ben presente, ritrae l’amore, il senso di sicurezza, ma anche l’insofferenza nei confronti dell’immutabilità e delle ingiustizie sociali. Le sue immagini non dimostrano, ma mostrano il “teatro dell’esistenza” attraverso il fluire e il fluttuare dei destini e della storia di cui ognuno è partecipe.