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14.02.2017 # 4771
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

Gli spot del Super Bowl

Blog! di Daria La Ragione

Quando ho iniziato a occuparmi di pubblicità non era semplice trovare spot da guardare e studiare, i migliori venivano raccolti in costosissimi dvd (sì, costosissimi, avete capito bene: li dovevi pagare) e gli eventi per eccellenza erano due: il Festival di Cannes (quello della pubblicità) e il Super Bowl, in assoluto lo spazio pubblicitario più pagato.

Cos’è il Super Bowl
Si tratta della finale campionato di football americano. Ma non è una semplice partita, anzi: è uno show a tutti gli effetti. Impossibile calcolare il numero degli spettatori di un evento trasmesso da oltre venti canali televisivi in tutto il mondo, per non parlare del web.
L’halftime show, quello tra il primo e il secondo tempo, quest’anno ha visto protagonista assoluta Lady Gaga (che l’hanno scorso aveva cantato l’inno nazionale), con l’esibizione più twittata di sempre – battendo quelle di Madonna e Katy Perry.
E come ormai accade da qualche anno, sul sito Pepsi è stato possibile seguire le prove e i preparativi.
Per la cronaca, il Super Bowl di quest’anno si è svolto il 5 febbraio, i New England Patriots hanno battutto gli Atlanta Falcons e vinto il loro quinto titolo.
 


Gli spot del Super Bowl
Anche quest’anno ho atteso con curiosità di vedere quali spot erano stati mandati in onda, aspettandomi il meglio del meglio… e rimanendo piuttosto delusa.
Poca creatività e tanta tanta banalità.
Su trenta commercial, forse una decina sembrano meno noiosi e appena un paio spiccano per spessore.
Il dato che mi ha colpito è che, in un momento di spaccatura degli U.S.A., i temi di grande attualità come l’immigrazione e il ruolo delle donne nella società, siano stati protagonisti anche in pubblicità.

Audi
Audi ha scelto la questione della parità di genere, con un toccante film in un papà si domanda che mondo dovrà raccontare alla sua bambina: se uno in cui gli uomini valgono più delle donne, o uno in cui le cose possono cambiare. Nel frattempo Audi ci annuncia che i suoi stipendi sono gli stessi per tutti i dipendenti. Sembrerà scontato, non lo è affatto.
Advertising Agency: Venables Bell and Partners, San Francisco, USA
Creative Director: Justin Moore
Associate Creative Director: Allison Hayes
Copywriters: Mike Mcguire, Kathy Hepinstall
Director: Aoife Mcardle
 


84 Lumber
84 Lumber si affida all’agenzia Brunner per un cortometraggio che racconta il viaggio di una madre messicana, che parte per portare la figlia negli Stati Uniti, bello e toccante e senza finale: per sapere come va a finire bisogna andare sul sito dell’azienda, ed è quasi impossibile resistere alla tentazione (io non ce l’ho fatta!).
Advertising Agency: Brunner, Pittsburgh, USA
Creative Director: Dave Vissat
Director: Cole Webley
 


Budweiser
Il tema dei migranti, a sorpresa, è anche nella campagna di Budweiser, americana che più americana non si può e pure, scoprima oggi, fondata da un tedesco emigrato.
Advertising Agency: Anomaly, New York, USA
Director: Chris Sargent
 


Coca Cola
Un’altra icona americana si schiera contro le recenti politiche di Trump, con il suo “its Beautiful” che altro non è che una versione speciale del famosissimo inno patriottico America The Beautiful: le parole sono cantate da immigranti, ciascuno nella sua lingua. Chiude l’hashtag #AmericaIsBeautiful.
Advertising Agency: Wieden + Kennedy, USA
 

06.03.2017 # 4797
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

Roberto Grandi e Bologna: la competenza incontra la creatività

Blog! di Daria La Ragione

Ormai siamo abituati a leggere ci concorsi banditi da comuni e città che sono alla ricerca di un city branding: un marchio che possa identificare e insieme raccontare la specificità di un luogo.
Ce ne sono così tanti che nasce legittimo un sospetto: e cioè che persone di scarsa competenza tentino di aggirare l’ostacolo chiamando a raccolta grafici e designer, con l’auspicio che possano colmare il vuoto di competenze in materia di comunicazione che tristemente affligge buona parte delle nostre istituzioni.
Il dubbio si fa quasi certezza quando queste esperienze sono messe a confronto con il luminoso esempio rappresentato dal City Branding della città di Bologna, del quale mi piacerebbe molto dire che ha fatto scuola, ma sarebbe una bugia dal momento che rimane un’oasi nel deserto.
Le differenze che saltano agli occhi sono moltissime, ma ce n’è una che proprio brilla: pure essendo nato a seguito di un concorso, il brand è Bologna è figlio di un processo lungo e accurato, ma soprattutto figlio di persone competenti e attente.

Spicca su tutte la figura di Roberto Grandi, ordinario di Sociologia dei processi comunicativi dell’Università di Bologna, autore di testi sulla comunicazione pubblica e – udite udite – responsabile scientifico del progetto Bologna City Branding.
Insomma, per una volta si è pensato di acquisirle, queste benedette competenze, prima di chiedere ai grafici di metterci mano.
E la differenza è manifesta: prima di bandire il concorso è stata svolta un’attività di ricerca per chiarire quale fosse la percezione della città, e sono state svolte tre indagini:
– un questionario somministrato prevalentemente a stranieri che hanno soggiornato nella città per periodi più o meno lunghi;
– un’analisi sul web per capire a quali parole veniva associata la parola Bologna;
– un focus con i cittadini per capire l’immagine desiderata della città.

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In un’intervista rilasciata a Smart City Exhibition – che potete leggere qui  – Roberto Grandi ha spiegato:

«il branding oggi non è un problema di marketing classico ma di storytelling, ossia attiene a come si racconta la storia di un brand, quali sono le figure, i colori, le sensazioni per raccontarlo. Dall’analisi delle tre ricerche abbiamo tratto alcune conclusioni su quello che è il cuore dell’identità della città. (…)L’immagine di una città che è considerata un piccolo gioiello nascosto perché non ha mai investito nella propria promozione: ci si capita per caso, di passaggio e per questo il turista non ha aspettative. È un città in cui le persone dicono di non sentirsi trattate da turisti, ma subito da cittadini. Una città accogliente, dove puoi camminare senza avere una meta e perderti. Se dobbiamo pensare all’identità di questa città mettendo insieme le caratteristiche materiali, come le due torri, le piazze, la collina e i portici, e quelle immateriali, è parso evidente come l’elemento distintivo fossero i portici.
Le torri sono abbastanza scontate, i portici sono l’elemento avvolgente che riflette le caratteristiche immateriali, il potersi perdere, il lasciarsi avvolgere dalla città. Dal punto di vista semantico il portico rappresenta la dimensione orizzontale. Quasi tutte le città contemporanee comunicano un senso di verticalità: la dimensione verticale ti sorprende attraverso la vista. La dimensione orizzontale, invece, sorprende attraverso l’udito e l’olfatto: l’ascolto dei rumori, gli odori, l’essere circondati dalle persone. Bologna è città plurisensoriale, ti propone un codice aperto perché ti dice che puoi farti tu il tuo racconto

Il risultato è stato uno dei progetti più innovativi che si siano visti nel nostro paese, che ha dato vita al primo logo generativo di una città. Gli autori sono Matteo Bartoli e Michele Pastore, i progetti arrivati 524, e si sono aggiudicati 14.000€, non visibilità, ma soldi, in grado di attrarre professionisti validi spingendo a competere per un progetto serio e credibile.



Che significa “logo generativo”?
«Il progetto è nato con l’obiettivo di tradurre visivamente le infinite sfaccettature e le percezioni della città – che costituiscono il che cosa è Bologna – costruendo un sistema di scrittura che sostituisce ai grafemi dell’alfabeto dei segni astratti caratterizzanti.
È stato così disegnato un alfabeto di segni geometrici, riconducibili a un immaginario storico tipicamente italiano. (…) Con queste forme/lettere è possibile perciò “scrivere” qualsiasi concetto riferibile alla città,
includendo ogni caratteristica fisica o astratta, generale o personale, che si vuole associare a Bologna. Dal punto di vista grafico si ottiene così una forma precisa e diversa da tutte le altre (un logo) per ogni parola generata. Ogni logo può essere poi colorato con tinte derivate da due colori individuati puntualmente.»

L’Urban Center Bologna, il “luogo in cui puoi conoscere le principali politiche e i progetti che stanno cambiando Bologna”, mette a disposizione di tutti un documento in cui viene raccontata la genesi del logo e le sue caratteristiche, che potete leggere qui, mentre qui potete giocare a creare il vostro logo di Bologna.

06.03.2017 # 4796
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

Brand identikit: il magazine diretto da Gaetano Grizzanti

Blog! di Daria La Ragione

Magari non lo conoscono ancora, ma gli appassionati di comunicazione e branding hanno a disposizione un piccolo tesoro di informazioni sul branding che li attende online: è brand-identikit.it.
Se il nome vi suggerisce qualcosa avete visto giusto: si tratta del primo magazine italiano sulla brand identity ed è diretto da Gaetano Grizzanti.
Se invece il nome non vi diceva granché ecco spiegato l’arcano: Brand identikit è il nome di libro, ormai famosissimo tra gli addetti i lavori, pubblicato da Gaetano Grizzanti nel 2011 e giunto ormai alla terza edizione.
Il libro è diventato un vademecum per addetti ai lavori, ma il linguaggio accessibile lo ha reso perfetto anche per chi si avvicina al tema da semplice curioso.



Il magazine è a sua volta il luogo in cui ogni studente di comunicazione dovrebbe trascorrere un’ora o due della sua giornata, per scoprire, tanto per dirne una, qual è stata l’evoluzione di grandi marchi con Apple, Alitalia, Eni, Ford e moltissime altre; un’altra sezione da scoprire riguarda il city branding, in Italia una tendenza recente, ma come scopriamo su brand-identikit.it una consuetudine affermata da tempo in altri paesi. Ci sono anche 23 interviste a Gaetano Grizzanti, ognuna delle quali ha molto da offrire.
Il contributo numero uno, però, resta sempre il libro. Per chi non lo avesse letto ecco una piccola anticipazione – tratta dal sito dedicato, da cui potete scaricare l’indice – di quale sia la struttura narrativa:
la prima (parte) riguarda la “Marca” e la seconda il “Marchio”, entrambe costituiscono la parte nozionistica della materia, cioè tutto quello che si deve sapere per avere le basi cognitive sulla brand identity. La terza sezione racconta le storie di venti marche riconosciute, selezionate tra quelle più rappresentative dal punto di vista del branding. La quarta espone cinque case-history italiane di brand identity, sviluppate dall’autore. L’ultima sezione, infine, raccoglie stimoli e argomenti di attualità legati al mondo del brand.

23.02.2017 # 4782
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

Una moneta per i tuoi improperi

Blog! di Daria La Ragione

In un mare di campagne tutte uguali, con posti meravigliosi e irraggiungibili, belle donne formose ma magrissime stese al sole con un cocktail, piramidi, monumenti, spiagge, atolli e tramonti romantici, la campagna di Hotels.com è una ventata di freschezza e ironia.
La campagna Winter Swear Jar (letteralmente il “barattolo delle parolacce contro l’inverno) è di JWT Toronto, dedicata al mercato canadese, per il brand Hotels.com.
L’idea è molto semplice e parte dal presupposto che l’inverno canadese è molto rigido e che c’è un solo modo per per superarlo: spalare la neve!
Questo finché non arriva Hotels.com con il suo barattolo delle imprecazioni – a napoli le chiamiamo maleparole, perché abbiamo il dono di una sintesi potente che secondo me ci viene dal greco – un barattolo in cui l’azienda lancerà un quarto di dollaro per ogni tweet che inveisce contro l’inverno in ci sia almeno una parolaccia.
Raggiungi i 1000 dollari (canadesi?), l’azienda manderà un canadese in vacanza in un posto caldo e assolato.
Sul sito dedicato a Winter Swear Jar, nel momento in cui scrivo, il barattolo ha raggiunto i 135 dollari e ci vorrà ancora un po’ perché un fortunato canadese possa svernare al caldo.
Nel frattempo una campagna prodotta con pochi spiccioli – e in effetti almeno sul piano estetico si poteva fare di meglio – strappa un sorriso porta nuovo traffico al sito.

Credits
Art Director: Jose Rivas
Copywriter: Kyla Galloway
Digital / Social Strategy Director: Adam Ferraro
 

02.02.2017 # 4764
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

MyDakar - la sfida secondo Renault

Blog! di Daria La Ragione

La Paris Dakar era un mito prima ancora che un rally: partiva dalla capitale francese e arrivava in quella senegalese, attraversando paesi europei e africani e il deserto del Sahara, lasciando sul percorso feriti e non poche vittime, senza mai perdere quel fascino della sfida senza tempo.

Un mito che si è trasformato negli anni, diventando il Rally Dakar e spostando il percorso in Sud America dopo che nel 2008 la corsa era stata sospesa per un rilevante rischio attentati.

Dal 2 al 14 gennaio si è corsa la competizione del 2007 e per l’occasione Renault ha lanciato #MyDakar, una multisoggetto bella e di grande impatto: 4 spot, 4 donne che raccontano quale sia la loro Dakar, la loro sfida, la corsa della vita. E sono tutti progetti che hanno in comune la speranza, la forza dell’ideale da cui partono e un impatto significativo e rilevante nella vita di altre persone.

Vida Corrida è il progetto di Naide a San Paolo, per coinvolgere ragazzi e bambini in contesti a rischio attraverso lo sport e la sua Dakar è portare lo sport nei quartieri degradati; 

 


Fundaciòn Zorba, in Argentina, è progetto di Isabel per interrompere le corse clandestine, con il loro giro di scommesse e tutto ciò che comportano per gli animali. Non è un problema loro spiega, è un problema umano e si chiama violenza e la sua Dakar è interrompere gli abusi sugli animali; 

 


Ana Marìa vive a Medellin in Colombia, la città di Escobar, famosa nel mondo per la droga, che nel 2012 è stata eletta la città più innovativa del mondo: Ecobikes è un progetto per produrre energia grazie all’attività fisica, particolarmente grazie alle biciclette ed  è un progetto che ha trovato il maggiore ostacolo nella resistenza al cambiamento, la sua Dakar è portare ovunque energia pulita e libera; 

 



Aida è messicana, Huerto Romita è un progetto di orti biologici collettivi iniziato per sfida e cresciuto in modo impressionante costruendo una comunità di persone che altrimenti non si sarebbero mai incontrate e che invece si scambiano cibo, coltivato con attenzione e amore, la sua Dakar è riempire la città di orti biologici.

 


La scelta di queste quattro storie è vincente e molto interessante: la forza delle idee e della passione di queste donne è coinvolgente, sono senza dubbio un’ispirazione, anche solo per il loro approccio, per la determinazione con cui raccontano il proprio progetto. Il collegamento con la sfida è immediato e molto forte: arriverò fino in fondo, non importa quali ostacoli incontrerò.

Ma è molto interessante anche il fatto che si tratti donne, non una scelta scontata visto che parliamo di un rally, e che fa venire in mente un tentativo di coinvolgere un pubblico più ampio anche cambiando la narrazione: la sfida è nella vita di chiunque decida di coglierla. E questo è l’altro elemento molto valido di questa pubblicità: suggerisce che ognuno di noi ha un #MyDakar e mentre ascoltiamo queste donne qualcosa nella nostra testa corre già alla vita che viviamo, ai nostri obiettivi ed ecco qua: ci ha presi coinvolti e ha portato a casa il risultato.


Advertising Agency: Publicis, Buenos Aires, Argentina

Creative Directors: Paula Kozub, Ignacio Jardon

Art Director: Javier Agena Goya

Copywriter: Mauro Ribot

27.01.2017 # 4757
Gli spot del Super Bowl

Daria La Ragione //

Killer in red - Paolo Sorrentino firma il corto di Campari

Blog! di Daria La Ragione

In principio fu Pirelli, dodici scatti, donne bellissime, un grande fotografo e l’edizione limitata: gli ingredienti di The Cal erano pochi e semplici, ma fecero grande un progetto che è entrato nel mito. Dopodiché in molti hanno scelto la strada del calendario “di lusso” e tra quelli che hanno fatto strada e successo i nomi che spiccano sono italiani: Lavazza e Campari per citarne solo due.

Proprio Campari ha saputo andare oltre, annunciando il 24 gennaio la sua Ri(e)voluzione con il progetto Red Diaries: dodici storie, ognuna legata a un bartender e a un cocktail. Il progetto è stato ideato da JWT Milano, che ha affidato al giovano e promettente regista italiano Ivan Olita la regia di questi cortometraggi rilasciati sul sito Campari e sul canale Youtube. “Ogni cocktail racconta una storia” promette l’azienda, e queste storie sono raccontate bene, con fascino e stile.

Il clou di questa campagna però è un altro: Killer in red è il titolo del cortometraggio girato dal premio Oscar Paolo Sorrentino, che racconta la storia di un bartender negli anni ’80, con il dono di capire la personalità dei suoi clienti e dare loro il giusto cocktail, finché arriva un bionda fasciata in un abito rosso e il fantastico Clive Owen, protagonista della storia, le porge un Killer in red, cocktail che scopriremo profetico.

L’atmosfera noir, le tantissime citazioni – una per tutte il cadavere in piscina di Viale del tramonto – lo stile di Sorrentino e il fascino inossidabile del protagonista finiscono per offuscare la bellezza di Caroline Tillette, attrice franco-svizzera semi sconosciuta e baciata dalla fortuna di essere scelta per questo piccolo film.

Per capire la qualità del progetto basterebbe dire che degli oltre 13 minuti di durata, solo 11 sono di narrazione, tutto il resto va via per i titoli di coda, dandoci la percezione di come questo sia in realtà un film in miniatura.

Personalmente ho molto apprezzato il fatto che, benché ci fossero tutti i richiami possibili al cinema americano degli anni ’50, sia stato scelto un regista italiano premio Oscar: un modo importante di sottolineare che Campari è sì un’azienda internazionale, ma che resta profondamente italiana, e proprio per questo innovativa, elegante e fascinosissima.

Ma il calendario? Dopo anni trascorsi in compagnia delle nuove dive non avranno mica lasciato orfani gli aficionados di questo oggetto ormai inutile ma pieno di glamour?

No, non lo hanno fatto: Ale Burset, talentuoso fotografo argentino, ha ritratto i dodici bartender autori dei cocktail e protagonisti dei Red Diaries; anche questa volta – unica tradizione che l’azienda ha rispettato – sono state stampate 9999 copie che verranno regalate. Niente più dive patinate insomma, ma un progetto moderno e integrato.

Chapeau


 


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