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Mostre ed eventi // Pagina 11 di 230
24.04.2017 # 4832
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

Sixty last suppers

a Milano fino al 18 maggio 2017

Trent’anni fa, nel 1987, il progetto di Andy Warhol dedicato all’Ultima Cena faceva il suo debutto a Milano.

Per celebrare questo importante anniversario, il Museo del Novecento è lieto di annunciare la presentazione di uno dei lavori-chiave della serie: il dipinto monumentale Sixty Last Suppers.
Dal 24 marzo al 18 maggio di quest’anno l’opera sarà allestita nella spettacolare Sala Fontana, affacciata sul suggestivo panorama di Piazza del Duomo e di Palazzo Reale, sotto il monumentale neon di Lucio Fontana.
La mostra, fortemente sostenuta dal Soprintendente del Castello Sforzesco e Direttore del Museo del Novecento Claudio Salsi, anticipa il progetto “Milano e l’eredità di Leonardo 1519-2019”, che celebrerà nel 2019 il V centenario dalla morte di Leonardo Da Vinci.

Nel 1984 il noto gallerista Alexandre Iolas ebbe l’idea di commissionare a Warhol una riflessione sul celebre Cenacolo di Leonardo che il grande Maestro rinascimentale aveva dipinto, tra il 1495 e il 1498, nel refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, su richiesta di Ludovico il Moro, signore della città. Quasi cinque secoli dopo, Iolas invitava Warhol a dialogare con uno dei più rinomati dipinti della storia dell’arte, organizzando poi nel 1987 al Palazzo delle Stelline la mostra inaugurale della serie con una selezione di opere.

Come per la maggior parte dei suoi soggetti, Warhol si avvicinò a L’Ultima Cena attraverso delle rielaborazioni dell’originale, piuttosto che tramite l’originale stesso. Tra queste c’erano souvenirs e immagini prodotte per uso commerciale, ma anche una riproduzione in bianco e nero di un’incisione del XIX secolo molto nota e uno schizzo riprodotto in una pubblicazione del 1913, la Cyclopedia of Painters and Painting. Da questo materiale l’artista generò quasi 100 variazioni sul tema – dipinti serigrafati, stampe, lavori su carta – che testimoniano un profondo coinvolgimento con l’intenso e spirituale capolavoro leonardesco. Alcune opere si appropriano interamente del progetto pittorico di Leonardo, mentre altre ne esplorano i dettagli riproducendo figure singole o gruppi con variazioni nell’orientamento, nella scala e nel colore.
L’apparente irriverenza per la commistione tra sacro e profano, tra arte e design commerciale trasforma un lavoro profondamente religioso in un cliché, alterandone l’intenso messaggio attraverso la ripetizione.

L’opera Sixty Last Suppers, che si avvicina alla scala dell’originale di Leonardo, è uno dei più grandi e complessi lavori del progetto. Ultimo di una lunga sequenza di icone ripetute in serie tra le quali Jackie Kennedy, Marilyn Monroe, Elvis Presley, e la Mona Lisa dello stesso Leonardo, il dipinto si concentra sull’immagine di uno spazio architettonicamente incorniciato – la sala della cena – piuttosto che su una singola figura iconica. Una sobria immagine in bianco e nero de L’Ultima Cena è ripetuta 60 volte in modo che, a distanza, la tela serigrafata appaia come un edificio modernista con la sua griglia di unità di identiche dimensioni. Sixty Last Suppers fu esposta nella leggendaria retrospettiva postuma “Andy Warhol: A Retrospective” al Museum of Modern Art a New York nel 1989.

L’improvvisa e inaspettata morte dell’artista appena un mese dopo l’apertura a Milano trasformò la mostra, la cui inaugurazione alla presenza dell’artista aveva già attratto un’enorme attenzione, in un un evento mediatico di massa.
Infatti, misteriosamente premonitore, The Last Supper fu l’ultimo progetto di Warhol, e in quanto tale funge da potente testimonianza dei principi che ispirarono la sua intera carriera artistica.


La mostra Sixty Last Suppers è stata resa possibile grazie al supporto di Gagosian, e alla collaborazione di Jessica Beck, Curatore Associato del Museo Warhol di Pittsburgh.



30.04.2017 # 4840
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

JEAN-MICHEL BASQUIAT. New York City

a Roma fino al 2 luglio 2017

Circa 100 i lavori esposti, tra olii, acrilici, disegni, alcune importanti collaborazioni con Andy Warhol, serigrafie e ceramiche, opere realizzate tra il 1981 e il 1987 tra le più rappresentative della sua produzione, tutte provenienti dalla Mugrabi Collection, una delle raccolte di arte contemporanea più vaste al mondo. Un arco di tempo in cui si dipana quasi tutta la turbolenta e sofferta parabola artistica ed esistenziale del pittore americano, diventando presto uno degli artisti più popolari dei nostri tempi. A quasi trent’anni dalla morte avvenuta nell’agosto del 1988, i suoi lavori e il suo linguaggio continuano ancora oggi ad affascinare il pubblico di tutto il mondo.

“Papà un giorno diventerò molto, molto famoso”. Jean-Michel Basquiat aveva questa urgenza, l’urgenza del segno, del gesto, del colore, l’insopprimibile necessità di disegnare, di essere artista.  E proprio i muri di New York saranno, all’inizio della sua carriera, le tele su cui inciderà i tratti distintivi e indelebili della sua arte, pareti sapientemente scelte in prossimità delle gallerie più rinomate.

Apparso con lo pseudonimo di SAMO, Basquiat comincia proprio con il graffitismo che abbandonerà ben presto diventando, a soli 20 anni, una delle stelle nascenti più celebri e celebrate nel mondo dell’arte.

Le sue opere attingono alle più disparate fonti, i suoi mezzi espressivi creano un linguaggio artistico originale e incisivo, che punta ad una critica durissima alle strutture del potere e al razzismo. Orgoglioso delle sue origini afro-americane, Basquiat infonde nelle sue opere quel carattere drammatico, quell’energia e quella determinazione di denuncia sociale, che aprirà una strada alle future generazioni di artisti neri.

La sua produzione sintetizza astrattismo e figurativismo neoespressionista, la sua febbrile e incessante ricerca produce opere dal tratto talvolta viscerale, materico, tribale. Utilizza la pittura, ma soprattutto la scrittura, una presenza costante nelle sue opere, che spesso ne costituisce il tessuto. Basquiat ha usato e trasformato la parole in contesto come segni grafici e significanti – come versi che risuonano al ritmo del suo battito interiore.

Sue muse ispiratrici erano la musica – che non abbandonerà mai e che sarà sempre presente nei suoi dipinti – e ancora l’arte greca, romana, africana. Tra i suoi amici vi erano Andy Warhol con cui aveva una straordinaria e particolare intesa intellettuale, John Lurie, Arto Lindsay, Keith Haring e Madonna.

Anche se l’attività artistica di Jean-Michel Basquiat prende forma nell’arco di una sola decade, in questo breve periodo la sua febbrile attività lo ha portato a produrre un vasto corpus di opere caratterizzate da un segno e uno spirito che lo hanno reso uno dei grandi testimoni della sua epoca.


30.04.2017 # 4839
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

MICHAEL ROTONDI. End Hits

a Lissone (MB) fino al 14 maggio 2017

Michael Rotondi [Bari, 1977] predica la supremazia del mezzo pittorico nell’arte. La pittura è infatti il focus principale delle sue opere che uniscono elementi di vita quotidiana (sia reali, legati quindi al mondo famigliare e a quello dell’infanzia, sia mitologici, racchiusi cioè in sogni e azioni del periodo adolescenziale) con tracce e input ripresi dal background in cui l’arti-sta è cresciuto.

Al MAC di Lissone l’artista trasferisce una parte del suo studio realizzando così una opera ambientale per raccontare al fruitore l’intero processo lavorativo che lo porta alla realizzazione di disegni, tele, schizzi e stendardi in tessuto, divenuti nel corso del tempo elementi simbolici e riconosci-bili della sua ricerca. A distanza di un an-no dalla sua partecipazione al progetto Rumore Rosso (2016), il MAC ha nuovamente invitato l’artista a ideare un intervento per la Project room del secondo pia-no. Rotondi ricrea dunque un microcosmo personale: un’opera installativa dal titolo End Hits che si ispira all’omonimo album dei Fugazi.

Tre tavoli in legno raccolgono disegni, appunti, quaderni, piccole tele, nature mor-te, souvenir e ricordi del passato (come la foto del passaporto di sua nonna) che Ro-tondi recupera per affrontare la tematica dell’immigrazione e per raccontare la storia della sua famiglia, che partì dalla Pu-glia verso gli Stati Uniti. E poi ancora copertine di libri, cartoline, fotografie, e di-versi altri ammenicoli… Un ricco e denso accumulo di ricordi che l’artista mostra come fosse un diario personale aperto al pubblico, cadenzato – così come suggerito dal titolo della mostra – da un immaginario sottofondo musicale.

Il processo creativo e la sua incubazione partono da questi tavoli per poi svilupparsi in un grande lavoro a parete, un telo di lino dipinto con smalti dove elementi naturali (fiori, foglie e alberi) risaltano all’interno della stanza. Sei piccoli smalti su carta ci svelano invece gusti e stili del passato, dove tematiche sociopolitiche vengono mescolate a intimi episodi di vita. In questi lavori emerge la cifra stilistica di Rotondi, nel suo aspetto più legato alla cultura del fumetto e dell’illustrazione punk; memoria collettiva e persona-le si scambiano e coesistono attraverso i volti delle persone ritratte.


24.04.2017 # 4833
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

Comicon XIX edizione

a Napoli dal 28 aprile al 1° maggio 2017

Dopo il successo dell’edizione 2016 che ha segnato il record delle 120.000 presenze, dal 28 aprile al 1° maggio, alla Mostra d’Oltremare, arriva la XIX edizione di Napoli COMICON. Protagonista di quest’anno nelle vesti di Magister, Roberto Recchioni (curatore di Dylan Dog, scrittore e sceneggiatore) che rappresenterà il tema principale e filo conduttore del Festival: il rapporto tra Fumetto e Web. Dopo aver esplorato il rapporto tra Fumetto e Stampa e tra Fumetto e Audiovisivi nelle edizioni precedenti, nel 2017 Napoli COMICON sceglie come tema principale della manifestazione il rapporto tra Fumetto e Web, analizzando come questi due media e i loro rispettivi linguaggi si influenzino a vicenda. Non mancano le novità nelle sezioni CartooNa (tra Animazione, Cinema, Serie e Web), Gamecon (con Giochi e Videogiochi), Asian Village (con cosplay, mostre e la cultura orientale), Musica, Mercato (con le ultime proposte editoriali) e l’immancabile sezione per i più piccoli COMICON Kids.



18.04.2017 # 4825
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

DA MONET A BACON. Capolavori della Johannesburg Art Gallery

a Monza fino al 2 luglio 2017

La rassegna, allestita negli Appartamenti Principe di Napoli e Duchessa di Genova per la cura di Simona Bartolena,presenta 60 opere, tra olii, acquerelli e grafiche, provenienti dalla prestigiosa pinacoteca sudafricana, in grado di ripercorrere ben oltre un secolo di storia dell’arte internazionale, dalla metà del XIX secolo fino al secondo Novecento, attraverso i suoi maggiori interpreti, da Courbet a Corot, da Monet a Degas, da Rossetti a Millais, da Picasso a Bacon, da Lichtenstein a Warhol a molti altri.

 

Il racconto prende idealmente avvio dall’Ottocento inglese e da due opere di William Turner e prosegue con il dipinto diLawrence Alma-Tadema, La morte del primogenito, raffinata e malinconica scena ambientata in un oscuro e immaginifico Egitto, e con una serie di lavori firmati dai maggiori esponenti dei Preraffaelliti, quali John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti di cui viene esposto un capolavoro, Regina cordium, la regina di cuori, ovvero Elizabeth Siddal, con la quale il pittore visse un’intensa quanto sfortunata storia d’amore, conclusa con il probabile suicidio della donna.

La mostra continua con un’ampia sezione dedicata agli esiti della pittura di fine Ottocento e si apre con quei pittori che scelsero un nuovo approccio al vero in pittura, quali Jean-Baptiste Camille Corot, qui con un piccolo Paesaggio, Gustave Courbet con lo scorcio della scogliera normanna di Étretat e Jean-François Millet.


La generazione impressionista, introdotta da autori quali Eugéne Boudin e Johan Barthold Jongkind, viene rappresentata da Edgar Degas (Le ballerine), Claude Monet (La Primavera) e Alfred Sisley. 

Il percorso prosegue con alcuni protagonisti della scena post-impressionista: Paul Cézanne (I Bagnanti), Vincent Van Gogh (Ritratto di un uomo anziano), Pierre Bonnard, Edouard Vuillard.

Varcando la soglia del Novecento, s’incontrano le opere di due dei maestri più celebrati del secolo: Henri Matisse e Pablo Picasso che aprono alle nuove istanze dell’arte contemporanea, con Amedeo Modigliani, Albert Gleizes e altri. Non mancano esponenti della seconda metà del secolo: i britannici Francis Bacon e Henry Moore, e i due protagonisti della pop art americana Robert Lichtenstein e Andy Warhol, di cui si presenta il trittico dedicato a Joseph Beuys.


Chiude idealmente la mostra, la sezione che indaga l’arte sviluppata in Sudafrica nel Novecento. In particolare si possono ammirare le opere di Maggie Laubser, una delle esponenti dell’espressionismo sudafricano e i lavori di Maude Sumner, Selby Mvusi e George Pemba, pittori dai forti interessi per il sociale che raccontano le tradizioni del paese, ma anche la vita urbana e la realtà dell’Apartheid.



18.04.2017 # 4824
Sixty last suppers

Daria La Ragione //

DAVID LACHAPELLE

a Venezia fino al 10 settembre 2017

L’esposizione, curata da Reiner Opoku e Denis Curti, organizzata da Fondazione di Venezia e Civita Tre Venezie, presenterà oltre 100 immagini che ripercorrono la carriera dell’artista statunitense, dai primi progetti in bianco e nero degli anni novanta fino ai lavori, solo a colori, più recenti, opere divenute in gran parte iconiche e che gli hanno garantito un riconoscimento internazionale da parte di critica e pubblico.


Come grande novità, la rassegna, prima monografica di LaChapelle a Venezia, propone l’anteprima mondiale di New World, una nuova serie realizzata negli ultimi 4 anni. Sono 11 fotografie che segnano il ritorno alla figura umana e che ruotano attorno a temi come il paradiso e le rappresentazioni della gioia, della natura, dell’anima.


Osservando il percorso compiuto da LaChapelle negli ultimi 30 anni, si scopre come la sua fotografia si nutra da una parte del rapporto privilegiato con le riviste e la pubblicità, dove le icone della moda e dello star system agiscono come materia grezza per l’ispirazione, dall’altra parte della pratica creativa di esprimere la propria visione del mondo per immagini, influenzata senza dubbio dalla generazione di giovani artisti a lui coetanei, formata da Andy Warhol.


“Dalle viscere più profonde del complesso sistema della comunicazione, dell’advertising e dello star system - afferma Denis Curti, LaChapelle inizia a considerare l’”icona” il seme vero di uno stile che si fa ricerca e contenuto; nella Pop Art, trova l’ispirazione per riflettere sull’infinita riproducibilità dell’immagine; nel fashion e nel merchandising l’eccesso di realismo e mercificazione che, appunto, si converte in sogno”.

La serie inedita di New World segna il ritorno di LaChapelle alla figura umana.

Il progetto, che verrà presentato in anteprima a Venezia, ha richiesto 4 anni di lavoro. I temi centrali sono il paradiso e le rappresentazioni della gioia, della natura, dell’anima, cercando la modalità per fotografarle in natura.


In questo, LaChapelle dichiara di essere stato ispirato da Odilon Redon, pittore francese di fine ‘800 - inizio ‘900, visto al Musée d’Orsay, William Blake, e, ancora una volta, Michelangelo e Michael Jackson. Altra fonte d’ispirazione, la musica di Pharell Williams e in particolare, la sua canzone “Happy”.

Con queste fotografie LaChapelle si pone come fine quello di riflettere su questioni metafisiche come il viaggio dell’anima dopo la morte, la gioia e le rappresentazioni del paradiso.



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