

Daria La Ragione //
Arriva la legge contro Photoshop
Blog! di Daria La Ragione
È notizia freschissima: in Francia, dal 2 ottobre, corre l’obbligo di apporre la dicitura “Photographie retouchée” in ogni campagna pubblicitaria in cui compaia una modella la cui foto sia stata modificata.
Si chiama Loi Mannequin, è stata promossa da Olivier Veran, deputato di En Marche!, e (forse) è l’inizio di una rivoluzione.
Le agenzie che non si adegueranno potrebbero incorrere in una sanzione che va dai 37.500 euro fino al 30% del valore della campagna.
Non basta.
La legge riguarda, ovviamente, anche le star, che almeno nelle pubblicità dovranno mostrarsi nature e perfino le passerelle: le case di moda potranno far sfilare soltanto indossatrici con un indice di massa corporea adeguato. Sarebbe a dire non troppo magre.
Il tema non è del tutto nuovo, basti pensare che a giugno del 2016 aveva fatto clamore la decisione del sindaco di Londra, Sadiq Khan, di vietare che metro e bus potessero ospitare campagne pubblicitarie con corpi perfetti ma finti.
È un vento nuovo che soffia, figlio di una sensibilità che cresce sempre di più e che, ovviamente, alcune aziende hanno saputo intercettare molto prima dei politici.
L’esempio più eclatante è la Campagna per la bellezza autentica di Dove, per una crema rassodante “testata su curve vere” e ancora di più con il primo video virale lanciato dall’azienda, il famosissimo Evolution (era il 2006), che aveva totalizzato un numero di condivisioni e visualizzazioni tale da surclassare perfino il Super Bowl, e di svariate lunghezze.
Ora, qualche riflessione è d’obbligo. La prima riguarda il rapporto, complesso a dir poco, tra verità e fotografia.
Perché si illude chi crede che basti eliminare photoshop per raccontare un’immagine veritiera del corpo femminile. E questo non soltanto perché la giusta luce, un’inquadratura attenta, il trucco e l’abbigliamento possono ingannare tanto quanto photoshop, ma soprattutto perché il problema è culturale e se si combatte l’effetto piuttosto che la causa si rischia solo di sprecare tante energie.
Personalmente non credo sia sbagliato promuovere un’idea realistica della bellezza, ma credo che sarebbe più efficace lavorare sull’immaginario collettivo, sull’opinione pubblica, così da fare in modo che siano le aziende, le agenzie, a scegliere di proporre modelli diversi perché sono i consumatori a chiederli. Ma io sono idealista, chi mi conosce lo sa.
La seconda riflessione riguarda le sfilate di moda e la loro preclusione a chi non abbia un certificato medico consono: se partiamo dal presupposto che i disturbi alimentari sono malattie a tutti gli effetti, allora dobbiamo chiederci se sia giusto discriminare una persona perché ne è affetta. Se la stessa legge discriminasse le persone obese la levata di scudi sarebbe scontata, non lo è per le anoressiche e le bulimiche, e questo dovrebbe farci quanto meno riflettere, dal momento che l’obesità non è un problema meno grave. Tuttavia nessuno si sogna di affermare che si debbano far sparire le persone obese dalle passerelle o dalle pubblicità, perché è chiaro ed evidente che questo non risolverebbe alcun problema.
Insomma, c’è buona volontà in questa legge e c’è superficialità, faciloneria e, per usare una parola di gran moda, una buona dose di populismo.