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08.05.2019 # 5254
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Blog! di Daria La Ragione

La Brexit è alle porte. Forse. Chissà. Più o meno.

In effetti la dinamica non è chiarissima, ma è certo che il tema del confronto tra Regno Unito e altre località turistiche (e non), è stato uno dei temi su cui si è riso tanto (forse per non piangere).

Anche le agenzie pubblicitarie hanno dato il loro contributo, a volte in modo molto intelligente, a volte in modo meno interessante.

È di questi giorni uno degli ultimi esempi: è la campagna pensata dalla sede lettone di Publicis per il Latvian Tourist Board, certamente piena di ironia, ma forse non del tutto centrata.














Come spesso accade nei casi pubblicità comparativa (o pseudo comparativa) in ambito turistico, si tratta di una multisoggetto: una serie di manifesti ci rincuorano, spiegandoci che anche se perderemo Elton John con l’uscita della Regno Unito dall’Europa, per fortuna la Lettonia resta e con lei il compositore Raimond Pauls; dovremo dire addio alla bianche scogliere di Dover, ma non alla spiaggia di Jurmala, non dovremo rimpiangere l’Aston Martin grazie al Dartz Suv etc.

Tanta autoironia, non c’è che dire, ma un dubbio: è venuta voglia a qualcuno di andare in Lettonia dopo aver visto questa campagna?


Sempre in tema Brexit, qualche tempo fa avevamo già parlato di una brillante campagna di un’agenzia rumena, GMP, che aveva deciso di avviare un’operazione “simpatia” per contrastare il crescente malanimo dei cittadini inglesi nei confronti di quelli rumeni (pare che qualcuno avesse cavalcato la paura di un’invasione da questo paese a fini elettorali, ma pensa te che cosa succedono all’estero!!!).


In questo caso la cosa funzionava perché il confronto era tutto giocato, sì con ironia, ma a vantaggio del paese in oggetto, (qui trovate tutto l’articolo): «non abbiamo una tassa sul traffico. Noi crediamo che il traffico sia una punizione sufficiente», «la nostra birra alla spina costa meno della vostra acqua in bottiglia», «abbiamo più gruppi alimentari che non torta, salsiccia, fish&chips», «parliamo un inglese migliore di qualunque altro posto possiate visitare in Francia» (applausi), «metà della nostre donne assomiglia a Kate (Middleton), l'altra metà alla sorella».

Insomma, l’ABC di una comparativa dovrebbe consistere nel mettere in luce i pregi del proprio prodotto, non ironizzare sui proprio difetti. Per carità, i cittadini lettoni sono più simpatici oggi di quanto lo fossero ieri, ma basta questo a spingerci a cercare un volo per Riga? Forse no.


Ora, sarebbe legittimo chiedersi: esistono campagne turistiche che non mostrano particolari bellezze e luoghi di interesse, ma che funzionano comunque? La risposta è SÌ.

E anche in questo caso ne avevamo già parlato qui, a proposito di una felice pubblicità per Las Vegas la città in cui succedono cose che nessuno a voglia di raccontare, ed è proprio su questo che giocava questo spot.


Il turismo è uno dei settori che ci ha dato più soddisfazioni in questi di anni di campagne poco memorabili, peccato che questo della Lettonia non sia uno di quei casi.

18.04.2019 # 5248
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Art in Micro: una mostra da scoprire negli Art Series Hotel

Blog! di Daria La Ragione

Art Series Hotel è una catena di boutique hotel con sedi a Melbourne, Brisbane e Adelaide che ha la caratteristica di essere dedicata all’arte contemporanea e in particolare agli artisti australiani.

Si tratta di un progetto ambizioso e molto molto interessante, in cui ogni struttura è ispirata all’opera di un artista e ne porta il nome. Ma attenzione, perché non si tratta semplicimente di un’ispirazione, gli artisti stessi hanno prodotto opere site-specific che rendono gli alberghi anche delle gallerie d’arte.

Di recente è stata lanciata una campagna di comunicazione molto particolare: si chiama Art in Micro ed è un invito a scoprire una mostra all’interno degli alberghi.

 



Ma in questo caso la parola scoprire è da intendersi alla lettera: si tratta infatti di opere in miniatura, per apprezzare le quali viene consegnata agli ospiti una lente di ingrandimento insieme all’invito a trovare le opere in mostra.

Uno tra tutti gli ospiti che avranno trascorso almeno una notte in uno degli Art Series Hotel  e avranno postato sul loro account Instagram una foto della micro arte, riceverà in dono un viaggio per due persone per andare a visitare il Louvre.

Ecco una campagna “crossmediale” che sfrutta in modo intelligente tutti gli strumenti: il video per raccontare l’iniziativa, il mondo reale per coinvolgere il target e portarlo realmente all’interno delle strutture, i canali social per dare il giusto risalto all’iniziativa. Dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, che di solo social non vivono le aziende se non sanno costruire eventi e attività che giocano tra reale virtuale.

15.04.2019 # 5242
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Pubblicità opportunista: tutti pazzi per Game of Thrones

Blog! di Daria La Ragione

L’attesa è finita: dopo circa due anni dall’ultimo episodio è tornato Game of Thrones, la serie evento che negli ultimi anni è cresciuta sempre di più diventando un vero e proprio cult.

Ovviamente, come accade con gli animali cosiddetti “opportunisti” come per esempio i corvi – e mai esempio fu più adatto, visto il ruolo che il pennuto ha nella serie – sono in tanti a “mangiare” senza aver partecipato alla caccia: cioè sono tante le aziende che hanno approfittato dell’evento per farsi pubblicità.

Ecco una piccola carrellata di pubblicità a tema Game of Thrones.


Kentuky Fried Chicken (l’agenzia è Ogilvy, Hong Kong) ne approfitta per il lancio di una nuova ricetta “hot & spicy” creando una gif e un annuncio stampa che richiama uno dei grandi protagonisti della saga: i draghi!




Un’altra peculiarità di questa lunga saga scritta da George R. R. Martin è che non esiste nessun personaggio di cui si possa dire che è “al sicuro”, sono infatti più di trenta i protagonisti e co-protagonisti che sono stati ammazzati (non si muore mai di vecchiaia in Game of Thrones) pagina dopo pagina.

Ecco allora che Foxtel, piattaforma televisiva australiana, ha deciso di creare un vero e proprio cimitero in cui recarsi per andare a rendere omaggio ai tanti defunti che in questi nove anni si sono avvicendati nel cuore dei fan. Il nome del luogo “sacro” è tutto un programma: Grave (tomba) of Thrones.

Qui il video del lancio, l’agenzia è DDB, Sydney, Australia

  



Chiude la gallery Oreo, l’agenzia è 360i di New York, che ha ricreato il titoli di apertura (davvero splendidi), sostituendo i biscotti laddove nella versione originali ci sono elementi rotondi.


  


Salutiamo l’inizio di questa ottava stagione con filo di tristezza: sappiamo già che sarà l’ultima, resta solo da scoprire chi siederà sul Trono di Spade, se l’esercito dei morti sarà sconfitto e soprattutto, speriamo di sapere finalmente di chi è figlio Tyrion Lannister.




07.04.2019 # 5239
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Make America Great Again lascia spazio a Welcome to Canada

Blog! di Daria La Ragione

Non c’è dubbio che dalla cerimonia degli Oscar di quest’anno siano stati lanciati dei segnali chiari: il miglior film, gli attori, la regia, la sceneggiatura, tutti questi premi sono andati ad artisti afroamericani, egiziani, messicani a differenza di quanto accaduto in tutti gli anni precedenti (tanto che nelle scorse edizioni non erano mancate polemiche e proteste per le discriminazioni). 

A chi erano rivolti i messaggi? Basterebbe aver visto BlakKlansMan di Spike Lee (migliore sceneggiatura) per saperlo: Make America Great Again e America First sono gli slogan che continuamente vengono ripetuti dai membri del Klan, razzisti soprattutto verso gli afroamericani e gli ebrei.

Oggi questi stessi slogan* vengono ripetuti dal pulpito più importante degli U.S.A., ma sono sostenuti da un vento che soffia al di là dei confini statunitensi. Siamo diventati talmente familiari con queste frasi, che esiste addirittura un acronimo, MAGA, per pronunciarli più velocemente**.

  


È abbastanza preoccupante che cinquant’anni dopo, rispetto a problemi dei quali, pur essendo lontani dalla soluzione, potevamo dire che c’erano punti di non ritorno, cose che non avremmo mai più detto, pensato, tollerato, siamo invece tornati così indietro.

Sarà opportunismo quello di Hollywood? Probabile, ma non c’è dubbio che quanto più forte è la spinta retrograda, tanto più si sente il bisogno di una reazione.

Dopo questo lungo cappello, eccoci al commercial in questione: viene dal Canada, è opera di  Zulu Alpha Kilo, un’agenzia che negli ultimi anni ci ha fatto vedere tante belle cose e che è da tenere sott’occhio. Si chiama #UnravelHate, letteralmente Dipanare l’odio e usa un cappello come metafora della politica di immigrazione del Canada: non banalmente accogliere, ma di più, raccogliere tutte le energie e le speranze che vengono respinte dagli Stati Uniti e trasformarle in nuova linfa per il paese. 

Un berretto con la scritta Make American Great Again viene dato a delle persone e si chiede loro di raccontare cosa MAGA rappresenti per loro, come li faccia sentire, che tipo di messaggio stiano ricevendo. Lo stesso cappello viene poi trasformato: la scritta viene scucita e con il cotone recuperato viene scritto un nuovo messaggio su un nuovo cappello WELCOME TO CANADA.

La reazione di queste persone ci racconta che saranno una risorsa preziosa per questo paese.




*slogan: Dal gaelico scozzese sluagh-ghairm ; propr. “grido di guerra”


**A Napoli siamo specialisti nell’arte di risparmiare energie e quindi siamo avanti anche in questo: KTM indica una bestemmia da anni ormai. 

28.03.2019 # 5233
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Lo spot di Apple TV ovvero come si racconta una storia

Blog! di Daria La Ragione

Apple tv arriverà in autunno, e per annunciarlo fa le cose in grande.

Stavo giusto lamentandomi di quanta brutta pubblicità io stia vedendo in questi giorni, quando finalmente sono inciampata in questo commercial con cui la casa di Cupertino ha deciso di annunciare l’arrivo del suo ultimo progetto. https://www.apple.com/it/tv/


Non sono tanto, o soltanto, i grandi personaggi chiamati a parlare del proprio lavoro. È quella capacità eccezionale che Spielberg, J.J. Abrams, Sofia Coppola, Ron Howard, M. Night Shyamalan hanno di raccontare una storia , soprattutto quando è la storia di come nasce un film.


Ed è un racconto, questo commercial, che rispetta tutti i canoni dello schema classico del cinema americano e se avete letto il manuale di sceneggiatura di Syd Field ne ritroverete (facendo le dovute proporzioni rispetto alle tempistiche), i passaggi fondamentali.

  




Una partenza tranquilla, razionale ma non del tutto, che cresce non appena arriva il promo colpo di scena: nasce un’idea, qualcosa la mette in moto, arriva come un’intrusa, è evocata da un’immagine, fa scattare la molla della curiosità.

Cominciamo a emozionarci. Questi grandi artisti ci raccontano la fatica, l’impegno di scrivere e riscrivere il loro film e, mentre lo fanno, sono sempre più partecipi e noi con loro.

E poi arriva il momento dell’azione, arrivano gli attori con il loro tripudio di sentimenti, motivazioni, stupore e meraviglia. Poi le maestranze che allestiscono il set e tutta questa gente dipende da loro, dai registi: tutto questo peso, questa responsabilità cresce sempre di più e ci coinvolge, ci accelera i battiti ci porta via come una lunga ma velocissima salita in cima alla quale troviamo lei: la magia del cinema, e inizia la discesa.

«essere coinvolti nella vita di un altro, ecco cosa dovrebbe essere una storia. Una storia dovrebbe farti dimenticare quello che ti circonda, dovrebbe farti dimenticare i tuoi impegni, la tua giornata e magari te stesso».

L’avete guardato questo spot?

Vi ha emozionati?

Vi ha fatto dimenticare, almeno per un attimo, i vostri impegni, la vostra giornata, voi stessi?

Dite grazie ad Apple TV allora, e magari a Syd Field.




26.03.2019 # 5231
Campagne turistiche: cavalcare l'onda della Brexit

Daria La Ragione //

Breve storia della campagna elettorale che cambiò tutto

Blog! di Daria La Ragione

Il 2019 sarà un anno costellato di appuntamenti elettorali per gli italiani: regionali, europee, comunali (tralasciando le primarie) e, come sempre accade, saremo assediati da tribune politiche, manifesti (troppo spesso affissi abusivamente) e messaggi meno espliciti e forse proprio per questo anche più efficaci.

I talk show ci hanno abituati da molto tempo, ormai, a sentir citare sondaggi che affermano che italiani pensano, vogliono, hanno paura di una cosa, del suo opposto, di tutt’alro. Tutti sembrano avere chiare le idee molto chiare, pochi si preoccupano di darci quelle due o tre informazioni indispensabili per interpretare un sondaggio: quale domanda è stata formulata, come e a chi. È fin troppo ovvio che chiedere a qualcuno se è favorevole o contrario allo ius soli è diverso dal chiedergli se teme che un eccesso di immigrazione renderà meno sicure le città.

Ma quando è iniziato questo uso dei sondaggi?

Era il 1952 quando Rosser Reeves, manager dell’agenzia Ted Bates e teorico della USP - Unique Selling Proposition, decise di assumere l’incarico della campagna elettorale di Dwight Eisenhower.

Quella campagna passò alla storia per tre motivi: innanzitutto costò ben 2 milioni di dollari, una cifra mai spesa prima e che segnò la svolta nella comunicazione politica americana. Inoltre, fu la prima campagna nella storia delle elezioni presidenziali in cui vennero utilizzati degli spot tv.

Si trattava di spot molto ben costruiti in cui il (futuro) presidente Eisenhower rispondeva a cittadini molto preoccupati, spiegando loro quali soluzioni proponeva ai problemi che li angosciavano. EISENHOWER ANSWERS AMERICA era il claim della campagna che portò il generale alla presidenza degli Stati Uniti.











Come furono scelti i quesiti da affrontare?

Fu proprio questo il secondo motivo per cui questa campagna è entrata nella storia della comunicazione politica (e non solo). Per la prima volta infatti, Reeves commissionò a George Gallup un sondaggio per far emergere quali questioni fossero sentite come più urgenti dai cittadini americani: per l’appunto la corruzione dell’amministrazione, il prolungarsi della guerra in Corea, l’inflazione. E su quelle focalizzò tutta la campagna.

Quindi, se oggi i sondaggi vengono usati come arieti lanciati contro le opinioni altrui, possiamo ringraziare le buone anime di Reeves e Gallup.


Non furono però solo questi gli spot pensati per la campagna di Ike (nomignolo con cui veniva affettuosamente chiamato Eisenhower), ce ne fu uno il cui jingle fu scritto dal fratello di Walt Disney, che trasformò lo slogan “i like Ike” in un motivo di quelli che ti entrano in testa e non ti lasciano più: un esempio di quella strategia, che qualche anno dopo farà la fortuna di Jacques Seguela, che consiste nel trattare anche il politico come un prodotto da vendere.



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