The Irishman, film della modica durata di 3 ore e mezza, ha creato parecchio rumore attorno a se, per via delle rivoluzionarie tecniche di “anti-invecchiamento” digitale, che sono state utilizzate su tutti e tre gli attori principali. Tale tecnica si è resa necessaria per via dell’arco temporale in cui è ambientato il film, che parte dagli anni 50, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Rilasciato a fine Novembre sulla piattaforma di streaming digitale Netflix, per l’occasione divenuta anche produttrice, il film si basa sul libro di Charles Brandt intitolato “I heard you paint houses”. La storia è mostrata al pubblico attraverso lo sguardo di Frank Sheeran (De Niro), un veterano della seconda guerra mondiale, reinventatosi successivamente assassino. La storia si incentra sulla misteriosa scomparsa di Jimmy Hoffa.
Il direttore della fotografia, Rodrigo Prieto, lo stesso regista messicano che ha lavorato con Scorsese nel suo precedente lungometraggio, “Silence”, spiega come la particolare unicità e difficoltà delle riprese è appunto tutta ruotata attorno alla necessità di ricavare delle plausibili copie digitali ringiovanite, degli attori protagonisti.
Sebbene questa non sia tanto una novità nel campo del 3D, in quanto non sono pochi i film che annoverano tali necessità, ciò che ha determinato la svolta storica è di fatto frutto di un puntiglio del regista.
Scorsese infatti, non ama girare i film seguendo tutte le limitazioni e le regole necessarie per la successiva applicazione di effetti digitali. Per cui la sua proposta, ad ILM, casa di produzione di effetti speciali che si è proposta di lavorare alla creazione degli effetti speciali è stata più o meno così:” Se riuscite a farmi girare il film, senza il bisogno di sensori e tracker e se la qualità è decente, lo assegno a voi”.
Per i ragazzi di ILM questo ha rappresentato indubbiamente una sfida.
Normalmente quando bisogna cambiare in qualsiasi modo le sembianze di un attore, facendolo passare da giovane a vecchio, da magro a grasso, da uomo ad orco, c’è sempre bisogno di girare le sequenze relative, sfruttando elementi traccianti (tracker) che permettono di poter lavorare sulla versione digitale della recitazione.
Per questo motivo bisogna che gli attori impegnati in questi film, indossino delle tutine, con a volte anche delle palline posizionate sul loro corpo, intento a personificare il personaggio.
Scorsese invece non ha mai visto di buon occhio l’intralcio della tecnologia nelle sue produzione e questo ovviamente si ripercuote sul team di produzione, che deve sopperire alle “necessità artistiche” del grande regista.
"The Irishman" Making of della fase di "deaging"
Ecco quindi la genialata di ILM. Sostituire alle ingombranti tecnologie di tracking digitale, l’uso di due fotocamere ad infrarossi, che catturano la scena da due punti di vista laterali a quello unico e centrare della camera da presa vera e propria.
In questo modo, le informazioni, registrate da due angolazioni differenti, permettono di determinare, rispetto ad un modello 3D creato ad hoc, le eventuali microvariazioni espressive degli attori, potendo quindi registrare il tutto senza bisogno di alcuna appendice digitale applicata agli attori. Ma è davvero così? Più o meno.
Nello specifico, per ottenere questo risultato, il supervisore agli effetti speciali Pablo Helman ha optato per ben 3 ARRI Alexa Mini (come cineprese), di cui due modificate in modo da registrare la profondità spaziale delle scene, grazie appunto ai raggi ad infrarosso. Ogni attore aveva quindi disegnati sul viso piccoli punti, creati con una speciale vernice visibile solo con le frequenze luminose ad infrarosso e che non possono essere registrati da una camera normale. In questo modo, quindi il tracking c’è ma non si vede!
A questa intuizione e evoluzione tecnica si unisce anche l’utilizzo di un software progettato dalla stessa ILM, Flux, capace di ringiovanire gli attori, senza cambiare la loro performance. Per farlo, il software crea una maschera attorno al viso dell’attore, permettendo di agire solo sui segni dell’invecchiamento.
Il processo con cui questo avviene, sebbene sia semplice da riassumere, è di fatto molto complesso e si basa sul Deep Learning. Il software Flux, per capire come creare la maschera e “migliorare” la pelle del viso, infatti utilizza migliaia di frame dai vari film in cui i tre protagonisti hanno precedentemente recitato.
Tali nuove tecnologie permetteranno di migliorare e semplificare ancor di più il processo di creazione degli effetti speciali per i film, rendendo tutto meno invasivo nelle riprese e meno complicate le fasi di post produzione.
Per saperne di più, potete visitare il sito della compagnia ILM all’indirizzo: https://www.ilm.com/vfx/the-irishman/