

Tonino Risuleo //
A Venezia per le calli, in barba ai calli
Il percalle è un tessuto dal nome antico: un filato in cotone di eccezionale finezza e compattezza. Ideale per confezionare camicette e sottovesti
Ci chiamano piedipiatti? Bene, allora trascorrerò questa mia giornata veneziana senza salire neanche una volta a bordo di un vaporetto, di una gondola o di un tragheto; andrò a piedi, per capire una volta per tutte, le definizioni dei vari elementi topografici nell’intrico dei sei Sestieri della città lagunare.
Qual è la differenza tra un Campo e un Campiello? Facile, l’estensione dello slargo! Ma tra una Corte e una Ruga? Il reticolo di rii e canali rende magica l’atmosfera acquarellata della mattinata nebbiosa che nasconde la parte alta dei palazzi e delle chiese… E cos’è una Salizada? Pronti! Uso gli appunti del mio amato libriccino per svelare tutti i misteri delle antiche denominazioni. Alcuni anni fa indagando su un oscuro pasticciaccio ho avuto la guida d’eccezione di un collega nato e cresciuto a pelo d’acqua alta e tutto mi è stato svelato. In Salizada, a sentirla ripetere nel ciacolìo locale, s’intuisce la possibile traduzione in selciata, cioè pavimentata. Quando le calli di Venezia erano tracciate in terra battuta, quelle selciate erano le salizade. Lista e Liston erano i tratti delle vie nei pressi delle ambasciate straniere, lastricate di pietre e pietroni.
Ma se il rio è una via d’acqua perché un Rio Tera’ riesco a percorrerlo a piedi? L’intuito può aiutare a capire che un rio tera’ è un rio in-terrato e… pedonalizzato. Per lo stesso motivo in una Piscina non si riesce a nuotare.
I camminamenti lungo i canali sono Fondamenta, e si vede dai grandi pali di quercia profondamente infissi nel fango a far da base d’appoggio per ponti e palazzi. Se una fondamenta è particolarmente larga diventa una Riva, come succede agli Schiavoni.
Procedo lesto per una Calle Lunga e rallento nella Calle Larga per sbirciare nel giardino oltre un cancello; non ci sono molti alberi da queste parti ma in corrispondenza con una Crosera m’incammino per un Ramo e mi ritrovo in una Corte. La più famosa della città è quella de’ Bottai che Hugo Pratt ha ribattezzato Corte Sconta -nascosta- detta Arcana.
Curioso che questa superba capitale non ci tenga a nascondere la sua età e mostra a tutti i viandanti rughe, rughette e calli.
Un Borgoloco è la calle speciale dove si va a cercare albergo: storicamente si chiamavano così perché vi si trovavano alloggi e locande. Ne rimangono solo due, una dedicata a San Lorenzo e l’altra allo storico Pompeo Molmenti. La via con tante botteghe e negozi in fila in fila, dove si fa commercio, è la Marzaria.
Di Piazza a Venezia ce n’è una sola dedicata a San Marco e un solo Piazzale, più laico, che è l’ultimo punto raggiungibile dai mezzi su ruote gommate, che vengano da Roma o no.
Di tanto in tanto mi tocca scavalcare un rio e ogni volta c’è da salire e poi scendere per gli scalini di ponti e ponticelli: che siano di pochi metri o maestosi scavalchi, tutti, hanno un nome. Leggo a casaccio dagli appunti tanto ognuno ha il suo fascino e la sua poesia: il Ponte Cavallo che a salirlo svela il monumento equestre di Bartolomeo Colleoni del Maestro Verrocchio, il Ponte dei Guardiani, il Ponte de le Ostreghe, il Ponte de le Pazienze, il Ponte dei Lustraferi, il ponte bambino dei Zogatoli, il Ponte de la Cortesia e quello dei Pignoli, il Ponte Tetta del nobile Giacinto e il Ponte de le Tette quello delle carampane, il Ponte de l’Anzolo e il Ponte del Diavolo, il Ponte della Fava senza quello della Rava. Di Ponte Storto ce ne son tanti.
Le friulane che calzo alla lunga non si dimostrano all’altezza della scarpinata e anche lo stomaco mi dichiara guerra; sono in Calle del Ghetto Vecchio e al 1143 mi blocco davanti alla vetrina del forno degli azzimi. Ci ripasserò domani. Per stasera meglio fare qualche passetto in più e arrivare al ristorante kosher al 1123, all’angolo delle Fondamenta de Canaregio.
Trovo immediatamente il tavolo giusto, schiena alla parete e rivolto all’ingresso. Attorno a me vedo diverse facce sorridenti col barbozzo unto: si deve mangiar bene se non c’è il tempo di ricorrere al tovagliolo! Mi affido alle gentilezze di una giovane che sceglie per me ed ecco nove barchette in ceramica bianca che mi arrivano colme di bontà colorate e aromatiche. Nella capitale d’occidente che è sempre stata la porta dell’oriente, le spezie imperano e sciolgono i misteri: Massa ‘Bacha di melazana, Sarde in saòr, Hummus della casa, Cous cous coi pesci della laguna, Latkes di patate, Parghit di pollo, Matbucha.
I piatti si affollano come isolotti e il vino bianco della casa, leggero e profumato, sospende la lettura della carta della cantina.
Poi nell’angolo più lontano, vicino alla cucina, scorgo un ceffo che ingoia tagliatelle alla bolognese… dev’essere il solito americano in cerca di emozioni!