Tonino Risuleo //
Il commissario, la postina fumatrice e il macellaio umorista
Natale. Il fornello della pipa mi bruciacchia i polpastrelli e la nuvola di fumo sotto la falda del cappello mi protegge in una tiepida tenda
Non c’è niente di meglio in una mattina fredda che sedersi da soli a un tavolino fuori dal bar sulla piazza. La superficie tonda è increspata dalla patina di brina ghiacciata e il cameriere non accenna ad allontanarsi dal tepore della macchina del caffè per affacciarsi a chiedere che cosa voglio per scaldarmi.
Ma tanto non ho voglia di niente. Ho il fornello della pipa che mi bruciacchia i polpastrelli e la nuvola di fumo sotto la falda del cappello che mi protegge in una tiepida tenda.
E poi c’è la carica del mio cervello al lavoro.
Ho appena chiuso il caso del macellaio umorista… non è stato facile, soprattutto al momento di far scattare le manette. Quel diavolaccio aveva dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio di aver avuto ragione: disprezzare il suo taglio più gustoso non era stata una buona idea e, nonostante tutta la sua carica positiva, non aveva sopportato l’affronto e la sua mannaretta aveva fatto il resto.
Quell’idiota, neanche cliente abituale, era entrato nella sua bottega facendo il gradasso -ormai tutti si sentono esperti di cucina- chiamando con dei nomi a casaccio i tagli esposti nel banco frigo. Pretendeva di avere ragione. Ma sul diaframma scambiato per copertina di spalla non ce l’aveva fatta e gli era partito l’embolo. L’insopportabile saputone era finito sul ceppo ed era ancora in sé quando il professionista del mezzo colpo gli aveva fatto dondolare davanti agli occhi il suo stesso diaframma ben ripulito dalla pellicola di connettivo.
Fino a quel giorno il buon beccaio era sempre stato l’idolo delle signore e delle servette che passavano da lui per bistecche e consigli. La sua abilità con le lame era superata solo dalla fantasia nell’inventare storielle sempre nuove, leggere come la rete dei fegatelli e gustose come le sue polpette a sorpresa. La più gettonata in questo periodo era quella dei pastori che soffocano il loro canto nella sorpresa di non scorgere il bue e l’asino in fondo alla stalla del bambinello.
“C’ero passato io… un macello!”
Il cameriere temendo il congelamento del suo miglior cliente mi ha portato un grog perfetto, lui lo prepara come il bumboo dei pirati, con rum e noce moscata.
Il cielo scuro e la nebbia hanno suggerito l’accensione dei lampioni e ora i loro aloni competono con il disco sfocato del sole che è solo un vago barlume.
Dal vicolo all’angolo della piazza sento arrivare lo scooter tossicchiante della postina. È puntuale come l’orologio della torre e sa di trovarmi al tavolino del bar dove ogni mattina mi consegna la mia scarsa corrispondenza.
La vedo nel suo giaccone impermeabile bianco e giallo, gobba dietro al parabrezza, con la solita cicca storta all’angolo della bocca: la brace arde come la luce d’emergenza di un’ambulanza.
Come ogni giorno ottengo buste e cartoline in cambio del caffè lungo macchiato e un biscotto con il candito dello stesso rosso che c’è in cima alla sua sigaretta.
Lo prende rimanendo in piedi, non ha fretta ma è sua abitudine non fermarsi più di quanto serva prima di riprendere il suo giro.
Tiro fuori l’orologio dal taschino; s’è fatta l’ora giusta per dirigermi verso la mia trattoria preferita. Non ha un nome vero e proprio e ognuno può chiamarla come vuole.
Sulla vetrina appannata il patron ha appiccicato la solita scritta con i brillantini: anche quest’anno stanno arrivando le feste.