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01.01.1970 # 5768
Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

Marco Maraviglia //

Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

La photofoodgraphy di Luciano Furia al MUSEUM con oltre 50 fotografie che raccontano la sua passione per la cucina e la bellezza dei cibi

Chi è Luciano Furia

Ingegnere elettronico, vive sei anni negli States conseguendo un dottorato sugli effetti biologici delle microonde. Ma non ha mai fatto l’ingegnere e non si è mai iscritto nemmeno all’albo pur continuando ad applicare le sue conoscenze per uso personale: i backup dei suoi file li fa su nastri magnetici garantendogli una durata maggiore rispetto ad altri supporti digitali.

Lavorava in banca ma, scontento del suo lavoro, venticinque anni fa con “furia” entra in tandem nella società della moglie che si occupa di traduzioni per la manualistica di multinazionali e localizzazioni software. Traducono manuali da quelli per pacemaker a quelli delle moto. Clienti in tutto il mondo trattati solo virtualmente, senza mai incontrarli di persona e scavalcando tutte le crisi economiche che si sono avute dall’attentato delle Twin Towers dell’11 settembre 2001 in poi: «Perché se si scassa una parte del mondo, c’è tutto il resto che continua a correre».

 

La furia di Luciano Furia

Da piccolo gli regalano 7-8 Instamatic, per rimpiazzare quelle che di volta in volta rompe maldestramente. Fin quando il padre gliregala una reflex che preserva con più attenzione iniziando ad appassionarsi alla fotografia con maggiore serietà.

Le sue prime foto che ebbero particolari riconoscimenti riguardavano i concerti che fotografava a Villa Pignatelli e quelli del maestroSalvatore Accardo. Nel 2019, in occasione dei 100 anni dell’Orchestra AlessandroScarlatti, tenne la prima mostra nella stessa Villa Pignatelli alias Casa dellaFotografia.

 

La vita fotografica di Luciano Furia ricomincia a 50 anni

Quando gli astronauti dell’Apollo 11 andarono sulla luna nel’69 ci fu un certo fragore nel pubblico per il fatto che avevano tutti quasi 40anni. All’epoca si era considerati vecchi a quell’età ma fu l’occasione per far emergere tutta la classe dei quarantenni pimpanti. Ma oggi ance a 60 anni si può decidere di reinventarsi…

A 50 anni Luciano Furia riceve in regalo la sua prima reflex digitale e riprende a fotografare con più interesse. Era il 2009 ed inizia a imparare da autodidatta fin quando segue con la Adobe un corso che gli rilascia il Certificate Aperture. Poi passerà al Capture One tenendo a precisare che non utilizza il Photoshop perché le sue immagini subiscono solo interventi di post-produzione analoghi a quelli che potevano farsi in una camera oscura.

 

Nel 2010, avendo un grande interesse per la gastronomia, si iscrive a un corso di cucina. Porta la sua reflex sempre con sé e fotografa per diletto ciò che viene preparato durante le lezioni. Le sue foto iniziano a essere notate da alcuni chef che gli chiedono di lavorare per lui.

Ma Luciano Furia non intende rubare il lavoro dei fotografi professionisti facendo l’abusivo e allora si impegna ancora di più: frequenta un corso di fotografia commerciale alla ILAS tenuto da Fabio Gordo approfondendola tecnica dello still life e finalmente apre la P.IVA. È finalmente fotografo professionista!

 

Le collaborazioni con gli chef

Realizza un libro per lo chef Ciro Salatiello; viene contattato da un’agenzia di Milano per realizzare le guide Voiello L’Oro diNapoli; accompagna Franco Pepe a New York, Los Angeles e Hong Kong per presentare la pizza all’ananas in compagnia di Oscar Farinetti e Massimo Bottura.

 

Le pizze mi hanno consentito di girare il mondo

 

E la seguente è la bibliografia con le sue immagini da food photographer:

 

  • ·      2015: Gli ingredienti di una vita: di CiroSalatiello, Polidoro editore
  • ·      2016: Storia di Fabbricanti di Maccheroni:Storia e ricettario del Pastificio Gentile, Polidoro editore
  • ·      2017: Cucina Creativa Mediterranea. Librofotografico di ricette dello chef stellato Vincenzo Guarino, Polidoro editore
  • ·      2018: Pizza fritta: di Enzo Coccia: GuidoTommasi editore
  • ·      2016 e 2017: Guida l’Oro di Napoli per Voiellocon le ricette, rispettivamente, di 40 e 50 chef campani
  • ·      2018: Pizza di Gino Sorbillo, Dissapore Editore
  • ·      2019: Mostra fotografica su le “Settimana diMusica d’insieme” parte dell'esposizione “Napoli: Musica ininterrotta” a Villa Pignatelli, curata da SCABEC e Associazione Scarlatti

 

Le foto sessuate di Luciano Furia

Non è un food stylist, non allestisce lui i piatti da riprendere ma, quando glieli poggiano sul set, dedica tutta l’attenzione alla tecnica fotografica decidendo punti di vista, inquadrature, la luce più giusta per lui per esaltarne l’appetibilità.

Ma l’aspetto creativo c’è e i cibi con i loro colori e forme, ritengo che abbiano un tono succulento e sessuato nelle immagini diLuciano Furia. Perché sono uno di quelli che pensa “dimmi come mangi e ti dirò come sei in amore”.

Chi è di buona forchetta ha evidentemente la predisposizione a percepire e quindi evidenziare i dettagli di una salsa che scorre, quelli delle righe di una conchiglia di pasta, della plasticità di un impasto come se fosse un velo scultoreo, le trasparenze glamour di una semplice foglia di basilico odi una fetta di limone, o entrare dentro quelle caverne di pizze fritte dove assaporare con gli occhi l’imbottitura degli ingredienti.

Luciano Furia tende a spogliare voluttuosamente i piatti che fotografa: una lasagna nel ruoto la vede triste come una donna vestita in modo castigato e per lui va tolta da un ruoto e adagiata su un piano per gustarne voyeuristicamente il suo aspetto nascosto.

 

Non ho una filosofia interpretativa delle mie foto: il giudizio discriminante è uno solo “Fa venire fame? OK, la foto è buona!”.



Food e Passione, di Luciano Furia

Rassegnafotografica Un altro sguardo a cura di Mario Laporta

Dal 15 al 27 luglio(mercoledì chiuso)

MUSEUM

Largo Corpo diNapoli, 3

Per ulteriori informazioni

Mario Laporta347 8322262

FedericaPalmer 347 3381625

01.01.1970 # 6086
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Chernobyl Herbarium di Anaïs Tondeur in mostra alla Spot Home Gallery

L’alchimia delle connessioni tra sapere scientifico, filosofia, antropologia e arte per un contatto tra passato e futuro di una identità umana smarrita





Un laboratorio di Bruxelles. Protocolli di massima sicurezza. Anaïs Tondeur indossa una tuta a prova di radiazioni nucleari. Probabilmente sente solo il suo respiro mentre si dirige verso una delle darkroom più insolite del pianeta ubicata in quel laboratorio del Nord Europa. Completamente a tenuta stagna e non solo dalla luce. Qui non si stampano semplici fotografie destinate al mondo dell’informazione. 

Anaïs ha tra le mani inguantate un “oggetto prezioso”. Blindato in un contenitore al piombo.

In quella darkroom non c’è luce rossa perché non si stampa in bianconero. Si lavora al buio se non il tempo di quella manciata di attimi durante i quali i fotoni impressioneranno un foglio di carta fotografica a colori.


Anaïs Tondeur apre quel contenitore di piombo. Dentro c’è una di quelle piantine che dal 2011 le dona il biogenetista Martin Hajduch col quale ha intrapreso uno dei suoi progetti artistici: Chernobyl Herbarium.

Piante ormai secche, forse geneticamente mutate. Forse non del tutto morte. O forse morte ma ancora rivelatrici di qualcosa. Piantine prelevate dalla Zona di Esclusione di Chernobyl. Vegetazione cresciuta in una terra maledetta con la rabbia e l’energia di chi vuole vivere. Anche solo sopravvivere. Perché la Natura è più forte. Più del bene e del male della mente umana. Quella che cortocircuita il sistema-Natura, per intenderci.


Il 26 aprile 1986 un incidente a un reattore della centrale nucleare di Chernobyl provocò il più grande disastro ambientale che una centrale nucleare avesse mai potuto provocare.

C’è ampia letteratura su quell’episodio. E se ne continua a scrivere. E si continuano a studiare i suoi effetti. Anche in maniera creativa e interdisciplinare come il progetto di Tondeur.


Mentre fuori c’è tutto un mondo che si rincorre, Anaïs Tondeur in quella camera oscura super blindatissima, poggia il delicato relitto vegetale su un foglio di carta emulsionata a colori e vi lascia passare un breve e intenso fascio di luce.

Sviluppa il foglio nei chimici. Ottiene un rayogramma. Ogni volta il risultato è diverso. 

L’incontro chimico-fisico di quel processo è imprevedibile. Luce, emulsione del foglio, liquido rivelatore e residui di radiazioni interagiscono restituendo esplosioni grafiche che raccontano l’invisibile. Come sacre Sindone di una parte di natura del mondo che sta ancora attraversando il suo calvario.


Chernobyl Herbarium è un progetto in itinere, un erbario rayografico con il quale cerco di svelare, tramite la materia stessa delle fotografie, le stigmate dell‘esplosione nucleare sui corpi delle piante di Chernobyl.

- Anaïs Tondeur


Molti dei progetti di Anaïs Tondeur nascono dalla sua capacità di percepire certi accadimenti intorno a lei con un’attenzione particolarmente sensibile. Amplifica e rimescola il reale con l’immaginario, intreccia scienza, filosofia, arte, poesia usando la fotografia come supporto che ricongiunga attività multidisciplinari. Mostrando punti di vista alternativi. Magari utili agli stessi studi scientifici delle persone che via via avvicina per percorrere le sue narrazioni visive.

E così intraprende con il filosofo ambientalista Michael Marder, contaminato dall‘esplosione del reattore nel 1986, il progetto Chernobyl Herbarium.

Nel 2021, in occasione del 35° anniversario dall’esplosione, viene pubblicato il libro Chernobyl Herbarium, La vita dopo il disastro nucleare. L’edizione comprende trentacinque “pièce” comprensive di testi e rayogrammi composti da Michael Marder e Anaïs Tondeur. Ho scritto “pièce” perché meriterebbero di essere recitati in teatro, magari da un Marco Paolini, con proiezione delle immagini sullo sfondo.


…Grazie alla sua pratica estetica, Tondeur fa detonare e dunque rilascia le esplosioni di luce intrappolate nelle piante, le cui linee disperse attraversano i fotogrammi in ogni direzione. Libera tracce luminescenti senza violenza, schivando la reiterazione del primo evento invisibile di Chernobyl e, allo stesso tempo, catturandone frammenti. Liberazione e preservazione; preservazione, memoria, e liberazione: per grazia dell’arte. 

- Michael Marder

 


Cenni biografici (dal comunicato stampa)


Nata nel 1985, Anaïs Tondeur vive e lavora a Parigi. 

Laureata alla Central Saint Martins (2008) e poi al Royal College of Arts (2010) di Londra, ha ricevuto il Prix Art of Change 21 (2021) e la menzione d‘onore Ars Electronica CyberArts (2019).

Il suo approccio artistico è profondamente radicato nel pensiero ecologico e si inserisce in una pratica interdisciplinare attraverso la quale Tondeur esplora nuovi modi di raccontare il mondo, che permettano di trasformare la nostra relazione con gli altri esseri viventi e con i grandi cicli della terra. Incrociando scienze naturali, antropologia, creazione di miti e nuovi media, costruisce una sorta di laboratorio di attenzione e percezione che, attraverso l‘indagine e la finzione, si traduce in percorsi, installazioni, fotografie, esperienze sensoriali o processi alchemici. 


I suoi progetti di ricerca l’hanno portata in spedizioni attraverso l‘Oceano Atlantico, sui confini tra le placche tettoniche, nella zona di esclusione di Chernobyl, sotto la superficie di Parigi, attraverso suoli urbani inquinati o sotto il flusso atmosferico di particelle antropiche. Quando i territori delle sue indagini sono inaccessibili, crea veicoli immaginari che si muovono per lei. È così che ha mandato un sogno nello spazio a bordo di Osiris Rex, una navicella della NASA.


Ha risieduto come Artista in Ricerca e Creazione presso l‘ex deposito di semi della Famiglia Vilmorin (Verrières-le-Buisson, 2020-21), presso Chantiers Partagés a cura di José-Manuel Goncalves, presso 104 (2018-19), Artlink (Irlanda, 2019), al Musée des Arts et Métiers (2018-17), al CNES (2016), al Laboratoire de la Culture Durable avviato dal COAL al Domaine de Chamarande (2015-16), al Muséum National d‘Histoire Naturelle, all‘Institut Pierre et Marie Curie (COP 21, 2015) e a La Chaire Arts & Sciences (École Polytechnique, 2013-15). 


Le sue opere sono state esposte presso istituzioni internazionali come il Kröller-Müller Museum (Paesi Bassi), il Center Pompidou (Parigi), La Gaîté Lyrique (Parigi), il MEP (Parigi), il Frac Provence-Alpes-Côte d‘Azur, le Serpentines Galleries (Londra), il Bozar (Bruxelles), la Biennale di Venezia – Padiglione Francia, (Lieux Infinis), lo Houston Center of Photography (Stati Uniti) e il Nam June Paik Art Center (Seoul).






Esplosioni di luce

Chernobyl Herbarium

Anaïs Tondeur 

Dal 16 giugno al 14 ottobre 2022 

Spot home gallery

Via Toledo, 66 – Napoli


+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

www.spothomegallery.com


Ufficio stampa

Costanza Pellegrini 

costanzapellegrini2@gmail.com




01.01.1970 # 5918
Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

Marco Maraviglia //

Il Carnevale di Atella a Sant’Arpino, di Salvatore Di Vilio

Quando la fotografia può far rinascere un evento. Un libro di successo per gli amanti del Carnevale

Chi è Salvatore Di Vilio

Classe 1957. Nato a Succivo. Diploma liceo artistico studi in architettura.

Lo zio lo appassiona alla fotografia e inizia a realizzare i primi book fotografici e alcuni amici azzardarono a chiedergli di immortalare il loro matrimonio. Da lì il tam tam con gli amici degli amici, poi gli amici degli amici degli amici ecc. ecc. e si ritrova ad essere professionista aprendosi in poco tempo la P. IVA.

Nel frattempo fa ricerca fotografica di carattere antropologico, riprendendo feste popolari e riti tradizionali della Campania.

Salvatore Di Vilio ha sempre dato un’impronta stilistica molto personale caratterizzando i suoi lavori cerimoniali al punto da avere diversi riconoscimenti nazionali.

Durante una chiacchierata che feci con lui qualche anno fa mi fece notare quanto sia complicato, per chi non vive e lavora in una grande città, riuscire a stare dietro a certi canali che ti consentono di rendere adeguatamente visibili i tuoi meriti professionali.

Nonostante ciò, Salvatore Di Vilio ha lavorato, oltre che nel cerimoniale, anche nel campo pubblicitario negli anni novanta nel settore vitivinicolo e altre aziende. Ha firmato copertine per Eduardo De Crescenzo, Sal Da Vinci, Franco Del Prete e ha avuto una collaborazione assidua con la casa iscografica Ricordi. Ha all’attivo diverse mostre fotografiche e, tra queste, una delle più importanti a Orvieto nel 2007 con Prima del Ballo dedicata ai ragazzi di periferia che si recavano in discoteca.

Pubblicazioni a gogo e hanno scritto di lui, tra gli altri, Franco Arminio, Giulio Baffi, Pino Bertelli, Michele Buonuomo, Federica Cerami, Raffaele Cutillo, Antonio D’Agostino, Giuseppe Montesano, Gerardo Pedicini, Mario Schiavone, Maurizio Vitiello, Vincenzo Trione, Davide Vargas.


Il Carnevale. Una storia di allegria e libertà popolare

Il Carnevale ha un suo fascino che prende emotivamente adulti e bambini. In tutta Italia si svolgono eventi sotto forma di processioni, rappresentazioni teatrali, sfilate di maschere e carri allegorici, canti, balli. È una recita grottesca della vita in cui convivono sacro e profano. Satira e travestitismo. Vita e morte.

A Carnevale ogni scherzo vale. Tutto è consentito. Le parodie non hanno censure. È l’ultimo giorno prima della Quaresima in cui è consentito mangiare “grasso”.


Trionfo e morte di Carnevale – un Carnevale Atellano, Sant’Arpino 1982-1999

C’è questo libro di Salvatore Di Vilio che documenta fotograficamente il Carnevale di Atella a Sant’Arpino (CE). Le fotografie non invecchiano, per certi aspetti. Anzi, maturano nell’archivio come del buon vino nelle botti e dal loro invecchiamento possono nascere progetti editoriali che possono creare piccoli, grandi miracoli.

Infatti, nonostante il servizio fotografico fosse stato realizzato alla fine del XX secolo, solo nel 2009 prese luce questo documento che servì a incuriosire i giovani del territorio che non avevano mai vissuto questa loro antica tradizione.

E dalla curiosità stimolata dal libro alla rinascita di nuove edizioni di quel Carnevale, il passo fu breve.

Salvatore Di Vilio ricorda che si iniziava fin da novembre nella preparazione del Carnevale Atellano e collaborava lui stesso alla nascita:


Il Carnevale di Atella era ed è una mia identità culturale. Facevo parte dell’organizzazione, era un’esperienza che iniziava a novembre, facevo le prove per la rappresentazione della canzone di Zeza, mettevamo su dei laboratori musicali e di cartapesta per realizzare le maschere. Esperienze indimenticabili per quegli anni.  


Le immagini furono scattate su pellicola 35 mm ad alta sensibilità e poi tirate nella fase di sviluppo.

Scene che ricordano i mondi onirici e paradossali di Fellini, le follie surreali di Hieronymus Bosch, le folle contadine animate dalla fantasia nei dipinti di Bruegel. Un Carnevale locale ma non privo di dettagli nella sua rappresentazione. Ritratti in maschera e non, costumi, teatro, processioni, danze, canti, urla, suoni e rumori, e tutto si ascolta in queste fotografie. Magia delle sinestesie visive. Come se lo si vivesse stando tra il pubblico. Con taluni inevitabili mossi e sgranature che rendono più veraci e d’azione le stesse scene immortalate.

La bellissima presentazione del libro è del romanziere e critico letterario Giuseppe Montesano che addentra il lettore nel contesto storico-antropologico dell’evento.





Trionfo e morte di Carnevale – un Carnevale Atellano, Sant’Arpino 1982-1999

di Salvatore Di Vilio

Prefazione di Giuseppe Montesano

Formato: 24x28 brossura con sovracoperta

96 pagg.

92 fotografie

Prezzo: 25€

Contatti: info@salvatoredivilio.it - cell. 348 3958347


01.01.1970 # 5860
Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

Marco Maraviglia //

Luciano D'inverno, Napoli Nord Est in mostra all’Art Garage di Pozzuoli

Ospite a FOTOARTinGARAGE, un viaggio nella memoria della periferia orientale del capoluogo campano

Chi è Luciano D’Inverno

 

Classe '67, nato ad Acerra (NA), vive e lavora a Napoli. La sua passione per la fotografia nasce negli anni ’80 e oggi è fotografo professionista.

Segue una ricerca fotografica personale che indaga la fenomenologia dello spazio contemporaneo e parallelamente si occupa di fotografia pubblicitaria per il settore gioielleria pubblicando i suoi lavori sulle maggiori riviste del settore.

Ha pubblicato inoltre per l’editore Intra Moenia “Vesevo” (2003) e “Campi Flegrei – Qui i piedi non si posano per terra” (2007); ha al suo attivo diverse mostre collettive e personali tra le quali “Quattro Tempi” che nel 2019 è stata esposta alla Reggia di Caserta.

Agli inizi lavorava con pellicole medio formato e oggi prevalentemente usa banco ottico Cambo con dorso digitale Hasselblad 907.

Adora il silenzio e la solitudine mentre lavora, come quella che viveva nella camera oscura e per questo i suoi soggetti preferiti sono quelli inanimati ai quali cerca di dare vita attraverso la sua ricerca in studio con lo still life o in esterni riprendendo opere edilizie in rapporto con il paesaggio.

 

 

Napoli Nord Est

 

Luciano D’Inverno espone all’Art Garage immagini realizzate ad Acerra, Caivano, Afragola, Ponticelli… che non sono zone che rientrano tra i grandi circuiti turistici. Assolutamente no. Eppure occupavano quei territori ricchi di storia della Campania Felix dove, durante il predominio spagnolo, fu costruita la complessa rete di canali dei Regi Lagni. Una bonifica che evitò i frequenti allagamenti e che portò ad avere terreni fertilissimi.

 

Qui una volta, ma non tanto tempo fa, ci si poteva bagnare nei fiumi. Era un territorio fertilissimo.

Oggi è quel che resta della Campania Felix, trasformato com’è in un’area industriale che, di fatto, ha seppellito la naturale visione di paesaggio lasciandoci nel magnifico ricordo di fantasmi di altri tempi.

 

Luciano ha una certa confidenza con questi luoghi che frequentava durante la sua infanzia. Ha avuto modo di vedere con i propri occhi le trasformazioni subite nel tempo. Con tanta tristezza dentro di sé, torna a visitarli. Li osserva come farebbe un figlio che vede invecchiare un genitore. Con la consapevolezza di non poter fermare quel processo umano fatto di grandi progetti industriali e di viabilità, sbancamenti, edificazione, cementificazione che seppellisce ciò che un tempo è stato un decoroso paesaggio naturale.

 

La mia ricerca sulla fotografia di paesaggio, volge una particolare attenzione alla morfologia dei luoghi nel tempo, di conseguenza mi affascina come tale trasformazione ne condizioni la visione.

 

 

Una strana empatia con i cantieri disabitati

 

Luciano D’Inverno prima di scattare le sue foto, va sul posto. Sopralluoghi durante i quali è come se stabilisse un dialogo col paesaggio in continua trasformazione. Giganti di cemento, come dormienti dinosauri la cui presenza incute paura e allo stesso tempo fascino. Strutture che violentano lo skyline del paesaggio diventando esse stesse un’angosciante e invadente attrazione visiva. Quel dialogo in cui Luciano cerca di comprendere, in quel silenzio da cui è attratto, una narrazione che possa portarlo verso ciò che sancisce quel conflittuale rapporto uomo/opera/paesaggio.

 

La loro teatralità - le opere edificate, ndr -, la loro energia, talvolta mi mettono paura e mi creano una condizione di tensione, molto spesso si crea una certa complicità nel senso che forse loro non sarebbero voluti esistere ed io nemmeno li avrei voluto fotografare ma poi ci troviamo l’uno di fronte all’altro e allora si crea una certa armonia.

 

Il paesaggio cambia. Naturalmente, nei tempi lunghi e, per opera dell’uomo, più rapidamente. A volte con le cosiddette cattedrali nel deserto, blocchi di cemento armato che restano inutilizzati o abbandonati per decenni.

La luce che colpisce i paesaggi immortalati da Luciano D’Inverno non ha vie di mezzo. Da un lato l’high-key di ghirriana memoria e da un altro si impongono atmosfere cupe, crepuscolari, intense, che paiono scenografie a cielo aperto di ambientazioni urbane inquietantemente distopiche. 

 

 

 

 

 

NAPOLI NORD EST di Luciano D’Inverno

Rassegna FOTOARTinGARAGE coordinata da Gianni Biccari

Art Garage, Viale Bognar 21 Pozzuoli
Dal 18 dicembre 2021 fino al 7 gennaio 2022
Lun-ven 10.00-13.00 16.30-22.00
Sab 10.00-13.00 16.30-20.00
Domenica Chiuso

INGRESSO LIBERO
Green Pass OBBLIGATORIO

01.01.1970 # 5797
Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

Marco Maraviglia //

Vittime di Dio in mostra al PAN con la rassegna Ceci N’est Pas Un Blasphème

Un intenso progetto di Antonio Mocciola e Carlo Porrini: circa 40 scatti fotografici, attraverso un viaggio che assegna volti viventi a donne e uomini uccisi con la scusa della fede nel corso della storia

Bruciati vivi, impiccati, gassati, strangolati, decapitati, giustiziati dietro processi sommari, a volte prima torturati. Sono state le “pecore nere” dell’umanità dei tempi. Quelli che hanno detto “no” a una Fede unilaterale. No alle regole indiscutibili impartite dall’alto. No al pensiero indottrinato. No all’impossibilità di teorizzare oltre il già sancito. Pur sapendo di mettere a rischio la propria incolumità. Pur sapendo di dover trascorrere il resto degli anni della propria vita in fughe o peregrinaggi posticipandosi la condanna a morte.

Coraggio o incoscienza?

“Semplicemente” persone libere dentro che andavano contro il sistema sociale, religioso e politico in cui vivevano. Per dignità. Per coscienza. Per rispetto di se stessi, per onestà intellettuale e cercando forse di dare forza e voce a chi non ne aveva. Mine vaganti. Paladini di un pensiero emergente. Affinché lo stato delle cose non restasse palude e ignoranza collettiva. Martiri ma non sempre santificati. Individui che non erano cittadini del proprio tempo.

Eretici, ribelli, farneticanti, rivoluzionari del pensiero e delle idee che andavano oltre il consentito dalle caste. Oltre i dogmi. Oltre quanto deciso dai poteri religiosi. E si marchiavano per sempre. Ricercati perché condannati. Spesso senza nemmeno un processo pilotato, così, giusto per salvare almeno la faccia del Potere.

Il peccato era ragionare diversamente da ciò che era scritto e ormai consolidato nel corso dei secoli. Era blasfemia. Eresia. Punibile.

 

Antonio Mocciola e Carlo Porrini hanno voluto omaggiare con il progetto espositivo Vittime di Dio (nudi eretici) alcuni di questi personaggi rappresentativi dell’attivismo del pensiero diverso, in occasione della rassegna Ceci N’est PasUn Blasphème. Questa non è una bestemmia.

Contro la censura di un certo modo di pensare, dire, essere in modalità borderline. In controtendenza col pensiero unico delle epoche del passato.

È una rassegna contro le censure? E allora è l’occasione per sbattere corpi nudi in prima pagina…pardon, sulle pareti. Seni, fondoschiena, genitali maschili e femminili sono il pretesto per attirare l’attenzione del pubblico e far scorgere su ogni corpo i nomi delle Vittime di Dio. Nomi scritti a mano con inchiostro ad acqua per maquillage o stampati a timbro con caratteri tipografici in legno della Tipografia Museo di Carmine Cervone.

Giordano Bruno, Giovanna D’Arco, Ambrogio Cavalli, Beatriz Kimpa Vita, Cayetano Ripoli… Vittime dell’Inquisizione, del vecchio Clero, a volte con la colpa di non essere stati eterosessuali o comunque non convenzionali e quindi “fuorilegge”.

 

A loro dedichiamo questa mostra fotografica, alle Vittime di Dio. Del quale noi neghiamo l'esistenza, o quantomeno ne sospendiamo la possibilità, e dunque ci si legga con ironia. Dio non uccide perché non esiste, e se esiste uccide e allora siamo tutti vittime.

Le Vittime di Dio che qui immortaliamo sono quegli esseri umani che, in nome di un Dio altrui, sono stati uccisi da altri esseri umani.

E li presentiamo in natura, in carne e ossa, come agnelli sacrificali. Sul loro corpo indifeso il graffio di un nome, il loro. Giovanna D’Arco o Pierre de Bruys, Anna Weiler o Giordano Bruno, ma anche illustri sconosciuti. C'è stato, democraticamente, un rogo per chiunque.

- Antonio Mocciola e Carlo Porrini

 

Fotografie in bianconero dai forti chiaroscuri, luci ed espressioni di persone ritratte che evocano scene e percezioni caravaggesche. Individui drammaticamente soli. In un limbo. Come nudi su una lastra di ghiaccio sospesa nel vuoto. Urla munchiane e maschere da tragedia greca nel silenzio dell’ignoranza. Corpi in tensione, aggrovigliati su se stessi, nudi e crudi ma dove il focus, il punctum, il centro emozionale di tali immagini non sono capezzoli e falli ma quei nomi scritti sulle carni reincarnate, non sempre facilmente leggibili e quindi da scoprire con l’attenta osservazione. Perché a volte sfuggenti nell’ombra. O perché forse ancora tendiamo a dimenticare quei protagonisti della libertà del pensiero, continuando a nasconderli sotto a un tappeto intriso di sangue.

 

Modelle e modelli si sono prestati ammirevolmente con entusiasmo a questo progetto abbracciando la causa. Senza pudore. Forse emuli di quel pensiero divergente che è, in fondo, ciò che dissuaderebbe repressioni e censure per l’evoluzione delle civiltà.

Modelle e modelli che non sono mai stati tali. Qualcuno sì, attore, attrice, ma tutte e tutti che hanno seguito le indicazioni registiche degli autori delle immagini: Antonio Mocciola, Carlo Porrini, Gian Paolo Bocchetti e FedericaPone.

 

Vittime di Dio, è un progetto contro l’omertà. È qualcosa che sembra cavalcare l’onda del contemporaneo se guardiamo altri ambiti perché ancora oggi, pur non essendoci roghi, fucilazioni, ghigliottine, esistono altri mezzi per uccidere moralmente e mettere a tacere chi tende ad esprimere pensieri diversi: macchina del fango, denigrazioni, diffamazioni, fakenews, ricatti, corruzioni. Perché c’è sempre bisogno di yesmen e non di obiettori eretici. Ma, come disseGiovanni Falcone:

 

Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.

 

 

 

 

"LE VITTIME DI DIO" nudi eretici

di Antonio Mocciola e Carlo Porrini

Con contributi di Gian Paolo Bocchetti ed Emanuela Pone

In occasione del festival internazionale delle Arti Censurate "Ceci n'est pas un blasphème" diretto da Emanuela Marmo

PAN – Palazzo delle Arti di Napoli

Via dei Mille, 60 - Napoli

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