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26.11.2021 # 5843
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Un viaggio di amicizia durato sette anni in cui il mondo di dentro e quello fuori si interconnettono scambiandosi punti di vista

Chi è Fabio Moscatelli

Classe 1974. Nato a Roma dove si è diplomato presso la Scuola Romana di Fotografia. Approda alla fotografia grazie all’entusiasmo e la passione trasmessogli da una ragazza che è poi diventata sua moglie. Attraversa la “fase dei rullini”, quella della fotografia analogica, per poi giungere al digitale. I suoi progetti fotografici sono quasi tutti a lungo termine. Approfondisce il lato emozionale nei suoi lavori in cui si evince un tempo dilatato e intimo nelle immagini stesse e con linguaggi visivi articolati, senza canoni e stili specifici.

Ha realizzato dei libri a tirature limitate.

Attualmente è impegnato con un racconto sulle attività agricole nelle zone terremotate del Centro Italia.

 

Gioele e l’autismo

Gioele vive un quotidiano straordinario, una normalità atipica. Ma chi ha stabilito cosa sia realmente la normalità? Gioele per certi versi è molto più normale, rispetto al senso che noi attribuiamo a questo termine. Non ha filtri, niente sovrastrutture condizionanti, non è falso e non conosce ipocrisia. È un essere puro.

I bambini ci stupiscono per la loro spontaneità, per il loro spirito di osservazione che molti adulti hanno perso nel tempo.

Quali sono i passaggi dalla fanciullezza all’adolescenza alla fase adulta? Regole, dogmi sociali, ruoli, step di crescita standard che fanno di ogni individuo una pedina confusa tra tante, consapevole di diritti e rispettosa di doveri. Chi si ribella, chi va in controtendenza, chi ha una mente borderline, secondo la società convenzionale è un folle . E non a caso vi sono persone che col loro pensiero trasversale divengono artisti, geni o eretici del mondo sociale fatto a scacchi. Quel mondo a gabbie inscatolate tra loro, interconnesse, come una figura impossibile, che lascia pochi spiragli a un pensiero diverso fatto anche di intuizioni, casualità e “concentrazione laterale” che non raramente portano a innovazioni.

Non si possono non citare persone che stavano in parte nello spettro dell’autismo come Michelangelo Buonarroti, Andy Warhol, Mozart, George Orwell, Stephen Wiltshire (vivente, quello che memorizza vasti paesaggi urbani da un elicottero e li riproduce disegnandoli) e altri ancora con caratteristiche mnemoniche spettacolari e che fanno comprendere quanto la programmazione del nostro cervello sia imprevedibile o spesso limitata e probabilmente condizionata da input culturali o altri ancora forse non del tutto noti.

 

La complicità di un’amicizia lunga sette anni

Parole o frasi ripetute, mancanza di attenzione, opporsi a richieste, sottrarsi allo sguardo, sembrano anaffettivi, incapaci di condividere emozioni, difficilmente si relazionano con i “normodotati”, camminano a vuoto come se stessero pensando un mondo a noi ignoto. Tutto ciò rende affascinante il riuscire ad entrare in contatto con loro attraverso una conquista reciproca. Come Tom Cruise che scopre poco a poco le qualità del fratello Dustin Hoffman in Rain man. Si tratta probabilmente di riuscire ad afferrare il senso della loro concentrazione laterale, quella che sembra senza senso ma invece rivelatrice di punti di vista diversi, lontani dalle nostre occlusioni mentali. La conquista avviene per complicità, per intesa, per credibilità. Mai per insistenza gratuita. Ma spogliandosi dai pregiudizi e planare su un’onda che può portare in luoghi dell’anima inesplorati.

 

La difficoltà di costruire un rapporto all'inizio non è stata dettata dalla condizione di Gioele, ma dalla differenza di età; non è semplice per molti bambini rapportarsi con un adulto.

 

Fabio Moscatelli incontra in un parco giochi Gioele quando aveva 10 anni. Oggi ne ha appena compiuti 18.

Da subito Fabio volle entrare in contatto col mondo di Gioele. Andava a trovarlo a casa, dopo aver conosciuto i genitori che lo accolsero, ma Gioele restava chiuso nella sua stanza. Syria, la figlia di Fabio, fu la pietra miliare per l’avvicinamento. Il punto di svolta di quel rapporto tra Fabio e Gioele che tutt’oggi dura.

E iniziò la collaborazione.

 

Un progetto lungo 7 anni…

Le modalità operative sono state molto spontanee. Senza un vero e proprio programma definito. Un canovaccio in cui le situazioni fotografate sono frutto del tempo trascorso insieme. Situazioni che si venivano a creare in maniera naturale. Come attori che improvvisano ogni volta su set diversi, conoscendo ognuno la propria parte e talvolta scambiandosi i ruoli.

 

Ho imparato tantissimo da questo percorso, sono migliorato come uomo, come padre; Gioele mi ha ricordato il valore delle cose semplici, la bellezza del nostro quotidiano e dei gesti semplici. Anche andare a mangiare una pizza ora è una festa, una gioia da condividere.

 

In questo lavoro di scambio Gioele impara ad usare la fotocamera regolando in manuale l’esposizione e inquadrando ciò che più lo cattura dall’esterno: per lo più dettagli, quelli che normalmente ci passano inosservati o che sembrano non meritare la nostra attenzione. È il mondo che Gioele ci restituisce, con poesia, dolcezza e un’ironia che quasi sembra voler dirci «ehi voi, ma che cose strane che fate!».

Le immagini di Fabio Moscatelli narrano alcuni momenti di questo intimo e amichevole sodalizio. Con altrettanta poesia e rispetto. Con la discrezione di un angelo invisibile che osserva e ascolta con attenzione la sua anima da guidare e amare.

 

La mostra, dove saranno esposti anche alcuni disegni di Gioele, purtroppo dura solo tre giorni ma alcune immagini resteranno nello spazio ospitante per molto tempo e Fabio e Gioele sono felicissimi di poter lasciare una traccia del loro passaggio.

Per Natale sarà pubblicato il libro Gioele – Il Mondo Fuori, curato da Der Lab, lo studio di Irene Alison, con una tiratura di 500 copie. Con testi di Irene Alison e del critico Simone Azzoni.

 

In un pomeriggio ancora caldo di fine agosto, nel parco giochi semideserto, ti ho visto. Gioele, un bambino come tanti, magari un po’ cresciuto per lo scivolo e l’altalena, un sorriso furbetto in faccia. Da quel giorno ha avuto inizio la nostra amicizia e il mio dialogo  con l’autismo, quella strana presenza che ti abita. Da quel giorno sei cresciuto, ti sei aperto a me e alla mia famiglia, sei diventato un prezioso compagno di giochi per mia figlia Syria ma, soprattutto, sei diventato ispirazione e co-autore  di questo progetto.

 

 

Gioele – Mostra fotografica

La mostra Gioele fa parte di DEDALI, il programma delle Industrie Fluviali realizzato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

 

Dettagli

 

Inizio:

1 Dicembre | 18:00

Fine:

3 Dicembre | 23:00

 

Organizzatore

 

Industrie Fluviali

Via del Porto Fluviale 35 - Roma

Telefono: 06 56557732

Email: info@industriefluviali.it

06.12.2021 # 5849
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Claudia Rocchini, la ritrattista degli animali, espone nella rassegna Animal Emotion

Nella suggestiva location di Mondofo, la mostra che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte

Chi è Claudia Rocchini

È giornalista e fotografa professionista con esperienze allargate anche nel campo del marketing e comunicazione intraprese con grandi enti.

Per otto anni ha lavorato con Editrice Reflex: facendo interviste, gestendo rubriche e come Social Media Manager.

Docente di fotografia per grandi aziende e da oltre dieci anni tiene corsi di fotografia naturalistica in Parchi faunistici dedicati alla protezione e al recupero di specie a rischio di estinzione.

Nel 2014 pubblica per Rizzoli "I segreti dell'Oasi", (200 fotografie, 240 pagine) con prefazione di Ermanno Olmi.

Gli scatti realizzati a Vito, gatto con protesi alle zampe posteriori, sono stati ripresi dalla stampa di tutto il mondo, diventando nel 2020 la copertina del libro "Vito il gatto bionico" - Il Battello a Vapore, Mondadori Libri.

Specializzata in avifauna in volo e in ritrattistica, felina e non.

 

Non sono giocattoli

«Non sono giocattoli!» è il monito che alcuni genitori illuminati fanno ai propri figli quando desiderano un cane o un gatto o notano che ci giocano in maniera non appropriata.

Non sono giocattoli ma fanno parte della famiglia che li adotta. A volte sembra che siano loro il fulcro, l’anima della casa. Ci osservano, si avvicinano in cerca di una carezza o un grattino, emettono a volte guaiti spaventandoci, accorriamo da loro trovandoli accanto al loro cencio preferito perché vogliono condividere un po’ di gioco insieme. Hanno un’aurea che gli umani più affezionati percepiscono; mentre camminano è come se lasciassero una scia di polvere magica e invisibile che diffonde amore, benessere. Se stiamo male o semplicemente preoccupati, depressi, infelici, diventano la nostra ombra o si accucciano sulle gambe. Perché ascoltano le energie.

Non sono giocattoli. E, quando entrano nelle nostre case, divengono un patrimonio affettivo di cui non si può più rinunciare.

 

Da bimbi ci insegnano a riconoscere gli animali, i loro versi, ci raccontano favole con animali protagonisti, i cartoni animati stessi ci accompagnano nell’infanzia. E poi a scuola, parte della didattica è basata sull’insegnamento della vita animale. É del tutto naturale l’amore per loro: cresce insieme a noi.

- C. R.

 

La presenza degli animali nella storia è tracciata da testimonianze fotografiche e opere d’arte. Matisse immortalato nello studio con le sue colombe bianche da H. C. Bresson. Patty Smith ritratta da Robert Mapplethorpe col suo “tuxedo cat” (gatto in smoking, così li chiamano in Inghilterra i gatti con i “calzini” bianchi). E poi ancora Hermann Hesse, Dalì, Freddie Mercury, Karl Lagerfeld, Picasso, Klimt, Andy Warhol e tantissimi altri personaggi hanno condiviso parte della loro vita con un cane o un gatto lasciando un universo iconografico non sempre qualitativamente soddisfacente perché spesso si tratta di istantanee, foto casuali che purtroppo non rendono onore, ritrattisticamente parlando, a quei momenti intimi.

 

Animal Emotion

La pittura ci ha tramandato ulteriori testimonianze della presenza di animali domestici, che ci restituiscono atmosfere goliardiche, o romantiche, allegoriche ecc. Dalle civiltà più antiche, come quella egiziana in cui il gatto era particolarmente venerato, o i mosaici pompeiani, fino a giungere ai giorni nostri, si nota come cani e gatti siano parte non sempre marginale nella vita umana e quindi nell’arte.

 

Il progetto espositivo ANIMAL EMOTION, accoglie un evento unico nel suo genere che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte.

La mostra “trasforma” lo storico Complesso Monumentale di S. Agostino, nel cuore del borgo di Mondolfo, in un ideale “zoo artistico” che consente al visitatore di comprendere come l'animale abbia da sempre avuto un ruolo fondamentale nella grande pittura antica e nel vissuto umano quotidiano.

Divisa in tre sezioni, c’è quella con le fotografie di Claudia Rocchini.

 

Le fotografie di Claudia Rocchini. Tanta psicologia ed empatia

Ritrarre cani e gatti è forse il tipo di specializzazione fotografica più difficile. Perché questi individui pelosi non si mettono in posa a comando. Si muovono rapidamente, sono imprevedibili davanti all’obiettivo, non sono loro a dover capire qual è l’aspetto che devono mostrare mettendosi in posa, ma devi essere tu fotografo a coglierne la personalità. Che è diversa per ognuno.

Bisogna essere un po’ animali dentro, nell’accezione migliore del termine, per entrare in sintonia con loro. Leggende su San Francesco, che aveva il dono di essere “sentito” dagli animali, non è una roba poi tanto mistica. Perché esistono umani che riescono a stabilire una forte empatia con gli animali, senza assoggettarli, inserendosi con rispetto sulla loro stessa lunghezza d’onda.

Claudia Rocchini realizza shooting fotografici che durano non meno di due ore. Gli umani che le chiedono di ritrarre i loro amici pelosi, sanno che il risultato sarà sempre ineccepibile per quel suo modo di rapportarsi. Quel suo sesto senso del tipo “vedo animali che parlano”, ribaltando la famosa frase del cult movie con Bruce Willis.

Claudia non lascia cadere dalle braccia dell’umano un cagnolino per dare l’idea che salti come in una famosa foto di Elliott Erwitt, attende che qualcosa accada. Per catturare l’attenzione su di sé, a volte miagola o abbaia. Talvolta abbraccia il cane da ritrarre e gli sussurra dolcemente all’orecchio trasmettendogli serenità, complicità. Un po’ come Robert Redford in “l’uomo che sussurrava ai cavalli” che fece tornare Pilgrim il cavallo che era stato prima dell’incidente.

 

Tengo corsi di pet photography mentoring, one to one, in video call. … I corsi sono basati su una parola chiave: consapevolezza. …  Si tratta di mettere in pratica un mix di competenze tecniche di ripresa, di osservazione e conoscenza del comportamento dell’animale per poterne capire l’umore e prevederne i movimenti. É inoltre fondamentale imparare a sviluppare la nostra intelligenza emotiva in ogni declinazione delle sue abilità cioè la capacità di riconoscere, distinguere, etichettare e gestire le emozioni del soggetto animale che abbiamo di fronte.
L’obiettivo è utilizzare la fotografia come strumento di rivelazione delle personalità, per fotografare non solo ciò che si vede, ma principalmente ciò che si “sente”.

- C. R.

 

La tecnica di Claudia Rocchini
Non usa flash per non arrecare disturbo ai soggetti, solo luci continue con tre o cinque soft box e una giraffa. Scatta a raffica. Si accorge subito se l’animale è stressato e, in tal caso, sospende per un po’ la seduta. A volte chiede al “papà” umano di entrare sul set per abbracciare il suo amico per tranquillizzarlo, ma approfitta per tirare alcuni scatti che risultano intensi, intimi.

Sul sito di Claudia Rocchini ci sono testimonianze strepitose di allevatori, veterinari, privati che descrivono in maniera entusiasta il suo modo di lavorare e la soddisfazione dei risultati raggiunti delle immagini scattate ai loro cani e gatti.

 

Qualsiasi foto che presento al cliente deve riflettere la personalità del soggetto, scatto solo se c’è quel particolare emotivo che rende l’animale non solo un gatto o un cane qualsiasi, ma QUEL gatto e QUEL cane che l’umano riconoscerà come suo. Cerco un mix di pose classiche e giocose, il cliente di solito quando visiona i provini ha l’imbarazzo della scelta. Sono anche solita fare vedere gli scatti che non ho scelto perché magari ce n’è qualcuno con una posa o un’espressione tipica dell’animale cui il cliente è particolarmente affezionato, e che io non posso conoscere, perché non è il mio animale.

 

 

 


Claudia Rocchini 


ANIMAL EMOTION, il mondo animale tra arte, recupero e vita

Mondolfo, Complesso Monumentale S. Agostino

19 Dicembre 2021 – 16 Gennaio 2022

 

Comune di Mondolfo

Ufficio Cultura

Tel. 0721.939218

cultura@comune.mondolfo.pu.it

PAM – Pro Arte Mondolfo

info@proartemondolfo.com

Ufficio stampa

Maria Chiara Salvanelli Press Office & Communication

mariachiara@salvanelli.it

+39 333 4580190

19.11.2021 # 5841
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Come ti interpreto la citazione. Frasi epiche di fotografi, intorno alla fotografia, rilette e un po’ smontate.

Rileggendo le citazioni d’autore, sono ancora tutte attuali? O qualcosa andrebbe riadattato e smentito?

Giovani fotografi che citano frasi famose di fotografi come se fossero Fede assoluta. Diventano claim, slogan ad effetto piazzati nelle home dei propri siti WEB o postate sui propri profili social. Una citazione non può però essere una filosofia di vita professionale assoluta, ma soltanto un omaggio al fotografo che si ama. O uno tra i tanti punti di riferimento. Come vette di monti che sono comunque interconnessi tra loro da colline, valli, laghi, fiumi.

E comunque ogni citazione andrebbe contestualizzata nel suo periodo storico. Perché cambiano le tecnologie, cambiano gli uomini, cambiano i linguaggi visivi.

Proviamo a riflettere un po’ su alcune di tali citazioni…

 

 

Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene – Ansel Adams

 

Immaginiamo un giornale con notizie fatte di sole foto e senza nemmeno le didascalie. Riusciremmo ad estrapolare da esse le informazioni relative alle 5W giornalistiche?


What – Che cosa
Who – Chi
Where – Dove
When – Quando
Why– Perché

Sono le cinque domande che un giornalista deve soddisfare, per un normale articolo contenendo le risposte.

Da un giornale solo iconografico forse riusciremmo ad avere una o due informazioni se avessimo conoscenze pregresse di un fatto. Se conoscessimo il luogo in cui è stata presa una foto o conoscessimo il personaggio ritratto, potremmo dire che si tratta di “Mr. Smith ripreso a Portobello Road”. Il who e il where quindi, ma cosa, perché e quando era lì Mr. Smith non potremmo saperlo.

La citazione di Ansel Adams non funzionerebbe nemmeno per una gran quantità di fotografie concettuali. O artistiche, volendo. Perché non tutti possono avere gli strumenti culturali o un background esperienziale vasto che consente di comprendere immagini più complesse rispetto a un semplice paesaggio. E allora abbiamo immagini che sono accompagnate da testi di curatori, critici o da sinossi scritti di pugno dall’autore stesso che ci servono a comprenderle. Insomma, qualche “barzelletta” andrebbe spiegata.

 

Fotografare è mettere sulla stessa mira, testa, occhio e il cuore – Henri Cartier-Bresson

 

Siamo convinti di ciò che disse il mitico Bresson? La citazione tra le più famose di tutte può considerarsi completa? Assoluta? Verbo? Proviamo a interpretarla?

In realtà per fotografare occorre avere una certa sensibilità emozionale e percezione. Caratteristiche che, per svilupparle, necessitano di allenamento, esperienza, coscienza di sé, conoscenza. Il fotografo potrebbe trovarsi in una situazione nuova per lui e le foto che scatterebbe non rappresenterebbero al meglio il contesto. La “testa” dovrebbe rappresentare il bagaglio di competenze che si hanno relativamente al contesto che si fotografa. Se ci viene chiesto di fare foto di scena per uno spettacolo teatrale ma non conosciamo la trama della storia, le battute o scene più importanti, gli attori, le pause, le luci, probabilmente faremmo delle foto tecnicamente buone ma non belle. Specie se prese senza “cuore” che credo Bresson si riferisse molto probabilmente alla passione e alla cura nel fotografare.

E comunque solo la vista, “l’occhio”, tra i cinque sensi a volte non è sempre sufficiente: udito e olfatto possono stimolare infatti la nostra percezione facendoci dirigere l’occhio verso una determinata scena da inquadrare. L’olfatto ci guiderebbe dietro il vicolo in un’isola greca e con sorpresa ci farebbe trovare un delizioso ristorantino da fotografare: dallo chef ai piatti che cucina.

 

La parte più importante di una macchina fotografica sta dietro ad essa  – Ansel Adams

 

Torniamo all’ottimo Adams che conferma quanto già scritto sopra riguardo la citazione di Bresson: senza testa e cuore che viaggiano in tandem, l’occhio non basta. L’obiettivo e quindi l’occhio vede ma non osserva. Inquadra, taglia, sceglie cosa deve entrare nelle due dimensioni dell’immagine, compone bilanciando i pesi delle luci, ombre, colori, seguendo l’armonia e il ritmo di linee, volumi, spazi. Da solo l’occhio potrebbe restituire solo immagini virtuose sotto il profilo estetico-geometrico ma prive di significati più intensi.

Ciò che c’è dietro una macchina fotografica è la parte più importante: la testa!!! In essa vi è contenuta tutta l’esperienza del fotografo non solo professionale ma anche umana. Il suo vissuto, le persone che ha incontrato, i viaggi “lenti” e non mordi e fuggi, gli studi seguiti, i libri letti, i film visti… tutto materiale invisibile  attraverso il quale ha formato la sua personalità. Tutto l’immateriale della cultura personale che genera inevitabilmente un pensiero che si proietta sulle immagini che realizza.

 

Se le tue foto non sono abbastanza belle, è perché non sei abbastanza vicino  – Robert Capa

 

Probabilmente il “fotografo di guerra” Capa si riferiva, rispetto a quel "abbastanza vicino", allo stare nell’azione di un evento in maniera ravvicinata. Ma essere vicino al soggetto da riprendere non significa necessariamente stare dentro la scena. La vicinanza può essere anche soltanto emotiva e usare magari anche un teleobiettivo per avvicinarsi al soggetto da riprendere. Non c’è bisogno di fare un primo piano alla barba di un tuareg nel deserto o riprendere l’ugola di un soprano per fare un ritratto, ma occorre conoscere a fondo le caratteristiche del soggetto che fotografiamo. Essere vicini inteso quindi non necessariamente in termini di distanza fisica, almeno non solo, ma avere una maggiore conoscenza e sensibilità verso quel che si riprende. In una parola: empatia.

 

L’abilità nella fotografia si acquisisce con la pratica, non con l’acquisto  – Peter Lindbergh

 

È chiaro che se non acquisti una fotocamera non puoi essere un abile fotografo perché non hai lo strumento per diventarlo con la pratica. Però acquistando costose attrezzature non ci consente di diventare abili fotografi.

Anche acquistare costosi software di postproduzione non ci rende abili, utilizzandoli. Perché occorrono anni per imparare a utilizzarli facendo appunto pratica.

Ma l’acquisto potrebbe essere riferito anche a corsi, seminari, webinar, workshop e quant’altro di fotografia. Indispensabili per ampliare le proprie conoscenze tecniche di fotografo e senza le quali i tempi della pratica per acquisire abilità, si allungherebbero. Perché nei suddetti incontri c’è sempre uno o più professionisti che oltre alla tecnica trasferiscono ai propri allievi esperienze di cui fare tesoro. Accelerandone la pratica per transfert.

Il fatto è che, anche dopo aver studiato a lungo la fotografia “acquistando esperienze”, occorre fare sempre pratica. Perché non si smetterà mai di imparare.

 

L’importante è vedere ciò che è invisibile agli altri  – Steve McCurry

 

Esiste qualcosa che può essere invisibile ad altri? Perché? Ma il fotografo deve semplicemente vedere ciò che è invisibile ad altri o deve avere anche l’abilità di mostrare a questi ciò che non vedono?

C’è una differenza sostanziale tra guardare e osservare. Fotografi, scrittori di romanzi, registi, grafici, artisti visuali sono allenati a osservare. Guardare e porsi domande su ciò che vedono. Sono abituati ad entrare emozionalmente dentro la scena, riescono a sezionarne tutti i suoi elementi individuando il punto di massimo interesse che potrebbe essere invisibile o non individuabile al primo impatto alla maggior parte delle persone. Perché a volte c’è rumore visivo che distrae. Il fotografo è come un musicista, o un tecnico del suono, che filtra suoni e rumori di fondo, note stonate per restituire la massima purezza di un pezzo musicale.

Non basta vedere ciò che è invisibile agli altri, occorre riuscire a sintetizzarlo nella foto per mostrarlo a chi fruirà di quella foto.

A volte è indispensabile anche un certo tipo di postproduzione per esaltare ciò che si vuole mostrare. E questo McCurry lo sa bene preferendo la saturazione dei colori.

 

La fotografia, come tutti sappiamo, non è affatto reale. È un’illusione della realtà con cui creiamo il nostro mondo privato  – Arnold Newman

 

Già nel momento in cui inquadriamo una scena, limitata da quattro lati e inevitabilmente annullando la terza dimensione, stiamo alterando la realtà. Non mostriamo tutto ciò che c’è intorno alla finestra che abbiamo creato. Siamo costretti a essere bugiardi dal limite delle due dimensioni. Ma siamo piacevolmente consapevoli ingannatori. Vediamo una foto che sembra scattata su un’isola caraibica, ma più in là, sul bagnasciuga c’era qualche bottiglia di plastica della nostra civiltà consumistica, ovviamente messa fuori dall’inquadratura. Ma nel nostro intimo ci sentiamo gratificati quando gli amici ammireranno lo scorcio che abbiamo ripreso. Ingannandoli.

 

Chi non ama aspettare, non può diventare fotografo – Sebastião Salgado

 

Saper aspettare è effettivamente una condizione siddhartiana indispensabile per qualsiasi fotografo. Anche per il fotoreporter che può trascorrere ore o giorni interi ad aspettare che un’azione avvenga per poi attivarsi improvvisamente.

Il fotografo di still life? Anche. La sua è tutta questione di pazienza nel preparare sapientemente il set, senza affrettarsi. Perché ogni lama di luce colpisca il soggetto lì dove deve andare. Il paesaggista? Sì, anche lui, attende la luce giusta. Quella che magari ha già in mente. O aspetta che la conformazione delle nuvole sia quella che preferisce prima del click.

 

Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà come, mentre altri di natura più curiosa si chiederanno perché – Man Ray

 

Non c’è niente di grave chiedersi, di fronte a una particolare fotografia, “come” è stata realizzata. Anzi, serve a scoprire e individuare nuovi linguaggi espressivi che andrebbero a sommarsi al proprio bagaglio professionale. Chiedendolo direttamente all’autore non sempre potremmo avere una risposta. Per qualcuno il segreto professionale è sacro.

Ma il “perché” esiste una determinata fotografia, bisognerebbe sempre chiederselo.

Perché è stata scattata? Perché è stata pubblicata su un’autorevole rivista? Perché è esposta in un museo? Perché (non) ci piace? Perché è fatta in un certo modo? Cosa vuole comunicare? È una fotografia utile per chi la osserva? Qual è il target? Chi dovrebbero essere i potenziali fruitori?

Perché i nostri occhi si sono posati su di essa per oltre cinque secondi?

 

 

Le citazioni sulla fotografia sono tante e forse, se si leggessero tutte, potrebbero fare più danni che altro. La cosa migliore potrebbe essere quella di conoscere l’intero pensiero del fotografo e il suo lavoro, la sua ricerca, per comprendere a fondo una sola frase.

Ma che il gioco dell’interpretazione delle citazioni continui! Trovatele in rete o inventatene voi, postatele sui social e avvierete discussioni interessanti.

05.11.2021 # 5831
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Dimitra Dede in mostra alla Spot Home Gallery con Ápeiron: l’assenza di confine

Immagini introspettive di un’insostenibile leggerezza dell’essere che indagano l’indefinibile della vita tra il buio e il buio

Chi è Dimitra Dede

Dimitra Dede è un’artista visiva greca che vive a Londra e lavora prevalentemente con la fotografia. Ha conseguito una specializzazione in New Media dopo gli studi in fotografia.

La sua pratica artistica coniuga la pittura e l’uso di sostanze chimiche con la fotografia. La creazione delle sue immagini si basa su un processo intuitivo. La sua ricerca esplora la connessione tra spazio e tempo, memoria e disorientamento, perdita e vulnerabilità umana, la vita e l’Assurdo. Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei e festival in Europa, Stati Uniti e Asia.

Il suo libro Mayflies è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020, e del premio Unseen Dummy Award 2018 all’Unseen Festival di Amsterdam.

- dal comunicato stampa

 

Osservando le foto di Dimitra

Si entra in un mondo grigio torbido, dove i neri sembrano carboncini sfumati a mano. E tratti come tracciati a china. Macchie slavate.Tutto si confonde, tutto è inafferrabile. Nell’oscurità il circostante è fluido. Onirico. Sogni o incubi?

Dettagli che divengono galassie. Il reale diviene immaginazione. Tutto si sovrappone. C’è tanto blur. Indefinibile, come ciò che la nostra zona grigia nasconde nella mente. Vedo riflessi, o sovrapposizioni di spazi, corpi e paesaggi? Non conta saperlo perché meglio lasciarsi andare a quel segmento della vita che c’è tra il buio e il buio. Tra il ventre materno e l’ultimo sospiro. Non conta perché il messaggio, la sensazione che l’osservatore riesce a percepire, è sufficiente.

Immagini da decifrare o ascoltare? Quale anfratto del proprio intimo bisogna esplorare per riconoscersi in quei frame che sembrano in movimento, che si avvicinano, ci sfiorano, si allontanano ma ci affollano come sogni labili, profetici, inconsci?

Ma poi, perché cercare di capire in un mondo in cui non esistono certezze? Tutto scorre in un arco temporale breve. I segni ci travolgono, ci attraversano.

Acqua, terra, il verde… tutto in grigio/nero. Il bianco è la luce, la somma di tutti i colori, e qui non serve, resta nel mondo di fuori per non distrarre da un’introspezione inconscia e meditativa. Tra accenni pareidolici immersi nell’eleganza di un glamour celato. Apoteosi della sensualità perché nascosta e da scoprire.

E tutto scorre, tra ricordi di passaggio, di quelli che forse non ne abbiamo bisogno riviverli, ma ci sono, esistono, vivono ancora in qualche meandro della nostra anima.

 

…una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto. Il tempo si è fermato, o eternizzato, non sappiamo, tanto strettamente fotografico da non aver più nulla a che vedere con quello dei nostri orologi.

- Christian Caujolle.

 

Come nasce la mostra

Cristina Ferraiuolo, gallerista della Spot Home Gallery, è una cacciatrice di teste del campo fotografico. Per la sua attività spulcia anche libri fotografici di editori indipendenti ed ha scoperto Dimitra Dede che ha voluto nella sua galleria per la mostra Ápeiron curandone la realizzazione insieme a Michael Ackerman.

63 opere, frutto di un percorso di circa 20 anni.

Ápeiron, dal greco antico “à”, assenza e“peras”, confine: assenza di confine. Il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede, ben riflesso nella frase dello scrittore greco Nikos Kazantzakis: "Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro. Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita".

 

La tecnica di Dimitra

L’artista non usa programmi di manipolazione di immagini ma interviene direttamente sui negativi con bruciature, cera, solarizzazione in camera oscura, vernice e usa tutto ciò che può per imprimervi dei segni come graffi e incisioni.

Un processo di trasformazione “punitivo” della materia che le consente di elaborare il dolore e di raggiungere l’armonia ricomponendo i pezzi frammentati della sua esistenza di donna, figlia, madre e artista.

I negativi così trattati vengono poi scannerizzati e stampati in giclée su diversi tipi di carta, a seconda dei soggetti.

Alcune immagini sono stampate su una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente, ma eccezionalmente resistente: assonanza con un femminile materno che coniuga fragilità e forza, amore e cura.

 

 

SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

ÁPEIRON

Dimitra Dede

dal 28 ottobre 2021al 28 gennaio 2022

 

Opening 28 ottobre2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com

 

Contatti

Spot home gallery

via Toledo n. 66, Napoli

+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

28.10.2021 # 5822
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Un’opportunità per partecipare a una collettiva per raccontare l’impatto pandemico sulla società. A cura di Simona Guerra

Che succede? L’impatto pandemico sulla società

Cosa è successo negli ultimi due anni? Ce ne siamo accorti? Crediamo veramente di avere piena consapevolezza della nuova dimensione umana in cui siamo stati catapultati, causa pandemia? Sono cambiati i nostri rapporti sociali e interpersonali? Frequentiamo le stesse persone allo stesso modo di quando eravamo nel “mondo di prima”? Abbiamo percezione di eventuali danni subiti nella nostra mente per aver vissuto il lockdown? Capita di trovarci soli in auto con la mascherina indossata e senza accorgercene? Abbiamo ridotto l’uso dei trasporti pubblici preferendo spostarci a piedi? Ci chiediamo mai quali sono i parametri per cui si potrà uscire dall’emergenza in cui viviamo? Tendiamo a programmare le nostre vacanze in luoghi meno frequentati? Ma veramente è aumentata la folla della movida perché vuole riprendersi un pezzo di vita perduto,come se non ci fosse un domani? Siamo ormai già abituati a mostrare un QR code per entrare in un museo? O evitiamo di andarci perché emotivamente non accettiamo di esibire un’etichetta preferendo aspettare che si ripristini la normalità? È possibile l’adattamento dell’uomo alla distopia sociale senza conseguenti effetti collaterali?

Se non vi siete mai fatti almeno una di queste domande o altre ancora, potete terminare qui la lettura.

 

Call: chiamata alle armi per gli invisibili effetti sociali della pandemia

Simona Guerra, scrittrice, critica di fotografia e curatrice di mostre cerca narrazioni riguardanti lo stato attuale dell’Italia: Lo stato italiano adesso.

 

Sembra che il presente non sia più così semplice da trasmettere con le immagini. Anche perché un terremoto si può fotografare; gli effetti di una bomba con i suoi morti e feriti si può raccontare. Ma gran parte dei problemi di oggi restano inaccessibili agli occhi e all’apparecchio fotografico, a cui sembra sia stata lanciata una nuova sfida.

 

Si cercano progetti che esprimano visivamente e con l’ausilio di testi, narrazioni che vadano concettualmente oltre quelle immagini già viste come gente sui balconi, file fuori ai supermercati e carrelli in uscita stracolmi di provviste, gente distanziata con mascherina nei giardini pubblici, segni arrossati sui volti del personale sanitario causa mascherina indossata a lungo, ecc. ecc.

NO. Simona Guerra cerca il “dentro”, l’invisibile intimo, il tormento di quei fotografi che stanno ancora soffrendo per la mancanza di un abbraccio con un’amica incontrata per strada dopo oltre un anno; soffrono nell’evitare feste in casa con i soliti 30-40 amici; per il preferire la video-chiamata con un cliente; per non poter andare a trovare un amico in ospedale.

Tutte privazioni che non fanno parte di una vita normale. Perché non sono a dimensione umana.

 

Le immagini che ci propongono i media servono, o dovrebbero servire, a rappresentare il presente, dunque, chi e in che modo sta raccontando: la paura, la diffidenza, la perdita d’identità e quella di autodeterminarsi? La ricerca della Verità, continuamente rovesciata da versioni tra loro contrastanti, spesso offerte dalla stessa persona. E ancora: il terrore della sofferenza e della morte, le divisioni, gli attriti, i pensatori in lotta, il concetto di altruismo, dovere, responsabilità?

 

Gli artisti che hanno raccontato i disagi della storia

Negli anni l’arte ha comunicato contesti storici rappresentandone il tedio, il disagio, i drammi vissuti dalla società ma metabolizzati e rappresentati dagli artisti. Mi vengono in mente L’Urlo di Munch, apoteosi dell’Espressionismo; Il sonno della ragione genera mostri di Goya; Guernica di Picasso; fino ad arrivare ad alcune opere di Andy Warhol che metteva in discussione la frenesia della civiltà americana. Non sono che alcuni esempi che non documentano visivamente fatti, ma mostrano visivamente stati emozionali, invisibili, immateriali e che colpiscono duramente al cuore l’osservatore. E chissà se esistono fotografie che riescano a mostrare gli attuali stati psico-intimi attraverso gli invisibili metadati di questa realtà.

 

Che ne è, oggi, della narrazione dei fatti? È tornata ad essere ricca come prima dell’inizio della pandemia o ci sarebbe bisogno di materiale aggiuntivo perché si possa dire di avere una narrazione dell’oggi più completa?

 

Diamoci da fare: come procedere

Fino al 1° dicembre, Simona Guerra accoglierà e visionerà lavori fotografici (corredati da scritti) realizzati sulla base di questa traccia. Gli autori che meglio sapranno spingersi oltre i confini della narrazione già disponibile (per temi e punti di vista) verranno esposti all’interno dello Spazio di Piktart, sito a Senigallia, in una mostra della durata di 10 giorni, nell’inverno 2021.

Verrà inoltre valutata la messa a punto di un catalogo della mostra, edito dalla Piktart, con un testo critico a corredo e presentazione.

Si tratta di una vera e propria chiamata alle armi, visive e testuali, da sempre potenti strumenti di espressione e utensili preziosi del concetto artistico di attivismo.

Le attività di curatela di questa mostra vengono offerte a titolo gratuito e rappresentano il sostegno di Simona a quella parte di società che si è accorta di quanto minaccioso sia questo momento storico e sente l’urgenza di comunicarlo.

 

Dettagli:

www.pikta.it/piktart


Credit: Ph. Enrique Meseguer da Pixbay

18.10.2021 # 5819
Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Marco Maraviglia //

Lost the Way Home, il libro di Antonino Condorelli per gli invisibili di Amburgo

Iniziativa editoriale in tandem con i medici volontari di ArztMobil Hamburg per sostenere attività di solidarietà per indigenti e senzatetto

Chi è Antonino Condorelli

Classe 1973. Fotogiornalista freelance nato a Catanzaro e dove ha vissuto parte della sua vita.

Ha studiato fotografia a Milano. Inizia la professione di fotografo lavorando per i giornali calabresi coprendo fatti di cronaca, politica e i primi sbarchi dei migranti nello Jonio.

Si è sempre occupato principalmente del Sud nel mondo documentandone i suoi aspetti sociali.

Ha collaborato con agenzie nazionali e internazionali. Ha pubblicato su giornali Italiani e stranieri. Ha viaggiato in Argentina durante la crisi del 2002, in varie città d’Europa e in Burundi dove capì che l’Africa e il vicino Medio Oriente erano i luoghi dove avrebbe concentro la sua attenzione.

È stato in diversi paesi africani colpito da quel che si dice “il mal d’Africa”. Un amore che lo ha visto impegnato 

Dal 2015 si trasferisce in Germania con la sua famiglia e dove ha più opportunità professionali.

Nel 2016 ha vinto il “Blauer Löwe” per un lavoro realizzato in un paese della Bassa Sassonia circa gli immigrati che vivono in quel posto.

 

Il Sud del mondo

Quando pensiamo al Sud del mondo immaginiamo quelle zone economicamente depresse concentrate in Africa, nel Sud dell’Asia, luoghi dell’America latina. Ma i punti cardinali possono acquisire una loro soggettività in un mondo dove anche nelle metropoli più ricche, civilizzate, tecnologicamente avanzate,esistono sacche di emarginazione socio-economiche, di minoranze bistrattate. Il Sud del mondo si trova anche nella dispersione scolastica delle grandi città, nel non riconoscere pari diritti di lavoro a prescindere dal genere, nei disabili che vivono in contesti urbani che li impediscono di spostarsi autonomamente causa barriere architettoniche, negli immigrati sfruttati sul lavoro, carceri sovraffollate, nei senzatetto, indigenti e tanto altro. Invisibili. Un Sud di cui molti girano la testa dall’altra parte. Un Sud a volte considerato parassitismo che “meglio se non ci fosse”. Ma c’è. Esiste. E servirebbe un po’ di sensibilità ed empatia in più per salvaguardare la dignità umana. Sostenibilità umana.

 

L’esercito dei volontari

Fortunatamente quel Restiamo umani di Vittorio Arrigoni sembra calzare a pennello come un claim per tutte quelle attività di associazioni ed altre organizzazioni che si prodigano nel sostenere i cosiddetti “invisibili”. Minoranze “fastidiose”.

A mia memoria credo che tutto sia iniziato nel 1865 conl’Esercito della Salvezza, un’organizzazione evangelica che aiutava i bisognosi e ancora operativa in tutto il mondo. La solidarietà si è poi estesa a tante altre realtà e il fotoreporter Antonino Condorelli entrando in contatto con una di queste, ha voluto dare il proprio contributo.

 

Antonino Condorelli per ArztMobil Hamburg

“Lost the way homeè un progetto fotografico nato durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus nel 2020. Il Fotogiornalista Antonino Condorelli ha seguito in quel periodo un’organizzazione di medici volontari che, nella città di Amburgo, si prendono cura delle persone senza tetto e con scarsa sufficienza economica. Il lavoro, partito inizialmente come un reportage da pubblicare sui giornali, ha preso una "piega" diversa quando Condorelli ha proposto ad ArztMobil Hamburg di realizzare un libro con il quale poter sostenere economicamente l'organizzazione.

Per più di un mese il fotografo Antonino Condorelli ha seguito i medici di ArztMobil Hamburg cercando di raccontare il difficile lavoro che svolgono i volontari nel curare e assistere i senzatetto della città, soprattutto in questo periodo incerto di pandemia. Lost the way home è un viaggio intimo nella vita di medici e assistiti che attraverso il loro incontro rischiarano le ombre della vita. Lost theway home allude al complicato rapporto con la vita di una società che esclude chi vive diversamente.” (Dal comunicato stampa).

 

 

Il libro Lost the way home

Il libro consta di sessanta fotografie in bianconero con testi dell’autore e dei medici di ArztMobil Hamburg per un totale di 88 pagine.

Immagini che raccontano l’attività dei medici volontari, tra visite mediche nel camion attrezzato ad ambulatorio, rifornimenti alimentari e relative distribuzioni tramite furgone; momenti intensi le cui foto lasciano intuire il rapporto di fiducia instaurato tra medici e pazienti e con ritratti di alcuni di questi. Ritratti dove si scorge un filo comune per tutti: lo sguardo sofferto, di una vita provata che racconta storie probabilmente irraccontabili, fatte di miseria, violenze, soprusi, abbandoni subiti da chi magari doveva esserti vicino. Persone che non ce l’hanno fatta perché emotivamente fragili, senza spirito combattivo e che si sono lasciate andare. Per scelta o per vicissitudini della vita.

Ma i volontari sono lì. Non fanno domande. Ascoltano, i loro malesseri, per curarli o perlomeno alleviarli.

 

Il nostro autobus non è solo una sala per trattamenti sanitari, maanche un rifugio. Spesso l'attenzione non è solo sulle cure mediche, ma sulletue preoccupazioni e sui tuoi problemi.

- JuliaHerrmann; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

E l’obiettivo di Antonino è lì, occhio discreto ma penetrante, dentro quelle atmosfere dure ma impregnate di bontà.

Antonino Condorelli, in termini di celebrità, non è Dorothea Lange ma ha fatto un passo avanti perché oltre a sensibilizzare con questo libro su uno spaccato sociale della “civiltà” occidentale, ha messo a disposizione la sua professionalità senza badare al profitto.

 

… queste esperienze mi hanno aperto gli occhi. Ho camminato per le strade con più attenzione. E all'improvviso ho notato molte difficoltà nella nostra ricca città che non avevo mai visto prima o forse non volevo vedere. Coloro che vedono le difficoltà devono agire.

-Von Levke Sonntag; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

 

Il libro è stato autopubblicato nel febbraio 2020 ed èacquistabile sul sito di Antonino Condorelli (https://www.antoninocondorelli.com/prodotto/lost-the-way-home-homeless/)

 

 

PROSSIME MOSTRE:

 

Dal 22-10-21 al 21-11-21

Vernissage giorno 22 ottobre alle ore 19 presso St.Michaelis Kirche, Johan Sebastian Bach Platz, Lüneburg.

La chiesa in cui si tiene la mostra è una delle chiese maggiori di Lüneburg costruita dai benedettini intorno al 1300. Bach è stato allievo lì.

Contatti +49 04131 2072-14

 

Dal 26-11-21 fino al 19-12-21

Vernissage giorno 26 novembre alle ore 18 presso Reso FabrikWinsen Luhe, Neulander Weg 15, Winsen Luhe.

La Reso Fabrik è una fabbrica sociale in cui vengono realizzati programmi di inclusione per gli abitanti della città. Si occupa di realizzare progetti di vario tipo, spesso basati sull'arte, con cui si cerca di aggregare le varie culture presenti.

Contatti +49 04171 783940

 

In entrambe le strutture l'ingresso è libero, e in entrambe le mostre sarà possibile acquistare il libro Lost the Way Home per sostenere imedici di Arzt Mobil. Costo del libro 45,00 € se acquistato sul posto.

 

Ufficio Stampa e Organizzazione: antoninocondorelli@antoninocondorelli.com

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