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05.04.2022 # 5983
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Alcuni suggerimenti e opportunità per i giovani fotografi che vogliono farsi conoscere

Cercasi visibilità: per gloria o per lavorare?

Uno dei principali problemi dei fotografi emergenti è quello di farsi conoscere. Non tanto per avere gloria attraverso la cosiddetta “visibilità”, ma per iniziare la loro lunga, dura, faticosa carriera professionale.

La visibilità è una roba che si può raggiungere abbastanza facilmente spammando i gruppi di fotografia con le proprie foto, caricando immagini sul proprio profilo Instagram, taggandole, hashtaggandole, mettendo like a più non posso alle foto dei profili di gallerie d’arte, editori, studi di comunicazione sperando di essere notati. Ma improvvisandosi social media manager di se stessi porta in gran parte a scarsi risultati di feedback rispetto al dispendio di energie.

C’è chi usa la posta elettronica, WhatsApp, Telegram, blog, sito WEB per promuoversi ma anche per queste cose occorrerebbe avere le conoscenze giuste dei fondamenti del marketing.

Per intraprendere la carriera di fotografo professionista serve la divulgazione online del proprio lavoro ma se questo possiede una certa potenza creativa e qualitativa.

La visibilità dovrebbe essere supportata essenzialmente da un portfolio, con immagini professionali, da presentare direttamente ai potenziali clienti: editori, agenzie di comunicazione, aziende, gallerie d’arte.

 

Qualche nota riguardo alcuni strumenti utili alla visibilità dei propri lavori:

 

Il sito WEB

L’ideale sarebbe quello di avere un sito WEB come vetrina. Anche se non si ha uno storico curriculare. Anche se non si possiede ancora una P. IVA. La legge non lo vieta.

Un buon sito dovrebbe essere essenziale, intuitivo, avere un menu di facile comprensione, con sezioni tematiche, con un minimo di biografia e possibilità di poter far interagire i naviganti lasciando aperto il form per i commenti, se vi è anche una sezione destinata al blog.

Esistono piattaforme che offrono gratuitamente spazio per caricare i propri album fotografici ma bisogna ben valutare i pro e contro.

 

Il blog

Il blog è un’altra opportunità per dare visibilità al proprio percorso visivo raccontandolo. Non è sempre vero che le fotografie non debbano essere supportate da parole.

Non occorre essere grandi scrittori per scrivere testi a corredo delle proprie immagini. Va bene essere sintetici. L’importante è evitare strafalcioni grammaticali e ortografici.

 

La pagina Facebook

È un’opportunità gratuita che però non porta molte visualizzazioni se non si hanno almeno dieci-cinquantamila follower. Ma consente, quando non si ha un sito WEB, di avere i link di album fotografici tematici da inviare all’occorrenza a chi riteniamo opportuno.

 

Telegram e WhatsApp

Sono strumenti da non trascurare.

Negli ultimi anni i messaggi di posta elettronica sono letti dai destinatari sempre meno, causa loro eccesso.

Via WhatsApp è possibile annunciare iniziative relative a mostre o altro genere di eventi ma possiamo messaggiare solo se provvisti del numero di telefono di chi vogliamo informare. E poi non tutti gradiscono questo genere di messaggi considerati a volte spam.

Possedere invece un canale Telegram al quale invitare i potenziali interessati, significa segmentare un pubblico veramente interessato alle iniziative di cui sopra.

 

Mostre, fiere, concorsi fotografici

Riguardo le mostre fotografiche non contano solo il lavoro esposto, l’allestimento, il catalogo, ma il pubblico che dovrebbe visitare una determinata mostra.

Premi e concorsi fotografici possono essere un altro trampolino di lancio, specie quelli internazionali. Analogamente vale per le fiere e i festival di fotografia ma occorre spesso un livello di professionalità già abbastanza buono per parteciparvi. Per non fare un buco nell’acqua.

 

I cacciatori di fotografi

Insomma, non bisognerebbe puntare alla casualità nel promuoversi. Ma un fotografo emergente potrebbe iniziare a sperimentare le varie modalità sopra descritte iniziando a postare qualche foto u Facebook nei gruppi dedicati alla fotografia. Se non altro per iniziare a confrontarsi.

L’esposizione pubblica dei propri lavori potrebbe essere intercettata “da cacciatori di fotografi”. O semplici acquirenti privati di immagini, se si tratta di foto che meriterebbero di essere appese a una parete di un ufficio o di un appartamento.

Talent scout della fotografia come picture editor, galleristi, editori, art director, titolari di aziende, potrebbero individuare qualche giovane promessa da contattare.

 

Alcune opportunità per cacciatori di fotografi

Vi sono spazi virtuali e cartacei organizzati da esperti e grandi appassionati di fotografia, che talvolta senza nulla a pretendere, divulgano il lavoro di fotografi misconosciuti e che consiglio di seguire e magari partecipare.

 

La stanza degli ospiti

Ideata e curata dal fotogiornalista e artista Giovanni Ruggiero che individua periodicamente un autore da ospitare sul suo sito: https://www.ruggierogiovanni.com/la-stanza-degli-ospiti-old/

 

Clic-He’

È una piattaforma curata da Paolo Contaldo attraverso la quale vengono lanciate delle call a tema. Le immagini dei fotografi partecipanti selezionati vengono poi impaginate in un pdf sfogliabile online.

https://www.clic-he.it/

 

Best Select

Best Select è una creatura di Vanni Pandolfi, attivo animatore sui social che intercetta fotografi, anche non professionisti, e seleziona alcuni di loro per realizzare pubblicazioni di qualità.

 

«BestSelected è un progetto che nasce di getto, dall'amore per la fotografia di qualità dalla volontà di premiare, distinguere ed evidenziare  quei fotografi amatori e professionisti disseminati nella rete ,presenti con le loro opere  nei vari social network e community di fotografia, molto spesso soffocati , confusi con e nella massa di mediocrità fotografica.»

 

Candidature per i fotografi: https://www.bestselected.it/

 

Altre opportunità: spazi cartacei, fisici e virtuali

Associazioni fotografiche, intraprendenti curatori di mostre fotografiche, gruppi di fotografia su Facebook e quant’altro, offrono numerose altre possibilità per divulgare i propri progetti fotografici e ricerche visive. Resta il fatto che conviene sempre valutare costi, energie impiegate e benefici per alcune di tali operazioni.

Una cosa è però sicura: le fotografie non si regalano indiscriminatamente a terzi per fini di lucro. Se un giornale si sostiene con la pubblicità, è giusto chiedere all’editore un equo compenso per le proprie foto pubblicate.

 

 

 

© Foto di Kaique Rocha da Pexels

29.04.2022 # 6038
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Chiara Negrello in mostra allo storico Caffè Pedrocchi di Padova con Like the Tide

Un agrodolce racconto fotografico alla foce del Po di donne contadine del mare

Chi è Chiara Negrello

Giovane fotografa freelance nata a Rovigo. Attualmente vive a Firenze. Laureata in fotografia alla LABA (Accademia Liberale di Belle Arti) di Firenze nel 2017.

Ha frequentato il Documentary Practice and Visual Journalism Program alla scuola ICP di New York supportata dalla borsa di studio assegnata dalla Reuters, la più grande agenzia fotogiornalistica internazionale. È membro di Woman Photograph” e selezionata nel 2021 per lEddie Adams Workshop XXXIV. Ha pubblicato i suoi lavori su testate nazionali e internazionali come The New York Times, D la Repubblica, MarieClaire, Focus e altri.

 

I suoi lavori sono principalmente basati sulle relazioni umane e sociali influenzate dall’impatto ambientale e decisioni economico-politiche tra cui la contaminazione dell'acqua da Pfas nella regione Veneto pubblicato su Der Spiegel nel marzo 2021.

Ha fotografato migranti in Giordania, Medio Oriente e a Bihac, al confine tra Bosnia e Croazia.

Nel 2019 in Ecuador fotografa donne riciclatrici a Quito: Recicladoras, donne che recuperano materiali e oggetti dai rifiuti per rivenderlo a privati.

Documenta le restrizioni per i venezuelani riguardo i visti in Ecuador e le messe in streaming durante il primo lockdown in Italia a causa del Covid19 pubblicando su National Geographic.

Solo per sintetizzare.


 

Like the Tide

È l’alba. Inverno. Valle del Po.

Nella luce bluastra e nebbiosa del primo mattino si vedono le luci accese di alcune finestre di un paesino in cui non è ancora iniziata la vita del giorno. Ci son donne che si stanno preparando per andare a lavorare. Probabilmente lasciano pronta sul tavolo la colazione per il marito e i figli. Prima di uscire e incamminarsi in quell’aria bagnata, tipica della Pianura Padana.

 

Sul finire degli anni ’80 andò in crisi il settore tessile e molte donne persero il lavoro. Ma erano donne. Di quelle che non si piangono addosso. E si reinventarono. Già temprate dai turni massacranti delle fabbriche tessili entrarono in un nuovo percorso. Forse più ostico, ma comunque duro.

In quegli anni, nella valle del fiume, furono seminate vongole e molte donne dalle macchine tessili passarono alla pesca delle vongole.

Un punto di rottura col passato. Un punto di arrivo che fu un nuovo punto di partenza che risollevò l’economia del luogo. Fino allora considerato un lavoro prettamente maschile, oggi quasi la metà dei pescatori è donna.

Anche d’inverno entrano nelle acque gelide del Po armate di rasca per rastrellare o scavare con le mani nelle secche e raccogliere i molluschi. Al confine tra il fiume e il mare. Tra il dolce e il salato. Come la loro vita agrodolce.

Contadine del mare. Donne coraggiose che non temono di sporcarsi le mani e affaticare la schiena di fronte a un lavoro duro condiviso con la reciproca solidarietà delle commilitone. Che quando rientrano nelle case riacquisiscono il loro ruolo materno isolando, dalla propria famiglia, stanchezza e sofferenza. Un tocco di profumo al collo. Premure per i figli. Una sistemata alla casa. Una tovaglia da sbattere e ripiegare dopo la cena.

E domani è un altro giorno. Sveglia all’alba. Con l’orgoglio negli occhi e la bellezza nell’anima. Nuovamente nella nebbia.

Chiara Negrello con poetica delicatezza, senza invadenza, racconta queste storie attraverso le sue immagini di Like the Tide. Storie intorno a noi. Non c‘è bisogno di andar lontano per trovare qualcosa da narrare.

Like the Side, come la marea che sale e scende, e anche la fatica è mostrata in chiave morbida, gli sguardi dei ritratti infondono forza e amore per il lavoro, le rasche per la pesca creano nuvole di sabbia sotto il pelo dell’acqua che tutto nascondono e tutto rivelano.

 

 

 

Like the Tide (Come la marea)

EFFE22 - Rassegna Annuale di Fotografia d'Autore

Dal 23 marzo al 18 maggio

Presso la sala verde dello Storico Caffè Pedrocchi

Via VIII Febbraio, 15 - Padova

Ufficio Stampa: Francesca Minucci, Tel. 3403800320 | Email f22.effeven@due@gmail.com

27.04.2022 # 6037
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Presenze nelle assenze, Peppe e Luca Esposito espongono al Fotoart in Garage

Quel sottile filo che lega padre e figlio attraverso la fotografia. Due visioni parallele che si implementano in maniera autonoma

Esiste il vuoto? Si vede? Ma se si vede significa che c’è qualcosa che lo definisce o che lo riempie. O perlomeno ne offre dei confini.

Il vuoto diventa pieno. Il pieno può essere vuoto.

Per comprendere il concetto di vuoto e pieno, basti ricordare alcune opere di Anish Kapoor che annullano la realtà intorno rendendola impalpabile. Presenze nelle assenze o assenze nelle presenze, se preferiamo. Oggetti che si mimetizzano nell’ambiente circostante annullandosi.

Involucro e contenuto persistono, esistono, ma si annullano.

Le presenzassenze di Franco Fontana sono di ben altro senso. Ombre umane o di altri elementi. Che interagiscono con i luoghi. Assenze che riempiono gli spazi stabilendone un rapporto di osmosi. Senza l’uno o l’altra non esisterebbe l’immagine. Non ne avrebbe un senso.

 

Le Presenze nelle Assenze di Peppe e Luca Esposito credo che viaggino su un filo invisibile, impercettibile, da ricercare non tanto nelle immagini proposte in questa mostra, ma nel rapporto di padre e figlio che li lega.

Credo che uno dei desideri di un padre ambizioso, sia quello che il figlio segua le sue stesse orme. Trasferire le proprie conoscenze per perpetuarle. Anche se verso strade diverse. Lo stesso mezzo, in questo caso la fotografia, ma usato per percorrere un filone visivo diverso. Un’altra ricerca per approdare altrove. Nel caso di Luca, verso il cinema. Dove l’assenza è la finzione cinematografica. La presenza sono gli attori che danno corpo a una storia.

Le ben note immagini di bambole di Peppe Esposito, che non vedremo in questa mostra, lasciano il posto ad altre presenze reali e animate degli attori di un cast cinematografico. Dall’assenza umana che vuole rendere una presenza emotiva ricreandola ex novo con sguardi vitrei, alla presenza umana reale che non ha bisogno di artifici. Perché l’artificio è il set cinematografico.

Spazi vuoti in cui il rapporto delle dimensioni è riportato dalla presenza dell’elemento umano. Che sia un uomo, un’auto o delle bottiglie, non importa.

E forse nelle immagini di Peppe e Luca Esposito, padre e figlio, il vuoto non esiste. Non esiste presenza se non c’è assenza.

Padre e figlio si implementano, senza competizione. Le loro fotografie dialogano per far riconoscere il loro legame professionale. Che si influenza a vicenda ma autonomamente.

 

Peppe Esposito

Napoletano classe 1960, dalla fine degli anni Settanta è protagonista di una personale ricerca artistica che investe vari linguaggi, dalla fotografia al visual design, dalla grafica d’arte alla pittura. Ha studiato Arte della Stampa all’Istituto d’Arte F. Palizzi e Pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ha seguito anche il corso di Fotografia di Mimmo Jodice. È docente di Arte del Libro e della Grafica Editoriale presso il Liceo Artistico F. Palizzi di Napoli. Ha esposto in numerose mostre nazionali e internazionali, le sue opere sono presenti in musei, collezioni pubbliche e private ed in archivi di arte contemporanea, sia in Italia che all’estero. Nel 2011 è stato invitato ad esporre alla 54a Biennale di Venezia, Padiglione Italia per la Regione Campania.

 

Luca Esposito

Nato a Napoli nel 1993. Da sempre interessato al racconto visivo in generale, fin da piccolo sviluppa la passione per la fotografia, grazie a suo padre. Questo lo porterà a trovare nella fotografia, il suo abituale modo di vedere le cose nel mondo. Dal 2012 partecipa a mostre fotografiche su territorio nazionale ed internazionale come nel 2017 all’Ostraka Art Fair a Il Cairo in Egitto. Nel 2012 terzo classificato al premio fotografico “Napoli e i Campi Flegrei” e nel 2018 premiato al Museo PAN per “La Napoli di Maurizio Valenzi”. Laureato in Fotografia, Cinema e Televisione all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Lavora nel cinema in particolar modo per due ruoli fondamentali nel reparto di macchina da presa, l’aiuto e l’assistente operatore, sul set di produzioni cinematografiche e televisive come RAI, Netflix, Sky, Mediaset, Cattleya, IIF Italian International Film, ecc. Ha lavorato con direttori della Fotografia come Cesare Accetta, Francesca Amitrano, Davide Manca e Carlo Rinaldi e registi come Stefano Incerti, Francesco Patierno, Antonietta De Lillo e Guido Pappadà.

 


© Peppe Esposito


Presenze nelle Assenze

Peppe e Luca Esposito

nell’ambito della rassegna “Fotoart in Garage 2022” a cura di Gianni Biccari.

Art Garage POZZUOLI (NA) Viale Bognar,21 (pochi metri dalla stazione ferroviaria Pozzuoli Solfatara)

Dal 30 al 13 aprile 2022 Opening Sabato 30 aprile ore 17.30/21.30

Orari apertura mostra: lun-ven 10-13 / 16.30-21  sab.10-13  dom. chiuso.

Contatti: Gianni Biccari 338 8805491 – Peppe Esposito 366 3154189


Foto di copertina: © Luca Esposito

13.04.2022 # 6019
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Fotografia moderna 1900-1940. A Torino la collezione Thomas Walther del MoMA di New York

Il CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia di Torino, ospita un’eccezionale mostra fotografica che raccoglie oltre 230 opere fotografiche di 121 autori della prima metà del XX secolo

Fu un periodo, quello della prima metà del XX secolo, con fermenti artistici che determinarono un nuovo corso delle arti figurative. Dadaismo, Surrealismo, il Costruttivismo russo, il Futurismo italiano, il Bauhaus furono un vero e proprio punto di rottura con i canoni del passato aprendo a nuove ricerche visive. Tra le più originali degli ultimi 100 anni. Tutti furono movimenti che ribaltarono vecchi concetti riguardo il modo di concepire il vedere. E quindi il modo di pensare. Già dal 1913 un punto di partenza del ribaltamento del pensiero fu la pratica del Ready-Made duchampiano: la defunzionalizzazione originaria di oggetti, come un orinatoio, rifunzionalizzandoli in opere d’arte.


Si proveniva dalla Belle Époque, un periodo splendido di pace e progresso tecnico-scientifico. Le connessioni tra gli intellettuali erano più rapide e frequenti grazie alle prime auto e all’infoltirsi delle reti ferroviarie che consentivano di viaggiare più facilmente. I giornali proliferavano. I caffè letterari erano punti di riferimento di artisti di ogni ramo e cifra che si incontravano condividendo notizie, idee, opinioni, ipotesi. Qualcuno si intratteneva giocando a cadaveri squisiti. E il pensiero volava a velocità supersonica.


A cavallo delle due guerre mondiali anche la fotografia, grazie all’innovazione tecnologica che iniziò a produrre pellicole più sensibili e fotocamere più leggere, versatili e meno ingombranti, come la Leica uscita nel 1925, seguì questo processo di cambiamento. Un cambiamento che portò inoltre a sperimentazioni come collages, doppie esposizioni, immagini cameraless tipo i rayogrami e fotomontaggi che raccontano una nuova libertà di intendere e usare la fotografia. 

Quel fermento creativo iniziò in Europa subito dopo la Prima Guerra Mondiale per arrivare poi a New York, dove presero rifugio artisti e intellettuali in fuga dalle dittature.


Con la collezione di Thomas Walther, ex giudice conosciuto come "l'ultimo dei cacciatori di nazisti", si deduce un bisogno storico di recuperare e preservare parte di quella cultura artistica fotografica nata in quel periodo travagliato da libri bruciati, opere d’arte sequestrate con le quali si tenne anche la mostra di Arte degenerata nel 1937.

Non sappiamo per certo se nel bottino dei nazisti delle 4.800 opere rubate e ancora conservate nei depositi del Governo tedesco, in attesa di rilevare gli eredi, vi siano anche fotografie di quel periodo.

Fatto sta che la più grande opera della collezione di Thomas Walther sarebbe da considerare Walther stesso.

Ogni autore delle fotografie della collezione, avendo esercitato la propria attività a cavallo delle due guerre, ha vissuto sulla propria pelle momenti tormentati. Chi perché ebreo, chi oggetto di stupro, chi perché considerato eversivo o una spia, chi esiliato ecc., dietro ogni fotografia c’è la storia personale del suo autore interconnessa talvolta con alcuni degli altri autori o comunque con i fatti socio-politico-culturali dell’intero contesto.


È la particolarità di questi decenni a spingere il collezionista Thomas Walther a raccogliere, tra il 1977 e il 1997, le migliori opere fotografiche prodotte in quegli anni riunendole in una collezione unica al mondo, acquisita poi dal MoMA nel 2001 e nel 2017.


Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl Blossfeldt, Brassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre. 

Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.


La mostra, leggendo i nove testi ricevuti dall’ufficio stampa, è stata curata nei minimi dettagli secondo percorsi tematici e con un allestimento che comprende anche delle teche nelle quali sono esposte alcune prime edizioni di volumi e riviste, essenziali per la narrazione della storia della fotografia di quegli anni. 


“Anche la scelta della palette di colori della mostra è nata a partire dallo studio di vari prodotti grafici ed editoriali del periodo, trasformando l’esperienza di visita in un’immersione a 360° nello spirito di quest’epoca straordinaria.”


Implementata inoltre da incontri, corsi e workshop, è destinata a essere un momento storico nello scenario delle mostre fotografiche in Italia.

 

 

 

 

Capolavori della fotografia moderna 1900-1940.

La collezione Thomas Walther

del Museum of Modern Art, New York

 

Dal 3 marzo al 26 giugno

 

CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 - Torino www.camera.to | camera@camera.to

 

Orari di apertura (Ultimo ingresso, 30 minuti prima della chiusura)

Lunedì 11.00 - 19.00

Martedì Chiuso


Mercoledì 11.00 - 19.00

Giovedì 11.00 - 21.00

Venerdì 11.00 - 19.00

Sabato 11.00 - 19.00

Domenica 11.00 - 19.00

 

Biglietti
Ingresso Intero € 12
Ingresso Ridotto € 8, fino a 26 anni, oltre 70 anni


© Kate-Steinitz-Backstroke-1930

23.03.2022 # 5955
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Alma Carrano… e questa è un’altra storia. Una zelig in mostra.

Tre storie fotografiche tra contaminazioni di tecniche e sperimentazioni di stili. Fotomontaggi, sandwich e “storyboard” circolari

Chi è Alma Carrano

Donna della III età. Insegnante di scienze naturali ormai in pensione.

Ha sempre avuto la passione per le immagini che potessero farla sentire in quel cuscinetto di confine tra realtà e finzione. Ha un’attrazione per la sensazione di sospensione, di allontanamento dalla realtà dove le storie vanno rilette, inventate, ricostruite, dilatando le dimensioni degli spazi e della vita.

Da ragazza per soddisfare questo bisogno di essere artefice di percezioni tangenti la realtà, usava una cinepresa Super8 e solo in età adulta iniziò a fotografare.

Lesse qualcosa di Feininger per iniziare a imparare a fotografare ma fu grazie a un corso che seguì, tenuto da Augusto De Luca sul finire degli anni ’80 presso il Centro Krome, che si appassionò con entusiasmo alla composizione fotografica.

Preferisce il racconto fotografico alle immagini singole. Il racconto da costruire attraverso un’immaginazione onirica. A volte come in quei sogni in cui lo storyboard è fatto di frame emozionali, senza un inizio e una fine, ma i vari elementi comunicano comunque un concetto.

Contamina pensieri, immaginazione, parole e immagini. E realizza videopoesie come Le rose di Sarajevo, che le fa conquistare il primo posto al Premio Città di Latina 2020.

Sua è la storia e la realizzazione di Le avventure di broccoletto, un libro edito da Temperino Rosso Edizioni nel 2021. Un racconto fotografico realizzato con fotomontaggi, dove un broccoletto incontra altri ortaggi e il cui fine educativo è quello di dimostrare che la diversità e l’aggregazione è ricchezza.

Quindi Alma Carrano scrive anche sceneggiature. La sua scrittura cinematografica percorre sentieri umani dai tocchi duri, storie concrete che si intrecciano con i drammi della società reale. E vince anche dei premi nazionali come il Premio Mauro Bolognini 2014 e il Premio Città di Ascoli Piceno 2021.

Tra i premi di fotografia vince il Premio Città di Como 2018, con una recensione di Giovanni Gastel; II Trofeo Portfolio Città di Sulmona; è finalista di Autore dell’Anno 2017 FIAF Campania con il progetto “Ofelia, ieri e oggi vittima di femminicidio”.

 

E questa è un’altra storia…

È il titolo della mostra allestita all’ArtGarage di Pozzuoli fino al 24 marzo.

«È un titolo provocatorio perché so che a molti fotografi non piacciono parole come “progetto” o “storytelling”» e in realtà le storie “scritte” sulle pareti con le fotografie in mostra di Alma Carrano sono tre. Realizzate in periodi diversi e con tre stili foto-grafici diversi tra di loro.

Come una zelig nell’accezione migliore del termine dove il suo stile è il contenuto, la storia stessa del messaggio che vuole comunicare e non la fotografia di per sé.

 

Angeli caduti

Otto immagini ispirate alla tradizione giudaica del Libro di Enoch e strizzando l’occhio a Giovanni Gastel.

L’immaginazione dell’osservatore può passare dalla storia del patriarca Enoch il cui testo racconta di angeli ribelli che per punizione divina caddero sulla terra unendosi agli umani, o anche passare per Il cielo sopra Berlino o per il suo remake di La città degli angeli con Nicholas Cage.

Angeli graziati ma che decidono di tornare a contatto con i sapori della vita terrena fatti di amore e di sofferenza.

Gli angeli di Alma Carrano hanno ancora le ali. Forse perché appena giunti sulla terra. Forse contemplano e si pentono della loro evasione. Sono in limbi senza tempo. Non sappiamo se si libereranno per sempre delle loro ali. Non sappiamo se decideranno di tornare da dove sono venuti.

 

John Doe sulle vie dell’Ovest

John Doe è l’equivalente americano del nostro Tizio o Caio. Un personaggio che c’è, esiste, ma non si sa nulla di preciso della sua vita perché potrebbe essere chiunque.

John Doe nella prima fotografia è di spalle accanto a una moto. Pronto a mordersi un favoloso viaggio on the road come solo i biker possono comprenderne le emozioni a contatto con i paesaggi sconfinati del West. Con Don’t bogart that joint o l’intera colonna sonora di Easy rider che risuona nella mente.

Nove immagini in bianconero. Ispirandosi ad Ansel Adams. Un viaggio circolare nella Valle della Morte. Perché prima o poi, si ritorna. E tutto torna.



Schegge di donna

È un lavoro analogico di Alma Carrano realizzato circa venti anni fa. Si tratta di stampe dai cosiddetti sandwich: sovrapposizione di due o più diapositive nello stesso telaietto.

Schegge di donna consiste in composizioni di dettagli di sguardi femminili tratti da quadri o pagine di giornali che si sovrappongono alle foto di frammenti di foglie e fiori.

Alma Carrano con questo lavoro indaga sull’intimità della donna attraverso le espressioni dei volti di Marilyn Monroe, la Gioconda di Leonardo e altre ancora, ricercando un’affinità con la natura. La sua bellezza e inevitabile caducità la rendono “la chiave del tempo”. Un tempo che nel suo trascorrere rende la donna fata, sibilla e strega: “Fata quando nasce, maga quando ama e strega per la società e la religione”.

E, osservando queste immagini, non si riesce a non ricordare La fata Edoardo Bennato.

Ma questa… è un’altra storia.

 

 

…E questa è un’altra storia

di Alma Carrano

FOTOARTinGARAGE, rassegna coordinata da Gianni Bccari

Parco Bognar, 21 – Pozzuoli -NA

12-24 marzo

Da Lunedì a Venerdì 10,00-13,00 e 16,30-21,00
sabato 10,00 13,00 16,30-20,00
Domenica Chiuso

15.03.2022 # 5939
Visibilità dei fotografi emergenti e cacciatori di fotografi

Marco Maraviglia //

Francesca Artoni. Il tempo in un attimo di ghiaccio

Fotografie di attimi di vita congelati. Wunderkammer sentimentali fatti di “perle” raccolte a KmZero

Chi è Francesca Artoni

Classe 1978. Nata a Guastalla (RE).

È perito chimico, lavora in ambito ospedaliero in un reparto operatorio, volontaria della Protezione Civile e non ha mai fatto studi artistici ma in età più matura e in pochissimi anni, è entrata nella carreggiata della fotografia artistica. Con risultati che non avrebbero deluso lei per prima visto che ha sempre coltivato la sua vena creativa dipingendo, disegnando o ritrasformando oggetti riportandoli a vita nuova.

Pur essendo una nativa digitale appartenente alla grande famiglia dei Millennials, appare come una donna d’altri tempi. Nata a contatto con la campagna e cresciuta nell’azienda vinicola di famiglia, la sua personalità sembra uscire da una fiaba dei fratelli Grimm.

Colleziona quelle che lei definisce “perle”. Tutto ciò che possa ricordarle attimi di vita. Suoi o quelli di altri. Le raccoglie e, attraverso processi di empatia e contaminazioni di tecniche artistiche che vanno dal collage al congelamento, passando per ruggine, ritagli di idee e quant’altro, le racconta in poesie visive.

Nel 2012 il marito le regala la prima fotocamera e inizia a frequentare alcuni incontri di fotografia. Dopo niente è stato più lo stesso.

 

Conservare (abstract)

In un mondo in cui tutto scorre sul filo della corsa al consumo, dove qualcosa che si rompe o si guasta finisce per lo più in discarica perché scompaiono gli “aggiustatori”; la produzione in serie rischia di non far più distinguere il lavoro esclusivo e certosino dell’artigiano; la sovrapproduzione di fotografie che non vengono stampate  facendo disperdere nell’ambiente momenti di riferimento della vita e valori umani rendendo anaffettive le persone, c’è chi rema controcorrente.

Qualcuno conserva ancora le vecchie cartoline ricevute dagli amici o le lettere d’amore dell’era pre-email. Qualcuno possiede i barattoli o le scatole dei ricordi in cui sono custoditi il primo dentino perso, una noce a tre spicchi, una piccola saponetta rubata in un albergo ancora nella sua confezione originale, un sassolino a forma di cuore raccolto su una spiaggia proprio durante un incontro sentimentale o anche una levetta di una lattina di bevanda vintage che fu la prima fede di fidanzamento.

Si tratta di una sorta di disposofobia positiva, la selezione di oggetti fatta non in maniera compulsiva ma legata a momenti particolari della propria vita. Wunderkammer sentimentali. Per accarezzare la vita del passato in un processo psico-emotivo che ci lega alla bellezza del presente. Amando il già vissuto.

Ma a chi saranno destinati questi oggetti senza racconti scritti che ne descrivono i loro attimi, del perché sono lì, conservati accuratamente anche se giù in cantina?

Forse chi li ritroverà durante gli sfratti di vecchie case senza più parenti, coglierà la magia contenuta in essi. Un’energia percepibile da qualche sensitivo o da chi ha a cuore il rispetto della memoria. E i mercatini delle pulci sono grandi serbatoi di sentimenti andati. Lì dove la memoria ha l’opportunità di percorrere altre vi(t)e.

Come capsule del tempo destinate a quel che resterà di un’umanità estinta o agli alieni di passaggio su questo pianeta.

 

Lo spacciatore di vecchie foto

Francesca Artoni cavalca l’onda dei ricordi. Non soltanto quelli suoi.

Per lei conservare oggetti nasce dalla necessità di catturare momenti che possono sembrare banali ma che in realtà sono sintesi del suo modo di “aver cara la vita”.

E questo può avvenire anche attraverso la post-fotografia: il recupero di foto vecchie di famiglia attraverso una reinterpretazione che non ne intacchi il ricordo, ma lo congela.

Francesca Artoni ha il suo pusher di fiducia. Uno dei tanti svuota cantine che hanno il triste compito di rimuovere ciò che è stato per tanti anni serbatoio di ricordi di famiglia e smistarlo tra mercatini, antiquari, discarica. Da lui Francesca riceve delle foto che lei continua a preservare.

Qualcuna di queste immagini diventa per lei oggetto di Criogenia.



Criogenia

Criogenia è il progetto di Francesca Artoni di cui sono esposte alcune immagini presso Movimento Aperto a Napoli.

 

  «Criogenia è nata da una mia riflessione sul tempo. È un pensiero che unisce molti miei lavori. Ho tratto ispirazione dal tema capolinea, per riflettere sulla ciclicità del tempo. Il tempo ciclico, o concezione circolare, vede l'universo come un continuo prodursi e disfarsi, nella sequenza eterna ed infinita della vita.»

 

Vecchie foto di famiglia, fiori e insetti del suo giardino, Francesca li congela immaginando per essi un’ibernazione che fissi per sempre la loro essenza. La paura forse di perdere attimi, sia pur minimalisti, che fanno parte comunque dell’armonia ciclica della vita.

Le immagini di Criogenia risvegliano nella mente i profumi che ci hanno donato i fiori, il battito di ali degli insetti, le emozioni di attimi di gioia familiare.

Si tratta di un processo delicato e intimo dell’autrice che non si limita al semplice scatto fotografico di tali oggetti. Francesca ne esorcizza la loro caducità congelandoli, come volerli soccorrere trasferendoli in una macchina del tempo per salvarne la loro bellezza nascosta.

Immagini che traspaiono dal ghiaccio come oltre un vetro appannato di una finestra. Un gioco visivo di vedo non vedo. Immagini oniriche di un mondo realmente esistito oltre quel ghiaccio che lo preserva.

 

La mostra

Criogenia di Francesca Artoni nasce nel 2017. È un work in progress che l’autrice via via implementa con nuovi soggetti ghiacciati e poi fotografati. Nella sua ricerca tende a individuare una gamma cromatica abbastanza estesa e comunque leggera, soft, acquerellata, sfumata.

Sedici sono le immagini esposte su un totale di oltre quaranta foto al momento realizzate.

Una parte è dedicata al mondo vegetale realizzata con fiori del proprio giardino, un’altra parte è dedicata al mondo animale con piccoli insetti. La terza sezione è dedicata all’umano in cui sono “glaciati” oggetti e foto di famiglia.

Le stampe fineart sono tutte quadrate in formati variabili a partire dal 25x25 e incorniciate in 50x50.

Immagini tutte realizzate a Km0: lavori che si sviluppano tra il giardino e gli interni della sua casa di campagna.

Tra i profumi della vigna, il legno di un camino acceso, collage e ricordi rinchiusi in scatole.

 

 

Per chi volesse addentrarsi maggiormente nel senso nel lavoro di Francesca Artoni si suggerisce la visione di Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber e Il favoloso mondo di Amelie di Jean-Pierre Jeunet.

 

 

Il tempo in un attimo di ghiaccio

di Francesca Artoni

a cura di Giovanni Ruggiero

MOVIMENTO APERTO di Napoli, dell’artista Ilia Tufano

Via Duomo, 290/C

dal 4 al 30 marzo 2022

il lunedì e il martedì ore 17-19, il giovedì ore 10.30-12.30

e su appuntamento chiamando i numeri 3332229274 - 3356440700

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