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05.04.2022 # 5986
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Flavia Tartaglia, classe ’86, si avvicina alla scrittura creativa fin da bambina, trovando nelle parole la sua personale forma d’espressione. “Dove trovi le parole?”, “Si trovano nel vocabolario. Io le trovo nello stato di coinvolgimento”. Approda al mondo della comunicazione attraverso svariate collaborazioni e percorsi formativi presso testate giornalistiche, conseguendo il tesserino da giornalista pubblicista nel 2009 e divenendo di lì a poco direttore responsabile ed editore di un web magazine di arte e cultura e responsabile ufficio stampa di un gruppo di soprano. Dopo aver studiato Fotografia Pubblicitaria Pro presso la Ilas Academy e Fotografia di Scena con Mario Spada e CFI, si specializza in Fotografia di Scena, maturando esperienza presso Teatro Bellini, Teatro dell'Opera di Roma, Campania Teatro Festival Italia, Teatro Mercadante, Teatro Palapartenope - Casa della Musica, Teatro Ambra Jovinelli, Teatro romano di Ostia Antica, Teatro Tram, Teatro Bolivar, Teatro Nest, Macadam Theatre e Bus Theatre, Sala Assoli, Sala Moliere e molto altro. Ha esposto in collettiva presso Palazzo Ferrajoli (Roma) pubblicando con casa editrice Pagine; presso PAN Palazzo delle Arti (Napoli), pubblicando nel catalogo della mostra. Ha lavorato presso Palazzo Fondi - Barrio Botanico, Napoli. Lavora attualmente presso Teatro Bellini di Napoli.

Come ti descriveresti?
Una romantica. Nel senso che se non c’è uno stimolo emotivo, un’ispirazione che mi attira a livello sentimentale, non riesco ad attivare la mente, non riesco a creare, a muovermi, a fare. Questo vale in ogni ambito della mia vita, anche nel mio mestiere di fotografa, soprattutto nella fotografia di scena, Del Pia disse una frase nella quale mi rispecchio molto: “Perché io faccia un buon lavoro su uno spettacolo, devo nutrire dell'interesse autentico per quella ricerca o per le persone che lo mettono in scena. Quello che accade in scena, ha per me, a tutti gli effetti, la natura di una relazione amorosa".



Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso di voler diventare fotografa? 
È stato un momento molto intimo. Premetto che latentemente tutta la mia vita ha sempre orbitato attorno all’immagine, l’immagine ha sempre avuto un potere su di me, ma il momento in cui ho preso coscienza di voler fare qualcosa con l’immagine è stato quando ho visto la bellezza di un’artista, una donna soprano in scena. Quella Bellezza, un misto di eleganza e purezza, qualcosa che era al di fuori di questa realtà, di questa società (finalmente!), fu commovente per me al punto da essere preda del bisogno che tutti vedessero ciò che vedevo io. Credo che chi fa fotografia abbia molto più bisogno di affermare che di suggerire, la fotografia è una forma di espressione. 



Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
L’implicita richiesta di vedere oltre, quel momento in cui inizia in te la ricerca del modo più giusto, inquadratura, punto di vista, suggestioni, per portare in superficie, quindi fotografare, ciò che tu hai visto. Ad esempio mi piace molto lavorare con gli artisti, penso che ogni artista sia anche una persona, ma non tutte le persone sono anche artiste; il momento in cui scopro la persona dietro l’artista, questo mi affascina, è un varco non accessibile a tutti, sembra una conquista. 



Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
La Ilas è stata le mie radici. Senza questo percorso formativo non sarei quello che sono oggi. È stato per me quel tipo di scuola che insegna non solo qualcosa di teorico e pratico, ma ti insegna a pensare, in fine ad essere e, cosa più importante, a scegliere. I miei professori, Ugo Pons Salabelle, Fabio Gordo Chiaese e Felicia Nappo, sono stati dei veri e propri Maestri, con il valore che un tempo si dava a questo termine. Oltretutto li sento ancora, perché mi fido dei loro pareri, se mi dicono che ho fatto bene un lavoro mi sento in pace, soprattutto Felicia, per qualsiasi dubbio o confronto ancora la disturbo e la sua disponibilità mi commuove puntualmente. 


 
Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Fotografare uno spettacolo già in precedenza fotografato da un grande della fotografia di scena contemporanea che stimo tantissimo, temere quel confronto inevitabile, temere di non essere non dico all’altezza ma almeno non essere tanto più bassa. L’aneddoto è quando poi ho deciso di “farmi del male”, mostrando direttamente a lui quelle foto, il quale le ha apprezzate ma la mia risposta al suo apprezzamento è stato uno spontaneo, ovviamente incredulo, ed eccessivamente confidenziale “Seh, vabbè!”, poi mi sono subito ricomposta e ho sperato che non mi avesse sentito. 



So che il Teatro è una sorta di ossessione per te. Parlaci di questo amore e di come sei diventata fotografa di scena.
Come tutti gli amori, vanno vissuti a 360 gradi, infatti ho iniziato al teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale come personale di sala, poi ho collaborato per varie altre realtà teatrali, sono stata ufficio stampa, organizzatore teatrale, responsabile promozione e distribuzione, aiuto regia… insomma mi sono “impicciata” di un po’ di cose. Questo mi ha permesso di osservare molto il teatro, quello che accadeva sul palco, ma soprattutto quello che accadeva dietro: il palco è solo il punto visibile ai più, di un meccanismo invisibile immenso. Ho amato i suoi tempi, i suoi silenzi, i suoi odori, quegli angolini del teatro accessibili solo a chi ci lavora, che sono unici, poetici. Senza accorgermene, ho sviluppato una mia visione. Una sera, semplicemente, mi trovavo per lavoro a teatro, avevo la fotocamera con me perché l’avevo usata di pomeriggio per uno shooting still life alla Ilas, quindi ho iniziato a scattare, oltretutto senza permesso, da un palchetto, di nascosto. Tornata a casa, nel rivedere le fotografie al pc, ho sentito una soddisfazione immensa, sono finita in uno stato di coinvolgimento dal quale non si torna più indietro. Così ho iniziato a propormi ai teatri, soprattutto alle compagnie teatrali, a fare esperienza in questo ambito, pian piano a creare la mia cerchia di clienti. È una conoscenza inesauribile, come tutte le cose vive, forse è proprio questo costante apprendere, questo costante respiro, che mi cattura, non smetterò mai di imparare circa il teatro. Questo percorso non sarebbe andato nella direzione che volevo, però, senza essermi imbattuta nella conoscenza di cinque persone segnanti: Veronica Desiderio, donna e professionista dal valore inestimabile, la quale mi ha dato fiducia inserendomi nello staff di fotografi del teatro Bellini; Clara Bocchino, Maria Claudia Pesapane, Chiara D’Agostino che mi hanno fatto conoscere le loro compagnie teatrali, rispettivamente Putéca Cèlidonia, Ri.Te.Na. Teatro, Burlesque Cabaret Napoli, insieme alle quali ho mosso importanti passi di crescita ed evoluzione; infine Mario Spada, un uomo dall’umanità smisurata, un professionista che non ha bisogno di presentazioni. 



Fotografia di Scena e Fotografia Pubblicitaria. Pregi e difetti di queste due categorie. E se hai una preferenza. 
La fotografia pubblicitaria è la mia origine, se dovessi usare una parola per descriverla sarebbe “Perfezione”, questo per me è un grande pregio, anzi più che altro lo è la ricerca della perfezione, il perfettibile, che mi tiene viva. Nella fotografia pubblicitaria, ad esempio, difficilmente puoi consegnare ad un cliente uno scatto con una palese imperfezione, a meno che non ti chiedano di fare una ricerca personale al riguardo, che espressamente prevede qualche difetto come parte integrande del risultato. La fotografia di scena, invece, è quasi l’opposto. La prima volta che mostrai il mio portfolio di scena ad un fotografo di teatro mi disse “Le tue foto sono troppo perfette, devi sporcarti un po’!” Fu un commento importante per me, perché significava che avevo acquisito una regola e, si sa, solo se conosci le regole puoi superarle, altrimenti rischi di fare cose senza un senso, dalla frattura poi si riuscirà a creare il proprio stile personale. Alla fine di questo percorso di ricerca, ho capito che non sono due categorie così diverse tra loro, entrambe hanno lo scopo di raccontare qualcosa e di promuoverlo, quello che cambia sono le modalità e il terreno sul quale ti devi muovere, sicuramente non potrei mai rinunciare alla magia del teatro e a quello che la realtà teatrale fa alla mia mente; ma le amo entrambe e trovo me stessa sulla strada giusto a metà tra l’una e l’altra, nell’attimo in cui mi sento chiamata a fondere ciò che entrambe mi hanno insegnato. 



C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta? Perchè? 
Il ritratto di un’attrice, Clara Bocchino. Questo scatto fa parte di un book attrice che stavamo sperimentando, in quel momento non c’era una concentrazione o una particolare preparazione, stavamo quasi giocando prima di iniziare, semplicemente lei ha guardato in macchina, io ho scattato. Rivedendo lo scatto, più che aver raccontato qualcosa di lei, mi è sembrato di aver detto io qualcosa di importante di me, mi è sembrato che la mia verità fosse lì. Mi sono sentita rappresentata dalla sua bellezza, me ne sono sentita orgogliosa, è una fotografia che in realtà mostrerei per raccontare che cos’è per me la Bellezza, non intesa solo come aspetto esteriore ma come qualcosa di profondamente interiore che, ad uno sguardo attento, è visibile all’esterno, in qualche dettaglio di un corpo o di uno sguardo. Mentre in generale, i lavori che più rappresentano il mio stile sono quelli con la compagnia Burlesque Cabaret Napoli, fotografare il burlesque mi riporta a quegli anni che mi piacerebbe tanto tornassero di moda, quelli dove “C’era una certa arte nelle cose di tutti i giorni, dai tostapane, agli orologi!”, citando proprio Dita Von Teese, sovrana del burlesque. 



C'è stato un attore/attrice in particolare che ti è piaciuto immortalare?
Decisamente Silvia Calderoni. In un modo delicatissimo mi ha concesso di scattare ad uno spettacolo che la vedeva protagonista. È un piccolo sogno artistico che si è realizzato, perché volevo conoscerla da tempo, sono una fan sia della sua storia personale sia del suo percorso artistico che l’ha portata ad essere indubbiamente un’attrice immensa che ben poco fa rimpiangere le grandi del passato. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di puntare in alto. Perché chi punta in basso, in basso resta. Di non smettere mai di studiare, di imparare, di affrontare senza timore quel percorso che ci porta inevitabilmente a capire qual è il tipo di ambito fotografico che più ci rappresenta, raggiunta questa coscienza, dico di non cedere a compromessi, di non accontentarsi, di non arrendersi, di camminare per quella strada come fosse l’unica e la sola esistente, come se non ci fosse mai un’alternativa, e lungo quella strada proporsi, farsi conoscere, perché la tenacia premia sempre i tenaci. 

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Consiglio di guardare tutto, di essere degli osservatori seriali, ossessivi. Tutto ciò che esiste al mondo, i dettagli, le cose, le persone, i frutti della creatività altrui, tutto, il bello e il brutto, tutto insegna ai nostri occhi. In questo modo, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo, ci ritroviamo pieni di un bagaglio di immagini che miracolosamente sappiamo leggere e di conseguenza creare, un fotografo impara con gli occhi, e l’ispirazione che nasce guardando il lavoro degli altri è tutto, per questo in fine consiglio sicuramente di sfogliare monografie dei grandi fotografi della nostra storia, dalle origini ad oggi, compresi i libri di storia dell’arte, le pitture e, sembrerà strano: la musica, le suggestioni musicali aprono un varco in noi e finiscono dritte alla nostra parte emotiva, quella dalla quale provengono le illuminazioni migliori. 

Se la fotografia fosse un'opera teatrale, quale sarebbe?
Salomè, di Oscar Wilde. Mi riferisco alla parte in cui Salomè manifesta la sua passione per Iokanaan, cresciuta in forma di ossessione forse proprio per il negarsi di quest’ultimo. In un monologo struggente e quasi terrificante lei descrive minuziosamente tutto di ciò che ama e al contempo odia dell’immagine di Iokanaan. La fotografia, quella che resta sia in chi la scatta sia in chi la guarda, deve riuscire ad attraversare questo tipo di osservazione che stimola la maggior parte dei sentimenti umani, la Salomè di Wilde, a mio parere, è una di quelle opere che sanno affrontare molto bene questo viaggio.  

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori?
Quando si è felici si dice “Oggi vedo il mondo a colori!”, io spero di essere felice. Assolutamente anche in fotografia scelgo i colori. Per descrivere il perché, prendo in prestito le parole che Pina Baush rivolse a Francesco Carbone, il suo fotografo di scena, che le fu fedele e la seguì per tutta la vita e continuò a venerarla anche dopo la morte di lei: “Tu sei mediterraneo, vivi in un posto stupendo, per questo tu puoi fotografare solo a colori!”. 
 
Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Quel sentimento d’Amore nell’aria di quando hai in testa una persona; la bellezza delle donne; le persone che supportano la nostra libertà di somigliare il più possibile all’immagine che abbiamo di noi stesse. 

Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 
La speranza. Non c’è punizione peggiore per un essere umano, della perdita della speranza. 
 
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Risponderei piuttosto cosa sogno di realizzare e sicuramente sogno spazio in cui potermi muovere, sogno altezza, sogno di far parte, e di continuare sempre più a far parte, di realtà prestigiose, di grandi realtà nelle quali sentirmi piccola, lo stimolo ad inventare ogni giorno qualcosa in più, per essere all’altezza di ciò che stimo tanto, è ciò che in me fa la differenza tra la vita e la morte. 

Copyright foto Flavia Tartaglia per il Teatro Bellini

15.03.2022 # 5940
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Valerio Lettieri

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Nato nel 1993 in provincia di Salerno, Valerio Lettieri si avvicina alla fotografia negli anni del liceo. Successivamente frequenta il corso in fotografia pubblicitaria alla Ilas di Napoli tenuto dai docenti Pierluigi De Simone e Fabio Chiaese. La passione per la fotografia lo porterà a sceglierla come professione e, successivamente, a trasferirsi a Londra dove oggi vive e lavora.

Come ti descriveresti?
Molto emotivo. Mi piace correre in auto con i finestrini abbassati e musica rock a palla.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
No. Nonostante la fotografia sia sempre stata presente nella mia vita, è stato solo durante gli anni del liceo che ha cominciato a prendermi di più. Dopo il liceo ho frequentato un corso di laurea in Ingegneria Meccanica alla Federico II che poi ho lasciato per dedicarmi completamente alla fotografia. 


Che ricordi hai del tuo percorso alla Ilas?
Ricordo quando, all’inizio del corso, mostrai delle fotografie di automobili che facevo all’epoca, ritoccate all’inverosimile, al mio docente Pierluigi De Simone. Neanche a dirlo, non avevo la minima idea di cosa costituisse una buona fotografia. Mi viene ancora da ridere se ci penso. Gli sono molto grato per tutto quello che mi ha insegnato e per avermi dato le basi di quello che adesso è il mio lavoro.


Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Penso che iniziare la carriera fotografica da assistente sia la prima grande sfida che richiede molto impegno ma allo stesso tempo da belle soddisfazioni. Specialmente se si lavora con diversi fotografi. Bisogna costantemente adattarsi a diversi modi di lavorare, nuove attrezzature con cui viaggiare e tempistiche differenti. Mi è capitato di lavorare in condizioni climatiche che vanno dai -30 gradi del nord Europa ai +40 del Medio Oriente; è stato molto interessante imparare come preparare e utilizzare le attrezzature in tali estremi.

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
Due cose in particolare: la possibilità di rendere eterno un istante vissuto e la possibilità di trovarmi in situazioni e di entrare in contatto con persone che non avrei mai incontrato altrimenti. 


Sul tuo sito c'è una sezione dedicata ai viaggi. Cosa ti piace fotografare quando sei in viaggio? Cosa cerchi?
Direi che dipende dal mindset con cui affronto ogni viaggio. Di solito mi affascinano molto i paesaggi dove si può notare l’impronta umana, ma allo stesso tempo tendo ad escludere ogni presenza fisica dalle mie fotografie. Mi piace dare una sensazione di sospensione. 


La tua personale top 3 dei luoghi che hai visitato, perché ti sono piaciuti?
Il primo posto che mi viene in mente è l’Islanda, dove sono andato a fare un viaggio in solitaria per i miei venticinque anni. I paesaggi e i colori sono incredibili. Ho un debole per gli spazi immensi dove per chilometri non incontri nessuno. 
Poi Parigi, che ho visitato più volte per lavoro. Fin da subito, mi sono sentito immediatamente a casa. Non so descrivere meglio a parole questa emozione, ma c’è qualcosa nell’aria.
Sicuramente poi, la Turchia, ricchissima di colori. Mi ha colpito il calore umano delle persone che ho incontrato lì. 

C'è un fotografo che ami più di altri?
Amo i lavori di molti fotografi. Se proprio dovessi sceglierne uno, direi Gregory Crewdson. Per la scelta delle luci, colori, composizione e soprattutto per la sensazione di sospensione, distacco e umanità che mi comunica. Ho apprezzato molto il suo ultimo libro “Cathedral of the Pines”.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro? 
Di volare ma con i piedi per terra. Di prepararsi a correre una lunga maratona piuttosto che uno sprint di cento metri. Credo che un ottimo modo per entrare nel mondo della fotografia professionale sia quello di fare l’assistente per alcuni anni prima di avviarsi per la propria strada. Ti permette di vedere e capire molte dinamiche dall’interno, una fra tutte, il rapporto con i clienti.

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Non ho un film in particolare da consigliare, me ne piacciono tanti. Quello che ultimamente mi ha colpito molto per la fotografia è stato Joker. Allo stesso modo per le riviste, c’è ne sono parecchie ma una che seguo particolarmente è il British Journal of Photography. Penso che il miglior modo per imparare sia comprare libri fotografici e studiarli e andare a vedere spesso mostre, non solo di fotografia ma di arte in generale. Nutrirsi solo di fotografia non basta.

Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?
Onestamente ho un rapporto a fasi alterne con i social media, o per meglio dire Instagram. Ci sono periodi in cui lo uso spesso e altri, anche lunghi, di completo distacco. I social hanno una loro utilità nel raggiungere un numero di persone più o meno grande, ma allo stesso tempo credo ci sia troppo rumore.
Penso che, per quanto possa essere utile avere un sito ed essere presente sui social media, avere un buon portfolio stampato e incontrare persone in carne ed ossa con cui poter parlare di idee sia molto più efficace.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?
Sì, è questo ritratto che ho scattato a mio padre la scorsa estate a Santa Maria di Castellabate. Ogni volta che da Londra torno a Napoli lo porto a fare un giro con me, mi faccio raccontare qualche storia di quando lui era giovane e scatto dei ritratti. Voglio tenere la memoria più viva possibile per più tempo possibile. 
Di questa foto mi piace particolarmente la continuità tra le rughe della sua pelle e le onde del mare. E anche il suo sguardo, rivolto lontano dall’obiettivo. Questi elementi, uniti alla luce, mi danno un senso di trascendenza dal tempo. 


Se la fotografia fosse una ricetta culinaria, quale sarebbe?
Gli gnocchi che faceva a mano mia nonna! In particolare mi torna in mente quando con infinita pazienza usava la forchetta per dargli la forma a righe. La fotografia è manualità, ripetizione di movimenti che diventano una seconda natura.

Se non fossi diventato fotografo, che lavoro avresti fatto?
Amo la meccanica e amo le automobili. Probabilmente il meccanico? O forse un pilota? Magari avrei continuato gli studi di Ingegneria, chi lo sa!

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? 
Difficile. Forse se potessi variare a seconda di cosa sto guardando sarebbe più semplice. Dovendone scegliere uno soltanto direi a colori, ma colori spenti.

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Leggerezza, amore e capacità di perdonare.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?  
Le bollette da pagare!

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Mi piacerebbe dedicarmi a un progetto a lungo termine e magari poi farne un libro. Ma al momento è soltanto un’idea.

10.02.2022 # 5906
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ilas:
intervista a Marco Perrella

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Classe 84, a 4 anni riceve il suo primo Commodore 64 che lo condanna a vivere a non più di 50m da un computer per il resto della sua vita. Dopo una parentesi di studio che lo porta dallo scientifico, al teatro, a 5 anni di Università mai messi a frutto, si iscrive alla Ilas di Napoli per sfuggire all’insopportabile destino di studiare argomenti che non gli piacciono. Dopo aver frequentato i corsi di Web Design e Grafica, è il 3D a vincere definitivamente la sua attenzione, portandolo sulla strada del 3D Generalist, prima, e dell’Experience Designer, poi. Dopo 3 anni di docenza nella stessa Ilas che lo aveva formato, decide di dedicarsi unicamente all’azienda in cui aveva contemporaneamente un part-time, la Digitalcomoedia, nella quale lavora tuttora.

 
(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Marco Perrella) In questo periodo siamo al lavoro su tanti progetti, non tutti di libera divulgazione, dai Beni Culturali al supporto all’Industria 4.0, dalle serie animate alle esperienze virtuali, per non parlare del nostro sito! Una cosa di cui posso parlare liberamente e che mi ha visto in prima linea è sicuramente “Arkaevision - Tempio di Nettuno”, un’esperienza di realtà virtuale nel Parco Archeologico di Paestum che a breve, virus permettendo, dovrebbe vedere la luce in seno al Museo del parco.

 
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas? Sia come studente che come docente
Ricordi molto molto preziosi. Dopo aver fatto il turista all’Università per anni ho semplicemente pensato di fare un tentativo mirato, dove avrei potuto concentrarmi su qualcosa che mi interessava senza dover studiare argomenti non di mio gradimento. Appena iniziati i corsi tutto è cambiato: l’accoglienza della scuola, la qualità della struttura e dei corsi, è stato fantastico, mi sono accorto che era quello che stavo cercando dopo essermi iscritto! Da docente, poi, si respirava una grande aria, sentirsi parte dell’entità che mi aveva stupito tanto era già una soddisfazione a sé, per non parlare della grande collaborazione con tutto il team; ma il ricordo più bello è legato sicuramente gli allievi, osservarne la crescita e ritrovare in loro, ogni volta, quello sguardo attento e appassionato era sempre emozionante.
 
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
Come si sarà capito assolutamente no. Sapevo di amare i videogiochi, di prestare una certa attenzione al comparto grafico e creativo, ma non sono mai stato particolarmente bravo ad analizzare i miei desideri. L’Ilas mi è stata fondamentale anche per capire come tutto questo poteva diventare un mestiere.
 
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare? 
La più grande finora? Studiare le possibilità di movimento dell’utente in VR. Una cosa che ormai diamo per scontata quando siamo davanti ad uno schermo, diventa all’improvviso un dilemma machiavellico. Trovare l’equilibrio tra immersione e godibilità dell’esperienza in questo nuovo media ci ha dato una gran quantità di grattacapi.


 
Il progetto a cui ti è piaciuto lavorare di più e perché?
Arkaevision - Tempio di Nettuno. Far prendere vita al Parco Archeologico com’è adesso e com’era 2500 anni fa è stato uno sforzo corale sorprendente ed appassionante. Assistere e collaborare alla motion capture, che da queste parti è un terreno quasi inesplorato, lavorare per i Beni Culturali, un tesoro impressionante che abbiamo la responsabilità di far conoscere, vedere tutti i gesti, piccoli e grandi, fatti da più di 30 persone convergere in un prodotto che ha impressionato chiunque l’abbia provato è una sensazione meravigliosa.
 
C'è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?
La percezione comune del settore. Come per tutti i settori basati sui new media, in Italia bisogna sempre fare i conti con diffidenza ed ignoranza. Prima di convincere come professionista o come azienda bisogna ancora superare la fase venditore porta a porta in cui devi vendere l’aspirapolvere di queste nuove tecnologie, spiegargli perché ci vuole tanto a produrre il lavoro, quali sono i vantaggi. Da un po’ di tempo stanno aumentando le persone che hanno una visione più corretta di questo settore, speriamo la conoscenza continui a diffondersi.
 
L’evoluzione del 3D è continua. Che consiglio daresti a chi si approccia adesso a questo mondo?
Di essere entusiasti e lanciarsi nella mischia. Hai perfettamente ragione, il 3D è in piena fioritura, giorno per giorno ci sono novità nelle tecnologie e nella loro applicazione, il Real-Time sempre più accessibile e potente, la Realtà Virtuale. È sicuramente un campo arzigogolato, quindi magari fatelo in maniera guidata, ma se vi interessa lanciatevi di petto! È come fare musica ai tempi di Mozart, non fatevi intimorire, ne varrà la pena.

Una parola che ti rappresenta e perché?
Versatilità. Ho sempre amato essere in grado di agire su tutti i fronti e questo mi ha portato ad essere capace di affrontare bene o male tante sfide, non solo quelle più vicine alla mia indole.
 
Una parola che vorresti eliminare dalla terra e perché?
Arroganza. Ci ho messo un po’ a trovarla, ma credo che senza si starebbe tutti meglio. Non parlo solo dell’arroganza del potente verso il debole, non amo guardare ai massimi sistemi che non possiamo cambiare, ma proprio di quella piccola, personale, diffusa ormai in tutti che ci impedisce di rapportarci in maniera spontanea e aperta con gli altri.
 
Se tu fossi una canzone, quale saresti?
Un ottico, di Fabrizio de André.
 
Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Non riesco a spiegarlo a mia madre, vuoi che lo spieghi a una persona del diciassettesimo secolo? Vediamo: cerco di far vivere cose fantastiche in una realtà che non esiste.

 Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?
Brutta domanda, forse svegliarmi la mattina doveva essere la risposta alla sfida più grande. Tuttavia, dato che alla fine mi alzo, direi la curiosità. Fare un lavoro creativo significa chiedersi sempre “chissà cosa succederà oggi” oppure “chissà se la soluzione che ho pensato funziona”, credo sia quello il motore delle mie giornate.
 
Progetti futuri?
Superare i limiti. In tutti i sensi, vedere le tecnologie che usiamo dove ci porteranno e farsi trovare in grado di sfruttarne le possibilità a fondo.



copyright immagini Digitalcomoedia


07.02.2022 # 5905
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ilas:
intervista ad Angelo Formato

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Nato e cresciuto nella città di Napoli, nel sud Italia, Angelo Formato si è trasferito a Londra nel 2012 per inseguire il suo sogno di diventare un fotografo.
Ispirato sia dalla sua visione della femminilità che dall'uso di uno stile creativo, ritrae personaggi interessanti con un approccio naturale e reale in termini di illuminazione e fotografia.
Deve molto della sua ispirazione fotografica alla sua famiglia che ha avuto una grande influenza sul suo lavoro e lo ha formato come persona e come artista. I suoi lavori sono stati pubblicati su numerose riviste internazionali tra cui: Vogue, Elle, Document Journal e National Geographic.


 
Come ti descriveresti?
Mi piace molto stare con le persone, ascoltare, condividere ma allo stesso tempo sono una persona timida e a tratti solitaria.
Raccontare la vita e le persone attraverso i miei lavori è la cosa che mi rende più felice.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
Da bambino volevo diventare cuoco. Poi i miei genitori mi regalarono una macchinetta fotografica giocattolo a forma di mucca e da lì è iniziata la mia avventura.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Bellissimo! Quando ho scelto di frequentare la ilas é stato uno dei momenti più importanti della mia vita.
La Formazione alla ilas è stata l’inizio di un bellissimo percorso, la guida che mi ha portato ad ottenere tante bellissime soddisfazioni.

Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Questo lavoro è fatto di tante piccole sfide e responsabilità, bisogna fare molta attenzione.
Un po' di tempo fa, feci un lavoro per un brand di abbigliamento, io e il mio team avevamo avuto una giornata pesante. La sveglia suona alle 5 del mattino, tanti look da fotografare e quindi tanti cambi da fare. A fine giornata lavorativa purtroppo per un errore tecnico tutte le immagini realizzate andarono perse ma poi fortunatamente dopo qualche giorno con l’aiuto di un tecnico riuscimmo a recuperare tutto il lavoro svolto.
 
Come hai affrontato il periodo di crisi sanitaria globale? 
La quarantena è stata dura, trascorsa a Londra lontano dai miei familiari però è stato anche un bellissimo momento di riscoperta personale che mi ha fatto prendere una decisione molto importante e cioè trasferirmi inItalia.
Lavorativamente è stata dura e il mio settore come tanti altri fatica a riprendersi, ma sono positivo, sono felice di passare un po' di tempo a casa con i miei familiari sperando che si ritorni presto ad una vita normale senza crisi sanitaria.
 
Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
La fotografia oltre ad essere una macchina del tempo che ti permette di viaggiare avanti e indietro è anche un importante strumento di espressione/comunicazione
e sensibilizzazione sociale.
 
C'è un fotografo che ami più di altri? perchè?
Ci sono foto che preferisco rispetto ad altre di fotografi diversi, in questo momento non ho un fotografo in particolare come preferenza.
Dipende molto anche dal mio stato d’animo o dalla mia attuale ricerca personale però apprezzo moltissimo e sono sempre fonte di ispirazione i più grandi del passato come Avedon, Doisneau, Elliott Erwitt.
 
Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Credi nel lavoro di squadra, ma soprattutto in te stesso.
L’insegnamento è importante, studia e fatti guidare dai tuoi insegnanti ma la cosa più importante fai tanta ricerca, pratica e sperimenta tantissimo. Ascolta i tuoi colleghi, con umiltà avvicinati alle persone, condividi e affronta le tue paure.
  
Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli di guardare/spulciare, a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Ci sono Tantissime riviste da guardare! Alcune delle mie riviste preferite al momento sono
Document Journal
iD
Vice
Paper Journal
Alla Carta
Rocketscience
Dazed
 
Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?
Assolutamente forza, Instagram è la vetrina di ogni fotografo.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta? 
Si, ho scattato questa foto a mia Nonna qualche mese prima che morisse.



Se la fotografia fosse una ricetta culinaria, quale sarebbe?
1 kg di Dedizione e pazienza
2 Kg di Passione e umiltà
q.b. Fortuna
5 kg di Amore

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Perché?
La vita è una sola e va vissuta a colori.

 Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
- Famiglia
- Amore
- Creatività

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?  
Il desiderio di realizzare i miei Sogni.
Ma anche la signora al primo piano che inizia le faccende domestiche alle 5!

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Credo che ogni artista abbia una grande responsabilità, una voce potente che può aiutare a cambiare questo mondo in un posto migliore, specialmente in tempi come questi.
Non sono e non mi sento un supereroe ma nel mio piccolo e con i miei lavori cercherò sempre di contribuire a mandare un messaggio di accettazione sociale e culturale.


 


13.12.2021 # 5854
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ilas:
intervista a Silvio Acocella

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Silvio Acocella nasce nel 1983 a Salerno. Dopo gli studi universitari decide di dedicarsi alla fotografia frequentando la ILAS sotto la supervisione di maestri quali Ugo Pons Salabelle.
Dopo la scuola si trasferisce a Milano e lavora a stretto contatto con numerosi fotografi di moda, tra tutti Peter Lindbergh. Tornato a Salerno lavora con Ferdinando Califano e apre nel 2010 il suo primo studio fotografico.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
Diciamo che ho sempre avuto la passione per la fotografia, da piccolo prendevo la yeshica a pellicola di mio padre e mi piaceva sperimentare, poi mi hanno regalato una telecamera, insomma crescendo la mia passione è aumentata, insomma avevo deciso che la fotografia avrebbe fatto parte della mia vita. Ho iniziato a fotografare per hobby, poi ho deciso di studiare alla ilas per approfondire, mi sono trasferito a Milano lavorando lì un anno e poi sono tornato al sud, dove sono di base a Massa Lubrense.

Come hai, stai, e pensi di affrontare per i prossimi mesi questo periodo di crisi sanitaria globale? C’è stato qualche cambiamento lavorativo?
Venendo a mancare tutto il resto di attività che prevedono una documentazione fotografica, ho avuto la fortuna di avere come cliente un’azienda che mi ha commissionato foto per un e-commerce, settore invece che per fortuna non ha avuto problemi, anzi tutto l’opposto, in questo periodo. Diciamo che cercando, soluzioni si trovano.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Un ricordo bellissimo, la scuola, il personale, la direzione. Su tutti il mio docente di Fotografia Ugo Pons Salabelle. Nonostante siano passati più di dieci anni da quando ho frequentato il corso ilas, ci sentiamo ancora e gli chiedo ancora consigli!

Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare fini ad oggi? C’è qualche aneddoto?

Diciamo che nel mondo della fotografia, disavventure tecniche succedono quasi spesso, anche quelle con i clienti. Forse ricordo meglio le cose belle ed è una fortuna, tra tutte quando ho lavorato con Lindbergh nell’anno i cui ho vissuto a Milano, un’ esperienza che ricorderò tutta la vita!

C'è un fotografo a cui ti ispiri? Perché?
Tra i miei preferiti Martin Parr e Peter Lindbergh, ovviamente per ragioni opposte, ma in generale mi piace entrare nella testa dei fotografi e capire il loro punto di vista. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Dunque, non è un periodo facile, ma direi che - se è davvero quello che vogliono fare - di andare contro tutti (perché molti gli diranno che fare foto è un hobby non un lavoro) e studiare un sacco.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?

Non ho una foto che mi rappresenta più di altre, forse, tra tutte le mie foto, sicuramente quelle scattate in bianco e nero.

Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?
Un dolce molto carico, pieno di zuccheri. Prima lo mangi e sei soddisfatto, dopo vieni assalito dai sensi di colpa.

Ha la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Perché?

Bianco e nero, assolutamente. La fotografia per me è Bianco e Nero. E se penso al bianco e nero penso a Mimmo Iodice.

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Visti i tempi non saprei, sicuramente mi piacerebbe aumentare anche la produzione video, un settore che secondo me deve andare di pari passo con la fotografia.

01.12.2021 # 5848
Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

Urania Casciello //

Generazione ilas:
intervista a Emilia Apostolico

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

(Urania Casciello) Come ti descriveresti? 
(Emilia Apostolico) Mi definisco una persona consapevole. Può sembrare strano, ma la consapevolezza non è  scontata, la consapevolezza dà spessore e forma alla mia esistenza.

Hai sempre saputo di voler fare la fotografa?
No, ma ho sempre saputo che avrei fatto qualcosa di creativo, di assolutamente divertente.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Ero in un momento della mia vita in cui, appunto, mi  mancava la consapevolezza di diverse cose, ma è stata una bella esperienza. Una scuola seria, insegnanti fantastici. Ugo Pons Salabelle, in particolare, mi ha lasciato un ricordo bellissimo. Un uomo ricco di cultura, le sue lezioni: indimenticabili!
 
Il tuo lavoro ti porta ad essere in contatto costante con le famiglie, maternità e bimbi appena nati. Cosa ti piace di più del mondo della fotografia family? Cosa si prova?
 È un mondo meraviglioso. Condivido momenti importanti, dinamiche nuove. Ho sempre davanti la parte più bella dell'umanità, e poi stare vicino ai neonati è magico.
 
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare fino ad oggi?
La sfida  più grande è quella di riuscire sempre ad entrare in sintonia con i miei clienti. Quando si realizzano questi particolari tipi di servizi fotografici si entra in intimità, le persone si mettono a "nudo" e devono sentire di potersi fidare. Ogni volta che entro in sala di posa devo sgombrare la mente da tutti i miei pensieri e sentire le loro emozioni.  


Come hai, stai, e pensi di affrontare per i prossimi mesi questo periodo di crisi sanitaria globale? C’è stato qualche cambiamento lavorativo (o nella gestione del lavoro)?
Sicuramente nello studio c'è l'adeguamento al protocollo Covid che, in realtà, eccetto l'uso della mascherina, non ha modificato di molto quelle che erano già le norme di igiene e sicurezza che, fotografando bambini di pochissimi giorni, già adottavo.  

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
La sua forza evocatrice, la sua potenza.

C'è un fotografo a cui ti ispiri? Perchè?
Leticia Reig, una fotografa spagnola. Le sue foto mi commuovono e le sento molto vicine al mio stile.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di intraprendere un rapporto profondo con sé stesso, dare ascolto ai propri sogni e individuare bene la strada da percorrere. Fatto questo, che è la parte più difficile, poi investire tanto nella formazione e nello studio costante.

 Ha la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Perché
Colori. Il colore mi dà tutte le sfumature, infinite possibilità.

Tre cose di cui NON potresti fare a meno sulla terra.
L'amore, l'arte, l'allegria.

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