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16.06.2022 # 6075
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Cimeli di (ex) atleti e sportivi in una wunderkammer dove le storie di imprese epiche e prodigiose diventano arte

Chi è Marco Craig

Figlio dell’attore e doppiatore Mimmo Craig, fin da piccolo ha avuto modo di osservare le fasi di preparazione di spettacoli teatrali restando affascinato dal potere della regia, dai cambi di personalità degli attori attraverso il make-up e i costumi, la disposizione delle luci. Tutto un mondo che lo ha influenzato portandolo ad appassionarsi poi al cinema e alla fotografia. Da ragazzo studia presso una scuola d’arte ma approfondisce estetica e tecnica della fotografia nel prestigioso studio fotografico di Aldo Ballo e Marirosa Toscani.

L’arte della regia appresa da piccolo in teatro osservando maestri come Strehler, gli servirà per realizzare le immagini delle campagne pubblicitarie per conto di grandi agenzie pubblicitarie come Young & Rubicam, Leo Burnett, Ogilvy & Mater, Publicis e altre ancora.

È inoltre autore di servizi e copertine per riviste internazionali tra le quali: Wallpaper, Vogue, Elle, Vanity Fair, Brutus Japan.

Ma, con una buona dose di eclettismo, realizza anche immagini per il design e l’arredamento e pubblica alcuni libri tra cui NYC Marathon do not cross le cui immagini mostrano scene di backstage della famosa maratona di New York. Un volume che fa comprendere non poco l’interesse di Marco Craig sul mondo che vive intorno a un evento sportivo.

Gli occhialini di Federica Pellegrini © Marco Craig


Witness 1:1

Witness. Testimonianze. Del mondo olimpico e dello sport.

Marco Craig è uno che lo sport lo segue, lo pratica (attualmente si dedica al tennis) e si appassiona alle storie che ci sono dietro agli atleti. Alle loro imprese. Alla ricerca dei dettagli che ne enfatizzano le storie stesse.

Diventando una sorta di fan feticista ma con un meticoloso istinto di catalogatore di memorie. Esalta, attraverso le proprie opere, momenti di gloria che hanno segnato l’immaginario sportivo collettivo.

Stringere la mano a un idolo ci farà dire, «io l’ho toccato!» come aver catturato parte di un’aurea pensando che “indossarla” su di sé funzionerebbe allo stesso modo per una specie di transfert per niente dimostrabile scientificamente. Pensare che in quella fascetta che fermava i capelli di Björn Borg ci sono vecchie tracce di sudore che un giorno potrebbero servire a clonare nuovi campioni del tennis, è qualcosa che supera l’immaginazione ma che può farci sentire legati al futuro remoto. O, perlomeno, stabilire una corrispondenza d’amorosi sensi. Come direbbe Ugo Foscolo.

Ma Marco Craig elabora un concept alternativo alla semplice infatuazione del mito dell’atleta.

Come un grande giornalista d’inchiesta ha indagato oltre quelli che erano gli indumenti indossati da (ex) atleti entrando in contatto con musei, collezionisti, familiari, aziende, andando a spulciare aneddoti ed emozioni delle loro imprese memorabili.

 

Con un collezionista è stata abbastanza dura. Dopo sette cene che gli avevo offerto per trattare il prestito di uno dei cimeli, finalmente gli risultai simpatico e si fidò concedendomi il pezzo che volevo ritrarre.

 

1:1

I guanti di Giacomo Agostini, la piccozza di Walter Bonatti, le pagine del diario di bordo di Ambrogio Fogar, gli occhialini di Federica Pellegrini, una maglietta epica di Maradona… cimeli inseriti in buste, messi sottovuoto e poi fotografati in scala 1:1. E sembra strano vedere la tuta di Alberto Tomba più piccola rispetto a quanto invece immaginiamo la sua stazza in quel metro e ottantadue di altezza ma, spiega Marco Craig:

 

In realtà la tuta è molto elastica e quindi si presenta piccola se non è indossata.

 

Ma non è tutto.

Per ogni riproduzione del cimelio in busta sottovuoto, è applicata una targhetta scritta in stampatello e a mano, dallo stesso Craig, su cartoncino da imballaggio con tutti i riferimenti dell’oggetto. Oggetto, nome dell’atleta, l’evento in cui è stato usato l’oggetto, data, luogo dell’evento, storia didascalica dell’evento. Tutto rigorosamente in inglese ma non preoccupatevi se non conoscete qualche parola di inglese perché accanto a ogni opera esposta c’è l’etichetta didascalica sul muro anche in italiano. Brevi informazioni che riportano il pubblico a riflettere anche sui periodi storici dell’attualità socio-politica dell’epoca.

Si tratta di una sorta di disposofobia positiva questa di Marco Craig che ha realizzato una wunderkammer estemporanea per fissare storie di oggetti che diventano protagonisti di imprese sportive epiche, entrati a stretto contatto con gli atleti. Usurati, sporchi di sforzi, lasciati con tracce di DNA invisibile ma emozionalmente percepibile.  

Cimeli le cui riproduzioni continueranno a viaggiare con le loro storie divenute ormai opere d’arte grazie alle immagini di Marco Craig.

 

Informazioni Tecniche:

Stampe fotografiche FineArt montate su alluminio, cornice in rovere e vetro. Dimensioni diverse – Edizione di 5 esemplari + 2 p.a.

 


 

 

WITNESS 1:1

di Marco CRAIG a cura di Marina Guida

PAN Palazzo delle Arti Napoli – Via dei Mille, 60, 80121 Napoli

Dal 12 giugno al 4 luglio 2022

Tutti i giorni dalle ore 09:30 alle 19:30

Ufficio Stampa: Anna Chiara Della Corte acdellacorte@gmail.com Tel. 333 8650479 


In copertina: bicicletta di Giuseppe Saronni © Marco Craig

20.09.2022 # 6132
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico

Fotografare e scrivere. Un (per)corso creativo dello psicoterapeuta Alfredo Toriello che presenta il 21 settembre all‘A‘ Mbasciata

Abbiamo cinque sensi che percepiscono il mondo intorno a noi.

Abbiamo cinque sensi che raccolgono dati che shakeriamo, frulliamo, qualcuno lo memorizziamo singolarmente e lo stipiamo nel nostro hard disk cerebrale. Dati che conserviamo, a volte inconsapevolmente, a breve, media o lunga scadenza. A volte ci sono dati che crediamo di aver rimosso per sempre ma riemergono in talune circostanze. Nel bene o nel male.

È la gestione di quei dati che formano la nostra personalità, il nostro umore, modulano i nostri rapporti col mondo amicale, familiare, lavorativo.

Siamo fatti di dati. Di esperienze. Di storie vissute. E a volte non riusciamo a controllare il succedersi degli eventi.

Tutte le informazioni che assorbiamo attraverso i nostri sensi, non sempre sono esenti di rumori, disturbi, influenze. E questi ci riesce difficile filtrarli per (ri)stabilire l‘equilibrio con noi stessi.

 

A volte abbiamo bisogno di un aiuto, di una guida, per ritrovarci. Per ristabilire quel contatto armonico tra mente e corpo affinché la nostra presenza non sfugga da noi stessi.

Alfredo Toriello è uno psicoterapeuta laureato alla facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma ed è giunto alla sua settima edizione di Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico.

Un‘attività multidisciplinare di consapevolezza e conoscenza dell‘io che approda nel filone della fototerapia. Con tutti titoli e le competenze annesse.

«Eh, ma la fotografia è terapeutica di per sé» potrebbe dire qualcuno. Certo. Come dipingere, suonare, dedicarsi alla ceramica o altri hobby che rilassano e auto-gratificano. Ma qui parliamo di altro.

 

Fotografia e scrittura viaggiano parallelamente in questa avventura del diario psicofotografico.

Ogni partecipante del corso di Alfredo Toriello, traccia la propria vita quotidiana attraverso una fotografia al giorno da scattare e tre pagine di diario da scrivere. Ogni giorno.

Se capita una giornata in cui non si ha nulla da raccontare, si lasciano le pagine in bianco. Ma è quasi impossibile non riuscire ad appuntare qualche riga perché intorno e dentro di noi accadono sempre cose o, almeno, si sogna e immagina qualcosa. A volte parole scritte di getto che possono sembrare sconnesse tra loro, dicono molto più di un pensiero razionale. A chi ha gli strumenti per interpretare. Perché non sono importanti la buona grammatica o la sintassi, ma il pensiero. E va bene anche trascrivere la lista della spesa o imprecazioni, desideri, descrizioni di luoghi visitati…

Quanto alla foto quotidiana, è sicuramente più semplice. Non è importante essere fotografi. Non occorre la fotografia ben fatta o bella ma il momento che abbiamo fissato anche con un semplice telefonino.

Momento inteso come attimo di percezione che cattura la nostra attenzione. Qualunque soggetto esso sia.

«Dimmi come e cosa fotografi e ti dirò chi sei» verrebbe da dire. Ma il lavoro è più complesso.

 

Tre pagine di diario e una fotografia al giorno. Per sei mesi.

Alfredo Toriello inizialmente non dà altre linee guida che vadano al di là dell‘obiettivo che si propone. Fissa, nell‘arco dei sei mesi, dodici incontri di gruppo con i partecipanti per visionare e discutere volta per volta le “mappe del territorio” che si vanno delineando, assegnando via via anche dei “compiti a casa”, per sviluppare al meglio l‘esperienza individuale e quindi collettiva attraverso lo scambio di esperienze stesse.

Mappe del territorio intese come mappe di informazioni sensibili. Dati grezzi raccolti dai partecipanti che Toriello distillerà per il percorso psicofotografico.

Al termine di questo, che potrebbe sembrare un gioco ma in realtà è un processo di consapevolezza e conoscenza mediato da attività creative (fotografia e scrittura), dodici foto e dodici testi rappresenteranno il diario psico-fotografico finale: Memorie di me.

 

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico è alla sua settima edizione a Napoli. Altre cinque si sono svolte tra Aversa e Roma. Il format è stato oggetto di studio per due tesi di laurea sviluppate da due studentesse di psicologia della Sapienza di Roma. Tali tesi hanno avuto la supervisione di un gruppo di controllo che ha dimostrato vantaggi maggiori in chi ha seguito la procedura del diario psicofotografico rispetto a chi ha realizzato solo fotografie perseguendo gli stessi fini.

Il corso può essere seguito da chiunque sia maggiorenne. Destinato a persone interessate alla fotografia e all‘aspetto del processo creativo dell‘iniziativa. E, ovviamente, al benessere di se stessi.

 

Chi è Alfredo Toriello

Nasce a Cava dei Tirreni nel 1972. Laureato alla facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma.

Psicoterapeuta Sistemico.

In ambito clinico si occupa di individui, coppie e famiglie.

Da diversi anni utilizza tecniche di fototerapia e fotografia terapeutica, sia in ambito clinico sia in ambito sociale e ha sviluppato un modello nuovo di lavoro che definisce PsicoFotografia.

Il suo ultimo progetto sul Diario PsicoFotografico, è frutto dell‘esperienza maturata in questi anni nel campo della fotografia e della scrittura autobiografica.

Esperto in tecniche psicocorporee e meditative organizza periodicamente seminari residenziali.

Conduce gruppi evolutivi che hanno come obiettivo la conoscenza di sé e uno sviluppo armonico dell‘individuo.

 

 

 

Memorie di me. Appunti per un diario psicofotografico

Presentazione del corso e del libro d‘artista

Mercoledì 21 settembre 2022 - ore 19.00

A‘ Mbasciata

Via Benedetto Croce, 19 - Napoli

Sarà illustrata la struttura del corso, le novità e i lavori dei partecipanti dello scorso anno.

info al 370 1092684

Evento Facebook

08.09.2022 # 6115
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Italia In-Attesa, 12 racconti fotografici sul lockdown in Italia

A Napoli, fino al 18 settembre, oltre 100 foto alla Casa della Fotografia in Villa Pignatelli

Italia In-Attesa. Un‘Italia inattesa è in attesa. Un titolo che Alberto Berengo Gardin ha reso graficamente sulla copertina cartonata e telata del catalogo, con un ulteriore significato dividendo le parole: Italia (primo rigo), in-at (secondo rigo), tesa (terzo rigo).

“In-at” interpretabile come preposizioni in inglese. E poi quel “tesa” che lascia ricordare la tensione che abbiamo vissuto durante le due chiusure per causa pandemia.
Un‘Italia inattesa, in attesa e tesa. In maniera inattesa ci si è trovati catapultati nel lockdown.

9 marzo - 4 maggio 2021. È stato il periodo più angosciante della storia italiana per chi è nato dopo la II Guerra Mondiale. Smart working, lavoro in presenza solo per attività indifferibili con autocertificazione al seguito. Didattica a distanza per le scuole. Scontrini fiscali chilometrici del supermercato dove si entrava previa misurazione della febbre e con guanti monouso in lattice. Mascherine a gogo. Qualcuno con visiera protettiva.

Bollettini giornalieri dei contagi alla tv trasmessi da una sala stampa da clima dell‘ex URSS. Ecc. ecc.

Un coprifuoco vissuto senza bombardamenti. In una guerra silenziosa durante la quale non c‘era Radio Londra a dare le notizie, ma social e mainstream che narravano tutto e il contrario di tutto.

Come si fa a non dimenticare…

 

Nel frattempo il paesaggio urbano e quello naturale assumevano un altro aspetto.

I delfini si avvicinavano alle coste. Orsi, cinghiali, rapaci ed altri animali selvatici entrarono nei “confini” urbani. Le piazze e le strade delle città completamente deserte. Niente umani, niente suoni e rumori se non qualche canzone dai balconi dove qualcuno espose lenzuola con l‘arcobaleno con quella frase “andrà t…” che è meglio non riscrivere.

In quel periodo tanti fotografi bloccati in casa lavorarono su altro e di alcuni ne scrissi qui, ma ci fu un gruppo di alcuni fotografi, autorizzati dal Ministero della Cultura, che realizzarono immagini sul campo.

 

“Italia in-attesa” rappresenta una delle tre azioni, distinte ma complementari, del progetto 2020FermoImmagine (www.2020fermoimmagine.beniculturali.it) - ideato e organizzato dal MiC con il coordinamento della Direzione Generale Creatività Contemporanea - insieme alla mostra “Città sospese. I siti italiani Unesco nei giorni del lockdown” e “REFOCUS”, open call per fotografi under 40, lanciate nel 2020 per indagare l‘Italia durante le misure di contenimento dell‘epidemia.

- dal comunicato stampa

 

La Casa della Fotografia in Villa Pignatelli ospita le immagini di dodici fotografi: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr, George Tatge.

Non tutte le fotografie sono realizzate necessariamente in campo. Come quelle di Francesco Jodice che con Falansterio espone vedute aeree di edifici totemici estratte da viste satellitari, stando comodamente seduto sul proprio divano di casa.

Silvia Camporesi ci mostra spazi ludici disabitati e negati come le giostre dei giardini pubblici recintati dal nastro segnaletico rosso-bianco.

La distopia di Venezia è rappresentata da Paola De Pietri. Piazza San Marco e il Lido deserti. Ma è l‘assenza di gondole e vaporetti che ti rende incredulo e, se ti fossi risvegliato da un sonno durato oltre due anni, vedendo quelle foto penseresti che si tratti del set di un film di Spielberg.

Ma qualcosa viveva in quei giorni, e infatti Andrea Jemolo, oltre a mostrarci Piazza di Spagna e piazza Navona completamente deserte, ci riporta alla vita con uno scorcio dove c‘è un‘insegna accesa: “forno”.

È successo tutto questo? Sì, è accaduto. Con serie conseguenze sull‘economia, sulla socialità e sulla psicologia delle persone.

Ma non bisogna dimenticare. E infatti queste immagini contribuiranno alla memoria storica per noi stessi e per i posteri.

 

Il progetto di questi dodici racconti è stato esposto per la prima volta nel 2021 nelle sale di Palazzo Barberini - Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma. Una mostra che alla sua seconda tappa approda a Napoli.

Immagini destinate alla «creazione di un archivio visivo dell‘Italia durante la pandemia, che ha permesso di comprendere come l‘emergenza sanitaria ha influito sullo sguardo e sulla coscienza di alcuni dei principali narratori visivi italiani».

 


 

Italia In-Attesa

Progetto curato da Margherita Guccione e Carlo Birrozzi

Allestimento di Napoli: Marta Ragozzino (direttrice regionale Musei Campania) e a cura di Alessandro Demma

Villa Pignatelli – Casa della fotografia

Riviera di Chiaia 200, Napoli

15 luglio > 18 settembre 2022

Orari: mercoledì-lunedì 9.30-17.00 (martedì chiuso). La biglietteria chiude alle 16.00

Biglietti: intero 5€, ridotto 2€ (18-25 anni), gratuito under 18 e categorie secondo normativa vigente (cultura.gov.it/agevolazioni).


Foto di copertina: Paola De Pietri - Venezia, 2020

05.09.2022 # 6113
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Non dite alla madre di Sara Munari che è andata nello spazio

Un viaggio impossibile con prove fotografiche schiaccianti che dimostrano l‘esistenza di una storia accaduta. Nella mente o nella realtà non ha importanza

C‘è chi quando perde una persona cara non cancella il suo numero di telefono dalla rubrica del telefono e non la rimuove dai suoi contatti sui social.

Non solo continui a custodire nel cuore e nella mente i ricordi vissuti con tale persona, ma sei tentato di provare a telefonarla. Mantieni una speranza che possa risponderti da chissà quale luogo. Poi ti fermi mentre stai per cliccare su quel nome e compaiono i lucciconi agli occhi.

Al massimo scrivi un post sul suo profilo. Magari in occasione del suo compleanno. Per condividere con gli amici in comune la grande mancanza che avverti. O degli aneddoti carini vissuti insieme.

Condividere anche dolori e tristezze è cosa umana.

A volte quelle persone care ti vengono a trovare nei sogni. Ridiamo, scherziamo in posti indefiniti ma che avvertiamo reali, ci si abbraccia e al risveglio ci sentiamo un po‘ delusi ma sollevati. A volte felici per il resto della giornata.

 

Quando un parente stretto inizia ad allontanarsi da noi un po‘ alla volta, è sempre un dramma. Un distacco biologico graduale che ci impedisce di comunicare in maniera lucida. Il tempo che scorre ci prepara lentamente alla perdita. Mettendoci a dura prova quando si giunge a quella volta in cui non siamo più riconosciuti.

Momenti in cui nascono meccanismi di sopravvivenza emotiva. Cercando nuovi canali di comunicazione, inventandoseli, pur di mantenere un legame con chi è stato parte della propria vita. Cercando di non farsi travolgere dal quel labirinto di nuvole che ti rende impotente.

 

Attenzione, chi non crede ai mondi oltre, può accomodarsi fuori la porta dove è appeso il cartello su cui è scritto “Other places”. Perché sembra che le prossime righe siano tratte da un racconto di fantascienza o da un dipinto surrealista. Ma invece è tutto vero. Ci sono le foto che lo dimostrano. È tutto reale. Nessun programma di fotoritocco. C’è anche un video che testimonia l‘esperienza di Sara che, tiene a precisare, ha piena facoltà di intendere e di volere.

 

Sara Munari intraprende un viaggio tenuto nascosto alla madre per anni. È nata nel 1930 e adesso ha 88 anni.

Adesso Sara può raccontare tutto perché sono decaduti tutti i termini di segretezza di quando lavorava per la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration).

 

Nel 1958 fondiamo la NASA (National Aeronautics and Space Administration) l‘agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d‘America e della ricerca aerospaziale.

Nel 1959 creo un settore personale, la RASA (Rational Aeronautics and Space Administration e acronimo del mio nome), che si occupa solo di avvenimenti considerati realmente accaduti perché scientificamente provati (da qui Rational).

Io sono quello che viene definito “membro occulto” quindi il mio nome non è mai potuto comparire per ragioni di sicurezza, così come il settore RASA.

 

Se non ci credi significa che non ti sei accomodato fuori quella porta.

Non ditelo a mia madre è l‘opera che racconta il viaggio compiuto dall‘autrice per ritrovare il padre sofferente di Alzheimer, sul pianeta Musa 23 (MUnari SAra).

È una metafora nata dall‘incapacità di comunicare con chi è affetto da Alzheimer. Un viaggio in cui Sara incontra altri umanoidi ma si confronta solo con l‘extraterrestre x23. Il padre, che deve poi forzatamente tornare sul suo pianeta. È il distacco da chi non ha più possibilità di miglioramento dalla malattia.

Il racconto fotografico ha un approccio ironico. Una scelta legata agli interessi del padre di Sara Munari: «persona socievole e fantasiosa, amante di tutto ciò che riguarda lo spazio e la possibilità dell‘esistenza di altre forme di vita».

Sara Munari ritorna sul pianeta Terra e al risveglio si ritrova in quel limbo in cui lei stessa non sa se sia stato tutto reale. Ma nella stanza trova fotografie che testimoniano il suo viaggio.

Vecchie fotografie usurate e ammuffite dal tempo. Ma quale tempo? Metafisico? Surreale? Chi decide che il tempo sia quello vissuto nel mondo reale? E quali sono i canoni del reale? I sogni esistono fisicamente da qualche parte? Ma, innanzitutto, possiamo avere la libertà di immaginare mondi paralleli e magari crederci fino a prova contraria? Essere irrazionali, fantasiosi, immaginatori, non fa bene alla propria mente per evadere ed esorcizzare ciò che riteniamo sia la realtà?

Immaginare costa zero, in fondo. E Sara non è detto che sia nata il 23 maggio 1972 come dice la sua anagrafe, ma nel 1930.

 

Mi chiamo Sara Munari, sono nata nel 1930 a Milano, in Italia.

La mia famiglia è emigrata a New York l‘anno successivo.

Dopo innumerevoli studi, tenuti nascosti fino ad oggi, posso dire di aver scoperto la vita su un altro Pianeta.

Ho 88 anni, ho piena facoltà di intendere e di volere.

Qui ci sono i miei studi e le mie scoperte. Dopo quello che vi mostrerò non avrete più dubbi.

Finalmente posso raccontare tutto.

 

Bio

Sara Munari nasce a Milano il 23 maggio 1972 ma gira il mondo. Espone in Italia ed Europa presso gallerie, Festival e musei d‘arte contemporanea. Fa da giurata e lettrice portfolio in Premi e Festival Nazionali. Gira l‘Italia per tenere conferenze, corsi e letture portfolio. Vince, coi i suoi lavori, premi nazionali e internazionali.

Attraverso una continua ricerca, sviluppa storie visuali che approfondisce, attraverso la contaminazione di più media, partendo sempre da una base fotografica.

Scrive quattro libri di teoria sulla fotografia e ne pubblica di quattro di sue fotografie. Docente di Storia della fotografia e comunicazione visiva presso Istituto Italiano di Fotografia e di Linguaggio e Costruzione del racconto fotografico in molte sedi italiane. Ha un blog di fotografia molto seguito in Italia: www.saramunari.blog

Apre nel 2019 Musa Fotografia, centro per corsi, mostre, presentazioni e tutto ciò che riguarda la fotografia, a Monza. Ottiene premi e riconoscimenti a livello internazionale.

Si diverte con la fotografia, la ama e la rispetta e non sa perché ha scritto in terza persona... forse fa finta di non conoscersi.

 

 

Non ditelo a mia madre di Sara Munari

1-26 settembre

10:00-13:00

15:00-19:00

Grenze | Galleria d‘Arte Contemporanea

in collaborazione con Isolo17 Gallery

Via XX Settembre 31b

37129 Verona

Ingresso gratuito

Per scoprire di più sulla mostra: https://www.grenzearsenalifotografici.com/sara-munari

Grenze Arsenali Fotografici 2022

V edizione


01.07.2022 # 6088
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Fotografe! Fotografia al femminile tra presente e passato. Dagli archivi Alinari al contemporaneo

Affinità estetiche, tecniche e creative di una fotografia donna che viaggia senza cronologia temporale

Arrivano le fotografe! Di ieri e di oggi. Dal ‘900 al ventunesimo secolo. Una mostra sperimentale che affianca dagherrotipi a fotografie contemporanee stampate con processo Giclée. Ritratti di Diane Arbus o di Dorothea Lange attraverso i quali si possono scoprire relazioni, analogie, fili conduttori con i ritratti di alcune delle dieci fotografe contemporanee coinvolte in questa esplorazione estetica.

Nessuna cronologia. Nessuna intenzione di raccontare in funzione temporale la storia della fotografia. Un po‘ come allestire l‘album di famiglia affiancando la foto del proprio matrimonio a quella dei nonni. Come abbinare la foto della gita in barca a remi dei genitori nel laghetto di Villa Borghese a quella che ci siamo scattati all‘ombra dei Faraglioni a Capri.

Analogie, differenze, suggestioni, per temi e generi dove il ritratto fotografico la fa da padrona.

Non si tratta di approfondire uno “sguardo femminile” ma di individuare la centralità di alcune personalità – spesso sottostimate - nello sviluppo della ricerca fotografica sin dai suoi albori.

 

La presenza delle autrici contemporanee costituisce un ulteriore momento di riflessione che investe le pratiche artistiche odierne, a partire dal rapporto con il passato e con la memoria, siano esse individuali o collettive, all‘interno di un mondo in continuo mutamento, dove anche i ruoli sociali e i paradigmi ad essi legati sono in costante divenire

 

Ma chi sono queste autrici contemporanee? Sono dieci italiane. Eccole: Eleonora Agostini, Arianna Arcara, Federica Belli, Marina Caneve, Francesca Catastini, Myriam Meloni, Giulia Parlato, Roselena Ramistella, Sofia Uslenghi, Alba Zari.

Fotografe contemporanee anche perché la fotografia è per loro solo un pretesto di contorno al tipo di attività multimediale che svolgono.

I curatori Emanuela Sesti e Walter Guadagnini non hanno cercato competizioni tra loro e le autrici del passato come Julia Margaret Cameron, Dorothea Lange, Margaret Bourke-White, Lucia Moholy, Maria Mulas, Ketty La Rocca, Lisetta Carmi, Diane Arbus, Bettina Rheims, ma l‘intento è quello di innescare un ulteriore momento di riflessione che investe le pratiche artistiche odierne, a partire dal rapporto con il passato e con la memoria.

Mischiare il passato con il presente. Una ibridazione di tempi storici che sorprende per le affinità estetiche o anche di ricerche tecniche tra l‘analogico e il digitale.

 

Questa mostra celebra il modo in cui le donne del passato e quelle contemporanee hanno guardato il mondo attraverso l‘obiettivo di una macchina fotografica – cosa hanno scelto di vedere e come hanno scelto di vedere se stesse.

- Margie MacKinnon, co-fondatrice e presidente di Calliope Arts,

 

C’è stato un gran bel lavoro di squadra per mettere a punto questa mostra. Grazie a Calliope Arts, ente no profit con sede a Firenze e Londra, nato per valorizzare e salvaguardare il patrimonio culturale delle donne attraverso il suo progetto Restoration Conversations, la mostra si arricchisce di due sezioni dedicate a fondi degli Archivi Alinari: quello delle sorelle Wanda Wulz (Trieste 1903-1984) e Marion Wulz (Trieste 1905-1990) e quello di Edith Arnaldi (Vienna 1884-Roma 1978), nota soprattutto come scrittrice ed artista di area futurista con lo pseudonimo di Rosa Rosà.

Molte opere inedite, alcune stampate direttamente dai negativi originali, che restituiscono alla fruizione pubblica i risultati di una prima ricognizione su materiali finora sconosciuti.

 

Nell‘ambito della mostra, distribuita in un itinerario tra Forte Belvedere e Villa Bardini, visite guidate, incontri con le autrici e laboratori gratuiti per famiglie e bambini dai 7 ai 12 anni: il laboratorio “L‘arte del vedere. Atelier per giovani fotografi” a cura di MUS.E, durante il quale i bambini potranno avvicinarsi al linguaggio fotografico in chiave giocosa; e il laboratorio “Erbario in cianotipia”, a cura di Fotonomia, in cui i bambini verranno guidati nella realizzazione di stampe fotografiche con la tecnica della cianotipia.

 

 

 

FOTOGRAFE! Dagli archivi Alinari a oggi

a cura di Emanuela Sesti e Walter Guadagnini

Dal 18 giugno al 22 ottobre 2022

Informazioni:

FIRENZE: Villa Bardini, Costa San Giorgio 2;  Forte Belvedere, via San Leonardo 1

Orario: Da martedì a domenica, ore 10.00 – 20.00 Lunedì chiuso, eccetto il 15 agosto  

Ingresso: Intero 10 euro. Ridotto 5 euro (giovani dai 18 ai 25 anni, studenti universitari muniti di tesserino, soci Touring Club Italiano, FAI, dipendenti Toscana Aeroporti, soci delle Associazioni “Conoscere Firenze” e “Amici dei Musei”)

Speciale riduzione 2X1 riservata per i soci Unicoop: due biglietti al prezzo di uno. 

Gratuito fino al compimento del 18° anno di età, gruppi di studenti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, guide turistiche e interpreti, giornalisti muniti di tesserino, disabili e rispettivi accompagnatori, membri ICOM, ICOMOS e ICCROM, possessori della Card del fiorentino. 

Il biglietto è valido per le due sedi e consente la visita anche alla mostra di Rä di Martino “Play it again”, in corso nella Palazzina del Forte di Belvedere.  

 

Ufficio Stampa Davis & Co. Caterina Briganti | Lea Codognato  Tel. 055 2347273 | +39 340 9193358 info@davisandco.it  – www.davisandco.it

Federica Sanna Coordinatrice Ufficio comunicazione Fondazione CR Firenze Tel. + 39 337 1158024 federica.sanna@fcrf.it Linda Falcone Restoration Conversations - Calliope Arts Tel. +39 347 4891086 linda@restorationconversations.org

28.06.2022 # 6087
Marco Craig in mostra al PAN con Witness 1:1, testimonianze dal mondo dello sport

Marco Maraviglia //

Chernobyl Herbarium di Anaïs Tondeur in mostra alla Spot Home Gallery

L’alchimia delle connessioni tra sapere scientifico, filosofia, antropologia e arte per un contatto tra passato e futuro di una identità umana smarrita

Un laboratorio di Bruxelles. Protocolli di massima sicurezza. Anaïs Tondeur indossa una tuta a prova di radiazioni nucleari. Probabilmente sente solo il suo respiro mentre si dirige verso una delle darkroom più insolite del pianeta ubicata in quel laboratorio del Nord Europa. Completamente a tenuta stagna e non solo dalla luce. Qui non si stampano semplici fotografie destinate al mondo dell’informazione. 

Anaïs ha tra le mani inguantate un “oggetto prezioso”. Blindato in un contenitore al piombo.

In quella darkroom non c’è luce rossa perché non si stampa in bianconero. Si lavora al buio se non il tempo di quella manciata di attimi durante i quali i fotoni impressioneranno un foglio di carta fotografica a colori.


Anaïs Tondeur apre quel contenitore di piombo. Dentro c’è una di quelle piantine che dal 2011 le dona il biogenetista Martin Hajduch col quale ha intrapreso uno dei suoi progetti artistici: Chernobyl Herbarium.

Piante ormai secche, forse geneticamente mutate. Forse non del tutto morte. O forse morte ma ancora rivelatrici di qualcosa. Piantine prelevate dalla Zona di Esclusione di Chernobyl. Vegetazione cresciuta in una terra maledetta con la rabbia e l’energia di chi vuole vivere. Anche solo sopravvivere. Perché la Natura è più forte. Più del bene e del male della mente umana. Quella che cortocircuita il sistema-Natura, per intenderci.


Il 26 aprile 1986 un incidente a un reattore della centrale nucleare di Chernobyl provocò il più grande disastro ambientale che una centrale nucleare avesse mai potuto provocare.

C’è ampia letteratura su quell’episodio. E se ne continua a scrivere. E si continuano a studiare i suoi effetti. Anche in maniera creativa e interdisciplinare come il progetto di Tondeur.


Mentre fuori c’è tutto un mondo che si rincorre, Anaïs Tondeur in quella camera oscura super blindatissima, poggia il delicato relitto vegetale su un foglio di carta emulsionata a colori e vi lascia passare un breve e intenso fascio di luce.

Sviluppa il foglio nei chimici. Ottiene un rayogramma. Ogni volta il risultato è diverso. 

L’incontro chimico-fisico di quel processo è imprevedibile. Luce, emulsione del foglio, liquido rivelatore e residui di radiazioni interagiscono restituendo esplosioni grafiche che raccontano l’invisibile. Come sacre Sindone di una parte di natura del mondo che sta ancora attraversando il suo calvario.


Chernobyl Herbarium è un progetto in itinere, un erbario rayografico con il quale cerco di svelare, tramite la materia stessa delle fotografie, le stigmate dell‘esplosione nucleare sui corpi delle piante di Chernobyl.

- Anaïs Tondeur


Molti dei progetti di Anaïs Tondeur nascono dalla sua capacità di percepire certi accadimenti intorno a lei con un’attenzione particolarmente sensibile. Amplifica e rimescola il reale con l’immaginario, intreccia scienza, filosofia, arte, poesia usando la fotografia come supporto che ricongiunga attività multidisciplinari. Mostrando punti di vista alternativi. Magari utili agli stessi studi scientifici delle persone che via via avvicina per percorrere le sue narrazioni visive.

E così intraprende con il filosofo ambientalista Michael Marder, contaminato dall‘esplosione del reattore nel 1986, il progetto Chernobyl Herbarium.

Nel 2021, in occasione del 35° anniversario dall’esplosione, viene pubblicato il libro Chernobyl Herbarium, La vita dopo il disastro nucleare. L’edizione comprende trentacinque “pièce” comprensive di testi e rayogrammi composti da Michael Marder e Anaïs Tondeur. Ho scritto “pièce” perché meriterebbero di essere recitati in teatro, magari da un Marco Paolini, con proiezione delle immagini sullo sfondo.


…Grazie alla sua pratica estetica, Tondeur fa detonare e dunque rilascia le esplosioni di luce intrappolate nelle piante, le cui linee disperse attraversano i fotogrammi in ogni direzione. Libera tracce luminescenti senza violenza, schivando la reiterazione del primo evento invisibile di Chernobyl e, allo stesso tempo, catturandone frammenti. Liberazione e preservazione; preservazione, memoria, e liberazione: per grazia dell’arte. 

- Michael Marder

 


Cenni biografici (dal comunicato stampa)


Nata nel 1985, Anaïs Tondeur vive e lavora a Parigi. 

Laureata alla Central Saint Martins (2008) e poi al Royal College of Arts (2010) di Londra, ha ricevuto il Prix Art of Change 21 (2021) e la menzione d‘onore Ars Electronica CyberArts (2019).

Il suo approccio artistico è profondamente radicato nel pensiero ecologico e si inserisce in una pratica interdisciplinare attraverso la quale Tondeur esplora nuovi modi di raccontare il mondo, che permettano di trasformare la nostra relazione con gli altri esseri viventi e con i grandi cicli della terra. Incrociando scienze naturali, antropologia, creazione di miti e nuovi media, costruisce una sorta di laboratorio di attenzione e percezione che, attraverso l‘indagine e la finzione, si traduce in percorsi, installazioni, fotografie, esperienze sensoriali o processi alchemici. 


I suoi progetti di ricerca l’hanno portata in spedizioni attraverso l‘Oceano Atlantico, sui confini tra le placche tettoniche, nella zona di esclusione di Chernobyl, sotto la superficie di Parigi, attraverso suoli urbani inquinati o sotto il flusso atmosferico di particelle antropiche. Quando i territori delle sue indagini sono inaccessibili, crea veicoli immaginari che si muovono per lei. È così che ha mandato un sogno nello spazio a bordo di Osiris Rex, una navicella della NASA.


Ha risieduto come Artista in Ricerca e Creazione presso l‘ex deposito di semi della Famiglia Vilmorin (Verrières-le-Buisson, 2020-21), presso Chantiers Partagés a cura di José-Manuel Goncalves, presso 104 (2018-19), Artlink (Irlanda, 2019), al Musée des Arts et Métiers (2018-17), al CNES (2016), al Laboratoire de la Culture Durable avviato dal COAL al Domaine de Chamarande (2015-16), al Muséum National d‘Histoire Naturelle, all‘Institut Pierre et Marie Curie (COP 21, 2015) e a La Chaire Arts & Sciences (École Polytechnique, 2013-15). 


Le sue opere sono state esposte presso istituzioni internazionali come il Kröller-Müller Museum (Paesi Bassi), il Center Pompidou (Parigi), La Gaîté Lyrique (Parigi), il MEP (Parigi), il Frac Provence-Alpes-Côte d‘Azur, le Serpentines Galleries (Londra), il Bozar (Bruxelles), la Biennale di Venezia – Padiglione Francia, (Lieux Infinis), lo Houston Center of Photography (Stati Uniti) e il Nam June Paik Art Center (Seoul).






Esplosioni di luce

Chernobyl Herbarium

Anaïs Tondeur 

Dal 16 giugno al 14 ottobre 2022 

Spot home gallery

Via Toledo, 66 – Napoli


+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

www.spothomegallery.com


Ufficio stampa

Costanza Pellegrini 

costanzapellegrini2@gmail.com

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