Marco Maraviglia //
Erwin Olaf: “I am”. Emozioni latenti senza tempo
Per la prima volta a Napoli in esposizione Al Blu di Prussia
Da venerdì 15 novembre 2024 la stagione espositiva della galleria Al Blu di Prussia – lo spazio multidisciplinare di Giuseppe Mannajuolo e Mario Pellegrino – ha preso il via con la mostra “I Am” di Erwin Olaf, a cura di Maria Savarese.
Sta per accadere. Cosa? Qualcosa. Osserva. Stai attento. Forse è successo e non me ne sono accorto. Mi è sfuggito il tempo. No, aspetta, sta per accadere. In realtà è questo che osservo che sta accadendo. È il presente. Un attimo del presente. Non farti troppe domande. Il futuro o il passato è adesso. Quello stesso adesso che è già indietro nel tempo. Un tempo palindromo, casuale, forse.
Quel tempo che probabilmente non esiste ma siamo abituati a scandirlo, a conviverci, condizionati dalla stessa nostra vita. Dal giorno e la notte. Perché senza il tempo forse nulla esisterebbe. Nulla sarebbe vissuto.
O forse sì.
Non farti domande, immagina solo le risposte. La storia che leggi è tua. Senza una trama. Senza un copione. Perché l‘espressione del pensiero delle persone che osservi in queste immagini può essere così intimo che forse nemmeno loro lo hanno metabolizzato. A volte sono di spalle ma avverti comunque una loro insofferenza. L‘introspezione ha tempi lunghi. A volte è senza tempo. Infinito o senza fine. Sono momenti sospesi, in cui il passato, il presente e il futuro si intrecciano in modo indistinto.
Tu sei solo un intruso che osserva. Anzi, osservi le intrusioni visive create magistralmente da Erwin Olaf. Vorresti chiedere cosa è successo ma non puoi. Resti solo un osservatore.
Le opere di Erwin Olaf, con le loro atmosfere sospese e i loro soggetti enigmatici, invitano lo spettatore a riflettere sul fluire del tempo e sulla complessità dell‘esperienza umana.
Osservare le fotografie di Olaf è un‘esperienza che non si ferma alla sola visione ma tocca le corde emotive del proprio patrimonio esistenziale. La relatività del tempo, l‘inespressività che intriga come più di mille espressioni, scene che sarebbero state invisibili e impossibili nella vita reale perché costruite di proposito sul set dall‘artista.
Perché c‘è del surrealismo a cavallo della metafisica in queste immagini. Il caso che accade.
Erwin Olaf fa un percorso lungo prima di approdare agli ultimi suoi lavori esposti Al Blu di Prussia. Parte con il reportage, decide poi di creare in studio, poi di nuovo reportage, ritrattistica con citazioni mapplethorpiane, di Helmut Newton o di LaChapelle e poi sfocia nel set, allestito in maniera cinematografica, avvalendosi principalmente di attori invece che di modelli. Si perfeziona e ogni sua immagine diventa maniacalmente perfetta. Priva di rumore visivo, quasi asettica ma è quell‘estetica di estrema pulizia formale che fa concentrare l‘attenzione sulla non-azione, sull‘espressione che cela l‘emozione estremamente intima lasciando l‘immaginazione alle varie sfumature delle interpretazioni.
Citazioni del sogno americano, un attivismo visivo che fa comprendere, attraverso anche un simbolismo intravisto, il contrasto del sogno stesso con l‘infelicità e la decadenza di una realtà più concreta. Come in Tke Kite (2018) della serie Palm Springs, in cui madre e figlia di colore durante un picnic ai margini del deserto osservano pale eoliche dove c‘è una bandiera americana strappata tra i rami di un albero. Un concept ricorrente nel lavoro di Olaf, sviluppato con estrema raffinatezza e senza sfociare nella tradizionale Pop Art warholiana ma realizzando immagini anti-pubblicitarie a sfondo sociale.
It‘s not that I want to photograph unhappiness, but I want to photograph emotions I actually feel and life can be unconfortable. I want you to come into my exhibition with a certain mood and come out with a different one – possibly enriched.
(Non è che voglio fotografare l‘infelicità, ma voglio fotografare le emozioni che provo davvero e la vita può essere scomoda. Voglio che tu entri nella mia mostra con un certo stato d‘animo e ne esca con uno diverso, possibilmente arricchito.)
- Erwin Olaf
I am. Io sono la regina Mariantonietta che poso in studio con la mia testa decapitata immersa nell‘etereo bianco e ti guardo quasi con sfida. Io sono la donna che lavora anche se ho i miei problemi per il “ciclo” o probabilmente violentata dal mio capo. Il tutto rivelandosi in un‘atmosfera di presenzassenza.
Luci cupe che richiamano l‘arte fiamminga. Luce in high-key, ossimoro dell‘arte fiamminga, che azzera il tempo contrastando comunque con uno stile esistenzialista.
Biondo, pelle chiara, se albino meglio. Il bianco candido che qui non è candore ma evoca inquietudine, ansia, irrequietezza congelata, che non appare ma se ne avverte la tensione.
I am. Vietato fermarsi all‘apparenza della perfezione della cifra stilistica dell‘artista. Oltre c‘è un mondo invisibile e da esplorare.
Una mostra che non lascia indifferenti.
Erwin Olaf sia stato e sarà per sempre il cantore della libertà, del desiderio, dell‘uguaglianza sociale, sessuale, individuale, dell‘inclusione, dei corpi altri, della disinibizione, della critica sottile e colta all‘ipocrisia sociale, e soprattutto quanto il senso della sua opera e della sua intera vita possa essere sintetizzato in un‘unica affermazione: “I exist in freedom, therefore I am.”
- Maria Savarese
Nella sala cinema della galleria sono proiettati in loop dei brevi filmati dello stesso Olaf che confermano le caratteristiche della sua ricerca degli ultimi anni che ha vissuto.
Bio (dal comunicato stampa)
Nato a Hilversum nel 1959 e scomparso il 20 settembre 2023, trasferitosi presto ad Amsterdam, Olaf si laureò alla scuola di giornalismo di Utrecht con l‘intenzione di diventare un fotografo documentarista, ottenendo nel 1984 il suo primo lavoro per la rivista “Vinyl”, un reportage sulla vita notturna di Amsterdam e sulla comunità gay.
In questi anni, determinante per lui fu l‘incontro con Hans van Manen, noto coreografo e fotografo olandese, allievo di Robert Mapplethorpe, che influenzò profondamente la sua ricerca artistica. Dai primi scatti, fino alla serie Chessmen pubblicata da “Focus Amsterdam” nel 1988, con cui ricevette il premio Young European Photographer of the Year, i suoi riferimenti furono oltre Mapplethorpe, anche Weegee, Witkin, Helmuth Newton, Candida Hofer, Andreas Gursky ed altri esponenti della Scuola di Dusseldorf, insieme a quella fotografia di moda che da Platt Lynes, arrivava fino a Horst.
Fra gli anni ottanta e novanta, Olaf iniziò ad orientare l‘“attivismo visivo” documentaristico e provocatorio degli esordi – così come lo ha definito Shirley den Hartog, sua storica collaboratrice ed oggi alla guida dello Studio – verso una visione della fotografia più riflessiva, pensata, tecnicamente costruita, realizzata sempre in interno, evidente già in Royal Blood. Con questo lavoro, non solo volle dimostrare quanto ormai la sua indagine fotografica fosse indirizzata altrove, ma soprattutto come le recenti scoperte di nuove modalità tecniche, ad esempio photoshop, fossero artefici di inedite possibilità espressive.
ERWIN OLAF – “I Am”
A cura di Maria Savarese in collaborazione con lo Studio Erwin Olaf e la galleria Paci Contemporary.
Galleria Al Blu di Prussia
via Gaetano Filangieri, 42 – Napoli
Dal 15 novembre 2024 al 28 febbraio 2025
Orari: martedì-venerdì 10.30-13/16-20; sabato 10.30-13
Brochure: artstudiopaparo
Foto di copertina: Erwin Olaf, The Kite -2018- from the series "Palm Springs".
© Studio Erwin Olaf, Courtesy of Paci contemporary
Foto interna: Erwin Olaf, The Boardroom -2005- from the series "Rain"
© Studio Erwin Olaf, Courtesy of Paci contemporary