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BABY CONSUMATORI | di Ed Mayo e Agnes Nairn
Edizione: Nuovi Mondi
Che esiste un mercato fatto di brand più o meno noti, multinazionali e non, rivolto ai più piccoli è oramai cosa nota. Non è ben chiaro però fino a che punto sia importante e preoccupante. In tutto il mondo, sia inteso. Le campagne pubblicitarie rivolte ai minori non si contano, individuati come ottimi consumatori soprattutto per il condizionamento esercitato sui più grandi. Ma non solo. Il 90% dei teen ager americani ha una tv personale. Più di un terzo dei ragazzi ha un pc personale e 2/3 hanno una consolle per videogiochi. Come dire, se non ce l’hai sei fuori, o comunque in minoranza. Per i telefonini, poi è ancora peggio. S’incomincia con quasi il 40% dei bambini della scuola elementare fino a sfiorare il 100% dei ragazzi delle superiori. Il tempo passato davanti alla tv è di più di cinque ore al giorno. La conclusione è che bambini e adolescenti non sono visti dai brand come cittadini ma come consumatori, bersagliati in ogni modo dall’advertising e soprattutto condizionati nelle loro scelte, non in relazione alle esigenze concrete di crescita e sviluppo individuale, ma in relazione al brand, al marchio commerciale, all’unificazione dei consumi di massa secondo un’unica, bieca logica del profitto. Questo bel libro spiega, per primo, come i nostri figli siano diventati il target preferito delle campagne pubblicitarie e indaga sul fenomeno attraverso interviste ai bambini e agli adulti. “Mayo e la coautrice Agnes Nairn, professoressa di marketing alla EM-Lyon Business School in Francia e alla Rotterdam School of Management dell’Erasmus Universiteit, nei Paesi Bassi, mostrano in quali modi e forme i bambini siano quotidianamente bombardati da slogan e immagini che fanno leva sui loro sogni e ne sfruttano i punti deboli. Spiegano perché le bambine torturano le loro Barbie, cosa provano i ragazzini per David Beckham, perché le mamme siano più in gamba dei papà, come mai i bambini delle famiglie più rigide tendano a diventare i consumatori più sfrenati e, soprattutto, perché l’eccesso di marketing porti all’infelicità”.