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Intervista a Mirko Di Lillo
Più che video editor ama definirsi
di Urania Casciello
Mirko Di Lillo, da sempre appassionato di cinema e tv, si avvicina al mondo delle immagini come fotografo, per apprendere le basi e le competenze da riportare in video. L’incontro con il montaggio video avviene tramite i primi software di montaggio non lineare. La curiosità e la voglia di apprendere lo portano a dedicarsi poi al montaggio analogico, tramite alcune console dismesse negli studi dove ha iniziato a lavorare. E’ ancora quello l’approccio che porta avanti, anche sui sistemi più moderni.
Dice di sé: “Non mi piace definirmi Video Editor, preferisco Artigiano delle Immagini”.
L´Intervista
(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
Da dove viene la tua ispirazione?
La mia passione per l’audiovisivo è nata dai videoclip musicali. È innegabile che la mia maggiore fonte di ispirazione sia la musica. Ogni volta che inizio un nuovo progetto, la prima cosa che faccio è cercare di dare una struttura musicale che possa essere in sintonia con il messaggio e le emozioni che voglio trasmettere, per poi costruirci su le sequenze di immagini, come se fosse una danza armoniosa.
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
In realtà la mia prima vocazione era quella attoriale. Sin da piccolo mi sono sempre cimentato con la recitazione, sia teatrale che per puro divertimento personale. La passione per l’editing è nata un po’ per caso e un po’ per fortuna. Cercavo un lavoretto estivo post maturità, fortunatamente c’erano degli amici di famiglia che avevano uno studio di produzione video e cercavano un assistente. Essendo un ambito affine alla mia passione decisi di buttarmici a capofitto, un po’ mentendo anche sulla mia esperienza sul montaggio e sui software di editing. Mi accorsi però che mi veniva quasi naturale, spontaneo, districarmi tra tutte quelle riprese a cui dare un senso, e che stranamente i miei premontati non tornavano indietro, ma anzi, venivano anche apprezzati. Decisi che forse era il caso di approfondire, anche perchè era un lavoro che facevo con la massima serenità, e mi metteva a mio agio.
Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?
Il primo format per la TV che ho realizzato. Fui chiamato come seconda camera per poi ritrovarmi solo, al primo giorno di riprese, a dover gestire tutto, dalle riprese alla sceneggiatura (che era inesistente), per poi vedermelo affidare completamente. Un’esperienza terribile dal punto di vista organizzativo e operativo, ma stimolantissima come sfida. Sicuramente importantissima anche per imparare come NON realizzare un audiovisivo, e che la preparazione e la pre-produzione a monte è importantissima.
C’è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti nel mondo del cinema?
I criteri di distribuzione e di produzione odierni. Ho avuto la fortuna e il piacere di partecipare a vari festival o di poter vedere anteprime di tantissimi film stra-validi, che poi non hanno avuto riscontro però dalla distribuzione. La mia impressione è che ci si stia avvicinando sempre più ad un cinema on-demand, in cui si rincorre sempre più il gusto dello spettatore più che raccontare ed educare. Perché per me l’audiovisivo è ancora un momento educativo, sia estetico che storico.
Esiste qualcosa che avresti voluto girare tu?
Come film “E morì con un felafel in mano” di Lowenstein e “La crisi!” di Colin Serreau, il primo per la delicatezza con il quale è stato girato, riuscendo in un’ottima trasposizione e centellinando i movimenti di camera, riuscendo, a mio parere, a risultare registicamente affine alle emozioni, alle vicende e alle tematiche trattate. Il secondo perché pur mettendo in evidenza tantissimi micro-argomenti con mille spunti di riflessione, riesce, a mio avviso, a delineare quello che è il grande mostro di questi ultimi decenni: l’incomunicabilità, che spesso si traduce in individualismo o in prevaricazione emozionale.
Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?
Cosa ti tira giù dal letto la mattina?
Cosa ti appaga di più del tuo lavoro?
I feedback di chi guarda i miei lavori. Scoprire che il messaggio è stato recepito, conoscere le interpretazioni diverse di chi li guarda, per me quella è linfa vitale. Ogni volta che produco un audiovisivo ci metto dentro un po’ di me che cerca di inviare un messaggio. Sapere che anche un 1% di quel messaggio sia arrivato è forse la sensazione più bella di questo lavoro.
Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Una parola che ti rappresenta?
Una parola che vorresti eliminare dalla terra?
Esiste qualcosa che ti ha radicalmente cambiato la vita?
Non sono molto bravo ad elaborare gli eventi positivi, in compenso sono un maestro ad ingigantire quelli negativi, quindi su due piedi, mi verrebbe di rispondere con qualche evento poco piacevole. Però come ho sempre sostenuto, siamo la somma non aritmetica di tutti gli eventi quotidiani che ci capitano, e che ci influenzano giorno per giorno. Potrei dirti che forse non c’è ancora stato, così come potrebbero essercene mille, ognuno che ha in qualche modo influenzato gli eventi successivi. Sceglierne uno sarebbe un po’ come fare un torto a tutti quei piccoli eventi formativi che capitano giorno dopo giorno e che forse incidono molto di più.
Se tu fossi una canzone quale saresti?
Questa è facile! “Con un deca” rigorosamente nella versione dei 666! Descrive alla perfezione la realtà della periferia, dove sono nato e cresciuto, e che mi ha inevitabilmente formato, e che per quanto si possa crescere, viaggiare, spostarsi, è un qualcosa che incide sulla tua visione del mondo e degli eventi.
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
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