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10.09.2024 # 6447

Matteo Abbondanza in mostra con Far Horizons

Le coincidenze visive degli orizzonti marini. Quando un certo schematismo rende sereni.

di Marco Maraviglia

Fino al 19 settembre il fotografo milanese Matteo Abbondanza espone undici opere nella Casa di Dante a Firenze, il Museo dedicato al sommo poeta.

E forse non è un caso.

Non è un caso perché ricordiamo tutti la struttura “architettonica” e maniacale dei versi della Divina Commedia che non era lasciata all‘improvvisazione ma rispettava regole ritmiche dei versi, delle rime e che sfioravano la pura matematica.

Un equilibrio armonico, ritmico, i cui principi furono seminati da Aristotele, Platone e da altri filosofi greci. L‘ordine contro il caos.

E Matteo Abbondanza sono circa 8 anni che, dopo un percorso di fotografia “street”, ha iniziato a realizzare le sue immagini depurandole sempre più di contenuto dedicando maggiormente l‘attenzione alla forma. Le immagini che ci propone in questa mostra, sono schematiche, geometriche, ordinate, equilibrate, armoniche.

 

C‘è troppo caos dentro di me per riuscire a sopportare anche quello fuori da me. Per questo i miei scatti sono puliti e armonici: con la fotografia cerco di mettere ordine nel mondo esterno, non riuscendo a metterlo nel mio mondo interno.

 

Provate a fare un esperimento: se avete la scrivania incasinata, mettetela in ordine, rimuovete tutti gli oggetti che non servono, scrivete su un foglio di carta tutte le cose che dovete fare a breve/media/lunga scadenza, mettete le carte nei folder da riporre poi su uno scaffale. E pulitela pure questa povera scrivania. Una volta seduti nella vostra postazione di lavoro, noterete che la mente inizia a rilassarsi e tornerete a un punto di partenza fatto di benessere mentale che offre maggiore concentrazione. Banale ma funziona.

Fate un altro esperimento: procuratevi uno spartito in bianco, scriveteci voi le note sul foglio, poi andate da un musicista e chiedetegli di suonare ciò che avete scritto sul pentagramma. Ne uscirebbe un brano rumoroso, cacofonico, sperimentale forse. Con molta probabilità, non sarà musica orecchiabile.

 

Nell‘era classica i canoni della bellezza erano il risultato di studi geometrici. Il rettangolo aureo per strutturare un tempio, la distorsione prospettica per esaltare l‘imponenza di certe statue, archi ideali che si intersecano nel Discobolo.

Proporzioni, geometrie, diagonali ed ellissi complementari, rapporti fibonacceschi… sono regole impiegate anche nella pittura. Il disegno preparatorio non era dettato dall‘impulso dell‘artista ma seguiva una composizione che dava un senso di lettura compiuto dell‘opera finale. Senza rumore visivo. Senza stonature. Una sinfonia visiva!

 

Del resto anche nella grafica classica si seguono griglie. Che sia per la composizione di un logo o per l‘impaginazione di un libro illustrato. Le regole si possono infrangere se si conoscono a menadito le basi.

Se Rhein II di Andreas Gursky è la foto più quotata di tutti i tempi, probabilmente è anche per la sua struttura compositiva: un equilibrio estremo degli spazi tra i rettangoli orizzontali. E forse Gursky non si sarà mai reso conto dei rapporti proporzionali di quella sua foto.

 

Matteo Abbondanza con Far Horizons segue con delicatezza e sensibilità i geometrismi di cui sopra. Senza che le immagini risultino raffazzonate o forzate, ma con un‘estetica ricercata dove le forme creano coincidenze tra opere dell‘uomo e la natura in cui il mare, con il suo orizzonte, fa la sua parte. Equilibri tra colori, luci ed ombre parallele e perpendicolari in cui a volte la prospettiva di un elemento o le sue diagonali, riportano profondità nella visione.

E ritroviamo quel benessere mentale, quella stessa sensazione di pace di quando ci sediamo alla nostra scrivania riordinata.

Senza rumori visivi. Distaccandoci dalla realtà. Accorgendoci che la realtà può essere vista nel suo lato più essenziale. Eliminando il caos intorno. E quello dentro di sé.

 

Matteo Abbondanza

È un fotografo di Milano. Ha esposto a Roma, Milano, Venezia, Firenze, Assisi, Torino, Trieste, Mantova, Lodi, New York e Budapest sia in mostre collettive, sia personali.

Hanno scritto di lui: L‘oeil de la photographie, Exibart, The pure inner, Aperture Magazine, Bagzine, Woofer Magazine, Il Giornale Off, Mag72, Wikiradio, La strada d‘Italia e diversi quotidiani italiani. Nel 2021 ha collaborato con Einaudi Editore. Nel 2023 ha pubblicato il suo primo libro: “la forma è il contenuto”. Sito web: www.matteoabbondanza.com

 

 

 

FAR HORIZONS

Di Matteo Abbondanza

A cura di Giancarlo Bonomo e Rita Raffaella Ferrari

Società delle Belle Arti, Circolo degli Artisti presso Casa di Dante

via Santa Margherita 1 R, Firenze

dal 7 al 19 Settembre 2024
dal martedì a domenica 10.00-12.00 e 16.00-19.00 (chiuso il lunedì).
Ingresso libero

 

Con il patrocinio del Comune di Firenze, in collaborazione con Club per l‘UNESCO di Firenze e Udine.

 

Contatti

info@matteoabbondanza.com



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03.09.2024 # 6440

Paolo Manzo in mostra con gli invisibili di “La Città Invisibile”

Disagi economici, culturali, urbanistici di Napoli in un progetto fotografico lungo oltre 10 anni

di Marco Maraviglia

La fotografia sociale è come un “lavoro sporco” che non tutti i fotografi si sentono di fare. Almeno non nelle modalità adottate da Paolo Manzo. Entrare nella storia, in punta di piedi, conoscere di persona i soggetti da riprendere, trascorrerci insieme ore o più giornate intere. Documentare il contorno, l‘ambiente in cui ha luogo la storia da documentare. Resistere alle sofferenze altrui come un chirurgo che deve salvare vite e deve saper avere anche quell‘empatia per relazionarsi con i familiari del paziente.

Paolo Manzo è un attento lettore del sociale. Osserva e coglie il problema con i suoi effetti. Raccoglie il “brief” della notizia: cosa è successo, perché è successo, dove, quando, perché.

Senza pregiudizi, senza intervenire per guarire un male come farebbe il chirurgo, ma semplicemente documentando degrado, sofferenza, aspetti della vita oltre i confini della quotidianità “normale”. Quella considerata del proprio salotto, per intenderci.

Perché il malessere del degrado delle periferie non è lui a doverlo guarire. Ha solo spazio per denunciare. Rendere visibile ciò che è invisibile in certi salotti o quel che viene messo sotto il tappeto in certe stanze. Attraverso la fotografia.

Paolo Manzo ha l‘accortezza di non testimoniare quei “valori” esaltati da certe fiction. Lui coglie invece il lato umano delle situazioni di disagio. Identifica disuguaglianza economica, ingiustizia sociale, segregazione urbana, nell‘assenza di iniziative culturali ed educazione al bello che dovrebbero essere i cardini per qualsiasi civiltà di ogni parte del mondo affinché non si demoralizzi.

 

Durante l‘adolescenza, mentre percorreva in auto col padre una zona di periferia di Napoli, vide dal finestrino i cosiddetti “casermoni dormitorio”, alti edifici in cemento armato e si chiese se gli abitanti vivevano allo stesso modo della sua famiglia.

L‘imprinting di un ragazzo di periferia anche lui e che adotta poi la fotografia per osservare, analizzare, denunciare la vita del Nord Est e Ovest di Napoli. Territori anarchici, sotto certi aspetti, dimenticati dai flussi di denaro istituzionali che dovrebbero invece renderli a misura d‘uomo.

 

Napoli risulta essere una delle città italiane con il tasso di criminalità più alto al mondo, dove la povertà educativa è un problema crescente e il numero di giovani NEET (not in Employment, Education or Training) è in aumento. Le opportunità per i giovani sono strettamente legate alle condizioni economiche e culturali delle loro famiglie, e l‘ambiente suburbano aumenta il rischio di abbandono scolastico e di coinvolgimento in attività illegali, creando un senso di precarietà che alimenta un circolo vizioso e peggiora le condizioni di chi vive. 

-       Paolo Manzo

 

Paolo Manzo documenta dal 2012 queste zone. Da quando, dopo il terremoto dell‘80, ci fu il flusso migratorio dall‘Irpinia e degli sfollati del centro storico verso le zone periferiche di Napoli: Afragola, Caivano, Ponticelli, Secondigliano, Torre Annunziata, Pianura e Scampia.

Un progetto pubblicato a più riprese su varie testate nazionali e internazionali.

 

Bio

Paolo Manzo è un fotografo che risiede e si è formato a Napoli (Italia) e allo “IED” (Istituto Europeo di Design) di Roma.

Pubblica su Vanity Fair, La Repubblica, Millennium e riviste internazionali come Stern Crime, Focus Magazine, Edition Gallimard e El Pais con cui collabora da 5 anni.

Ha ricevuto il Pierre & Alexandra Boulat Award 2023 e il 2° Premio BarTour Photo Award 2023.

 

 

La Città Invisibile

Di Paolo Manzo

36° edizione Visa Pour L‘Image

Eglise Des Dominicains

6 Rue François Rabelais

Perpignan - Francia

Dal 31 agosto al 15 settembre 2024

www.paolomanzo.com



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31.07.2024 # 6436

Ritratto Fotografico Sensibile

La fotografia di ritratto è amata da un pubblico trasversale, perché funge, per tutti, da possibile specchio nel quale riflettersi o da oasi mentale nella quale fermarsi e pensare a sé stessi e al proprio mondo.

di Federica Cerami

L’idea del ritratto fotografico si riferisce a una opera artistica che rappresenta una persona o un gruppo, secondo la riconoscibilità, nelle forme ma, in qualche modo, anche nei contenuti, creando un ponte emotivo e comunicativo con i suoi spettatori.
Quest’anno, in veste di lettrice di Portfolio, al Festival Fotoincontri 2024, ho avuto l’occasione di poter leggere il Portfolio fotografico di Alessandro Magagna dal titolo SPB, che mi ha incantato per la sua leggerezza calviniana e la sua profondità emozionale.
Questo acronimo sta a indicare il tipo di fotografia realizzata e, al tempo stesso, anche il metodo di lavoro che Alessandro ha inventato otto anni fa, ovvero: Sensitive Portrait Box 
Realizzare un ritratto fotografico interessante non è così semplice come potrebbe sembrare perché occorre, non solo porsi il problema di avere qualcosa da dire sul soggetto in questione, ma è necessario stabilire un approccio, con il proprio soggetto, che porti ai risultati immaginati e dica anche qualcosa del suo autore agli spettatori.
Giovanni Gastel in una spumeggiante intervista rintracciabile in questo link , elargisce dei consigli molto utili per realizzare una fotografia di ritratto che porti concretamente la firma del suo autore.
Tutto è sintetizzabile in un concetto semplice: il fotografo deve conoscere sé stesso e il suo mondo per poi trovare il modo di proiettare tutto ciò su i suoi soggetti fotografati al fine di realizzare fotografie come una doppia tracce di presenza viva del suo autore e del suo soggetto.
Alessandro, che nel suo curriculum ha esperienze fotografiche piene di sensibilità verso il mondo che approccia, decide, un giorno, di unire le sue passioni per la musica, per la fotografia e per le relazioni umane e inventa la SPB, uno strumento volto a creare un filo rosso con tutte le persone incontrate e a generare una forte poesia a beneficio dei suoi spettatori.
La sua scatola per i “ritratti sensibili”, da allora ad oggi, ha fotografato circa 500 persone.

Riprendo le sue parole per raccontare la sua invenzione:
“È una cabina, nera. Una sorta di scatola in cui una volta entrati ci si isola dal mondo esterno.
È una cabina nera, all’interno si trovano uno sgabello, una cassa acustica e una luce.
La persona che partecipa alla performance deve solo entrare, sedersi e sentirsi libera.
Di fronte al viso un foro e l’obiettivo della macchina fotografica. All’esterno della scatola ci sono io che aspetto che la persona dentro la scatola si metta seduta, pochi attimi di silenzio e scatto una foto. Qualche secondo dopo lo scatto, faccio partire una canzone scelta da me.
La scelta è puramente casuale e non è mai la stessa.
La musica si diffonde nella SPB e io scatto una seconda foto.
Due scatti, due pose: una in silenzio, l’altra con la musica”.
Una ricca selezione del lavoro di Alessandro, con la sua SPB è consultabile in questo link, che apre le porte alle emozioni difficili, talvolta, da esternare e da raccontare. 
Chissà se dopo aver visto queste fotografie non vi verrà voglia di ascoltare le canzoni legate ad ogni dittico presentato, per provare a sentire questi scatti più vicini a voi.
Questa credo che sia una delle infinite magie della fotografia di autore: creare comunità di intenti e di passioni tra persone, che nemmeno si conoscono, senza limiti di tempo e di confini.

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31.07.2024 # 6435

Prescrizioni fotografiche per la vacanza

Se state per staccare la spina, per godervi il meritato riposo estivo, dopo un anno di lavoro, potrebbero tornarvi utili le mie prescrizioni fotografiche

di Federica Cerami

Se state per staccare la spina, per godervi il meritato riposo estivo, dopo un anno di lavoro, potrebbero tornarvi utili le mie prescrizioni fotografiche.
Senza impegni di lavoro, senza orari prestabiliti e senza nemmeno precisi obiettivi da mettere a punto, la vacanza può facilmente diventare l’immagine concreta della sua etimologia.
Il VACUUM degli antichi romani, da intendere come spazio vuoto nel quale andarsi a rigenerare, può assumere le forme di un vuoto smarginato, da riempire indiscriminatamente, a tutti i costi, senza compiere alcuna selezione.
Qualsiasi relazione avete con la fotografia, prima di andare in vacanza vi suggerisco di dedicarvi del tempo per ricordarvi di cosa avete realmente bisogno prima di lasciarvi andare a una produzione fotografica composta di una serie di scatti di indistinti momenti irripetibili.
Viaggiamo portando con noi un bagaglio fatto di vissuti personali, più o meno pesanti, di aspettative da dissimulare velocemente, di quel sottile, ma persistente senso di precarietà che non ci fa mai arrivare dove realmente vorremmo e di eccentrici occhialoni con le lenti rosa che ci mostrano rappresentazioni del mondo perfette, iconiche e senza alcuna sbavatura.
Con queste premesse, al rientro dalle vacanze, il rapporto con la realtà diventerà due volte più difficile da smaltire poiché avremo lasciato a casa una parte fondamentale del nostro processo creativo e percettivo fotografico, ovvero la nostra inimitabile e irripetibile autenticità.
Occorre partire con una valigia leggera ma concreta, specchio della nostra reale essenza, riempita da poche cose, ma utili per passare questo tempo con noi stessi, senza sovrastrutture e inganni.
Lasciamo a casa maschere, corazze e filtri di bellezza che sembrano proteggerci dall’insostenibile idea del vuoto e mettiamo in valigia una dose abbondante di surrealismo fotografico, sia teorico che pratico, che, vi garantisco, ci aiuterà a essere liberi in ogni circostanza.
Sarà da questo punto in poi che potremo permetterci di essere noi stessi, nella luce e nell’ombra, nei colori e nel bianco e nero, nelle nostre visioni e nelle nostre riletture del mondo.
Nel Manifesto del Surrealismo, pubblicato da Andrè Breton nel 1924, questo movimento viene definito come: Automatismo psichico puro, con il quale si intende esprimere sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento REALE del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale.
Questa esigenza di abbandonarsi al surrealismo nasce, nella Parigi di inizio novecento, con la lettura dell’interpretazione dei sogni di Freud, nel quale si afferma che i temi del sogno e dell’inconscio devono avere un ruolo centrale in una società all’insegna del progresso.
Verranno privilegiati, in tal senso, gli aspetti propositivi e liberatori presenti nell’inconscio e nell’esperienza del sogno, capaci, secondo i surrealisti, di rivelare la reale natura delle cose.
Il surrealismo, fondando le sue radici nell’esaltazione dell’inconscio e del subconscio, nell’ambito del processo creativo, permette all’uomo, togliendo le restrizioni della ragione, di essere libero di esprimere la parte più autentica del suo essere. 
Vi auguro questa libertà che va oltre il socialmente accettato, travalica i confini del gusto fotografico imperante e porta, con forza, la firma di chi la riesce a esprimere
Attraverso il Surrealismo lo spettatore, ma anche il creatore d’arte può mostrare una realtà diversa che esiste in un universo che non può essere toccato, ineffabile come un sogno o reale come il mondo visto con gli occhi di bambino.
La fotografia, con questa premessa, è uno degli strumenti più efficaci per far emergere gli aspetti profondi e sorprendenti della quotidianità, paradossalmente, attraverso l’esaltazione dell’ambiguità delle immagini, di cui è costituita la realtà fino a rendere l’oggetto fotografato apparizione misteriosa, ambigua e spesso inspiegabile attraverso la sola ragione. 

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10.07.2024 # 6434

Massimo Siragusa archeologo del tempo

Vuoti di memoria. Sicilia ‘43: le immagini di oggi. Una mostra extrasensoriale

di Marco Maraviglia

A Catania c‘è un museo dedicato allo sbarco degli alleati avvenuto il 10 luglio 1943. È il Museo storico dello Sbarco in Sicilia. In questo museo c‘è lo spazio espositivo Phil Stern Pavilion che ospita 70 fotografie dello stesso Stern che documentò l‘Operazione Husky. Un vero tempio della memoria dove Massimo Siragusa espone il suo ultimo lavoro.

 

A cosa serve ricordare? Perché rispolverare il passato? Perché celebrare giorni della memoria? Cercare, trovare e conservare tracce del passato aiuta a migliorare il futuro? O solo per intristire i comuni mortali che non sono mai stati artefici di crimini contro i propri simili?

Massimo Siragusa in questa occasione si è messo nei panni di un archeologo del tempo. Alla ricerca dei segni ancora presenti nei luoghi della Sicilia che ricordano i giorni dello sbarco degli alleati.

E lo fa allontanandosi dal suo modo consueto e ghirriano di fare fotografia, quello di scattare in high key, al limite della sovraesposizione lasciando il punto bianco. Qui infatti, in oltre 30 fotografie in mostra, l‘occhio deve entrarci allargando la pupilla, come osservare nella penombra e nell‘ombra. Un low key che intensifica quel contesto drammatico fatto di notti insonni degli abitanti dell‘isola, di respiri affannosi di paura e fatica dei soldati immersi nell‘ascolto e nelle attese di mosse del nemico. Tra bunker, casematte, trincee e aperta campagna.

 

Massimo Siragusa ha creato un rapporto empatico col territorio, andando oltre il lavoro di pura documentazione. Immagini notturne che lasciano intuire la difficoltà degli spostamenti al buio dei plotoni, riprese aeree che mostrano spazi dai confini indefinibili, intonaci di muri blindati ma erosi dal tempo. E la costa, il mare, sempre implacabilmente in movimento come lo era nel 1943.

Come se esso non fosse stato scalfito dai rumori ed esplosioni delle armi e il suo suono che rintuzza sulla battigia sembra volerci raccontare che la sua grandezza non fa guerre ma ci rimanda urla nel silenzio.

 

A implementare questa mostra, sono i suoni digitali prodotti dal sound artist Michele Spadaro con la sua opera Reflection in Time creata per l‘occasione.

 

Reflection in Time, esplora le conseguenze acustiche della riverberazione all‘interno di un particolare luogo, i bunker della seconda guerra mondiale situati lungo la costa sud-orientale della Sicilia.

Il risultato è ottenuto utilizzando un approccio noto come misurazione della risposta agli impulsi, che consente lo sviluppo di una mappa delle prestazioni acustiche di un luogo, che può poi essere utilizzata a livello statistico o, come nel caso di questa ricerca, per ricreare digitalmente l‘effetto del suono in una determinata posizione nello spazio. Queste misurazioni vengono quindi impiegate per generare due scenari sonori differenti e in antitesi, che avvengono nello stesso luogo: quello originale, che mira a raffigurare l‘acustica drammatica dovuta all‘utilizzo primario dello spazio; e quello contemporaneo, che esprime un‘esperienza acustica che persiste in condizioni opposte. 

- Dal comunicato stampa

 

Non è una mostra in senso lato, ma un‘opera extrasensoriale. Il pubblico proverà senz‘altro emozioni torbide, cupe, avvertendo il dramma di situazioni belliche.

 

L‘ambasciatore tedesco Otto Abetz, osservando il Guernica di Picasso:

«Avete fatto voi questo orrore, maestro?»

Pablo Picasso rispose:

«No, è opera vostra!»


Se non ci fosse stato il nazismo non avremmo avuto nemmeno questa mostra di Massimo Siragusa con i suoni di Michele Spadaro che ci ricordano la II guerra mondiale.

Ma probabilmente conoscere gli orrori del passato non serve. Perché ancora oggi esistono guerre. Documentare, reinterpretare, materializzare segni del passato forse può servire da scherno ai “Masters of war”, come direbbe Bob Dylan. Ma noi non ci auguriamo come Dylan di poter seguire un giorno le loro bare, ci basterebbe non seguire più quelle delle vittime innocenti.

 

 

GLI ARTISTI

Massimo Siragusa (Catania, 1958) vive a Roma dove insegna allo IED. Ha esposto in numerosi musei e gallerie in Italia e all‘estero, tra cui Polka Galerie a Parigi, Forma Galleria di Milano, Museo di Roma in Trastevere, Auditorium Parco della Musica di Roma, Galleria del Credito Valtellinese di Firenze, Centro di Fotografia nell‘Isola di Tenerife, Coalface Gallery di Genk e Photo Vernissage Manege di San Pietroburgo. In campo pubblicitario, ha firmato numerose campagne per diverse aziende. Ha vinto quattro World Press Photo e pubblicato vari libri tra cui Il Cerchio Magico, Credi, Solo in Italia e Bologna.

 

Michele Spadaro (Catania, 1994), sound artist, inizia la sua esperienza suonando musica, per poi svilupparla nella comprensione della tecnologia audio. Per acquisire le conoscenze e le competenze desiderate, completa un corso di diploma in Produzione musicale e ingegneria del suono presso Point Blank London; un BA (Hons) in produzione audio presso l‘istituto SAE, Londra, ed è attualmente iscritto a un MMus in Sonic Arts presso la Goldsmiths University. Durante i suoi studi universitari è  coinvolto in progetti che includono programmazione audio per piattaforme XR, inclusa la sua tesi: Efficient Real Time Auditory Display for Virtual Reality Experience (2016), che esplora la percezione psico-acustica dell‘udito umano.

 

 

Vuoti di memoria Sicilia ‘43: le immagini di oggi

Fotografie di Massimo Siragusa e opera sonora di Michele Spadaro

A cura di Ezio Costanzo

Phil Stern Pavilion – Museo storico dello Sbarco in Sicilia 1943 - Le Ciminiere, piazzale Rocco Chinnici, Catania

inaugurazione mercoledì 10 luglio 2024, ore 19.00
dal 10 luglio 2024

martedì – domenica, 09.00 – 15.30, ultimo ingresso. Lunedì chiuso

Informazioni: segreteria@fondazioneoelle.com


Foto di copertina:

Agira (Enna) – Cimitero Militare Canadese © Massimo Siragusa

Foto sotto:

Siracusa – Tonnara Terrauzza © Massimo Siragusa


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26.06.2024 # 6433

Erotica, la fotografia erotica nel XX secolo

Quarantotto autori reinterpretano grandi fotografi dell‘eros, nudo e glamour del ‘900

di Marco Maraviglia

Dal 1° al 14 luglio, presso le Officine Forte Marghera di Venezia, la collettiva di 48 fotografi che hanno ripercorso la storia di grandi fotografi dell‘eros come Jean Agélou, František Drtikol, Man Ray, Horst P. Horst, Bunny Yeager, Carlo Mollino, Helmut Newton, Jeanloup Sieff, Sylvie Blum.

Quarantotto autori selezionati da oltre ottanta partecipanti che hanno risposto a una call il cui bando era stato pensato in maniera che i fotografi costruissero un percorso proprio, facendosi ispirare anche dal corso del mondo attuale.

 

Non si tratta quindi di lavori che scimmiottano i grandi fotografi sopra citati, non è ricalcato lo stile di questi, nessun “copia e incolla” che sarebbe sconfinato in banali plagi. Qui emergono invece processi di ispirazione emulativa, come se gli autori fossero stati assistenti post litteram dei grandi maestri ma lavorando sulla propria sensibilità e creatività determinata dalle influenze degli eventi contemporanei vissuti.

Perché in ogni processo creativo c‘è la metabolizzazione, conscia o inconscia che sia, degli eventi storici che viviamo che non raramente possono definire una databilità del risultato. Detto in termini positivi.

In questo caso però è stato fatto un lavoro sulla macchina del tempo che ha viaggiato simultaneamente su due periodi storici differenti. A cavallo tra oggi e ieri.

 

Per dare uno spunto da cui partire con l‘indagine fotografica; abbiamo chiesto ai fotografi: «se tu fossi vissuto in quella particolare decade del 900 come avresti interpretato la tua fotografia erotica?”

- Ivana Galli

 

I fotografi in mostra si sono ispirati quindi ai 10 autori, secondo una precisa decade:

 

1900-1909: decade degli anonimi

1910-1919: decade di Jean Agélou
1920-1929: decade di František Drtikol
1930-1939: decade di Man Ray
1940-1949: decade di Horst P. Horst
1950-1959: decade di Bunny Yeager
1960-1969: decade di Carlo Mollino
1970-1979: decade di Helmut Newton
1980-1989: decade di Jeanloup Sieff
1990-1999: decade di Sylvie Blum

 

Le fotografie selezionate sono così piene di stile che ogni scatto messo in mostra è un inedito d‘autore. Abbiamo scelto diverse visioni dell‘erotismo, dalla ragazza giovane a quella più matura, dal corpo statuario a quello più corpulento ma quello che le accomuna è una fotografia erotica del tutto autoriale.

- Ivana Galli 

 

Sono fotografie realizzate in formati vari e con tecniche di scatto e stampa differenti: alcune realizzate con banco ottico; stampe ai sali d‘argento, gomma bicromata, Polaroid, cianotipie, diorami.

Fotografi provenienti da varie parti d‘Italia: da Palermo a Bolzano, da Torino a Trieste, alcuni anche dalla Germania, Francia e Svezia, tutti con mood diversi per un‘unica mostra.

 

Quando si pensa ad una collettiva con fotografie di diversi autori, queste devono dialogare tra loro, noi in più abbiamo aggiunto questo vincolo dei decenni, dunque oltre al dialogo dovevamo tenere presente il nostro concetto di partenza, far capire il cambiamento dei tempi a chi vede questa mostra.

- Ivana Galli

 

Quando Cimabue prese a bottega Giotto nacque il detto dell‘allievo che supera il Maestro.

Questi 48 fotografi hanno superato il “proprio” maestro?

Non è questa la domanda. Ritornare al punto di partenza.

 

 

Gli autori della collettiva

Adolfo Valente (TV) -Aldo Feroce (Roma) - Alessandro Comandini (FI) - Alessandro Sarasso (TO)  - Alessandro Zaffonato (VI) - Anca Abondio -Teke (BG) - Andrea Pozza (BZ) - Beppe Giardino (TO)  - Davide Fascetta (MI) - Eva Tomei (Roma)  - Fabrizio Brugnaro (VE)  - Federico Fiorenzani (GR)  - Francesca Paradiso (BA) - Gaia Adducchio (Roma) - Gerlando Giaccone (PA) - Giorgio Figini (MI) - Giovanni Cannizzo (CL) - Giulia Venus (TS)  - Giuseppe Briguglio (GE)  - John Doe (Canada)  - Jörg Flor (Germania) - Kalter Bergman (Svezia) - Ketty Domesi (AN) - Laura Daddabbo (Francia) - Letizia Rostagno (BO) - Madame Liné (Germania) - Marco Ragana (PD) - Mario Battaglia (CS) - Matteo Chinellato (VE) - Mauro Falcone (VB) - Max Lazzerini (MI) - Nadia Frasson (TV) - Osvaldo Sponzilli (Roma) - Paola Musumeci (TV) - Paolo Del Frate Roma) - Paolo Sbalzer (BS) - Patrick Morini (BO) - Renata Petti (NA) - Roberto Bernocchi (LI) - Roberto Bressan (TV) - Roberto Mazzarelli (Roma) - Roberto Zaninelli (MI) - Sandro Goldoni (MO) - Sir Robert - (Roma) - Stefano Questorio (BO) - Stefano Ulisse (Roma) - Th Photography (FI)) - Theo Decker (MI)

 

Ricco il programma collaterale della mostra

L‘esperienza del vedere è arricchita dall‘opportunità del fare: per ogni giorno delle due settimane di durata della mostra sono previsti incontri, conversazioni, lezioni teoriche e dimostrazioni pratiche, a cura di alcuni degli autori e degli organizzatori.

 

 

 

EROTICA, la fotografia erotica del XX secolo

Mostra collettiva di fotografia

Officine Forte Marghera - Padiglione Palmanova, C32 - Via Forte Marghera, Venezia

Vernissage venerdì 5 luglio 2024, ore 19.00

Da lunedì 1° a domenica 14 luglio 2024

Orario: 18.00-22.30 (il sabato e la domenica anche 10.00-12.00)

 

Info

Ufficio stampa: bandoerotica2024@gmail.com, ig: e.r.o.t.i.c.a.fotografia, fb: Erotica2024  

 

Officine Forte Marghera

Officine forte Marghera è un‘officina creativa, uno spazio espositivo di 300 mq. con atelier laboratori e altre realtà artistiche; è collocata dentro una fortezza storica immersa in un parco di 40 mila ettari: il Forte Marghera, che a sua volta ospita alcune sedi dell‘Accademia delle belle arti di Venezia, un padiglione della biennale arte e teatro e molti altri eventi culturali ed artistici.

 

Ivana Galli

Ivana Galli, è direttore artistico (fotografa e artista), affiancata da un importante di staff: Carlo Gallerati  (fotografo e gallerista con sede a Roma), Patrizio Cipollini (fotografo), Simona Innocenti (modella).

 

Copertina: Ph. Roberto Zaninelli (decade 1930-1939 - Man Ray)

Foto in basso di Roberto Bressan (decade 1900-1909 - anonimi)


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30.05.2024 # 6424

Premio Driving Energy di Terna: La via dell‘invisibile è ciò che non vediamo che lascia un segno

Concorso fotografico alla scoperta dell‘invisibile. Entro il 30 giugno

di Marco Maraviglia

Nello splendido scenario del chiostro cinquecentesco di Santa Caterina a Formiello a Napoli, spazio di rigenerazione urbana della Fondazione Made in Cloister, il 24 maggio si è svolta una conversazione per presentare la III edizione del prestigioso Premio Driving Energy di Terna. Un evento all‘insegna della fotografia contemporanea, della rigenerazione urbana e dell‘inclusione sociale attraverso l‘arte. In collaborazione anche con Wine&TheCity, progetto indipendente riconosciuto come “una delle esperienze più interessanti e coinvolgenti di impresa creativa concepite a Napoli”.

 

Sono intervenuti: RosaAlba Impronta (Presidente Fondazione Made in Cloister), Michele Gaudenzi (Responsabile Comunicazione interna di Terna ), Marco Pisciottani (Coordinatore del Premio Driving Energy di Terna) e Donatella Bernabò Silorata (Founder Wine&TheCity).

In esposizione nel chiostro, i lavori di alcuni autori partenopei selezionati dalle edizioni 2022 e 2023: Pino Musi, Antonio Biasiucci, Raffaela Mariniello e Gaia Renis.

 

Il Premio Driving Energy

È un concorso la cui partecipazione è gratuita, con premi importanti, con un‘eccellente giuria, aperto a tutti i fotografi professionisti e amatori in Italia, finalizzato alla promozione dello sviluppo culturale del Paese e dei nuovi talenti del settore.

 

La via dell‘invisibile è il tema proposto per la III edizione del Premio Driving Energy 2024 - Fotografia Contemporanea di Terna che vuole declinare artisticamente, attraverso questo concorso, il suo impegno per la sostenibilità, visto che, gestendo la trasmissione della rete elettrica nazionale, realizza infrastrutture elettriche sempre più “invisibili”, con bassissimo impatto ambientale.

 

I lavori fotografici finalisti verranno esposti in una mostra gratuita, allestita a Palazzo Esposizioni Roma, che sarà inaugurata in occasione della proclamazione e premiazione dei vincitori.

 

Invisibile è il mondo delle emozioni e quello del pensiero, in tutte le loro possibili declinazioni: artistiche, scientifiche e tecnologiche, immaginative o razionali.

 

Quante cose sono invisibili ma i cui effetti determinano invece eventi visibili?

Penso ai cumuli di granelli di terreno prodotti dalle formiche e, sotto di essi, le loro micro gallerie scavate laboriosamente che si intercettano tra loro e i depositi di uova e cibo.

Penso agli invisibili byte che formano i pixel di una fotografia.

Penso ad alcune opere di land art dove l‘artista non c‘è più ma ha lasciato il segno. Signs, come i cerchi nei campi di grano disegnati da quei burloni Doug Bower, Dave Chorley che dall‘invisibilità vennero poi allo scoperto.

Penso al cratere di un vulcano sotto cui si cela la potente energia magmatica.

Penso a Michelangelo che vedeva in un blocco di marmo ciò che avrebbe poi realizzato e in merito alla Pietà disse «Non fatta di marmo da mano mortale ma discesa divinamente dal Paradiso».

Le radici di una pianta crescono nel terreno, non le vediamo, sono invisibili all‘occhio, ma sappiamo che ci sono: lavorano intensamente per raccogliere nutrimento dal terreno inviandolo al fusto e alle foglie. Quanta energia!

Invisibile è l‘energia. Vediamo dighe di centrali idroelettriche, turbine, trasformatori, cavi elettrici, che trasportano energia… che non vediamo ma sappiamo che c‘è quando accendiamo la luce o un elettrodomestico.

«Non riesco a vederti ma so che ci sei. Lo sento», volendo citare Wings of Desire di Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, una delle più belle liriche del cinema.

Vedere l‘invisibile, insomma. Chi accetta la sfida?

 

Cinque i riconoscimenti previsti come per le precedenti edizioni:

  1. Premio Senior, del valore di 15 mila euro, aperto ai partecipanti dai 31 anni in su
  2. Premio Giovani, del valore di 5 mila euro, dedicato ai fotografi fino ai 30 anni
  3. Premio Amatori, del valore di 5 mila euro, aperto a coloro che non perseguono professionalmente la carriera da fotografi
  4. Menzione Accademia, del valore di 2 mila euro, aperta agli studenti iscritti alle realtà di alta formazione nei settori attinenti al Premio
  5. Menzione Opera più votata da Terna, del valore di 2 mila euro, aperta a tutte le categorie e assegnata dalle persone di Terna che voteranno la propria opera preferita, tra le finaliste, visionandole in anteprima sul portaleTernaCult, piattaforma di promozione culturale a esclusivo uso interno

 

Una giuria di alto profilo

Un Premio che al Curatore Marco Delogu e alla Presidente di Giuria Lorenza Bravetta, si affiancano i nuovi giurati scelti tra personalità di alto profilo nei settori di riferimento del Premio: Francesca Barbi Marinetti, critica d‘arte, curatrice e imprenditrice culturale; Micol Forti, Curatrice della Collezione d‘Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani; Rosa Alba Impronta, collezionista, imprenditrice e fondatrice del progetto Made in Cloister; i fratelli Fabio e Damiano D‘Innocenzo, registi, sceneggiatori, poeti e fotografi. Completa la Giuria David Massey, Direttore Relazioni Esterne e Affari Istituzionali di Terna.

E inoltre un Comitato d‘Onore, composto dai vincitori dell‘edizione 2023 del Premio: Dione Roach (Premio Senior), Martina Zanin (Premio Giovani), Antonio Vacirca (Premio Amatori), Beatrice Aiello (Menzione Accademia), e Lorenzo Pipi (Menzione Opera più votata da Terna). A loro il compito di assegnare la Menzione Accademia.

 

 

 

PREMIO DRIVING ENERGY

Bando

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20.05.2024 # 6422

Filippo Cristallo e il Messico contemporaneo in bianconero

Mexicans, il libro che racconta con oltre 100 immagini uno spaccato del Messico

di Marco Maraviglia

Secondo Fabio Troncarelli, paleografo e docente universitario, Zorro fu un personaggio realmente vissuto nel Messico del XVII secolo ed era individuato in tal Guillén Lombardo alias William Lamport. Un eroe che combatteva contro la corruzione e per i diritti della collettività.

Ci sono luoghi che se non vissuti di persona, non è possibile farsene un‘idea precisa.
Nell‘immaginario collettivo il Messico ha i colori sgargianti, suoni di tromba e maracas, sombreri a gogo, mare fantastico azzurro cristallino lungo la costa, monumenti straordinari della civiltà Maya, rivoluzionari a cavallo come Pancho Villa e Zapata e le drammatiche guerre tra i cartelli dei narcos.
Tutto il mondo è paese, in fondo. Ma potrebbe capitare che, girando il Messico per mesi e mesi, in lungo e largo, ci trovi solo bellezza, gentilezza, rispetto del territorio e della gente, pulizia, trasporti pubblici funzionanti, serenità.

Il Messico è a colori e, come ogni macrocosmo, ha i suoi colori che prevalgono o meno.
In Mexicans abbiamo un Messico in bianconero. Perché a volte, come dicono tanti fotografi, il colore distrae dall‘attenzione della scena.

Nella sua fusione stilistica tra foto giornalismo documentario e ricerca formale, il progetto offre uno sguardo senza filtri sulla vita e le dinamiche di questo Paese. Le immagini raccontano storie di passione e resilienza, catturando con naturalezza l‘energia delle sue strade e gli aspetti della vita quotidiana. - Filippo Cristallo

È un Paese, il Messico, che cerca di riscattarsi attraverso le nuove generazioni, cercando un equilibrio tra passato e futuro di una realtà frammentata e contrastante. Urbanisticamente varia, tra zone rurali, grattacieli e casermoni popolari. Territori dalle atmosfere un po‘ anni ‘50 dell‘Italia, dove la tecnologia è una macchina da scrivere e telefoni pubblici per le strade. Dove le donne hanno fasce marsupiali non firmate per portare i propri figli. La gente veste senza seguire mode, e nel contempo i marchi delle multinazionali campeggiano su qualche facciata degli edifici graffiati dalle ombre di una gran quantità di cavi elettrici che passano da un palo all‘altro.

Questa opera non è solo un insieme di immagini, ma un invito a immergersi completamente nel contesto culturale e sociale del Messico, promuovendo una riflessione profonda e un apprezzamento per la sua intricata tessitura. - Filippo Cristallo


È un libro con 105 fotografie. Senza didascalie. Senza riferimenti geografici specifici se non la sola consapevolezza che si tratta di immagini scattate in Messico.
Come l‘album che allestiamo quando torniamo da un viaggio. Perché le risposte alle curiosità che sorgerebbero durante la loro visione, sono già lì. Informazioni visive che non hanno la pretesa di voler spiegare qualcosa perché le parole sono spesso soggette a interpretazioni. Che potrebbero essere sbagliate, travisate, insufficienti. Il racconto è tutto lì. Non resta che affondare lo sguardo nei bianconeri di Filippo Cristallo lasciandosi abbracciare nel proprio immaginario da questi, senza cercare necessariamente delle risposte.
Perché la presentazione del libro, scritta dal ricercatore Ricardo Pérez Montfort, offre un ampio spaccato socio-antropologico introduttivo sul Messico e sul lavoro di Cristallo.

Proiettavamo decine di diapositive quando tornavamo da un viaggio. Qualche amico si addormentava mentre per ogni foto raccontavamo ciò che non si vedeva in quell‘inquadratura, le nostre presunte prodezze e aneddoti per realizzare certi scatti. Oggi mostriamo centinaia di foto inutili sul display del fotofonino, dopo un viaggio.
In certi casi è meglio sfogliare un libro, cartaceo, immergervisi e viaggiare: in Messico!

Senza la smania di incapsulare in formule prevedibili o banali generalizzazioni, l‘impatto che ognuna di queste immagini generano nell‘osservatore suggerisce uno o più momenti che ci permettono di farci un‘idea completa di com‘è la vita nel Messico contemporaneo. – Ricardo Pérez Montfort

Bio

Filippo Cristallo, autore e fotografo con base ad Avellino, ha intrapreso il suo viaggio artistico nella fotografia con una dedizione particolare al reportage. Le sue esposizioni hanno preso il via con la mostra collettiva "12x12" nel 2013, seguita dalla presentazione del suo lavoro "My Mexico" al Circolo della Stampa di Avellino nel 2015.
Nel 2017, in collaborazione con Antonella Cappuccio, Cristallo ha presentato "Memorie di palazzo", progetto accolto con interesse in occasione di Fotografia Europea a Reggio Emilia e al Museo Antropologico Visivo di Lacedonia. Questo lavoro è stato nuovamente esposto al PAN di Napoli l‘anno successivo, e ha coinciso con la creazione di "Senza Tempo", un altro progetto significativo esposto al Circolo della Stampa e accompagnato da un volume pubblicato da Edizioni Zerotre.
Nel 2021, insieme ad Antonella Cappuccio, pubblica il libro "Memorie di palazzo". Nel 2023, Cristallo pubblica "Dia de muertos", con l‘introduzione di Antonella Cappuccio, un‘opera che continua a esplorare il ricco panorama culturale del Messico. Il suo impegno e la sua visione sono stati riconosciuti a fine 2022 durante l‘esposizione "Latino America Inspira" a Casa Argentina a Roma.
Le sue opere hanno trovato spazio su piattaforme come Witness Journal, Clic.hè magazine, Positive Magazine, Discorsi Fotografici, The Street Rover, Thetrip Magazine, EyeOpen Magazine, permettendo a Cristallo di condividere le sue narrazioni visive con un pubblico più ampio.
Con la pubblicazione del suo ultimo libro "Mexicans", Cristallo offre un affresco intimo e dettagliato del Messico, catturando momenti di vita quotidiana e scorci culturali attraverso la sua fotografia in bianco e nero.


Mexicans, di Filippo Cristallo
Pagine: 180

105 fotografie

Formato: 30x23 cm

Introduzione di Ricardo Pèrez Montfort

lingue: italiano/inglese/spagnolo

Prezzo: 32,00 Euro

2024
 ISBN 979-12-22732-82-4

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02.05.2024 # 6418

Piero Corvo e il Vietnam visto da lui

Il 3 maggio inaugura all‘A‘Mbasciata Fragments in collaborazione con il Consolato della Repubblica Socialista del Vietnam

di Marco Maraviglia

In uno degli spazi più affascinanti di Napoli, dal 2016 officina e trampolino di lancio di artisti emergenti, lì dove il burlesque, feste a tema e serate vintage allietano gli ospiti, Piero Corvo espone cinquanta fotografie 30x45 sul Vietnam.

 

Il progetto presentato da Piero Corvo fa parte di due lavori distinti sul Vietnam che riprendono l‘aspetto tradizionale del Paese e quello più moderno che è ancora in progress.

Il primo lavoro è stato esposto in occasioni non aperte al pubblico: per il Bridging Vietnam-Napoli Forum, un evento celebrativo in occasione dei cinquant‘anni di amicizia e partenariato tra Italia e Vietnam, presso il Grand Hotel Santa Lucia di Napoli e all‘Institut Français Napoli, organizzata nell‘ambito delle Giornate internazionali della Francofonia 2024.

 

In esposizione, e solo per tre giorni, ci sono le fotografie della prima parte, quella con gli aspetti tradizionali del Vietnam, con immagini scattate in luoghi lontani dalle grandi città e realizzate nel 2023.

 

Il Vietnam è una terra di mistero e bellezza, una sinfonia in continuo movimento, una finestra aperta sulla vita. Questa mostra non ha l‘intenzione di imporre una narrazione predefinita o di comunicare una storia specifica. Al contrario, invita il pubblico a esplorare i luoghi e a creare le proprie storie e interpretazioni dietro ciascuna foto. Ogni immagine esposta rappresenta un frammento della vita quotidiana nel Vietnam più tradizionale, catturato in modo autentico e spontaneo. Si tratta di istanti fugaci, gesti, sguardi e scenari urbani che possono ispirare diverse emozioni e riflessioni in ognuno di noi. Questa mostra è un invito a immergersi nella bellezza e nella complessità di un paese, non c‘è una trama predeterminata da seguire, ma piuttosto una tela aperta su cui dipingere la propria immaginazione.
- Piero Corvo

 

Fu una “sporca guerra” quella in Vietnam, durata venti anni e che terminò ufficialmente nel 1973. Di fatto nel ‘75.

Non è che le altre guerre siano “pulite”, ma oltre un milione e mezzo di vietnamiti morti, senza contare le vittime degli eserciti che si schierarono, fanno bene intendere la portata di quell‘incubo che coinvolse emotivamente l‘opinione pubblica occidentale. E ricordiamo tutti la foto di Nick Ut che ritraeva la bambina scottata dal napalm mentre correva e che fece il giro del mondo alimentando l‘indignazione internazionale.

Probabilmente fu l‘unico periodo in cui decine di artisti si schierarono contro una guerra generando le cosiddette canzoni di protesta. Da Bob Dylan a Jim Morrison, da Crosby Still Nash & Young ai Deep Purple, Joan Baez, John Lennon, Arlo Guthrie e altri ancora.

La versione teatrale di Hair nel ‘67 raccontava il dramma dei ragazzi americani, pacifisti e impauriti dall‘arruolamento.

Make love not war, fate l‘amore non fate la guerra era il claim nato negli anni ‘60. E quando tutto finì, il cinema iniziò a raccontare gli effetti devastanti che provocò sotto il profilo sociale, umano, psico-fisico: Tornando a casa, Il cacciatore, Taxi driver, Rambo… ma anche film indipendenti politically incorrect che trasversalmente erano metafore della sistematica distruzione dei villaggi vietnamiti come Soldato blu o Piccolo grande uomo, entrambi del 1970.

 

Ma qui non stiamo a rimuginare sugli orrori storici causati dall‘uomo. Il Vietnam si è rialzato. Risorge dalle ceneri come l‘Araba Fenice. Oggi è uno Stato economicamente aperto ai mercati di tutto il mondo con grandi abilità diplomatiche ed è considerato quindi una delle principali “tigri asiatiche”.

All‘inaugurazione sarà presente il Console che probabilmente potrà raccontarci nuovi e piacevoli aspetti del Vietnam illustrando il progetto fotografico e per promuovere il turismo in Vietnam.

Le fotografie di Piero Corvo non le ho viste tutte perché, come già scritto, sono inedite. La mostra sarà l‘occasione giusta per farsi raccontare il suo viaggio.

Perché mi piace respirare l‘odore del Vietnam nella sua veste contemporanea alla sera osservandone le foto all‘A‘Mbasciata.

 

 

Bio

Piero Corvo, è nato a Napoli nel 1996.

Pur lavorando come Partnership Manager nel reparto marketing di un brand di moda streetwear, la fotografia rappresenta per lui il centro del mondo attorno al quale ruota tutta la sua esistenza.

Appassionato di fotografia documentaristica e reportage, raccontare una storia attraverso le immagini o per il suo lavoro, lo fa sentire in sintonia con la sua vita.

Coltiva da sempre l‘amore per il cinema che è stato l‘imprinting fondamentale per avvicinarsi alla fotografia.

Autore di progetti fotografici come un reportage ad Hebron in Palestina esposto in diverse mostre.

Sul sito raccoglie i suoi lavori improntati principalmente sull’aspetto umano.

 

 

Fragments, una mostra fotografica sul Vietnam

di Piero Corvo

3-4-5 Maggio 2024

Vernissage venerdì 3 maggio ore 21.00

Sabato 4 e domenica 5 maggio ore 16.00-00.00
Luogo: A‘mbasciata – Via Benedetto Croce, 19 – Napoli

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16.04.2024 # 6411

Some People. Opere dalla collezione di Ernesto Esposito

Diciotto fotografie e due serigrafie che raccontano i cambiamenti dell‘arte e della vita contemporanea

di Marco Maraviglia

Questa è una storia della storia. Di quelle che accadono quando ci sono persone che hanno voglia di raccontare, trasmettere conoscenze sui saperi dell‘arte visiva che ha subito trasformazioni riflettendo la civiltà e cultura che scorrono.

Questa è una storia della fotografia contemporanea i cui contenuti richiamano i gusti, l‘estetica, la poetica dei tempi che abbiamo vissuto. E quelli che stiamo vivendo.

Questa è una storia sulla bellezza del collezionismo che condivide la grande bellezza.

Sì, sono venti immagini di grandi autori che hanno determinato punti di passaggio dell‘arte. Fotografi che, chi negli anni, chi da subito, sono approdati nell‘Olimpo delle iconografie splendidamente quotate.

 

Questa storia, ma chiamiamola mostra dai, nasce dal rapporto decennale di collaborazione tra il collezionista Ernesto Esposito e la storica dell‘arte e curatrice Maria Savarese.

Il collezionista vive un po‘ nell‘ombra. Alle inaugurazioni gran parte del pubblico non lo conosce e a volte non si rende nemmeno conto che l‘evento ha luogo grazie al suo lavoro di ricerca e accumulazione che dura per anni. Il collezionista in fondo è il protagonista di alcune mostre. Senza di lui molte opere non sarebbero custodite e fruibili.

La collezione Ernesto Esposito nasce nel 1971, quando acquistò la sua prima opera dal gallerista Lucio Amelio: Electric chair (1964), una serigrafia di Andy Warhol.

Da lì non si è più fermato aggiungendo al proprio patrimonio opere di altri artisti contemporanei. Non in maniera compulsiva ma seguendo il tempo che caratterizzava le opere, appassionandosi agli artisti che via via conosceva personalmente e vantando amicizie con Cy Twombly, Joseph Beuys, Andy Warhol, Helmut Newton. Solo per citarne alcuni.

 

Per Ernesto Esposito il collezionismo non è ostentare ma è una forma di mecenatismo. Sostenere gli artisti e l‘arte rendendola pubblica, fruibile attraverso i prestiti.

 

Stilista di fama internazionale, che ha da sempre collezionato opere dei più grandi artisti contemporanei spaziando dalla fotografia all‘installazione, dalla pittura al video fino a opere monumentali, con una grande poliedricità e intuito anticipatore.

 

Per la prima volta a Milano sono esposte alcune opere della collezione Esposito. Diciotto fotografie di fotografi contemporanei e due serigrafie di Andy Warhol.

David Bailey, Matthew Barney, Larry Clark, Luis Gispert, Robert Mapplethorpe, Helmut Newton, Jack Pierson, Richard Prince, Herb Ritts, Ugo Rondinone, Sterling Ruby, Francesco Scavullo, Cindy Sherman, Hank Willis Thomas, Qingsong Wang, Andy Warhol, Bruce Weber, Joel Peter Witkin, la mostra racconta e analizza l‘arte dei giorni nostri, da un punto preciso di rottura degli schemi sociali, sessuali e di identità di genere.

Sono opere che sembrano non avere un nesso tra loro ma il cui filo che le lega è invece caratterizzato dai diversi linguaggi dell‘arte contemporanea che Ernesto Esposito ha intercettato negli anni.

 

Come in un‘antica quadreria di una dimora del passato, le venti opere esposte raccontano, attraverso i personaggi ritratti, le contraddizioni e le inquietudini del nostro tempo, permettendo di individuare una serie di tematiche aggreganti, come la quotidianità e la sua parodia, l‘erotismo e il sesso, l‘identità e la non identificazione di genere, l‘alienazione sociale, i miti immortalati in eterno, mediante un vocabolario di parrucche, cosmetici, tinture per capelli, chirurgie plastiche, piercing, tatuaggi, corpi scolpiti e manipolati.

 

 

Mappa descrittiva delle opere esposte a cura di Maria Savarese:

 

Matthew Barney con Cremaster 2: The Ballad of Gary Gilmore incentra la sua allucinata struttura narrativo – estetica sulla vita e sulla mitologia che caratterizza la figura di Gary Gilmore, interpretato dall‘artista stesso e sull‘ipotesi affascinante che Gilmore possa essere il nipote illegittimo di Harry Houdini.

Larry Clark, fra i più importanti e influenti fotografi della sua generazione, con la serie Tusla, fa di questa provincia degli States in cui è nato, il simbolo per raccontare le frustrazioni, le devianze, gli abusi e le repressioni di ragazzi disadattati, di giovani adolescenti borderline, disillusi e vulnerabili.

Luis Gispert, focalizzandosi sulla cultura giovanile cubano - americana e sull‘hip hop, con Wrestling Girls attualizza la statuaria antica dell‘Ercole e Anteo del Pollaiolo, riproponendone la posa ed il dinamismo nelle due ragazze ritratte.

La fotografia di Robert Mapplethorpe, Ken Moody, è fra le sue opere più conosciute e rappresentative. Il soggetto, come nella statuaria classica, grazie al carattere formale della composizione ed all‘utilizzo magistrale delle luci e delle ombre, perde qualsiasi riferimento identificativo di natura sessuale o temporale.

Don‘t interrupt the sorrow di Jack Pierson, fra i massimi esponenti con Nan Goldin della cosiddetta Scuola di Boston, rientra nella straordinaria produzione fotografica dell‘artista, in cui elementi della vita quotidiana, frammenti di paesaggi urbani, nature morte ed oggetti ordinari, ritratti di persone incontrate anche per strada, sono fra i suoi temi prediletti.

Con New Portraits Richard Prince mette in evidenza l‘elemento chiave della sua poetica, ovvero il riappropriarsi di immagini tratte dal mondo dei mass media e della pubblicità, ridefinendo, così, il concetto di autorialità. Il soggetto dell‘opera, infatti, è un‘immagine scaricata da internet nella sua totalità: le didascalie, i likes, tutto portato al grado zero dell‘informazione.

Herb Ritts, fra i più grandi ed importanti fotografi del secolo scorso, è autore di opere di grande eleganza formale che ritraggono spesso famose personalità del mondo del cinema, della moda, della musica e della società contemporanea. Come nel caso di Mick Jagger, dove è sufficiente il nome ricamato sulla pettorina argentata per evocare il volto assente e il mito del leader dei Rolling Stones.

Ugo Rondinone, che utilizza diversi media, dalla pittura, al disegno, dalla scultura, al video ed alla fotografia, mostrando particolare attenzione e sensibilità verso tematiche di identità sessuale ed emancipazione delle categorie LGBT in rapporto alla società contemporanea, in I don‘t live here anymore altera ironicamente l‘immagine di una modella alla quale sostituisce il volto con il proprio.

Sterling Ruby in Physicalism the Recombine 1 ritrae una donna con il corpo scolpito dai muscoli ed il volto nascosto che si sovrappone ad un‘altra immagine riferita ad un interno, con cui non c‘è alcun rapporto o possibilità di comunicazione.

Storico fotografo di “Vogue”, “Harper‘s Bazaar”, “Rolling Stone”, Francesco Scavullo ha ritratto nei lunghi decenni della sua attività, celebrità come questo Harnold Schwarzenegger agli esordi della sua carriera.

L‘opera di Cindy Sherman, Untitled #334, unendo performance e fotografia, attraverso l‘autoritratto ed il travestimento, ironizza sugli stereotipi imposti alle donne dalla società e dalla cultura, generando un forte senso di turbamento ed impatto emotivo in chi osserva.

Con Requesting Buddha, Wang Qingsong analizza il rapido cambiamento che la società cinese sta vivendo ormai da decenni, come attestano i marchi Coca Cola e Marlboro presenti nell‘opera, evidenti riferimenti ai beni di consumo occidentali diffusi nel suo paese.

Le due serigrafie di Andy Warhol Mark Leibowitz e Nico Williams, sono fra le opere più importanti e conosciute del grande artista pop, così come l‘Olimpic Games di Bruce Weber, il quale, sin dagli anni Ottanta, ha proposto un‘immagine di uomo americano bello, sano, sportivo e giovane, come il ginnasta Marc Caso protagonista della foto.

In Who can say no to a Gorgeous Brunette? H. Willis Thomas affronta il tema del pregiudizio razziale e politico, fotografando Angela Davis, attivista politica, femminista appartenente al movimento Black Panters degli anni Sessanta.

L‘uomo travestito e mascherato in indumenti intimi e bendaggi, che Joel P. Witkin ritrae nella fotografia Woman, ribalta il concetto stesso di femminilità, rientrando nella moltitudine dei suoi personaggi macabri, figure di nani, transessuali, deformi, che popolano il mondo dei freak show e che lui sapientemente rende icone di una bellezza altra, spesso in rapporto all‘arte del passato, in special modo quella rinascimentale.

I ritratti di Ernesto di David Bailey ed Helmut Newton, sono soltanto alcuni fra i numerosi realizzati.

 

 

Bio

Designer di scarpe ed accessori, Esposito vanta una lunga e prestigiosa carriera con le griffe ed i brands del lusso a livello internazionale. Ha esordito negli anni Settanta con Thierry Mugler by Linea Lidia ed ha affiancato per i successivi quindici Sergio Rossi, il più importante produttore di scarpe del mondo. I decenni seguenti lo hanno visto accanto a Marc Jacobs durante la direzione creativa di Louis Vuitton a Parigi, città dove lui già collaborava con i marchi Sonia Rykiel, Chloè, Missoni, Alessandro dell‘Acqua. Nel 2004, per ben undici anni, inizia il suo rapporto con Karl Lagerfeld, come shoes designer da Fendi. Premiato nel 1998 come Designer of the Year dalla rivista americana “Footwear New”, è entrato nel 2006 nella HALL OF FAME per le calzature.

 

 

Some People. Fotografia dalla collezione Ernesto Esposito

dal 5 aprile al 10 giugno 2024

a cura di Maria Savarese

Other Size Gallery, presso lo spazio polifunzionale Workness Club

Via Andrea Maffei, 1 – Milano

ingresso gratuito

Lunedì - venerdì dalle 10.00 alle 18.00

                                  

Contatti:

info@workness.it

+39 02 70006800

 

Foto di copertina: © Robert Mapplethorpe

Foto sotto: © Cindy Sherman



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03.04.2024 # 6406

Francesca Sciarra ‘Na topografia – La linea immaginaria

Gli indefinibili confini della Città Metropolitana di Napoli in mostra

di Marco Maraviglia

Per questo progetto Francesca Sciarra ha percorso principalmente a piedi ma anche in bicicletta la linea di confine della Città Metropolitana di Napoli. A volte ritornando su alcuni luoghi.

 

Con le Città Metropolitana è come se si fossero buttate giù le cinte murarie immaginarie ma pur restando burocratiche tra città e province.

Costeggiando i confini dei quattordici comuni che circondano Napoli, coast to coast, da Bagnoli che confina con Pozzuoli al confine con il Comune di Portici, affacciandosi su Quarto, Marano, Melito, Mugnano, Arzano, Casavatore, Casoria ecc., Francesca Sciarra ha immortalato alcuni punti di questa linea “separatoria” a volte riconoscibile solo da indicazioni stradali. Dove non c‘è filo spinato a definire un confine, ma solo strade o i lati delle facciate di edifici. Quelli che affacciano sulla Città Metropolitana ma che in realtà appartengono al Comune adiacente. Sono zone in cui a volte possono esserci conflitti di competenza per lo spazzamento o forse per altri servizi.

 

È una storia fotografica di confini. Alla ricerca di essi e di una loro improbabile identità. Cercando di capire dove sono, quali sono, cosa definisce i confini. Quanto siano riconoscibili, se lo sono. Cosa cambia, se cambia qualcosa, tra di qua e di là delle coordinate GPS di un navigatore che indica dove ci si trova.

Il muretto di un villino, un recinto in lamiera, l‘accesso a un campo agricolo, un vecchio mercato abbandonato, elettrodotti aerei, tutto e nulla può trovarsi a cavallo della Città Metropolitana.

Cercavo recinzioni, cancelli e altri tipi di separazioni che potessero dare l‘idea del confine.

Ma ho fotografato anche edifici che mi colpivano, terre coltivate, elementi religiosi, cose strane come la barca in mezzo alla vegetazione incolta di Marano.


Il risultato è che le immagini, se non fossero abbinate ai dati GPS, mostrano l‘assenza delle differenze tra un Comune e l‘altro. Come se in realtà non esistesse un confine.

 

Questo di Francesca Sciarra è un lavoro che fa riflettere sul paradosso dei confini, potenzialità e la loro inutilità fisica.

In effetti i confini li abbiamo inventati noi uomini, incapaci di condividere lo spazio in cui viviamo.

Gli animali non mettono paletti, filo spinato, non disegnano cartine geografiche politiche o catastali.

Il confine limita. È un blocco sulle contaminazioni che invece sono quelle che possono evolversi in benessere collettivo.

Lo scambio di idee, di culture, in un contesto senza confini, rende la crescita più rapida. Libera. Se si avesse a cuore il bene comune e il rispetto dei propri simili. Condividendolo, senza sopraffazioni. Senza badare unicamente alla proprietà, al profitto. Ma questa è un‘altra storia.

 

La mostra, ‘Na topografia – La linea immaginaria, si svolge presso uno spazio polifunzionale accogliente e suggestivo di Ottaviano.

In una sala la cartina geografica con sopra alcune anteprime delle immagini applicate, rende la veduta di insieme del percorso effettuato da Francesca Sciarra.

Le fotografie sono state volutamente scattate in giornate con sole velato o con cielo grigio. Stinte, sbiadite, come quello stesso confine esplorato, indefinibile, immaginario, dall‘apparenza insignificante ma che racconta un macrocosmo di situazioni non dette, che ci sono ma impalpabili, ibride, anonime. Luoghi figli di un Dio minore.

È ‘Na topografia, ‘Na come “una” in napoletano o inteso anche come “Napoli”. Un rilievo topografico fatto senza teodolite, tacheometro, stadie e livelli, gli strumenti indispensabili del topografo, ma con l‘ausilio della fotografia e di coordinate GPS poste in calce alle stesse foto. Un racconto di confini ma ai confini di un limbo.

 

La Napoli che tutti conoscono, quella solare e mediterranea, quella rumorosa e folkloristica, persino quella nera e violenta, svanisce quando ci si avvicina ai confini, e si trasforma in un limbo anonimo, in una terra di nessuno di cui nessuno si cura. I paesaggi sono caratterizzati da qualcosa che manca, da spazi vuoti, da paradossi architettonici. La campagna, a tratti, insegue la città in un groviglio di muri, cancelli e recinzioni che non dividono più nulla.

 

 

Bio

Francesca Sciarra vive e lavora a Napoli. Ha iniziato giovanissima a fotografare e stampare in camera oscura. Dal ‘97 la fotografia è la sua professione.

Dalle news ai viaggi e al trekking, per 14 anni ha lavorato nel fotogiornalismo collaborando con varie testate e agenzie fotogiornalistiche, sia come autrice di testi sia come fotografa, diventando nel ‘99 giornalista pubblicista. Oggi si dedica alla fotografia di stock e documentazione geografica, e alla fotografia di famiglia.

Dal 2009 svolge attività legate alla fotografia all‘interno del collettivo Photonapoli da lei ideato.

Ha scritto più di cinquanta articoli nel campo geo-turistico per riviste di viaggio, monografie e guide tematiche. Ha partecipato a più di venti mostre fotografiche, tra personali e collettive.

La passione per il paesaggio urbano è il leitmotiv della sua ricerca personale.

 


 

‘Na topografia – La linea immaginaria

di Francesca Sciarra

Rassegna di fotografia al femminile Adrenaluna a cura di Tiziana Mastropasqua

ETC Officine Culturali

via Carmine 20, Ottaviano (NA)

dal 24 marzo al 21 aprile 2024

finissage 21 aprile ore 11.00

visitabile su prenotazione telefonando al 371 6313548



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