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06.12.2021 # 5849

Claudia Rocchini, la ritrattista degli animali, espone nella rassegna Animal Emotion

Nella suggestiva location di Mondofo, la mostra che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte

di Marco Maraviglia

Chi è Claudia Rocchini

È giornalista e fotografa professionista con esperienze allargate anche nel campo del marketing e comunicazione intraprese con grandi enti.

Per otto anni ha lavorato con Editrice Reflex: facendo interviste, gestendo rubriche e come Social Media Manager.

Docente di fotografia per grandi aziende e da oltre dieci anni tiene corsi di fotografia naturalistica in Parchi faunistici dedicati alla protezione e al recupero di specie a rischio di estinzione.

Nel 2014 pubblica per Rizzoli "I segreti dell'Oasi", (200 fotografie, 240 pagine) con prefazione di Ermanno Olmi.

Gli scatti realizzati a Vito, gatto con protesi alle zampe posteriori, sono stati ripresi dalla stampa di tutto il mondo, diventando nel 2020 la copertina del libro "Vito il gatto bionico" - Il Battello a Vapore, Mondadori Libri.

Specializzata in avifauna in volo e in ritrattistica, felina e non.

 

Non sono giocattoli

«Non sono giocattoli!» è il monito che alcuni genitori illuminati fanno ai propri figli quando desiderano un cane o un gatto o notano che ci giocano in maniera non appropriata.

Non sono giocattoli ma fanno parte della famiglia che li adotta. A volte sembra che siano loro il fulcro, l’anima della casa. Ci osservano, si avvicinano in cerca di una carezza o un grattino, emettono a volte guaiti spaventandoci, accorriamo da loro trovandoli accanto al loro cencio preferito perché vogliono condividere un po’ di gioco insieme. Hanno un’aurea che gli umani più affezionati percepiscono; mentre camminano è come se lasciassero una scia di polvere magica e invisibile che diffonde amore, benessere. Se stiamo male o semplicemente preoccupati, depressi, infelici, diventano la nostra ombra o si accucciano sulle gambe. Perché ascoltano le energie.

Non sono giocattoli. E, quando entrano nelle nostre case, divengono un patrimonio affettivo di cui non si può più rinunciare.

 

Da bimbi ci insegnano a riconoscere gli animali, i loro versi, ci raccontano favole con animali protagonisti, i cartoni animati stessi ci accompagnano nell’infanzia. E poi a scuola, parte della didattica è basata sull’insegnamento della vita animale. É del tutto naturale l’amore per loro: cresce insieme a noi.

- C. R.

 

La presenza degli animali nella storia è tracciata da testimonianze fotografiche e opere d’arte. Matisse immortalato nello studio con le sue colombe bianche da H. C. Bresson. Patty Smith ritratta da Robert Mapplethorpe col suo “tuxedo cat” (gatto in smoking, così li chiamano in Inghilterra i gatti con i “calzini” bianchi). E poi ancora Hermann Hesse, Dalì, Freddie Mercury, Karl Lagerfeld, Picasso, Klimt, Andy Warhol e tantissimi altri personaggi hanno condiviso parte della loro vita con un cane o un gatto lasciando un universo iconografico non sempre qualitativamente soddisfacente perché spesso si tratta di istantanee, foto casuali che purtroppo non rendono onore, ritrattisticamente parlando, a quei momenti intimi.

 

Animal Emotion

La pittura ci ha tramandato ulteriori testimonianze della presenza di animali domestici, che ci restituiscono atmosfere goliardiche, o romantiche, allegoriche ecc. Dalle civiltà più antiche, come quella egiziana in cui il gatto era particolarmente venerato, o i mosaici pompeiani, fino a giungere ai giorni nostri, si nota come cani e gatti siano parte non sempre marginale nella vita umana e quindi nell’arte.

 

Il progetto espositivo ANIMAL EMOTION, accoglie un evento unico nel suo genere che documenta, attraverso numerosi capolavori, come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte.

La mostra “trasforma” lo storico Complesso Monumentale di S. Agostino, nel cuore del borgo di Mondolfo, in un ideale “zoo artistico” che consente al visitatore di comprendere come l'animale abbia da sempre avuto un ruolo fondamentale nella grande pittura antica e nel vissuto umano quotidiano.

Divisa in tre sezioni, c’è quella con le fotografie di Claudia Rocchini.

 

Le fotografie di Claudia Rocchini. Tanta psicologia ed empatia

Ritrarre cani e gatti è forse il tipo di specializzazione fotografica più difficile. Perché questi individui pelosi non si mettono in posa a comando. Si muovono rapidamente, sono imprevedibili davanti all’obiettivo, non sono loro a dover capire qual è l’aspetto che devono mostrare mettendosi in posa, ma devi essere tu fotografo a coglierne la personalità. Che è diversa per ognuno.

Bisogna essere un po’ animali dentro, nell’accezione migliore del termine, per entrare in sintonia con loro. Leggende su San Francesco, che aveva il dono di essere “sentito” dagli animali, non è una roba poi tanto mistica. Perché esistono umani che riescono a stabilire una forte empatia con gli animali, senza assoggettarli, inserendosi con rispetto sulla loro stessa lunghezza d’onda.

Claudia Rocchini realizza shooting fotografici che durano non meno di due ore. Gli umani che le chiedono di ritrarre i loro amici pelosi, sanno che il risultato sarà sempre ineccepibile per quel suo modo di rapportarsi. Quel suo sesto senso del tipo “vedo animali che parlano”, ribaltando la famosa frase del cult movie con Bruce Willis.

Claudia non lascia cadere dalle braccia dell’umano un cagnolino per dare l’idea che salti come in una famosa foto di Elliott Erwitt, attende che qualcosa accada. Per catturare l’attenzione su di sé, a volte miagola o abbaia. Talvolta abbraccia il cane da ritrarre e gli sussurra dolcemente all’orecchio trasmettendogli serenità, complicità. Un po’ come Robert Redford in “l’uomo che sussurrava ai cavalli” che fece tornare Pilgrim il cavallo che era stato prima dell’incidente.

 

Tengo corsi di pet photography mentoring, one to one, in video call. … I corsi sono basati su una parola chiave: consapevolezza. …  Si tratta di mettere in pratica un mix di competenze tecniche di ripresa, di osservazione e conoscenza del comportamento dell’animale per poterne capire l’umore e prevederne i movimenti. É inoltre fondamentale imparare a sviluppare la nostra intelligenza emotiva in ogni declinazione delle sue abilità cioè la capacità di riconoscere, distinguere, etichettare e gestire le emozioni del soggetto animale che abbiamo di fronte.
L’obiettivo è utilizzare la fotografia come strumento di rivelazione delle personalità, per fotografare non solo ciò che si vede, ma principalmente ciò che si “sente”.

- C. R.

 

La tecnica di Claudia Rocchini
Non usa flash per non arrecare disturbo ai soggetti, solo luci continue con tre o cinque soft box e una giraffa. Scatta a raffica. Si accorge subito se l’animale è stressato e, in tal caso, sospende per un po’ la seduta. A volte chiede al “papà” umano di entrare sul set per abbracciare il suo amico per tranquillizzarlo, ma approfitta per tirare alcuni scatti che risultano intensi, intimi.

Sul sito di Claudia Rocchini ci sono testimonianze strepitose di allevatori, veterinari, privati che descrivono in maniera entusiasta il suo modo di lavorare e la soddisfazione dei risultati raggiunti delle immagini scattate ai loro cani e gatti.

 

Qualsiasi foto che presento al cliente deve riflettere la personalità del soggetto, scatto solo se c’è quel particolare emotivo che rende l’animale non solo un gatto o un cane qualsiasi, ma QUEL gatto e QUEL cane che l’umano riconoscerà come suo. Cerco un mix di pose classiche e giocose, il cliente di solito quando visiona i provini ha l’imbarazzo della scelta. Sono anche solita fare vedere gli scatti che non ho scelto perché magari ce n’è qualcuno con una posa o un’espressione tipica dell’animale cui il cliente è particolarmente affezionato, e che io non posso conoscere, perché non è il mio animale.

 

 

 


Claudia Rocchini 


ANIMAL EMOTION, il mondo animale tra arte, recupero e vita

Mondolfo, Complesso Monumentale S. Agostino

19 Dicembre 2021 – 16 Gennaio 2022

 

Comune di Mondolfo

Ufficio Cultura

Tel. 0721.939218

cultura@comune.mondolfo.pu.it

PAM – Pro Arte Mondolfo

info@proartemondolfo.com

Ufficio stampa

Maria Chiara Salvanelli Press Office & Communication

mariachiara@salvanelli.it

+39 333 4580190

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26.11.2021 # 5843

Un mondo parallelo chiamato autismo. Fabio Moscatelli e il suo progetto “Gioele – Il Mondo Fuori” in mostra

Un viaggio di amicizia durato sette anni in cui il mondo di dentro e quello fuori si interconnettono scambiandosi punti di vista

di Marco Maraviglia

Chi è Fabio Moscatelli

Classe 1974. Nato a Roma dove si è diplomato presso la Scuola Romana di Fotografia. Approda alla fotografia grazie all’entusiasmo e la passione trasmessogli da una ragazza che è poi diventata sua moglie. Attraversa la “fase dei rullini”, quella della fotografia analogica, per poi giungere al digitale. I suoi progetti fotografici sono quasi tutti a lungo termine. Approfondisce il lato emozionale nei suoi lavori in cui si evince un tempo dilatato e intimo nelle immagini stesse e con linguaggi visivi articolati, senza canoni e stili specifici.

Ha realizzato dei libri a tirature limitate.

Attualmente è impegnato con un racconto sulle attività agricole nelle zone terremotate del Centro Italia.

 

Gioele e l’autismo

Gioele vive un quotidiano straordinario, una normalità atipica. Ma chi ha stabilito cosa sia realmente la normalità? Gioele per certi versi è molto più normale, rispetto al senso che noi attribuiamo a questo termine. Non ha filtri, niente sovrastrutture condizionanti, non è falso e non conosce ipocrisia. È un essere puro.

I bambini ci stupiscono per la loro spontaneità, per il loro spirito di osservazione che molti adulti hanno perso nel tempo.

Quali sono i passaggi dalla fanciullezza all’adolescenza alla fase adulta? Regole, dogmi sociali, ruoli, step di crescita standard che fanno di ogni individuo una pedina confusa tra tante, consapevole di diritti e rispettosa di doveri. Chi si ribella, chi va in controtendenza, chi ha una mente borderline, secondo la società convenzionale è un folle . E non a caso vi sono persone che col loro pensiero trasversale divengono artisti, geni o eretici del mondo sociale fatto a scacchi. Quel mondo a gabbie inscatolate tra loro, interconnesse, come una figura impossibile, che lascia pochi spiragli a un pensiero diverso fatto anche di intuizioni, casualità e “concentrazione laterale” che non raramente portano a innovazioni.

Non si possono non citare persone che stavano in parte nello spettro dell’autismo come Michelangelo Buonarroti, Andy Warhol, Mozart, George Orwell, Stephen Wiltshire (vivente, quello che memorizza vasti paesaggi urbani da un elicottero e li riproduce disegnandoli) e altri ancora con caratteristiche mnemoniche spettacolari e che fanno comprendere quanto la programmazione del nostro cervello sia imprevedibile o spesso limitata e probabilmente condizionata da input culturali o altri ancora forse non del tutto noti.

 

La complicità di un’amicizia lunga sette anni

Parole o frasi ripetute, mancanza di attenzione, opporsi a richieste, sottrarsi allo sguardo, sembrano anaffettivi, incapaci di condividere emozioni, difficilmente si relazionano con i “normodotati”, camminano a vuoto come se stessero pensando un mondo a noi ignoto. Tutto ciò rende affascinante il riuscire ad entrare in contatto con loro attraverso una conquista reciproca. Come Tom Cruise che scopre poco a poco le qualità del fratello Dustin Hoffman in Rain man. Si tratta probabilmente di riuscire ad afferrare il senso della loro concentrazione laterale, quella che sembra senza senso ma invece rivelatrice di punti di vista diversi, lontani dalle nostre occlusioni mentali. La conquista avviene per complicità, per intesa, per credibilità. Mai per insistenza gratuita. Ma spogliandosi dai pregiudizi e planare su un’onda che può portare in luoghi dell’anima inesplorati.

 

La difficoltà di costruire un rapporto all'inizio non è stata dettata dalla condizione di Gioele, ma dalla differenza di età; non è semplice per molti bambini rapportarsi con un adulto.

 

Fabio Moscatelli incontra in un parco giochi Gioele quando aveva 10 anni. Oggi ne ha appena compiuti 18.

Da subito Fabio volle entrare in contatto col mondo di Gioele. Andava a trovarlo a casa, dopo aver conosciuto i genitori che lo accolsero, ma Gioele restava chiuso nella sua stanza. Syria, la figlia di Fabio, fu la pietra miliare per l’avvicinamento. Il punto di svolta di quel rapporto tra Fabio e Gioele che tutt’oggi dura.

E iniziò la collaborazione.

 

Un progetto lungo 7 anni…

Le modalità operative sono state molto spontanee. Senza un vero e proprio programma definito. Un canovaccio in cui le situazioni fotografate sono frutto del tempo trascorso insieme. Situazioni che si venivano a creare in maniera naturale. Come attori che improvvisano ogni volta su set diversi, conoscendo ognuno la propria parte e talvolta scambiandosi i ruoli.

 

Ho imparato tantissimo da questo percorso, sono migliorato come uomo, come padre; Gioele mi ha ricordato il valore delle cose semplici, la bellezza del nostro quotidiano e dei gesti semplici. Anche andare a mangiare una pizza ora è una festa, una gioia da condividere.

 

In questo lavoro di scambio Gioele impara ad usare la fotocamera regolando in manuale l’esposizione e inquadrando ciò che più lo cattura dall’esterno: per lo più dettagli, quelli che normalmente ci passano inosservati o che sembrano non meritare la nostra attenzione. È il mondo che Gioele ci restituisce, con poesia, dolcezza e un’ironia che quasi sembra voler dirci «ehi voi, ma che cose strane che fate!».

Le immagini di Fabio Moscatelli narrano alcuni momenti di questo intimo e amichevole sodalizio. Con altrettanta poesia e rispetto. Con la discrezione di un angelo invisibile che osserva e ascolta con attenzione la sua anima da guidare e amare.

 

La mostra, dove saranno esposti anche alcuni disegni di Gioele, purtroppo dura solo tre giorni ma alcune immagini resteranno nello spazio ospitante per molto tempo e Fabio e Gioele sono felicissimi di poter lasciare una traccia del loro passaggio.

Per Natale sarà pubblicato il libro Gioele – Il Mondo Fuori, curato da Der Lab, lo studio di Irene Alison, con una tiratura di 500 copie. Con testi di Irene Alison e del critico Simone Azzoni.

 

In un pomeriggio ancora caldo di fine agosto, nel parco giochi semideserto, ti ho visto. Gioele, un bambino come tanti, magari un po’ cresciuto per lo scivolo e l’altalena, un sorriso furbetto in faccia. Da quel giorno ha avuto inizio la nostra amicizia e il mio dialogo  con l’autismo, quella strana presenza che ti abita. Da quel giorno sei cresciuto, ti sei aperto a me e alla mia famiglia, sei diventato un prezioso compagno di giochi per mia figlia Syria ma, soprattutto, sei diventato ispirazione e co-autore  di questo progetto.

 

 

Gioele – Mostra fotografica

La mostra Gioele fa parte di DEDALI, il programma delle Industrie Fluviali realizzato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

 

Dettagli

 

Inizio:

1 Dicembre | 18:00

Fine:

3 Dicembre | 23:00

 

Organizzatore

 

Industrie Fluviali

Via del Porto Fluviale 35 - Roma

Telefono: 06 56557732

Email: info@industriefluviali.it

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19.11.2021 # 5841

Come ti interpreto la citazione. Frasi epiche di fotografi, intorno alla fotografia, rilette e un po’ smontate.

Rileggendo le citazioni d’autore, sono ancora tutte attuali? O qualcosa andrebbe riadattato e smentito?

di Marco Maraviglia

Giovani fotografi che citano frasi famose di fotografi come se fossero Fede assoluta. Diventano claim, slogan ad effetto piazzati nelle home dei propri siti WEB o postate sui propri profili social. Una citazione non può però essere una filosofia di vita professionale assoluta, ma soltanto un omaggio al fotografo che si ama. O uno tra i tanti punti di riferimento. Come vette di monti che sono comunque interconnessi tra loro da colline, valli, laghi, fiumi.

E comunque ogni citazione andrebbe contestualizzata nel suo periodo storico. Perché cambiano le tecnologie, cambiano gli uomini, cambiano i linguaggi visivi.

Proviamo a riflettere un po’ su alcune di tali citazioni…

 

 

Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene – Ansel Adams

 

Immaginiamo un giornale con notizie fatte di sole foto e senza nemmeno le didascalie. Riusciremmo ad estrapolare da esse le informazioni relative alle 5W giornalistiche?


What – Che cosa
Who – Chi
Where – Dove
When – Quando
Why– Perché

Sono le cinque domande che un giornalista deve soddisfare, per un normale articolo contenendo le risposte.

Da un giornale solo iconografico forse riusciremmo ad avere una o due informazioni se avessimo conoscenze pregresse di un fatto. Se conoscessimo il luogo in cui è stata presa una foto o conoscessimo il personaggio ritratto, potremmo dire che si tratta di “Mr. Smith ripreso a Portobello Road”. Il who e il where quindi, ma cosa, perché e quando era lì Mr. Smith non potremmo saperlo.

La citazione di Ansel Adams non funzionerebbe nemmeno per una gran quantità di fotografie concettuali. O artistiche, volendo. Perché non tutti possono avere gli strumenti culturali o un background esperienziale vasto che consente di comprendere immagini più complesse rispetto a un semplice paesaggio. E allora abbiamo immagini che sono accompagnate da testi di curatori, critici o da sinossi scritti di pugno dall’autore stesso che ci servono a comprenderle. Insomma, qualche “barzelletta” andrebbe spiegata.

 

Fotografare è mettere sulla stessa mira, testa, occhio e il cuore – Henri Cartier-Bresson

 

Siamo convinti di ciò che disse il mitico Bresson? La citazione tra le più famose di tutte può considerarsi completa? Assoluta? Verbo? Proviamo a interpretarla?

In realtà per fotografare occorre avere una certa sensibilità emozionale e percezione. Caratteristiche che, per svilupparle, necessitano di allenamento, esperienza, coscienza di sé, conoscenza. Il fotografo potrebbe trovarsi in una situazione nuova per lui e le foto che scatterebbe non rappresenterebbero al meglio il contesto. La “testa” dovrebbe rappresentare il bagaglio di competenze che si hanno relativamente al contesto che si fotografa. Se ci viene chiesto di fare foto di scena per uno spettacolo teatrale ma non conosciamo la trama della storia, le battute o scene più importanti, gli attori, le pause, le luci, probabilmente faremmo delle foto tecnicamente buone ma non belle. Specie se prese senza “cuore” che credo Bresson si riferisse molto probabilmente alla passione e alla cura nel fotografare.

E comunque solo la vista, “l’occhio”, tra i cinque sensi a volte non è sempre sufficiente: udito e olfatto possono stimolare infatti la nostra percezione facendoci dirigere l’occhio verso una determinata scena da inquadrare. L’olfatto ci guiderebbe dietro il vicolo in un’isola greca e con sorpresa ci farebbe trovare un delizioso ristorantino da fotografare: dallo chef ai piatti che cucina.

 

La parte più importante di una macchina fotografica sta dietro ad essa  – Ansel Adams

 

Torniamo all’ottimo Adams che conferma quanto già scritto sopra riguardo la citazione di Bresson: senza testa e cuore che viaggiano in tandem, l’occhio non basta. L’obiettivo e quindi l’occhio vede ma non osserva. Inquadra, taglia, sceglie cosa deve entrare nelle due dimensioni dell’immagine, compone bilanciando i pesi delle luci, ombre, colori, seguendo l’armonia e il ritmo di linee, volumi, spazi. Da solo l’occhio potrebbe restituire solo immagini virtuose sotto il profilo estetico-geometrico ma prive di significati più intensi.

Ciò che c’è dietro una macchina fotografica è la parte più importante: la testa!!! In essa vi è contenuta tutta l’esperienza del fotografo non solo professionale ma anche umana. Il suo vissuto, le persone che ha incontrato, i viaggi “lenti” e non mordi e fuggi, gli studi seguiti, i libri letti, i film visti… tutto materiale invisibile  attraverso il quale ha formato la sua personalità. Tutto l’immateriale della cultura personale che genera inevitabilmente un pensiero che si proietta sulle immagini che realizza.

 

Se le tue foto non sono abbastanza belle, è perché non sei abbastanza vicino  – Robert Capa

 

Probabilmente il “fotografo di guerra” Capa si riferiva, rispetto a quel "abbastanza vicino", allo stare nell’azione di un evento in maniera ravvicinata. Ma essere vicino al soggetto da riprendere non significa necessariamente stare dentro la scena. La vicinanza può essere anche soltanto emotiva e usare magari anche un teleobiettivo per avvicinarsi al soggetto da riprendere. Non c’è bisogno di fare un primo piano alla barba di un tuareg nel deserto o riprendere l’ugola di un soprano per fare un ritratto, ma occorre conoscere a fondo le caratteristiche del soggetto che fotografiamo. Essere vicini inteso quindi non necessariamente in termini di distanza fisica, almeno non solo, ma avere una maggiore conoscenza e sensibilità verso quel che si riprende. In una parola: empatia.

 

L’abilità nella fotografia si acquisisce con la pratica, non con l’acquisto  – Peter Lindbergh

 

È chiaro che se non acquisti una fotocamera non puoi essere un abile fotografo perché non hai lo strumento per diventarlo con la pratica. Però acquistando costose attrezzature non ci consente di diventare abili fotografi.

Anche acquistare costosi software di postproduzione non ci rende abili, utilizzandoli. Perché occorrono anni per imparare a utilizzarli facendo appunto pratica.

Ma l’acquisto potrebbe essere riferito anche a corsi, seminari, webinar, workshop e quant’altro di fotografia. Indispensabili per ampliare le proprie conoscenze tecniche di fotografo e senza le quali i tempi della pratica per acquisire abilità, si allungherebbero. Perché nei suddetti incontri c’è sempre uno o più professionisti che oltre alla tecnica trasferiscono ai propri allievi esperienze di cui fare tesoro. Accelerandone la pratica per transfert.

Il fatto è che, anche dopo aver studiato a lungo la fotografia “acquistando esperienze”, occorre fare sempre pratica. Perché non si smetterà mai di imparare.

 

L’importante è vedere ciò che è invisibile agli altri  – Steve McCurry

 

Esiste qualcosa che può essere invisibile ad altri? Perché? Ma il fotografo deve semplicemente vedere ciò che è invisibile ad altri o deve avere anche l’abilità di mostrare a questi ciò che non vedono?

C’è una differenza sostanziale tra guardare e osservare. Fotografi, scrittori di romanzi, registi, grafici, artisti visuali sono allenati a osservare. Guardare e porsi domande su ciò che vedono. Sono abituati ad entrare emozionalmente dentro la scena, riescono a sezionarne tutti i suoi elementi individuando il punto di massimo interesse che potrebbe essere invisibile o non individuabile al primo impatto alla maggior parte delle persone. Perché a volte c’è rumore visivo che distrae. Il fotografo è come un musicista, o un tecnico del suono, che filtra suoni e rumori di fondo, note stonate per restituire la massima purezza di un pezzo musicale.

Non basta vedere ciò che è invisibile agli altri, occorre riuscire a sintetizzarlo nella foto per mostrarlo a chi fruirà di quella foto.

A volte è indispensabile anche un certo tipo di postproduzione per esaltare ciò che si vuole mostrare. E questo McCurry lo sa bene preferendo la saturazione dei colori.

 

La fotografia, come tutti sappiamo, non è affatto reale. È un’illusione della realtà con cui creiamo il nostro mondo privato  – Arnold Newman

 

Già nel momento in cui inquadriamo una scena, limitata da quattro lati e inevitabilmente annullando la terza dimensione, stiamo alterando la realtà. Non mostriamo tutto ciò che c’è intorno alla finestra che abbiamo creato. Siamo costretti a essere bugiardi dal limite delle due dimensioni. Ma siamo piacevolmente consapevoli ingannatori. Vediamo una foto che sembra scattata su un’isola caraibica, ma più in là, sul bagnasciuga c’era qualche bottiglia di plastica della nostra civiltà consumistica, ovviamente messa fuori dall’inquadratura. Ma nel nostro intimo ci sentiamo gratificati quando gli amici ammireranno lo scorcio che abbiamo ripreso. Ingannandoli.

 

Chi non ama aspettare, non può diventare fotografo – Sebastião Salgado

 

Saper aspettare è effettivamente una condizione siddhartiana indispensabile per qualsiasi fotografo. Anche per il fotoreporter che può trascorrere ore o giorni interi ad aspettare che un’azione avvenga per poi attivarsi improvvisamente.

Il fotografo di still life? Anche. La sua è tutta questione di pazienza nel preparare sapientemente il set, senza affrettarsi. Perché ogni lama di luce colpisca il soggetto lì dove deve andare. Il paesaggista? Sì, anche lui, attende la luce giusta. Quella che magari ha già in mente. O aspetta che la conformazione delle nuvole sia quella che preferisce prima del click.

 

Di sicuro, ci sarà sempre chi guarderà solo la tecnica e si chiederà come, mentre altri di natura più curiosa si chiederanno perché – Man Ray

 

Non c’è niente di grave chiedersi, di fronte a una particolare fotografia, “come” è stata realizzata. Anzi, serve a scoprire e individuare nuovi linguaggi espressivi che andrebbero a sommarsi al proprio bagaglio professionale. Chiedendolo direttamente all’autore non sempre potremmo avere una risposta. Per qualcuno il segreto professionale è sacro.

Ma il “perché” esiste una determinata fotografia, bisognerebbe sempre chiederselo.

Perché è stata scattata? Perché è stata pubblicata su un’autorevole rivista? Perché è esposta in un museo? Perché (non) ci piace? Perché è fatta in un certo modo? Cosa vuole comunicare? È una fotografia utile per chi la osserva? Qual è il target? Chi dovrebbero essere i potenziali fruitori?

Perché i nostri occhi si sono posati su di essa per oltre cinque secondi?

 

 

Le citazioni sulla fotografia sono tante e forse, se si leggessero tutte, potrebbero fare più danni che altro. La cosa migliore potrebbe essere quella di conoscere l’intero pensiero del fotografo e il suo lavoro, la sua ricerca, per comprendere a fondo una sola frase.

Ma che il gioco dell’interpretazione delle citazioni continui! Trovatele in rete o inventatene voi, postatele sui social e avvierete discussioni interessanti.

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05.11.2021 # 5831

Dimitra Dede in mostra alla Spot Home Gallery con Ápeiron: l’assenza di confine

Immagini introspettive di un’insostenibile leggerezza dell’essere che indagano l’indefinibile della vita tra il buio e il buio

di Marco Maraviglia

Chi è Dimitra Dede

Dimitra Dede è un’artista visiva greca che vive a Londra e lavora prevalentemente con la fotografia. Ha conseguito una specializzazione in New Media dopo gli studi in fotografia.

La sua pratica artistica coniuga la pittura e l’uso di sostanze chimiche con la fotografia. La creazione delle sue immagini si basa su un processo intuitivo. La sua ricerca esplora la connessione tra spazio e tempo, memoria e disorientamento, perdita e vulnerabilità umana, la vita e l’Assurdo. Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei e festival in Europa, Stati Uniti e Asia.

Il suo libro Mayflies è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020, e del premio Unseen Dummy Award 2018 all’Unseen Festival di Amsterdam.

- dal comunicato stampa

 

Osservando le foto di Dimitra

Si entra in un mondo grigio torbido, dove i neri sembrano carboncini sfumati a mano. E tratti come tracciati a china. Macchie slavate.Tutto si confonde, tutto è inafferrabile. Nell’oscurità il circostante è fluido. Onirico. Sogni o incubi?

Dettagli che divengono galassie. Il reale diviene immaginazione. Tutto si sovrappone. C’è tanto blur. Indefinibile, come ciò che la nostra zona grigia nasconde nella mente. Vedo riflessi, o sovrapposizioni di spazi, corpi e paesaggi? Non conta saperlo perché meglio lasciarsi andare a quel segmento della vita che c’è tra il buio e il buio. Tra il ventre materno e l’ultimo sospiro. Non conta perché il messaggio, la sensazione che l’osservatore riesce a percepire, è sufficiente.

Immagini da decifrare o ascoltare? Quale anfratto del proprio intimo bisogna esplorare per riconoscersi in quei frame che sembrano in movimento, che si avvicinano, ci sfiorano, si allontanano ma ci affollano come sogni labili, profetici, inconsci?

Ma poi, perché cercare di capire in un mondo in cui non esistono certezze? Tutto scorre in un arco temporale breve. I segni ci travolgono, ci attraversano.

Acqua, terra, il verde… tutto in grigio/nero. Il bianco è la luce, la somma di tutti i colori, e qui non serve, resta nel mondo di fuori per non distrarre da un’introspezione inconscia e meditativa. Tra accenni pareidolici immersi nell’eleganza di un glamour celato. Apoteosi della sensualità perché nascosta e da scoprire.

E tutto scorre, tra ricordi di passaggio, di quelli che forse non ne abbiamo bisogno riviverli, ma ci sono, esistono, vivono ancora in qualche meandro della nostra anima.

 

…una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto. Il tempo si è fermato, o eternizzato, non sappiamo, tanto strettamente fotografico da non aver più nulla a che vedere con quello dei nostri orologi.

- Christian Caujolle.

 

Come nasce la mostra

Cristina Ferraiuolo, gallerista della Spot Home Gallery, è una cacciatrice di teste del campo fotografico. Per la sua attività spulcia anche libri fotografici di editori indipendenti ed ha scoperto Dimitra Dede che ha voluto nella sua galleria per la mostra Ápeiron curandone la realizzazione insieme a Michael Ackerman.

63 opere, frutto di un percorso di circa 20 anni.

Ápeiron, dal greco antico “à”, assenza e“peras”, confine: assenza di confine. Il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede, ben riflesso nella frase dello scrittore greco Nikos Kazantzakis: "Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro. Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita".

 

La tecnica di Dimitra

L’artista non usa programmi di manipolazione di immagini ma interviene direttamente sui negativi con bruciature, cera, solarizzazione in camera oscura, vernice e usa tutto ciò che può per imprimervi dei segni come graffi e incisioni.

Un processo di trasformazione “punitivo” della materia che le consente di elaborare il dolore e di raggiungere l’armonia ricomponendo i pezzi frammentati della sua esistenza di donna, figlia, madre e artista.

I negativi così trattati vengono poi scannerizzati e stampati in giclée su diversi tipi di carta, a seconda dei soggetti.

Alcune immagini sono stampate su una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente, ma eccezionalmente resistente: assonanza con un femminile materno che coniuga fragilità e forza, amore e cura.

 

 

SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

ÁPEIRON

Dimitra Dede

dal 28 ottobre 2021al 28 gennaio 2022

 

Opening 28 ottobre2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com

 

Contatti

Spot home gallery

via Toledo n. 66, Napoli

+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

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28.10.2021 # 5822

Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Un’opportunità per partecipare a una collettiva per raccontare l’impatto pandemico sulla società. A cura di Simona Guerra

di Marco Maraviglia

Che succede? L’impatto pandemico sulla società

Cosa è successo negli ultimi due anni? Ce ne siamo accorti? Crediamo veramente di avere piena consapevolezza della nuova dimensione umana in cui siamo stati catapultati, causa pandemia? Sono cambiati i nostri rapporti sociali e interpersonali? Frequentiamo le stesse persone allo stesso modo di quando eravamo nel “mondo di prima”? Abbiamo percezione di eventuali danni subiti nella nostra mente per aver vissuto il lockdown? Capita di trovarci soli in auto con la mascherina indossata e senza accorgercene? Abbiamo ridotto l’uso dei trasporti pubblici preferendo spostarci a piedi? Ci chiediamo mai quali sono i parametri per cui si potrà uscire dall’emergenza in cui viviamo? Tendiamo a programmare le nostre vacanze in luoghi meno frequentati? Ma veramente è aumentata la folla della movida perché vuole riprendersi un pezzo di vita perduto,come se non ci fosse un domani? Siamo ormai già abituati a mostrare un QR code per entrare in un museo? O evitiamo di andarci perché emotivamente non accettiamo di esibire un’etichetta preferendo aspettare che si ripristini la normalità? È possibile l’adattamento dell’uomo alla distopia sociale senza conseguenti effetti collaterali?

Se non vi siete mai fatti almeno una di queste domande o altre ancora, potete terminare qui la lettura.

 

Call: chiamata alle armi per gli invisibili effetti sociali della pandemia

Simona Guerra, scrittrice, critica di fotografia e curatrice di mostre cerca narrazioni riguardanti lo stato attuale dell’Italia: Lo stato italiano adesso.

 

Sembra che il presente non sia più così semplice da trasmettere con le immagini. Anche perché un terremoto si può fotografare; gli effetti di una bomba con i suoi morti e feriti si può raccontare. Ma gran parte dei problemi di oggi restano inaccessibili agli occhi e all’apparecchio fotografico, a cui sembra sia stata lanciata una nuova sfida.

 

Si cercano progetti che esprimano visivamente e con l’ausilio di testi, narrazioni che vadano concettualmente oltre quelle immagini già viste come gente sui balconi, file fuori ai supermercati e carrelli in uscita stracolmi di provviste, gente distanziata con mascherina nei giardini pubblici, segni arrossati sui volti del personale sanitario causa mascherina indossata a lungo, ecc. ecc.

NO. Simona Guerra cerca il “dentro”, l’invisibile intimo, il tormento di quei fotografi che stanno ancora soffrendo per la mancanza di un abbraccio con un’amica incontrata per strada dopo oltre un anno; soffrono nell’evitare feste in casa con i soliti 30-40 amici; per il preferire la video-chiamata con un cliente; per non poter andare a trovare un amico in ospedale.

Tutte privazioni che non fanno parte di una vita normale. Perché non sono a dimensione umana.

 

Le immagini che ci propongono i media servono, o dovrebbero servire, a rappresentare il presente, dunque, chi e in che modo sta raccontando: la paura, la diffidenza, la perdita d’identità e quella di autodeterminarsi? La ricerca della Verità, continuamente rovesciata da versioni tra loro contrastanti, spesso offerte dalla stessa persona. E ancora: il terrore della sofferenza e della morte, le divisioni, gli attriti, i pensatori in lotta, il concetto di altruismo, dovere, responsabilità?

 

Gli artisti che hanno raccontato i disagi della storia

Negli anni l’arte ha comunicato contesti storici rappresentandone il tedio, il disagio, i drammi vissuti dalla società ma metabolizzati e rappresentati dagli artisti. Mi vengono in mente L’Urlo di Munch, apoteosi dell’Espressionismo; Il sonno della ragione genera mostri di Goya; Guernica di Picasso; fino ad arrivare ad alcune opere di Andy Warhol che metteva in discussione la frenesia della civiltà americana. Non sono che alcuni esempi che non documentano visivamente fatti, ma mostrano visivamente stati emozionali, invisibili, immateriali e che colpiscono duramente al cuore l’osservatore. E chissà se esistono fotografie che riescano a mostrare gli attuali stati psico-intimi attraverso gli invisibili metadati di questa realtà.

 

Che ne è, oggi, della narrazione dei fatti? È tornata ad essere ricca come prima dell’inizio della pandemia o ci sarebbe bisogno di materiale aggiuntivo perché si possa dire di avere una narrazione dell’oggi più completa?

 

Diamoci da fare: come procedere

Fino al 1° dicembre, Simona Guerra accoglierà e visionerà lavori fotografici (corredati da scritti) realizzati sulla base di questa traccia. Gli autori che meglio sapranno spingersi oltre i confini della narrazione già disponibile (per temi e punti di vista) verranno esposti all’interno dello Spazio di Piktart, sito a Senigallia, in una mostra della durata di 10 giorni, nell’inverno 2021.

Verrà inoltre valutata la messa a punto di un catalogo della mostra, edito dalla Piktart, con un testo critico a corredo e presentazione.

Si tratta di una vera e propria chiamata alle armi, visive e testuali, da sempre potenti strumenti di espressione e utensili preziosi del concetto artistico di attivismo.

Le attività di curatela di questa mostra vengono offerte a titolo gratuito e rappresentano il sostegno di Simona a quella parte di società che si è accorta di quanto minaccioso sia questo momento storico e sente l’urgenza di comunicarlo.

 

Dettagli:

www.pikta.it/piktart


Credit: Ph. Enrique Meseguer da Pixbay

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18.10.2021 # 5819

Lost the Way Home, il libro di Antonino Condorelli per gli invisibili di Amburgo

Iniziativa editoriale in tandem con i medici volontari di ArztMobil Hamburg per sostenere attività di solidarietà per indigenti e senzatetto

di Marco Maraviglia

Chi è Antonino Condorelli

Classe 1973. Fotogiornalista freelance nato a Catanzaro e dove ha vissuto parte della sua vita.

Ha studiato fotografia a Milano. Inizia la professione di fotografo lavorando per i giornali calabresi coprendo fatti di cronaca, politica e i primi sbarchi dei migranti nello Jonio.

Si è sempre occupato principalmente del Sud nel mondo documentandone i suoi aspetti sociali.

Ha collaborato con agenzie nazionali e internazionali. Ha pubblicato su giornali Italiani e stranieri. Ha viaggiato in Argentina durante la crisi del 2002, in varie città d’Europa e in Burundi dove capì che l’Africa e il vicino Medio Oriente erano i luoghi dove avrebbe concentro la sua attenzione.

È stato in diversi paesi africani colpito da quel che si dice “il mal d’Africa”. Un amore che lo ha visto impegnato 

Dal 2015 si trasferisce in Germania con la sua famiglia e dove ha più opportunità professionali.

Nel 2016 ha vinto il “Blauer Löwe” per un lavoro realizzato in un paese della Bassa Sassonia circa gli immigrati che vivono in quel posto.

 

Il Sud del mondo

Quando pensiamo al Sud del mondo immaginiamo quelle zone economicamente depresse concentrate in Africa, nel Sud dell’Asia, luoghi dell’America latina. Ma i punti cardinali possono acquisire una loro soggettività in un mondo dove anche nelle metropoli più ricche, civilizzate, tecnologicamente avanzate,esistono sacche di emarginazione socio-economiche, di minoranze bistrattate. Il Sud del mondo si trova anche nella dispersione scolastica delle grandi città, nel non riconoscere pari diritti di lavoro a prescindere dal genere, nei disabili che vivono in contesti urbani che li impediscono di spostarsi autonomamente causa barriere architettoniche, negli immigrati sfruttati sul lavoro, carceri sovraffollate, nei senzatetto, indigenti e tanto altro. Invisibili. Un Sud di cui molti girano la testa dall’altra parte. Un Sud a volte considerato parassitismo che “meglio se non ci fosse”. Ma c’è. Esiste. E servirebbe un po’ di sensibilità ed empatia in più per salvaguardare la dignità umana. Sostenibilità umana.

 

L’esercito dei volontari

Fortunatamente quel Restiamo umani di Vittorio Arrigoni sembra calzare a pennello come un claim per tutte quelle attività di associazioni ed altre organizzazioni che si prodigano nel sostenere i cosiddetti “invisibili”. Minoranze “fastidiose”.

A mia memoria credo che tutto sia iniziato nel 1865 conl’Esercito della Salvezza, un’organizzazione evangelica che aiutava i bisognosi e ancora operativa in tutto il mondo. La solidarietà si è poi estesa a tante altre realtà e il fotoreporter Antonino Condorelli entrando in contatto con una di queste, ha voluto dare il proprio contributo.

 

Antonino Condorelli per ArztMobil Hamburg

“Lost the way homeè un progetto fotografico nato durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus nel 2020. Il Fotogiornalista Antonino Condorelli ha seguito in quel periodo un’organizzazione di medici volontari che, nella città di Amburgo, si prendono cura delle persone senza tetto e con scarsa sufficienza economica. Il lavoro, partito inizialmente come un reportage da pubblicare sui giornali, ha preso una "piega" diversa quando Condorelli ha proposto ad ArztMobil Hamburg di realizzare un libro con il quale poter sostenere economicamente l'organizzazione.

Per più di un mese il fotografo Antonino Condorelli ha seguito i medici di ArztMobil Hamburg cercando di raccontare il difficile lavoro che svolgono i volontari nel curare e assistere i senzatetto della città, soprattutto in questo periodo incerto di pandemia. Lost the way home è un viaggio intimo nella vita di medici e assistiti che attraverso il loro incontro rischiarano le ombre della vita. Lost theway home allude al complicato rapporto con la vita di una società che esclude chi vive diversamente.” (Dal comunicato stampa).

 

 

Il libro Lost the way home

Il libro consta di sessanta fotografie in bianconero con testi dell’autore e dei medici di ArztMobil Hamburg per un totale di 88 pagine.

Immagini che raccontano l’attività dei medici volontari, tra visite mediche nel camion attrezzato ad ambulatorio, rifornimenti alimentari e relative distribuzioni tramite furgone; momenti intensi le cui foto lasciano intuire il rapporto di fiducia instaurato tra medici e pazienti e con ritratti di alcuni di questi. Ritratti dove si scorge un filo comune per tutti: lo sguardo sofferto, di una vita provata che racconta storie probabilmente irraccontabili, fatte di miseria, violenze, soprusi, abbandoni subiti da chi magari doveva esserti vicino. Persone che non ce l’hanno fatta perché emotivamente fragili, senza spirito combattivo e che si sono lasciate andare. Per scelta o per vicissitudini della vita.

Ma i volontari sono lì. Non fanno domande. Ascoltano, i loro malesseri, per curarli o perlomeno alleviarli.

 

Il nostro autobus non è solo una sala per trattamenti sanitari, maanche un rifugio. Spesso l'attenzione non è solo sulle cure mediche, ma sulletue preoccupazioni e sui tuoi problemi.

- JuliaHerrmann; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

E l’obiettivo di Antonino è lì, occhio discreto ma penetrante, dentro quelle atmosfere dure ma impregnate di bontà.

Antonino Condorelli, in termini di celebrità, non è Dorothea Lange ma ha fatto un passo avanti perché oltre a sensibilizzare con questo libro su uno spaccato sociale della “civiltà” occidentale, ha messo a disposizione la sua professionalità senza badare al profitto.

 

… queste esperienze mi hanno aperto gli occhi. Ho camminato per le strade con più attenzione. E all'improvviso ho notato molte difficoltà nella nostra ricca città che non avevo mai visto prima o forse non volevo vedere. Coloro che vedono le difficoltà devono agire.

-Von Levke Sonntag; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

 

Il libro è stato autopubblicato nel febbraio 2020 ed èacquistabile sul sito di Antonino Condorelli (https://www.antoninocondorelli.com/prodotto/lost-the-way-home-homeless/)

 

 

PROSSIME MOSTRE:

 

Dal 22-10-21 al 21-11-21

Vernissage giorno 22 ottobre alle ore 19 presso St.Michaelis Kirche, Johan Sebastian Bach Platz, Lüneburg.

La chiesa in cui si tiene la mostra è una delle chiese maggiori di Lüneburg costruita dai benedettini intorno al 1300. Bach è stato allievo lì.

Contatti +49 04131 2072-14

 

Dal 26-11-21 fino al 19-12-21

Vernissage giorno 26 novembre alle ore 18 presso Reso FabrikWinsen Luhe, Neulander Weg 15, Winsen Luhe.

La Reso Fabrik è una fabbrica sociale in cui vengono realizzati programmi di inclusione per gli abitanti della città. Si occupa di realizzare progetti di vario tipo, spesso basati sull'arte, con cui si cerca di aggregare le varie culture presenti.

Contatti +49 04171 783940

 

In entrambe le strutture l'ingresso è libero, e in entrambe le mostre sarà possibile acquistare il libro Lost the Way Home per sostenere imedici di Arzt Mobil. Costo del libro 45,00 € se acquistato sul posto.

 

Ufficio Stampa e Organizzazione: antoninocondorelli@antoninocondorelli.com

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06.10.2021 # 5811

Marina Alessi in mostra con +D1, i ritratti corali di una perfetta padrona di casa

Presso la Galleria Gallerati a Roma i bianconeri della fotografa Marina Alessi e la possibilità di essere ritratti su prenotazione

di Marco Maraviglia

Chi è Marina Alessi

Classe 1960. Vive e lavora a Milano dal 1984 iniziando come assistente per Giovanni Gastel e Fabrizio Ferri. Professionalmente attiva dalla fine degli anni ’80, fotografa specializzata in ritratti, ha colto attraverso il suo obiettivo  i protagonisti del mondo del teatro, del cinema, della cultura e della televisione, seguendoli sui set, sui palcoscenici e nella vita come ritrattista e fotografa di scena.

Partecipa a tutte le edizioni del CliCiak, il concorso nazionale riservato ai fotografi di scena.

 

Ha lavorato principalmente in grande formato con Linhof Technika 4x5.

Ebbe l’audacia di presentare un progetto alla Polaroid per poter utilizzare la Giant Camera, di cui sono presenti nel mondo solo 5 esemplari, fotografando per sei anni oltre 280 personaggi. La Giant Camera, per intenderci, realizza scatti unici 50x60 su supporto Polaroid a sviluppo immediato.

 

Ha pubblicato i libri fotografici:  44+1, AutoRitratti – fotografia e street art gioco a due (Vallecchi 2009,introduzione di Dario Fo e testo critico di Roberto Mutti); Facce da leggere – 282 ritratti di scrittori(Rizzoli 2010, prefazione di Sandro Veronesi), Zelig – 25 anni di risate (Mondadori 2012).

 

Tutto il resto lo si può conoscere sul suo sito: www.marinaalessi.com

 

+D1 –Ritratti corali

Più di uno, più di una. Sono principalmente ritratti di gruppo in bianconero realizzati con reflex digitale. Un lavoro iniziato nel 2019 come residenza d’artista presso il MACRO e, successivamente, implementato da nuove immagini. Una bella avventura fatta non solo di abilità professionale ma di passione per la gente da ritrarre perché senza l’entusiasmo di voler “leggere” le persone, conoscendole attraverso i propri occhi e cuore, senza sovrastrutture e pregiudizi, i risultati sarebbero asettici. O unilaterali. Perché, come scrisse Roland Barthes in Nota sulla fotografia:

 

“Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”

 

Con il solo punto di vista del fotografo non è possibile la danza condivisa del ritratto fotografico. O almeno, non quello che dovrebbe apparire con quella spontaneità tipica di una convivialità dove le espressioni degli ospiti del banchetto sono serene, rilassate, sorridenti, paghe. Dalle immagini di Marina Alessi si intuisce che il suo lavoro la diverte. E, volendo continuare il paragone con una tavolata, Alessi sembra essere la perfetta padrona di casa che riesce a mettere a proprio agio anche invitati sconosciuti, creare l’atmosfera giusta della festa (quella del set) e condire con sapienza le proprie portate: i giusti tempi per sistemare con adeguate indicazioni le pose dei soggetti da ritrarre, tranquillizzarli e decidere il momento dello scatto. E per i ritratti di gruppo, è un po’ come quando a tavola percepisci all’istante che quello più in disparte vorrebbe gli si passasse la saliera che subito gli fai arrivare. Sorprendendolo. Tutti tenuti a vista, perché tutti devono star bene.

Se non si è contenti di ritrarre persone, se non si ha un buon rapporto con se stessi, se il proprio volto non è sereno e sorridente come quello di Marina Alessi, i soggetti che sono davanti all’obiettivo rifletterebbero inevitabilmente tutt’altre espressioni.

 

In +D1 presso la Galleria Gallerati, vi sono esposti ritratti di Daniele Di Gennaro, Luca Briasco, Umberto Ambrosoli, Elisa Greco, Amanda Sandrelli, Serena Iansiti, Emiliano Ponzi, Stefano Cipolla, Chicco Testa, Marco Tardelli, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Ed altri ancora. Immagini tratte tra tante da una selezione casuale.

 

“Ho sempre fotografato persone: mi piace la complicità che si crea quando le ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”

 

Ecco, ritratti affettivi. Affezionarsi alle persone che siritraggono. Con tutte le loro emozioni, stati d’animo sfuggenti, sentendoli vicini attraverso quel processo di empatia alchimistica tipica di un collaudato ritrattista.

Grazie a quella tensione e attenzione che la perfetta padrona di casa riesce a creare: Marina Alessi.

 

 

 

MarinaAlessi

+D1 –Ritratti corali

A cura di Manuela De Leonardis

Galleria Gallerati  (Via Apuania, 55 – Roma)

 

Inaugurazione giovedì 14 ottobre 2021, ore 19.00-22.00

Fino a venerdì 12 novembre 2021 (ingresso libero)

Orario: dal lunedì al venerdì: ore 17.00-19.00 / sabato, domenica e fuori orario: su appuntamento

Secondo le disposizioni in vigore, ingressi contingentati e consentiti soltanto con opportuni dispositivi di protezione individuale


Ritratti in galleria su prenotazione

Ufficio stampa: Galleria Gallerati, ufficiostampa@galleriagallerati.it

Informazioni: info@galleriagallerati.it, www.galleriagallerati.it,  www.marinaalessi.com

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30.09.2021 # 5803

Gli specchi di Ivana Galli e i suoi “ritratti scomposti” in occasione della rassegna Illuminazioni a Montorso Vicentino

La ritrattistica fotografica che promette di scoprire se stessi attraverso un affascinante ménage à trois tra psicologia e cubismo

di Marco Maraviglia

Chi è Ivana Gali

Classe 1968. Non solo fotografa. È infatti creatrice di installazioni site specific e di land art, musicista digitale, contrabbassista e un’insolita performer. I suoi interventi artistici consistono in contaminazioni di proprie esperienze di vita e conoscenze di lavoro sul campo,consapevole che la comunicazione artistica può sfruttare le percezioni emotive, sensoriali, psicologiche, generate da opere (inter)attive.

Autodidatta, niente studi artistici, niente scuole di fotografia se non l’essere stata immersa nella sua infanzia e adolescenza nel mondo del padre fotografo.

 

Cubismo e ricerca della spazialità

A volte, uno degli intenti di chi produce immagini è il voler dare loro una certa spazialità, rompere il limite delle due dimensioni cercando nuove soluzioni visive. Per offrire allo spettatore nuove percezioni dimensionali che possano integrarlo e coinvolgerlo emozionalmente in una realtà spaziale. È il caso dei vari tentativi di codificazione della prospettiva nell’antichità fino a raggiungere i risultati scientifici rinascimentali con successive incursioni anamorfiche di Andrea Pozzo che davano una certa tridimensionalità ai suoi affreschi. Quindi ricerca della profondità, il poter sentirsi dentro l’immagine, come l’invenzione della fotografia stereoscopica e il suo effetto 3D. Poi c’è stato il Cubismo. Poi la spazialità dell’oltre la tela di Lucio Fontana. Le immagini pop-up. Le architetture impossibili di M. C. Escher che stimolano una percezione ottica sovradimensionale.

Insomma, il limite dell’immagine è, per qualcuno, l’immagine stessa.

 

Ritratti scomposti

Ivana Galli prende spunto da questo limite delle due dimensioni. Ma andando oltre il sistema fisico delle immagini. Anche perché parte del suo lavoro fa parte dell’ambito del ritratto fotografico. E fare un ritratto non è come realizzare uno still-life, una natura morta, ma implica un rapporto di intesa tra il soggetto da riprendere e il fotografo per poter restituirne l’anima all’osservatore. È un feeling che si instaura con fiducia e stima reciproca la cui abilità del fotografo non deve essere prevalentemente tecnico-estetica, ma innanzitutto psicologica.

I Ritratti Scomposti di Ivana Galli non cavalcano quel cubismo fotografico fatto di collage o manipolazioni digitali in post-produzione o degli affermati “puzzle” di Polaroid di Maurizio Galimberti che comunque mostrano di un soggetto il suo volume in quanto ripreso da più punti di vista. Ivana adotta invece una sua tecnica di ripresa per cogliere una certa intimità.

 

La macchina di Newton, gli specchi di Ivana Galli

A Helmut Newton capitava di lavorare con degli specchi per ritrarre le sue modelle. Gli servivano affinché si riflettessero per sistemarsi al meglio. E talvolta, un po’ come oggi le influencer si fotografano allo specchio, Newton dava alle modelle la possibilità, per mezzo di un lungo scatto flessibile, di selfiarsi. Era, come lessi su una rivista specializzata negli anni ’80, la cosiddetta “Macchina di Newton”. Un modo per far prendere confidenza del set alle più inesperte.

Ivana Galli usa anche lei gli specchi, ma questi sono per lei un po’ il cuore dei suoi ritratti. E sono specchi particolari costruiti da lei stessa con vari riquadri e disposti con diverse inclinazioni. Per alcuni pannelli il patchwork speculare è fissato, altri hanno la possibilità di ruotare o inclinare i vari riquadri a piacimento.

 

Quando al luna park ci troviamo nella stanza degli specchi, c’è sempre quello che preferiamo che non è detto che sia quello preferito da tutti. Quello che allunga, quello che accorcia, quello che ingrassa, c’è poi quello che ci rende il volto come un mostro o quello che ci accorcia solo le gambe ecc. E davanti a quelli ci spostiamo indietreggiando o avvicinandoci. A ognuno il suo. E forse in quei momenti non ci rendiamo conto che sta entrando in gioco la nostra componente emotiva. Riflettendoci ironizziamo sul nostro aspetto in pose buffe o cerchiamo di individuare il riflesso a noi più congeniale. È psicologia. Un modo di scoprirci, inconsapevolmente giocando ma con serietà con noi stessi.

 

Ecco, Ivana Galli con Ritratti Scomposti ricerca quel lato psicologico del soggetto che si presta a questa sorta di performance che non è altro che un ménage à trois dove lei è l’occhio, il pannello di specchi il cuore e il soggetto ripreso, la mente.

La mostra non consiste in una semplice esposizione dei suoi ritratti ma in sedute psico-fotografiche.

In venti minuti il soggetto si pone innanzi allo specchio multiplo, di fianco a Ivana. E inizia una danza mentale. Il soggetto, riflettendosi, osserva le varie possibilità del suo corpo scomposto fino a individuare l’immagine che gli sembra più congeniale al suo stato d’animo. È un momento narcisistico? Un dialogo con se stesso? Un’analisi di ciò che si scopre insolitamente e si ripercuote nell’intimità del modello? Ivana è lì, ascolta con gli occhi dando il tempo alla persona che ha di fianco, di ritrovarsi. Quando la figura riflessa è pronta, il patchwork di specchi diventa protagonista e Ivana la ritrae. Senza essere lei stessa riflessa.

 

È un gioco a tre: soggetto, fotografa, specchio per un ritratto scomposto ma che ricompone quella che potrebbe essere il quarto elemento del gioco. L’anima più intima della persona ritratta. È la spazialità psicologica dei ritratti di Ivana Galli.

 

È bello perdersi in uno specchio e farlo diventare il tuo viaggio. È una strana sensazione quella che accade in queste performance fotografiche: la persona ritratta non è davanti ad un  obiettivo.

Pone se stessa, rivede parti di sé nella scomposizione, si ricerca.

Io sono a fotografare chi guarda se stesso.

 

 

Mostra d’arte contemporanea ILLUMINAZIONI

Organizzata dall'associazione culturale Miti e Mete

Ritratti Scomposti di Ivana Galli

Villa daPorto Barbaran, Montorso (VI)

25-26 settembre; 2-3 ottobre e 9-10 ottobre

Orario: 16.00-20.00

Per concordare una seduta: WhatsApp 329 7286213

 

Partecipando alla performance “Ritratto  scomposto”,avrete  la possibllità  di "mettervi  a nudo" per uno scatto  unico, portarlo a casa stampato  e, soprattutto, scoprire quali parti vi appartengono di più.

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07.09.2021 # 5775

Darüber Hinaus / inOltre, Pino Dal Gal oltre il suono della percezione

Un evento sinestetico a Verona tra fotografia e suoni per ascoltare forme e colori

di Marco Maraviglia

Chi è Pino Dal Gal

PinoDal Gal è un simpatico e attivissimo signorotto di 85 anni (classe 1936) con entusiasmo, curiosità e creatività sempre in esercizio. Fotografo professionista di Verona che ha avuto riconoscimenti nazionali fin dal 1958. Agli inizi degli anni ‘60 inizia a lavorare per la Arnoldo Mondadori Editore. Con le sue ricerche fotografiche ha spaziato nella fotografia di costume, reportage e altri ambiti, con una sensibilità protesa verso il rapporto tra uomo e ambiente. Che sia esso urbano o naturale.

I suoi lavori più importanti riguardano aspetti sociali come Mensa Aziendale,e altri racconti fotografici fra cui Wally,Alberi, Cimitero d'auto, arrivando alla cruente storie di denuncia con Chicken Story e La Cava.

Nel 1970 apre a Verona un’Agenzia diPubblicità e Marketing che resta attiva fino al 2008.
Dopo un periodo di pausa si è dedicato esclusivamente alla fotografia creativa ricercando nuovi significati stilistici della fotografia. Produce quindi alcuni “Racconti” che in parte sono stati sintetizzati in occasione di una sua personale: “Il fiume e altri racconti” organizzata dal CRAF di Spilimbergo Nov 2018-febb 2019.


Il mio stile è quello di non avere uno stile perché fotografo tutto ciò che cattura la mia attenzione visivamente ed emotivamente rispettando ciò che mi trasmette il soggetto ripreso.

 

Il Ponte della diga di Chievo

La sua costruzione è iniziata nel 1920 e fu inaugurato nel 1923. Nel 1945 fu danneggiato durante il ritiro dei tedeschi ma nel 1946 fu ristrutturato lasciandogli tutte le caratteristiche originarie. Un’opera di ingegneria che allo stesso tempo funge da percorso ciclo-pedonale congiungendo le due sponde del fiume Adige e da diga per far confluire le acque nell’attiguo canale per alimentare centrali idroelettriche e fabbriche a Sud di Verona.

E così Pino Dal Gal, essendo di Verona e passando spesso davanti a quel ponte, sembra che se ne innamori adottandolo. Fotograficamente. Per due anni ne immortala le forme e i volumi, i dettagli e la sua essenzialità, senza presenza umana, ascoltandone le luci che avvolgono quell’opera e che variano di ora in ora, di stagione in stagione.

È un genere di lavoro che ogni fotografo dovrebbe fare come esperienza creativa senza pensare a chi destinare le foto perché il resto verrà, se c’è un racconto che parte da un dialogo intimo con il territorio: adottare fotograficamente un’opera dell’uomo. Costruttiva o devastante che sia.

 

Le fotografie

Pino Dal Gal è un fotografo che ha assimilato i vari linguaggi della fotografia, che si sono succeduti nel corso di oltre 60 anni, metabolizzandoli e arricchendo il proprio patrimonio stilistico. Significante e significato coesistono senza lasciare sprovveduto l’osservatore.

InOltre è un lavoro che possiede le caratteristiche della fotografia industriale ma con un certo valore aggiunto di creatività determinato da quella passione che spinge a osservare con costante curiosità.

 

Lavoro ininterrottamente perché “l’osservare” mi suggerisce continuamente soggetti e partiture da indagare.

… La fotografia deve avere un significato, trasmettere un’emozione ma anche un turbamento, deve far pensare, cioè deve avere la forza di dialogare con l’osservatore.

 

Senza dare nulla per scontato Dal Gal rispetta l’equilibrio compositivo nelle sue immagini fatto di rapporti geometrici delle forme dei volumi e dei vuoti degli spazi circostanti e interni ai volumi stessi. Immagini talvolta dall’impatto essenzialmente grafico, minimalista, in cui il dialogo tra ombre e luci lasciano ricordare il cubo di Necker: all’occhio dell’osservatore il fronte e il retro, l’interno e l’esterno, sembrano a volte confondersi, interconnettersi tra loro, producendo “suoni visivi”, sinestesie tanto care allo stesso Dal Gal.

Le immagini di Darüber Hinaus / inOltre mostrano comunque la potenza dell’uomo che gestisce la natura senza violenza e che si manifesta con la sua forza dinamica.

 

Ho cercato di trasmettere, una percezione nuova di un manufatto ampiamente conosciuto dai veronesi ma dato per scontato, di non particolare interesse. Il mio lavoro credo serva per osservare e apprezzare la potenza della struttura che trattiene la potenza dell'acqua...la sinergia fra i due elementi.

 

 

L’evento

L’esposizione consiste nella proiezione in loop di un video con circa sessanta fotografie accompagnate da un intervento del sound artist Giacomo Ceschi.

Il catalogo consiste in un folder di 40 pagine, 34 foto e 4 pagine di presentazione in formato 27x24 cm.

 

 

 

Darüber Hinaus / inOltre, un'esperienzasinestetica di Pino Dal Gal

Inaugurazione: 2 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Finissage: 9 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Indirizzo dell’evento: Vicolo Borgo Tascherio 1, Verona
Contattati: 3397098383 /
veronettalospazio@gmail.com

Sito WEB di Pino Dal Gal: www.pinodalgal.it

In occasione di Grenze 2021 presso Lo Spazio di Veronetta l'Ass. CulturaleDiplomart, a cura di Ginevra Gadioli
co-curatrice Chiara Fogliatti
sound design Giacomo Ceschi
progetto grafico Paolo D'Amato
progetto video Marco Faes, Francesco Adami
collaboratori Noy Jessica Laufer Alessandro Cailotto

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08.08.2021 # 5774

Raffaele Celentano in mostra. Italians e sirene incontrano i turisti dell’estate sorrentina

Fino a estate inoltrata, Villa Fiorentino, il Chiostro di San Francesco e la Chiesa dell’Addolorata ospitano le fotografie dell’eclettico fotografo

di Marco Maraviglia

Chi è Raffaele Celentano

Laureato all’Orientale di Napoli, dal 1986 vive tra Monaco, dove ha insegnato Italiano ai tedeschi, e Sorrento, dove è nato.

Dal 1988 entra nell’agenzia fotografica tedesca Laif.

Le sue foto sono pubblicate su riviste (inter)nazionali ed esposte in tutto il mondo.

Nel 1991 vince un concorso fotografico che gli fece decidere di dedicare la sua vita alla fotografia rinunciando al lavoro di docente.

Lavora rigorosamente su pellicola, prevalentemente in bianconero e ci tiene a far notare che nessuna delle sue immagini è croppata, ovvero, tagliata in camera oscura.

Nel 2004 apre nel centro di Monaco di Baviera la Galerie Raffaele Celentano.

Con spirito di mecenatismo, ha resuscitato alcuni spazi di Sorrento.

 

Ho trasformato lo scantinato deposito di Villa Fiorentino in Galleria con un mio progetto e, ovviamente, l'assunzione dei costi. L'idea è sempre quella di andare a creare nuovi spazi non ad occupare i presenti. Anche per la galleria al chiostro di San Francesco è avvenuta la stessa cosa sei anni fa.

Per la Chiesa dell’Addolorata abbiamo attivato un’operazione che definiamo "Arte e Bene"; oltre ad avervi creato due posti di lavoro facciamo un'offerta fissa alla Chiesa per opere di beneficenza.

 

Il triangolo espositivo di Raffaele Celentano

Ci sono tre luoghi a Sorrento che in questa estate Raffaele Celentano ha inondato di energia emotiva, carichi di simpatia, glamour, sensualità, divertimento e quant’altro con le sue immagini fotografiche che evidenziano il suo eclettico percorso professionale. Questi luoghi sono Villa Fiorentino, il Chiostro di San Francesco e la Chiesa dell’Addolorata dove trovare un ricco shop per acquistare le sue immagini.

Ad accogliere il pubblico in questi spazi ci sono Jennie, Teresa, Emma, Marianna, Francesca e Giulia. Tutte ragazze gentili, appassionate di fotografia ma innanzitutto dell’autore, che fanno da guida raccontando, senza invadenza, aneddoti e curiosità dell’autore e delle sue immagini.

 

Italians, la vita degli italiani

The Italians è una mostra che abbraccia, in 150 fotografie, circa trent’anni di lavoro di Raffaele Celentano. Realizzate in tutta Italia dal 1990 ad oggi. Stampate in fine art a tirature limitate e rigorosamente autenticate dall’impronta digitale del suo pollice con firma sovrapposta.

Con Broken Beauty, una vecchietta che si specchia in uno specchio rotto di un armadio lasciato per strada, vince nel 1991 un concorso fotografico. La critica dell’epoca gli fa notare che lo scatto richiama i carpe diem di Bresson e lui decide da allora di dedicare la sua vita alla fotografia appassionandosi al reportage, alla street photography e a un certo modo di fare fashion: immagini dalle caratteristiche pubblicitarie dove la peculiarità sta nel farle sembrare realistiche, prese al volo.

Pur vivendo a Monaco, Raffaele oltre a viaggiare in tutto il mondo documentando paesaggi, stili di vita, architetture, va su e giù per l’Italia immortalando scene di vita e ritratti estemporanei a gente sconosciuta e amici.

Si tratta di immagini che, anche se qualcuna presa costruendone una regia, inserendo talvolta una sua Giulietta rossa d’epoca, sono caratterizzate tutte da una speciale spontaneità e naturalezza da Dolce Vita, fresche, animate, o con un neorealismo fotografico dovuto alla sua passione per il cinema di cui colleziona numerose foto degli anni ’60 di Sophia Loren, Vittorio De Sica ed altri registi e attori. Anche queste esposte in una sala del Chiostro di San Francesco.

 

Lo stile di Raffaele Celentano è non avere uno stile. Si tratta di un eclettismo professionale tipico di chi può permettersi di fotografare qualsiasi soggetto lasciando parlare questo e rispettandone il contesto piuttosto che trasmettere la propria impronta. È così che sembra le sue immagini possano ricondurre a stili ed atmosfere che possono ricordare Helmut Newton (Affacciati alla finestra amore mio), Mario Giacomelli (Sister acts in Sorrento), Elliot Erwitt, Mario De Biasi, Ferdinando Scianna, il già citato Bresson, fino a raggiungere effetti di neorealismo contemporaneo (Piazza Italia).

 

The Italians, Gli Italiani, rappresenta il più grande spettacolo del mondo, lo spettacolo della vita, un inno alla vita nei suoi aspetti più intensi, gioviali, ironici, divertenti, maliziosi, giocosi, che solo il popolo italiano ha. Dall’individuare la spettacolarizzazione delle processioni religiose, all’allegria dei bagnanti anziani sul bagnasciuga di una spiaggia di Positano.

Immagini indescrivibili per certi versi, da vedere perché una foto può valere più di mille parole, come citano in più lingue i fogli nella decina di macchine da scrivere esposte nell’allestimento del Chiostro di San Francesco.

 

The Sirens Caves, il tufo e le sirene di Sorrento

Nei sotterranei di Villa Fiorentino è in corso un’altra mostra di Raffaele Celentano

L’autore nel 2015, forte delle sue conoscenze di grottesegrete, insenature misconosciute, caverne e cunicoli da Meta di Sorrento a Punta Campanella, realizza “Le grotte delle sirene” dimostrando ancora una volta la sua abilità di poter cambiare genere senza lasciare sbavature.

Un Ulisse che non teme le sirene e non si fa legare, le cerca invece, tra alcune delle sue belle amiche, senza scomodare modelle professioniste, e le coinvolge in un complesso gioco di seduzione onirica. Dove corpi, tufo e mare si amalgamano in una sintonia sonoramente silenziosa facendo ascoltare nella mente dell’osservatore, leggeri infrangersi del mare che nascondono respiri, sospiri e vocine deliziose. Buio e luce, gestiscono in queste immagini la doppia anima delle sirene. Loro ci sono, nude ma non provocano. Perché stanno sole con se stesse. Perché Raffaele-Ulisse è invisibile ma ne sta catturando la loro essenza più libera e naturale. Sono sirene irraggiungibili ma vicine. Leggere, eteree, plastiche e sinuose, per certi versi angeliche. Fluttuano e disegnano armonie subacquee o chissà quali dialoghi misteriosi di una lingua sconosciuta. Nate lì dove sono state immortalate, probabilmente. A poca distanza dagli isolotti Li Galli. Al riparo da flotte navali. Al riparo dalle nuove generazioni di uomini che nulla sanno della magia che queste strane donne senza tempo possono donare.

Da queste immagini nasce il desiderio di avventurarsi in questi anfratti marini e, infatti, questo è il fine di Raffaele Celentano che trapela, far conoscere la meravigliosa bellezza della costa della Penisola Sorrentina che andrebbe vissuta per mare, in barca, esplorandola senza guida, addentrandosi nella cave tufacee ed ascoltare quei suoni di grande bellezza.

 


Informazioni

 

The Italians

Chiostro di San Francesco

ViaSan Francesco, 12 (adiacente Villa Comunale)

dalle 10.00 alle 21.00 orario continuato tutti i giorni finoa fine dicembre 2021 

Ingresso: 3,50 € 

 

The Italians (Chiesa dell’Addolorata)

ViaSan Cesareo, 47 (centro storico)

dalle 10.00 alle 22.00 orario continuato fino a fine ottobre 2021 

Ingresso: libero

 

The Sirens Caves, il tufo e le sirene di Sorrento

Villa Fiorentino

C.soItalia, 53

Orari: 10.00 – 14.00 e 17.00 – 21.00

Ingresso: 5,00 € 

 

Info:

Raffaele Celentano: 344 0838503 - celentanogallery@gmail.com

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28.07.2021 # 5771

Cristina Burns: ESCAPISM

Quando una pandemia genera la fuga dalla realtà attraverso l’immaginazione. Mostra “digital-fotografica” alla Reggia di Carditello

di Marco Maraviglia

Chi è Cristina Burns

Classe ’82. Americana nata in Spagna ma cresciuta a Napoli dove vive. Non si considera fotografa ma un’allestitrice di fotografie per mezzo di assemblaggi di manipolazione digitale ed è quindi collocabile a cavallo tra la staged photography e quello che definirei surrealismo contemporaneo.

Ha vissuto sette anni con il nonno amante della fotografia che, racconta Cristina, durante la II guerra mondiale invece di procurarsi beni di prima necessità, cercava i chimici per sviluppare le sue foto.

Il padre era fotografo ufficiale per la marina militare. Dato il contesto familiare, è stato inevitabile e naturale per lei avvicinarsi alla fotografia e uno dei regali ai quali si affezionò particolarmente fu una mini macchina fotografica attraverso cui si vedevano immagini di una città. Chi è un po’ boomer sa che stiamo parlando di quei deliziosi souvenir che vendevano ingrappolati fuori agli empori nelle città turistiche.

 

Cristina Burns adora andare in giro per mercatini e, con un’ossessione quasi compulsiva, va a caccia di giocattoli vintage ponendosi domande sulle storie che ci sono dietro, a chi sono appartenuti, che tipi erano i bambini che ci giocavano, se ci giocavano. E ne immagina un vissuto magico e ignoto.

Unendo la passione per la fotografia al collezionismo, inizia a realizzare degli still life con gli oggetti che compra. Inserendoci anche caramelle.

È affascinata dalle caramelle e da tutto il mondo del dolce; per i loro colori invitanti, pur non mangiandone ritenendole nocive.

 

Ci sono caramelle che conservo per anni per i miei still life e restano intatte, non si deteriorano e, anche se non conservate in contenitori, sono snobbate persino dalle formiche.

 

Il mondo immaginario di Cristina Burns: Escapism

Con Candyland,la sua prima personale tenuta nel 2018, Cristina Burns ironizzava, con tratti cinici e taglienti, sulla caducità naturale della vita in contrasto con l’istinto disperato di sopravvivenza umana. Estremizzava con l’immaginazione, una società in cui l’abuso di farmaci, dalla bellezza caleidoscopica, e botulino non sono che un grande inganno, una deriva di uno stile di vita.

 

Ma il lockdown da Covid-19 ha generato poi in Cristina Burns, un punto di rottura, un totale desiderio di fuga dalla realtà.

In un mondo distopico, abbrutito da forza di cose, un sistema sociale che prende pieghe a-sociali, le reazioni degli umani divengono svariate, sfociando a volte in quel che è definito escapismo: il rifiuto di una vita innaturale rischiando di passare dalla padella alla brace come alcoolismo, consumo di droghe, aumento del consumo di videogiochi, pornografia... Lì dove la vita dell’umanità sembra terminata nel marzo 2019.

L’escapismo può fortunatamente generare fughe dalla realtà anche in modi più “sani” come l’immaginazione, sognare un mondo diverso in cui rifugiarsi e Cristina, quasi a voler citare Extraterrestre di Eugenio Finardi, si inventa A new Planet, un pianeta che sia tutto suo, invitante, colorato, protettivo, in cui ella stessa è Candygirl, un autoritratto col volto cosparso di caramelle sciolte, dolci e sgargianti e l’immagine dell’Alien la fa sentire a casa sua.

 

Una giornata illuminante al Museo di Capodimonte

Cristina Burns, in una giornata emotivamente pesante del post-lockdown va al museo di Capodimonte e viene rapita dallo sguardo intenso di Antea del Parmigianino. Vi si appassiona, studia l’autore e viene a conoscenza che l’opera era tra quelle trafugate dai nazisti durante l’ultima Guerra e ritrovate poi da Rodolfo Siviero, grande investigatore e storico dell’arte.

Forte dei suoi “ritrovamenti” di giocattoli vintage in mercatini di modernariato, Cristina comprende, attraverso la figura di Siviero, che un certo valore della vita è dato dal riavvicinamento al passato perduto. Sensazioni fascinose che corrono parallele al suo desiderio di voler riacquisire ciò che era nel mondo pre-pandemico.

Cristina nella sua rielaborazione digitale di Antea (Antea, finalmente ti ho trovata), omaggia quindi Rodolfo Siviero inserendo una sua immagine.

Queste sono solo brevi considerazioni relative ad alcune immagini di Cristina Burns esposte alla Reggia di Carditello e suddivise in alcune serie legate tra loro da un concetto di fondo: voler infondere nello spettatore un senso di benessere attraverso colori sfarzosi e un simbolismo anche religioso, dal mood psichedelico, per condividere quell’escapismo provato dall’artista.

L’Arcangelo Michele combatte il male che potrebbe essere anche il WEB mal fruito; colori sciolti e zuccherosi che incutono dolcezza; ripropone gli animali selvatici nei contesti urbani che aveva già immaginato in tempi non sospetti.

 

In “Urban Fairy Tales”, propongoun’immaginaria rivincita della natura sull’attività umana, attraverso lapresenza di animali che dominano un contesto urbano degradato e forseabbandonato. Attraverso l’opera “The Last Unicorn” auspico un intervento quasimagico che possa salvare l’umanità da irreversibili danni all’interoecosistema.

 

Intersezioni tra passato e contemporaneo, arte antica e nuove tecnologie digitali; Escapism di Cristina Burns è una macchina del tempo che corre verso un’unica direzione su due binari paralleli percorrendo allo stesso tempo passato, presente e futuro; per (ri)prendersi il meglio di ciò che rischiamo di perdere, immaginando un mondo migliore. Non per scappare per sempre con la propria immaginazione, ma per condividere una speranza con l’osservatore. Per cercare di farlo sta rmeglio con se stesso.

 

 

 

Escapism, di Cristina Burns

Periodo: 24 luglio – 15 agosto 2021

 

In collaborazione con:

Fondazione Real Sito di Carditello, Appunti Fotografici

Sede:

Cappella dell’Ascensione, Fondazione del Real Sito di Carditello

via Carditello, 81050 San Tammaro, Caserta

 

Giorni e orari di apertura:

Sabato 24 luglio: 18:00 - 21:00

Domenica 25 luglio: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Mercoledì 28 luglio: 18:00 - 21:00

Venerdì 30 luglio: 18:00 - 21:00

Sabato  31 luglio:16:30 -19:00

Domenica 1 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Sabato 7 agosto: 16:30 - 19:00

Domenica 8 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Sabato 14 agosto: 16:30 - 19:00

Domenica 15 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

 

Costo ingresso al Real Sito: 2 euro

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