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05.11.2021 # 5831

Dimitra Dede in mostra alla Spot Home Gallery con Ápeiron: l’assenza di confine

Immagini introspettive di un’insostenibile leggerezza dell’essere che indagano l’indefinibile della vita tra il buio e il buio

di Marco Maraviglia

Chi è Dimitra Dede

Dimitra Dede è un’artista visiva greca che vive a Londra e lavora prevalentemente con la fotografia. Ha conseguito una specializzazione in New Media dopo gli studi in fotografia.

La sua pratica artistica coniuga la pittura e l’uso di sostanze chimiche con la fotografia. La creazione delle sue immagini si basa su un processo intuitivo. La sua ricerca esplora la connessione tra spazio e tempo, memoria e disorientamento, perdita e vulnerabilità umana, la vita e l’Assurdo. Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei e festival in Europa, Stati Uniti e Asia.

Il suo libro Mayflies è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020, e del premio Unseen Dummy Award 2018 all’Unseen Festival di Amsterdam.

- dal comunicato stampa

 

Osservando le foto di Dimitra

Si entra in un mondo grigio torbido, dove i neri sembrano carboncini sfumati a mano. E tratti come tracciati a china. Macchie slavate.Tutto si confonde, tutto è inafferrabile. Nell’oscurità il circostante è fluido. Onirico. Sogni o incubi?

Dettagli che divengono galassie. Il reale diviene immaginazione. Tutto si sovrappone. C’è tanto blur. Indefinibile, come ciò che la nostra zona grigia nasconde nella mente. Vedo riflessi, o sovrapposizioni di spazi, corpi e paesaggi? Non conta saperlo perché meglio lasciarsi andare a quel segmento della vita che c’è tra il buio e il buio. Tra il ventre materno e l’ultimo sospiro. Non conta perché il messaggio, la sensazione che l’osservatore riesce a percepire, è sufficiente.

Immagini da decifrare o ascoltare? Quale anfratto del proprio intimo bisogna esplorare per riconoscersi in quei frame che sembrano in movimento, che si avvicinano, ci sfiorano, si allontanano ma ci affollano come sogni labili, profetici, inconsci?

Ma poi, perché cercare di capire in un mondo in cui non esistono certezze? Tutto scorre in un arco temporale breve. I segni ci travolgono, ci attraversano.

Acqua, terra, il verde… tutto in grigio/nero. Il bianco è la luce, la somma di tutti i colori, e qui non serve, resta nel mondo di fuori per non distrarre da un’introspezione inconscia e meditativa. Tra accenni pareidolici immersi nell’eleganza di un glamour celato. Apoteosi della sensualità perché nascosta e da scoprire.

E tutto scorre, tra ricordi di passaggio, di quelli che forse non ne abbiamo bisogno riviverli, ma ci sono, esistono, vivono ancora in qualche meandro della nostra anima.

 

…una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto. Il tempo si è fermato, o eternizzato, non sappiamo, tanto strettamente fotografico da non aver più nulla a che vedere con quello dei nostri orologi.

- Christian Caujolle.

 

Come nasce la mostra

Cristina Ferraiuolo, gallerista della Spot Home Gallery, è una cacciatrice di teste del campo fotografico. Per la sua attività spulcia anche libri fotografici di editori indipendenti ed ha scoperto Dimitra Dede che ha voluto nella sua galleria per la mostra Ápeiron curandone la realizzazione insieme a Michael Ackerman.

63 opere, frutto di un percorso di circa 20 anni.

Ápeiron, dal greco antico “à”, assenza e“peras”, confine: assenza di confine. Il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede, ben riflesso nella frase dello scrittore greco Nikos Kazantzakis: "Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro. Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita".

 

La tecnica di Dimitra

L’artista non usa programmi di manipolazione di immagini ma interviene direttamente sui negativi con bruciature, cera, solarizzazione in camera oscura, vernice e usa tutto ciò che può per imprimervi dei segni come graffi e incisioni.

Un processo di trasformazione “punitivo” della materia che le consente di elaborare il dolore e di raggiungere l’armonia ricomponendo i pezzi frammentati della sua esistenza di donna, figlia, madre e artista.

I negativi così trattati vengono poi scannerizzati e stampati in giclée su diversi tipi di carta, a seconda dei soggetti.

Alcune immagini sono stampate su una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente, ma eccezionalmente resistente: assonanza con un femminile materno che coniuga fragilità e forza, amore e cura.

 

 

SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

ÁPEIRON

Dimitra Dede

dal 28 ottobre 2021al 28 gennaio 2022

 

Opening 28 ottobre2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com

 

Contatti

Spot home gallery

via Toledo n. 66, Napoli

+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

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28.10.2021 # 5822

Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Un’opportunità per partecipare a una collettiva per raccontare l’impatto pandemico sulla società. A cura di Simona Guerra

di Marco Maraviglia

Che succede? L’impatto pandemico sulla società

Cosa è successo negli ultimi due anni? Ce ne siamo accorti? Crediamo veramente di avere piena consapevolezza della nuova dimensione umana in cui siamo stati catapultati, causa pandemia? Sono cambiati i nostri rapporti sociali e interpersonali? Frequentiamo le stesse persone allo stesso modo di quando eravamo nel “mondo di prima”? Abbiamo percezione di eventuali danni subiti nella nostra mente per aver vissuto il lockdown? Capita di trovarci soli in auto con la mascherina indossata e senza accorgercene? Abbiamo ridotto l’uso dei trasporti pubblici preferendo spostarci a piedi? Ci chiediamo mai quali sono i parametri per cui si potrà uscire dall’emergenza in cui viviamo? Tendiamo a programmare le nostre vacanze in luoghi meno frequentati? Ma veramente è aumentata la folla della movida perché vuole riprendersi un pezzo di vita perduto,come se non ci fosse un domani? Siamo ormai già abituati a mostrare un QR code per entrare in un museo? O evitiamo di andarci perché emotivamente non accettiamo di esibire un’etichetta preferendo aspettare che si ripristini la normalità? È possibile l’adattamento dell’uomo alla distopia sociale senza conseguenti effetti collaterali?

Se non vi siete mai fatti almeno una di queste domande o altre ancora, potete terminare qui la lettura.

 

Call: chiamata alle armi per gli invisibili effetti sociali della pandemia

Simona Guerra, scrittrice, critica di fotografia e curatrice di mostre cerca narrazioni riguardanti lo stato attuale dell’Italia: Lo stato italiano adesso.

 

Sembra che il presente non sia più così semplice da trasmettere con le immagini. Anche perché un terremoto si può fotografare; gli effetti di una bomba con i suoi morti e feriti si può raccontare. Ma gran parte dei problemi di oggi restano inaccessibili agli occhi e all’apparecchio fotografico, a cui sembra sia stata lanciata una nuova sfida.

 

Si cercano progetti che esprimano visivamente e con l’ausilio di testi, narrazioni che vadano concettualmente oltre quelle immagini già viste come gente sui balconi, file fuori ai supermercati e carrelli in uscita stracolmi di provviste, gente distanziata con mascherina nei giardini pubblici, segni arrossati sui volti del personale sanitario causa mascherina indossata a lungo, ecc. ecc.

NO. Simona Guerra cerca il “dentro”, l’invisibile intimo, il tormento di quei fotografi che stanno ancora soffrendo per la mancanza di un abbraccio con un’amica incontrata per strada dopo oltre un anno; soffrono nell’evitare feste in casa con i soliti 30-40 amici; per il preferire la video-chiamata con un cliente; per non poter andare a trovare un amico in ospedale.

Tutte privazioni che non fanno parte di una vita normale. Perché non sono a dimensione umana.

 

Le immagini che ci propongono i media servono, o dovrebbero servire, a rappresentare il presente, dunque, chi e in che modo sta raccontando: la paura, la diffidenza, la perdita d’identità e quella di autodeterminarsi? La ricerca della Verità, continuamente rovesciata da versioni tra loro contrastanti, spesso offerte dalla stessa persona. E ancora: il terrore della sofferenza e della morte, le divisioni, gli attriti, i pensatori in lotta, il concetto di altruismo, dovere, responsabilità?

 

Gli artisti che hanno raccontato i disagi della storia

Negli anni l’arte ha comunicato contesti storici rappresentandone il tedio, il disagio, i drammi vissuti dalla società ma metabolizzati e rappresentati dagli artisti. Mi vengono in mente L’Urlo di Munch, apoteosi dell’Espressionismo; Il sonno della ragione genera mostri di Goya; Guernica di Picasso; fino ad arrivare ad alcune opere di Andy Warhol che metteva in discussione la frenesia della civiltà americana. Non sono che alcuni esempi che non documentano visivamente fatti, ma mostrano visivamente stati emozionali, invisibili, immateriali e che colpiscono duramente al cuore l’osservatore. E chissà se esistono fotografie che riescano a mostrare gli attuali stati psico-intimi attraverso gli invisibili metadati di questa realtà.

 

Che ne è, oggi, della narrazione dei fatti? È tornata ad essere ricca come prima dell’inizio della pandemia o ci sarebbe bisogno di materiale aggiuntivo perché si possa dire di avere una narrazione dell’oggi più completa?

 

Diamoci da fare: come procedere

Fino al 1° dicembre, Simona Guerra accoglierà e visionerà lavori fotografici (corredati da scritti) realizzati sulla base di questa traccia. Gli autori che meglio sapranno spingersi oltre i confini della narrazione già disponibile (per temi e punti di vista) verranno esposti all’interno dello Spazio di Piktart, sito a Senigallia, in una mostra della durata di 10 giorni, nell’inverno 2021.

Verrà inoltre valutata la messa a punto di un catalogo della mostra, edito dalla Piktart, con un testo critico a corredo e presentazione.

Si tratta di una vera e propria chiamata alle armi, visive e testuali, da sempre potenti strumenti di espressione e utensili preziosi del concetto artistico di attivismo.

Le attività di curatela di questa mostra vengono offerte a titolo gratuito e rappresentano il sostegno di Simona a quella parte di società che si è accorta di quanto minaccioso sia questo momento storico e sente l’urgenza di comunicarlo.

 

Dettagli:

www.pikta.it/piktart


Credit: Ph. Enrique Meseguer da Pixbay

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18.10.2021 # 5819

Lost the Way Home, il libro di Antonino Condorelli per gli invisibili di Amburgo

Iniziativa editoriale in tandem con i medici volontari di ArztMobil Hamburg per sostenere attività di solidarietà per indigenti e senzatetto

di Marco Maraviglia

Chi è Antonino Condorelli

Classe 1973. Fotogiornalista freelance nato a Catanzaro e dove ha vissuto parte della sua vita.

Ha studiato fotografia a Milano. Inizia la professione di fotografo lavorando per i giornali calabresi coprendo fatti di cronaca, politica e i primi sbarchi dei migranti nello Jonio.

Si è sempre occupato principalmente del Sud nel mondo documentandone i suoi aspetti sociali.

Ha collaborato con agenzie nazionali e internazionali. Ha pubblicato su giornali Italiani e stranieri. Ha viaggiato in Argentina durante la crisi del 2002, in varie città d’Europa e in Burundi dove capì che l’Africa e il vicino Medio Oriente erano i luoghi dove avrebbe concentro la sua attenzione.

È stato in diversi paesi africani colpito da quel che si dice “il mal d’Africa”. Un amore che lo ha visto impegnato 

Dal 2015 si trasferisce in Germania con la sua famiglia e dove ha più opportunità professionali.

Nel 2016 ha vinto il “Blauer Löwe” per un lavoro realizzato in un paese della Bassa Sassonia circa gli immigrati che vivono in quel posto.

 

Il Sud del mondo

Quando pensiamo al Sud del mondo immaginiamo quelle zone economicamente depresse concentrate in Africa, nel Sud dell’Asia, luoghi dell’America latina. Ma i punti cardinali possono acquisire una loro soggettività in un mondo dove anche nelle metropoli più ricche, civilizzate, tecnologicamente avanzate,esistono sacche di emarginazione socio-economiche, di minoranze bistrattate. Il Sud del mondo si trova anche nella dispersione scolastica delle grandi città, nel non riconoscere pari diritti di lavoro a prescindere dal genere, nei disabili che vivono in contesti urbani che li impediscono di spostarsi autonomamente causa barriere architettoniche, negli immigrati sfruttati sul lavoro, carceri sovraffollate, nei senzatetto, indigenti e tanto altro. Invisibili. Un Sud di cui molti girano la testa dall’altra parte. Un Sud a volte considerato parassitismo che “meglio se non ci fosse”. Ma c’è. Esiste. E servirebbe un po’ di sensibilità ed empatia in più per salvaguardare la dignità umana. Sostenibilità umana.

 

L’esercito dei volontari

Fortunatamente quel Restiamo umani di Vittorio Arrigoni sembra calzare a pennello come un claim per tutte quelle attività di associazioni ed altre organizzazioni che si prodigano nel sostenere i cosiddetti “invisibili”. Minoranze “fastidiose”.

A mia memoria credo che tutto sia iniziato nel 1865 conl’Esercito della Salvezza, un’organizzazione evangelica che aiutava i bisognosi e ancora operativa in tutto il mondo. La solidarietà si è poi estesa a tante altre realtà e il fotoreporter Antonino Condorelli entrando in contatto con una di queste, ha voluto dare il proprio contributo.

 

Antonino Condorelli per ArztMobil Hamburg

“Lost the way homeè un progetto fotografico nato durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus nel 2020. Il Fotogiornalista Antonino Condorelli ha seguito in quel periodo un’organizzazione di medici volontari che, nella città di Amburgo, si prendono cura delle persone senza tetto e con scarsa sufficienza economica. Il lavoro, partito inizialmente come un reportage da pubblicare sui giornali, ha preso una "piega" diversa quando Condorelli ha proposto ad ArztMobil Hamburg di realizzare un libro con il quale poter sostenere economicamente l'organizzazione.

Per più di un mese il fotografo Antonino Condorelli ha seguito i medici di ArztMobil Hamburg cercando di raccontare il difficile lavoro che svolgono i volontari nel curare e assistere i senzatetto della città, soprattutto in questo periodo incerto di pandemia. Lost the way home è un viaggio intimo nella vita di medici e assistiti che attraverso il loro incontro rischiarano le ombre della vita. Lost theway home allude al complicato rapporto con la vita di una società che esclude chi vive diversamente.” (Dal comunicato stampa).

 

 

Il libro Lost the way home

Il libro consta di sessanta fotografie in bianconero con testi dell’autore e dei medici di ArztMobil Hamburg per un totale di 88 pagine.

Immagini che raccontano l’attività dei medici volontari, tra visite mediche nel camion attrezzato ad ambulatorio, rifornimenti alimentari e relative distribuzioni tramite furgone; momenti intensi le cui foto lasciano intuire il rapporto di fiducia instaurato tra medici e pazienti e con ritratti di alcuni di questi. Ritratti dove si scorge un filo comune per tutti: lo sguardo sofferto, di una vita provata che racconta storie probabilmente irraccontabili, fatte di miseria, violenze, soprusi, abbandoni subiti da chi magari doveva esserti vicino. Persone che non ce l’hanno fatta perché emotivamente fragili, senza spirito combattivo e che si sono lasciate andare. Per scelta o per vicissitudini della vita.

Ma i volontari sono lì. Non fanno domande. Ascoltano, i loro malesseri, per curarli o perlomeno alleviarli.

 

Il nostro autobus non è solo una sala per trattamenti sanitari, maanche un rifugio. Spesso l'attenzione non è solo sulle cure mediche, ma sulletue preoccupazioni e sui tuoi problemi.

- JuliaHerrmann; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

E l’obiettivo di Antonino è lì, occhio discreto ma penetrante, dentro quelle atmosfere dure ma impregnate di bontà.

Antonino Condorelli, in termini di celebrità, non è Dorothea Lange ma ha fatto un passo avanti perché oltre a sensibilizzare con questo libro su uno spaccato sociale della “civiltà” occidentale, ha messo a disposizione la sua professionalità senza badare al profitto.

 

… queste esperienze mi hanno aperto gli occhi. Ho camminato per le strade con più attenzione. E all'improvviso ho notato molte difficoltà nella nostra ricca città che non avevo mai visto prima o forse non volevo vedere. Coloro che vedono le difficoltà devono agire.

-Von Levke Sonntag; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

 

Il libro è stato autopubblicato nel febbraio 2020 ed èacquistabile sul sito di Antonino Condorelli (https://www.antoninocondorelli.com/prodotto/lost-the-way-home-homeless/)

 

 

PROSSIME MOSTRE:

 

Dal 22-10-21 al 21-11-21

Vernissage giorno 22 ottobre alle ore 19 presso St.Michaelis Kirche, Johan Sebastian Bach Platz, Lüneburg.

La chiesa in cui si tiene la mostra è una delle chiese maggiori di Lüneburg costruita dai benedettini intorno al 1300. Bach è stato allievo lì.

Contatti +49 04131 2072-14

 

Dal 26-11-21 fino al 19-12-21

Vernissage giorno 26 novembre alle ore 18 presso Reso FabrikWinsen Luhe, Neulander Weg 15, Winsen Luhe.

La Reso Fabrik è una fabbrica sociale in cui vengono realizzati programmi di inclusione per gli abitanti della città. Si occupa di realizzare progetti di vario tipo, spesso basati sull'arte, con cui si cerca di aggregare le varie culture presenti.

Contatti +49 04171 783940

 

In entrambe le strutture l'ingresso è libero, e in entrambe le mostre sarà possibile acquistare il libro Lost the Way Home per sostenere imedici di Arzt Mobil. Costo del libro 45,00 € se acquistato sul posto.

 

Ufficio Stampa e Organizzazione: antoninocondorelli@antoninocondorelli.com

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06.10.2021 # 5811

Marina Alessi in mostra con +D1, i ritratti corali di una perfetta padrona di casa

Presso la Galleria Gallerati a Roma i bianconeri della fotografa Marina Alessi e la possibilità di essere ritratti su prenotazione

di Marco Maraviglia

Chi è Marina Alessi

Classe 1960. Vive e lavora a Milano dal 1984 iniziando come assistente per Giovanni Gastel e Fabrizio Ferri. Professionalmente attiva dalla fine degli anni ’80, fotografa specializzata in ritratti, ha colto attraverso il suo obiettivo  i protagonisti del mondo del teatro, del cinema, della cultura e della televisione, seguendoli sui set, sui palcoscenici e nella vita come ritrattista e fotografa di scena.

Partecipa a tutte le edizioni del CliCiak, il concorso nazionale riservato ai fotografi di scena.

 

Ha lavorato principalmente in grande formato con Linhof Technika 4x5.

Ebbe l’audacia di presentare un progetto alla Polaroid per poter utilizzare la Giant Camera, di cui sono presenti nel mondo solo 5 esemplari, fotografando per sei anni oltre 280 personaggi. La Giant Camera, per intenderci, realizza scatti unici 50x60 su supporto Polaroid a sviluppo immediato.

 

Ha pubblicato i libri fotografici:  44+1, AutoRitratti – fotografia e street art gioco a due (Vallecchi 2009,introduzione di Dario Fo e testo critico di Roberto Mutti); Facce da leggere – 282 ritratti di scrittori(Rizzoli 2010, prefazione di Sandro Veronesi), Zelig – 25 anni di risate (Mondadori 2012).

 

Tutto il resto lo si può conoscere sul suo sito: www.marinaalessi.com

 

+D1 –Ritratti corali

Più di uno, più di una. Sono principalmente ritratti di gruppo in bianconero realizzati con reflex digitale. Un lavoro iniziato nel 2019 come residenza d’artista presso il MACRO e, successivamente, implementato da nuove immagini. Una bella avventura fatta non solo di abilità professionale ma di passione per la gente da ritrarre perché senza l’entusiasmo di voler “leggere” le persone, conoscendole attraverso i propri occhi e cuore, senza sovrastrutture e pregiudizi, i risultati sarebbero asettici. O unilaterali. Perché, come scrisse Roland Barthes in Nota sulla fotografia:

 

“Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”

 

Con il solo punto di vista del fotografo non è possibile la danza condivisa del ritratto fotografico. O almeno, non quello che dovrebbe apparire con quella spontaneità tipica di una convivialità dove le espressioni degli ospiti del banchetto sono serene, rilassate, sorridenti, paghe. Dalle immagini di Marina Alessi si intuisce che il suo lavoro la diverte. E, volendo continuare il paragone con una tavolata, Alessi sembra essere la perfetta padrona di casa che riesce a mettere a proprio agio anche invitati sconosciuti, creare l’atmosfera giusta della festa (quella del set) e condire con sapienza le proprie portate: i giusti tempi per sistemare con adeguate indicazioni le pose dei soggetti da ritrarre, tranquillizzarli e decidere il momento dello scatto. E per i ritratti di gruppo, è un po’ come quando a tavola percepisci all’istante che quello più in disparte vorrebbe gli si passasse la saliera che subito gli fai arrivare. Sorprendendolo. Tutti tenuti a vista, perché tutti devono star bene.

Se non si è contenti di ritrarre persone, se non si ha un buon rapporto con se stessi, se il proprio volto non è sereno e sorridente come quello di Marina Alessi, i soggetti che sono davanti all’obiettivo rifletterebbero inevitabilmente tutt’altre espressioni.

 

In +D1 presso la Galleria Gallerati, vi sono esposti ritratti di Daniele Di Gennaro, Luca Briasco, Umberto Ambrosoli, Elisa Greco, Amanda Sandrelli, Serena Iansiti, Emiliano Ponzi, Stefano Cipolla, Chicco Testa, Marco Tardelli, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Ed altri ancora. Immagini tratte tra tante da una selezione casuale.

 

“Ho sempre fotografato persone: mi piace la complicità che si crea quando le ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”

 

Ecco, ritratti affettivi. Affezionarsi alle persone che siritraggono. Con tutte le loro emozioni, stati d’animo sfuggenti, sentendoli vicini attraverso quel processo di empatia alchimistica tipica di un collaudato ritrattista.

Grazie a quella tensione e attenzione che la perfetta padrona di casa riesce a creare: Marina Alessi.

 

 

 

MarinaAlessi

+D1 –Ritratti corali

A cura di Manuela De Leonardis

Galleria Gallerati  (Via Apuania, 55 – Roma)

 

Inaugurazione giovedì 14 ottobre 2021, ore 19.00-22.00

Fino a venerdì 12 novembre 2021 (ingresso libero)

Orario: dal lunedì al venerdì: ore 17.00-19.00 / sabato, domenica e fuori orario: su appuntamento

Secondo le disposizioni in vigore, ingressi contingentati e consentiti soltanto con opportuni dispositivi di protezione individuale


Ritratti in galleria su prenotazione

Ufficio stampa: Galleria Gallerati, ufficiostampa@galleriagallerati.it

Informazioni: info@galleriagallerati.it, www.galleriagallerati.it,  www.marinaalessi.com

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30.09.2021 # 5803

Gli specchi di Ivana Galli e i suoi “ritratti scomposti” in occasione della rassegna Illuminazioni a Montorso Vicentino

La ritrattistica fotografica che promette di scoprire se stessi attraverso un affascinante ménage à trois tra psicologia e cubismo

di Marco Maraviglia

Chi è Ivana Gali

Classe 1968. Non solo fotografa. È infatti creatrice di installazioni site specific e di land art, musicista digitale, contrabbassista e un’insolita performer. I suoi interventi artistici consistono in contaminazioni di proprie esperienze di vita e conoscenze di lavoro sul campo,consapevole che la comunicazione artistica può sfruttare le percezioni emotive, sensoriali, psicologiche, generate da opere (inter)attive.

Autodidatta, niente studi artistici, niente scuole di fotografia se non l’essere stata immersa nella sua infanzia e adolescenza nel mondo del padre fotografo.

 

Cubismo e ricerca della spazialità

A volte, uno degli intenti di chi produce immagini è il voler dare loro una certa spazialità, rompere il limite delle due dimensioni cercando nuove soluzioni visive. Per offrire allo spettatore nuove percezioni dimensionali che possano integrarlo e coinvolgerlo emozionalmente in una realtà spaziale. È il caso dei vari tentativi di codificazione della prospettiva nell’antichità fino a raggiungere i risultati scientifici rinascimentali con successive incursioni anamorfiche di Andrea Pozzo che davano una certa tridimensionalità ai suoi affreschi. Quindi ricerca della profondità, il poter sentirsi dentro l’immagine, come l’invenzione della fotografia stereoscopica e il suo effetto 3D. Poi c’è stato il Cubismo. Poi la spazialità dell’oltre la tela di Lucio Fontana. Le immagini pop-up. Le architetture impossibili di M. C. Escher che stimolano una percezione ottica sovradimensionale.

Insomma, il limite dell’immagine è, per qualcuno, l’immagine stessa.

 

Ritratti scomposti

Ivana Galli prende spunto da questo limite delle due dimensioni. Ma andando oltre il sistema fisico delle immagini. Anche perché parte del suo lavoro fa parte dell’ambito del ritratto fotografico. E fare un ritratto non è come realizzare uno still-life, una natura morta, ma implica un rapporto di intesa tra il soggetto da riprendere e il fotografo per poter restituirne l’anima all’osservatore. È un feeling che si instaura con fiducia e stima reciproca la cui abilità del fotografo non deve essere prevalentemente tecnico-estetica, ma innanzitutto psicologica.

I Ritratti Scomposti di Ivana Galli non cavalcano quel cubismo fotografico fatto di collage o manipolazioni digitali in post-produzione o degli affermati “puzzle” di Polaroid di Maurizio Galimberti che comunque mostrano di un soggetto il suo volume in quanto ripreso da più punti di vista. Ivana adotta invece una sua tecnica di ripresa per cogliere una certa intimità.

 

La macchina di Newton, gli specchi di Ivana Galli

A Helmut Newton capitava di lavorare con degli specchi per ritrarre le sue modelle. Gli servivano affinché si riflettessero per sistemarsi al meglio. E talvolta, un po’ come oggi le influencer si fotografano allo specchio, Newton dava alle modelle la possibilità, per mezzo di un lungo scatto flessibile, di selfiarsi. Era, come lessi su una rivista specializzata negli anni ’80, la cosiddetta “Macchina di Newton”. Un modo per far prendere confidenza del set alle più inesperte.

Ivana Galli usa anche lei gli specchi, ma questi sono per lei un po’ il cuore dei suoi ritratti. E sono specchi particolari costruiti da lei stessa con vari riquadri e disposti con diverse inclinazioni. Per alcuni pannelli il patchwork speculare è fissato, altri hanno la possibilità di ruotare o inclinare i vari riquadri a piacimento.

 

Quando al luna park ci troviamo nella stanza degli specchi, c’è sempre quello che preferiamo che non è detto che sia quello preferito da tutti. Quello che allunga, quello che accorcia, quello che ingrassa, c’è poi quello che ci rende il volto come un mostro o quello che ci accorcia solo le gambe ecc. E davanti a quelli ci spostiamo indietreggiando o avvicinandoci. A ognuno il suo. E forse in quei momenti non ci rendiamo conto che sta entrando in gioco la nostra componente emotiva. Riflettendoci ironizziamo sul nostro aspetto in pose buffe o cerchiamo di individuare il riflesso a noi più congeniale. È psicologia. Un modo di scoprirci, inconsapevolmente giocando ma con serietà con noi stessi.

 

Ecco, Ivana Galli con Ritratti Scomposti ricerca quel lato psicologico del soggetto che si presta a questa sorta di performance che non è altro che un ménage à trois dove lei è l’occhio, il pannello di specchi il cuore e il soggetto ripreso, la mente.

La mostra non consiste in una semplice esposizione dei suoi ritratti ma in sedute psico-fotografiche.

In venti minuti il soggetto si pone innanzi allo specchio multiplo, di fianco a Ivana. E inizia una danza mentale. Il soggetto, riflettendosi, osserva le varie possibilità del suo corpo scomposto fino a individuare l’immagine che gli sembra più congeniale al suo stato d’animo. È un momento narcisistico? Un dialogo con se stesso? Un’analisi di ciò che si scopre insolitamente e si ripercuote nell’intimità del modello? Ivana è lì, ascolta con gli occhi dando il tempo alla persona che ha di fianco, di ritrovarsi. Quando la figura riflessa è pronta, il patchwork di specchi diventa protagonista e Ivana la ritrae. Senza essere lei stessa riflessa.

 

È un gioco a tre: soggetto, fotografa, specchio per un ritratto scomposto ma che ricompone quella che potrebbe essere il quarto elemento del gioco. L’anima più intima della persona ritratta. È la spazialità psicologica dei ritratti di Ivana Galli.

 

È bello perdersi in uno specchio e farlo diventare il tuo viaggio. È una strana sensazione quella che accade in queste performance fotografiche: la persona ritratta non è davanti ad un  obiettivo.

Pone se stessa, rivede parti di sé nella scomposizione, si ricerca.

Io sono a fotografare chi guarda se stesso.

 

 

Mostra d’arte contemporanea ILLUMINAZIONI

Organizzata dall'associazione culturale Miti e Mete

Ritratti Scomposti di Ivana Galli

Villa daPorto Barbaran, Montorso (VI)

25-26 settembre; 2-3 ottobre e 9-10 ottobre

Orario: 16.00-20.00

Per concordare una seduta: WhatsApp 329 7286213

 

Partecipando alla performance “Ritratto  scomposto”,avrete  la possibllità  di "mettervi  a nudo" per uno scatto  unico, portarlo a casa stampato  e, soprattutto, scoprire quali parti vi appartengono di più.

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07.09.2021 # 5775

Darüber Hinaus / inOltre, Pino Dal Gal oltre il suono della percezione

Un evento sinestetico a Verona tra fotografia e suoni per ascoltare forme e colori

di Marco Maraviglia

Chi è Pino Dal Gal

PinoDal Gal è un simpatico e attivissimo signorotto di 85 anni (classe 1936) con entusiasmo, curiosità e creatività sempre in esercizio. Fotografo professionista di Verona che ha avuto riconoscimenti nazionali fin dal 1958. Agli inizi degli anni ‘60 inizia a lavorare per la Arnoldo Mondadori Editore. Con le sue ricerche fotografiche ha spaziato nella fotografia di costume, reportage e altri ambiti, con una sensibilità protesa verso il rapporto tra uomo e ambiente. Che sia esso urbano o naturale.

I suoi lavori più importanti riguardano aspetti sociali come Mensa Aziendale,e altri racconti fotografici fra cui Wally,Alberi, Cimitero d'auto, arrivando alla cruente storie di denuncia con Chicken Story e La Cava.

Nel 1970 apre a Verona un’Agenzia diPubblicità e Marketing che resta attiva fino al 2008.
Dopo un periodo di pausa si è dedicato esclusivamente alla fotografia creativa ricercando nuovi significati stilistici della fotografia. Produce quindi alcuni “Racconti” che in parte sono stati sintetizzati in occasione di una sua personale: “Il fiume e altri racconti” organizzata dal CRAF di Spilimbergo Nov 2018-febb 2019.


Il mio stile è quello di non avere uno stile perché fotografo tutto ciò che cattura la mia attenzione visivamente ed emotivamente rispettando ciò che mi trasmette il soggetto ripreso.

 

Il Ponte della diga di Chievo

La sua costruzione è iniziata nel 1920 e fu inaugurato nel 1923. Nel 1945 fu danneggiato durante il ritiro dei tedeschi ma nel 1946 fu ristrutturato lasciandogli tutte le caratteristiche originarie. Un’opera di ingegneria che allo stesso tempo funge da percorso ciclo-pedonale congiungendo le due sponde del fiume Adige e da diga per far confluire le acque nell’attiguo canale per alimentare centrali idroelettriche e fabbriche a Sud di Verona.

E così Pino Dal Gal, essendo di Verona e passando spesso davanti a quel ponte, sembra che se ne innamori adottandolo. Fotograficamente. Per due anni ne immortala le forme e i volumi, i dettagli e la sua essenzialità, senza presenza umana, ascoltandone le luci che avvolgono quell’opera e che variano di ora in ora, di stagione in stagione.

È un genere di lavoro che ogni fotografo dovrebbe fare come esperienza creativa senza pensare a chi destinare le foto perché il resto verrà, se c’è un racconto che parte da un dialogo intimo con il territorio: adottare fotograficamente un’opera dell’uomo. Costruttiva o devastante che sia.

 

Le fotografie

Pino Dal Gal è un fotografo che ha assimilato i vari linguaggi della fotografia, che si sono succeduti nel corso di oltre 60 anni, metabolizzandoli e arricchendo il proprio patrimonio stilistico. Significante e significato coesistono senza lasciare sprovveduto l’osservatore.

InOltre è un lavoro che possiede le caratteristiche della fotografia industriale ma con un certo valore aggiunto di creatività determinato da quella passione che spinge a osservare con costante curiosità.

 

Lavoro ininterrottamente perché “l’osservare” mi suggerisce continuamente soggetti e partiture da indagare.

… La fotografia deve avere un significato, trasmettere un’emozione ma anche un turbamento, deve far pensare, cioè deve avere la forza di dialogare con l’osservatore.

 

Senza dare nulla per scontato Dal Gal rispetta l’equilibrio compositivo nelle sue immagini fatto di rapporti geometrici delle forme dei volumi e dei vuoti degli spazi circostanti e interni ai volumi stessi. Immagini talvolta dall’impatto essenzialmente grafico, minimalista, in cui il dialogo tra ombre e luci lasciano ricordare il cubo di Necker: all’occhio dell’osservatore il fronte e il retro, l’interno e l’esterno, sembrano a volte confondersi, interconnettersi tra loro, producendo “suoni visivi”, sinestesie tanto care allo stesso Dal Gal.

Le immagini di Darüber Hinaus / inOltre mostrano comunque la potenza dell’uomo che gestisce la natura senza violenza e che si manifesta con la sua forza dinamica.

 

Ho cercato di trasmettere, una percezione nuova di un manufatto ampiamente conosciuto dai veronesi ma dato per scontato, di non particolare interesse. Il mio lavoro credo serva per osservare e apprezzare la potenza della struttura che trattiene la potenza dell'acqua...la sinergia fra i due elementi.

 

 

L’evento

L’esposizione consiste nella proiezione in loop di un video con circa sessanta fotografie accompagnate da un intervento del sound artist Giacomo Ceschi.

Il catalogo consiste in un folder di 40 pagine, 34 foto e 4 pagine di presentazione in formato 27x24 cm.

 

 

 

Darüber Hinaus / inOltre, un'esperienzasinestetica di Pino Dal Gal

Inaugurazione: 2 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Finissage: 9 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Indirizzo dell’evento: Vicolo Borgo Tascherio 1, Verona
Contattati: 3397098383 /
veronettalospazio@gmail.com

Sito WEB di Pino Dal Gal: www.pinodalgal.it

In occasione di Grenze 2021 presso Lo Spazio di Veronetta l'Ass. CulturaleDiplomart, a cura di Ginevra Gadioli
co-curatrice Chiara Fogliatti
sound design Giacomo Ceschi
progetto grafico Paolo D'Amato
progetto video Marco Faes, Francesco Adami
collaboratori Noy Jessica Laufer Alessandro Cailotto

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08.08.2021 # 5774

Raffaele Celentano in mostra. Italians e sirene incontrano i turisti dell’estate sorrentina

Fino a estate inoltrata, Villa Fiorentino, il Chiostro di San Francesco e la Chiesa dell’Addolorata ospitano le fotografie dell’eclettico fotografo

di Marco Maraviglia

Chi è Raffaele Celentano

Laureato all’Orientale di Napoli, dal 1986 vive tra Monaco, dove ha insegnato Italiano ai tedeschi, e Sorrento, dove è nato.

Dal 1988 entra nell’agenzia fotografica tedesca Laif.

Le sue foto sono pubblicate su riviste (inter)nazionali ed esposte in tutto il mondo.

Nel 1991 vince un concorso fotografico che gli fece decidere di dedicare la sua vita alla fotografia rinunciando al lavoro di docente.

Lavora rigorosamente su pellicola, prevalentemente in bianconero e ci tiene a far notare che nessuna delle sue immagini è croppata, ovvero, tagliata in camera oscura.

Nel 2004 apre nel centro di Monaco di Baviera la Galerie Raffaele Celentano.

Con spirito di mecenatismo, ha resuscitato alcuni spazi di Sorrento.

 

Ho trasformato lo scantinato deposito di Villa Fiorentino in Galleria con un mio progetto e, ovviamente, l'assunzione dei costi. L'idea è sempre quella di andare a creare nuovi spazi non ad occupare i presenti. Anche per la galleria al chiostro di San Francesco è avvenuta la stessa cosa sei anni fa.

Per la Chiesa dell’Addolorata abbiamo attivato un’operazione che definiamo "Arte e Bene"; oltre ad avervi creato due posti di lavoro facciamo un'offerta fissa alla Chiesa per opere di beneficenza.

 

Il triangolo espositivo di Raffaele Celentano

Ci sono tre luoghi a Sorrento che in questa estate Raffaele Celentano ha inondato di energia emotiva, carichi di simpatia, glamour, sensualità, divertimento e quant’altro con le sue immagini fotografiche che evidenziano il suo eclettico percorso professionale. Questi luoghi sono Villa Fiorentino, il Chiostro di San Francesco e la Chiesa dell’Addolorata dove trovare un ricco shop per acquistare le sue immagini.

Ad accogliere il pubblico in questi spazi ci sono Jennie, Teresa, Emma, Marianna, Francesca e Giulia. Tutte ragazze gentili, appassionate di fotografia ma innanzitutto dell’autore, che fanno da guida raccontando, senza invadenza, aneddoti e curiosità dell’autore e delle sue immagini.

 

Italians, la vita degli italiani

The Italians è una mostra che abbraccia, in 150 fotografie, circa trent’anni di lavoro di Raffaele Celentano. Realizzate in tutta Italia dal 1990 ad oggi. Stampate in fine art a tirature limitate e rigorosamente autenticate dall’impronta digitale del suo pollice con firma sovrapposta.

Con Broken Beauty, una vecchietta che si specchia in uno specchio rotto di un armadio lasciato per strada, vince nel 1991 un concorso fotografico. La critica dell’epoca gli fa notare che lo scatto richiama i carpe diem di Bresson e lui decide da allora di dedicare la sua vita alla fotografia appassionandosi al reportage, alla street photography e a un certo modo di fare fashion: immagini dalle caratteristiche pubblicitarie dove la peculiarità sta nel farle sembrare realistiche, prese al volo.

Pur vivendo a Monaco, Raffaele oltre a viaggiare in tutto il mondo documentando paesaggi, stili di vita, architetture, va su e giù per l’Italia immortalando scene di vita e ritratti estemporanei a gente sconosciuta e amici.

Si tratta di immagini che, anche se qualcuna presa costruendone una regia, inserendo talvolta una sua Giulietta rossa d’epoca, sono caratterizzate tutte da una speciale spontaneità e naturalezza da Dolce Vita, fresche, animate, o con un neorealismo fotografico dovuto alla sua passione per il cinema di cui colleziona numerose foto degli anni ’60 di Sophia Loren, Vittorio De Sica ed altri registi e attori. Anche queste esposte in una sala del Chiostro di San Francesco.

 

Lo stile di Raffaele Celentano è non avere uno stile. Si tratta di un eclettismo professionale tipico di chi può permettersi di fotografare qualsiasi soggetto lasciando parlare questo e rispettandone il contesto piuttosto che trasmettere la propria impronta. È così che sembra le sue immagini possano ricondurre a stili ed atmosfere che possono ricordare Helmut Newton (Affacciati alla finestra amore mio), Mario Giacomelli (Sister acts in Sorrento), Elliot Erwitt, Mario De Biasi, Ferdinando Scianna, il già citato Bresson, fino a raggiungere effetti di neorealismo contemporaneo (Piazza Italia).

 

The Italians, Gli Italiani, rappresenta il più grande spettacolo del mondo, lo spettacolo della vita, un inno alla vita nei suoi aspetti più intensi, gioviali, ironici, divertenti, maliziosi, giocosi, che solo il popolo italiano ha. Dall’individuare la spettacolarizzazione delle processioni religiose, all’allegria dei bagnanti anziani sul bagnasciuga di una spiaggia di Positano.

Immagini indescrivibili per certi versi, da vedere perché una foto può valere più di mille parole, come citano in più lingue i fogli nella decina di macchine da scrivere esposte nell’allestimento del Chiostro di San Francesco.

 

The Sirens Caves, il tufo e le sirene di Sorrento

Nei sotterranei di Villa Fiorentino è in corso un’altra mostra di Raffaele Celentano

L’autore nel 2015, forte delle sue conoscenze di grottesegrete, insenature misconosciute, caverne e cunicoli da Meta di Sorrento a Punta Campanella, realizza “Le grotte delle sirene” dimostrando ancora una volta la sua abilità di poter cambiare genere senza lasciare sbavature.

Un Ulisse che non teme le sirene e non si fa legare, le cerca invece, tra alcune delle sue belle amiche, senza scomodare modelle professioniste, e le coinvolge in un complesso gioco di seduzione onirica. Dove corpi, tufo e mare si amalgamano in una sintonia sonoramente silenziosa facendo ascoltare nella mente dell’osservatore, leggeri infrangersi del mare che nascondono respiri, sospiri e vocine deliziose. Buio e luce, gestiscono in queste immagini la doppia anima delle sirene. Loro ci sono, nude ma non provocano. Perché stanno sole con se stesse. Perché Raffaele-Ulisse è invisibile ma ne sta catturando la loro essenza più libera e naturale. Sono sirene irraggiungibili ma vicine. Leggere, eteree, plastiche e sinuose, per certi versi angeliche. Fluttuano e disegnano armonie subacquee o chissà quali dialoghi misteriosi di una lingua sconosciuta. Nate lì dove sono state immortalate, probabilmente. A poca distanza dagli isolotti Li Galli. Al riparo da flotte navali. Al riparo dalle nuove generazioni di uomini che nulla sanno della magia che queste strane donne senza tempo possono donare.

Da queste immagini nasce il desiderio di avventurarsi in questi anfratti marini e, infatti, questo è il fine di Raffaele Celentano che trapela, far conoscere la meravigliosa bellezza della costa della Penisola Sorrentina che andrebbe vissuta per mare, in barca, esplorandola senza guida, addentrandosi nella cave tufacee ed ascoltare quei suoni di grande bellezza.

 


Informazioni

 

The Italians

Chiostro di San Francesco

ViaSan Francesco, 12 (adiacente Villa Comunale)

dalle 10.00 alle 21.00 orario continuato tutti i giorni finoa fine dicembre 2021 

Ingresso: 3,50 € 

 

The Italians (Chiesa dell’Addolorata)

ViaSan Cesareo, 47 (centro storico)

dalle 10.00 alle 22.00 orario continuato fino a fine ottobre 2021 

Ingresso: libero

 

The Sirens Caves, il tufo e le sirene di Sorrento

Villa Fiorentino

C.soItalia, 53

Orari: 10.00 – 14.00 e 17.00 – 21.00

Ingresso: 5,00 € 

 

Info:

Raffaele Celentano: 344 0838503 - celentanogallery@gmail.com

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28.07.2021 # 5771

Cristina Burns: ESCAPISM

Quando una pandemia genera la fuga dalla realtà attraverso l’immaginazione. Mostra “digital-fotografica” alla Reggia di Carditello

di Marco Maraviglia

Chi è Cristina Burns

Classe ’82. Americana nata in Spagna ma cresciuta a Napoli dove vive. Non si considera fotografa ma un’allestitrice di fotografie per mezzo di assemblaggi di manipolazione digitale ed è quindi collocabile a cavallo tra la staged photography e quello che definirei surrealismo contemporaneo.

Ha vissuto sette anni con il nonno amante della fotografia che, racconta Cristina, durante la II guerra mondiale invece di procurarsi beni di prima necessità, cercava i chimici per sviluppare le sue foto.

Il padre era fotografo ufficiale per la marina militare. Dato il contesto familiare, è stato inevitabile e naturale per lei avvicinarsi alla fotografia e uno dei regali ai quali si affezionò particolarmente fu una mini macchina fotografica attraverso cui si vedevano immagini di una città. Chi è un po’ boomer sa che stiamo parlando di quei deliziosi souvenir che vendevano ingrappolati fuori agli empori nelle città turistiche.

 

Cristina Burns adora andare in giro per mercatini e, con un’ossessione quasi compulsiva, va a caccia di giocattoli vintage ponendosi domande sulle storie che ci sono dietro, a chi sono appartenuti, che tipi erano i bambini che ci giocavano, se ci giocavano. E ne immagina un vissuto magico e ignoto.

Unendo la passione per la fotografia al collezionismo, inizia a realizzare degli still life con gli oggetti che compra. Inserendoci anche caramelle.

È affascinata dalle caramelle e da tutto il mondo del dolce; per i loro colori invitanti, pur non mangiandone ritenendole nocive.

 

Ci sono caramelle che conservo per anni per i miei still life e restano intatte, non si deteriorano e, anche se non conservate in contenitori, sono snobbate persino dalle formiche.

 

Il mondo immaginario di Cristina Burns: Escapism

Con Candyland,la sua prima personale tenuta nel 2018, Cristina Burns ironizzava, con tratti cinici e taglienti, sulla caducità naturale della vita in contrasto con l’istinto disperato di sopravvivenza umana. Estremizzava con l’immaginazione, una società in cui l’abuso di farmaci, dalla bellezza caleidoscopica, e botulino non sono che un grande inganno, una deriva di uno stile di vita.

 

Ma il lockdown da Covid-19 ha generato poi in Cristina Burns, un punto di rottura, un totale desiderio di fuga dalla realtà.

In un mondo distopico, abbrutito da forza di cose, un sistema sociale che prende pieghe a-sociali, le reazioni degli umani divengono svariate, sfociando a volte in quel che è definito escapismo: il rifiuto di una vita innaturale rischiando di passare dalla padella alla brace come alcoolismo, consumo di droghe, aumento del consumo di videogiochi, pornografia... Lì dove la vita dell’umanità sembra terminata nel marzo 2019.

L’escapismo può fortunatamente generare fughe dalla realtà anche in modi più “sani” come l’immaginazione, sognare un mondo diverso in cui rifugiarsi e Cristina, quasi a voler citare Extraterrestre di Eugenio Finardi, si inventa A new Planet, un pianeta che sia tutto suo, invitante, colorato, protettivo, in cui ella stessa è Candygirl, un autoritratto col volto cosparso di caramelle sciolte, dolci e sgargianti e l’immagine dell’Alien la fa sentire a casa sua.

 

Una giornata illuminante al Museo di Capodimonte

Cristina Burns, in una giornata emotivamente pesante del post-lockdown va al museo di Capodimonte e viene rapita dallo sguardo intenso di Antea del Parmigianino. Vi si appassiona, studia l’autore e viene a conoscenza che l’opera era tra quelle trafugate dai nazisti durante l’ultima Guerra e ritrovate poi da Rodolfo Siviero, grande investigatore e storico dell’arte.

Forte dei suoi “ritrovamenti” di giocattoli vintage in mercatini di modernariato, Cristina comprende, attraverso la figura di Siviero, che un certo valore della vita è dato dal riavvicinamento al passato perduto. Sensazioni fascinose che corrono parallele al suo desiderio di voler riacquisire ciò che era nel mondo pre-pandemico.

Cristina nella sua rielaborazione digitale di Antea (Antea, finalmente ti ho trovata), omaggia quindi Rodolfo Siviero inserendo una sua immagine.

Queste sono solo brevi considerazioni relative ad alcune immagini di Cristina Burns esposte alla Reggia di Carditello e suddivise in alcune serie legate tra loro da un concetto di fondo: voler infondere nello spettatore un senso di benessere attraverso colori sfarzosi e un simbolismo anche religioso, dal mood psichedelico, per condividere quell’escapismo provato dall’artista.

L’Arcangelo Michele combatte il male che potrebbe essere anche il WEB mal fruito; colori sciolti e zuccherosi che incutono dolcezza; ripropone gli animali selvatici nei contesti urbani che aveva già immaginato in tempi non sospetti.

 

In “Urban Fairy Tales”, propongoun’immaginaria rivincita della natura sull’attività umana, attraverso lapresenza di animali che dominano un contesto urbano degradato e forseabbandonato. Attraverso l’opera “The Last Unicorn” auspico un intervento quasimagico che possa salvare l’umanità da irreversibili danni all’interoecosistema.

 

Intersezioni tra passato e contemporaneo, arte antica e nuove tecnologie digitali; Escapism di Cristina Burns è una macchina del tempo che corre verso un’unica direzione su due binari paralleli percorrendo allo stesso tempo passato, presente e futuro; per (ri)prendersi il meglio di ciò che rischiamo di perdere, immaginando un mondo migliore. Non per scappare per sempre con la propria immaginazione, ma per condividere una speranza con l’osservatore. Per cercare di farlo sta rmeglio con se stesso.

 

 

 

Escapism, di Cristina Burns

Periodo: 24 luglio – 15 agosto 2021

 

In collaborazione con:

Fondazione Real Sito di Carditello, Appunti Fotografici

Sede:

Cappella dell’Ascensione, Fondazione del Real Sito di Carditello

via Carditello, 81050 San Tammaro, Caserta

 

Giorni e orari di apertura:

Sabato 24 luglio: 18:00 - 21:00

Domenica 25 luglio: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Mercoledì 28 luglio: 18:00 - 21:00

Venerdì 30 luglio: 18:00 - 21:00

Sabato  31 luglio:16:30 -19:00

Domenica 1 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Sabato 7 agosto: 16:30 - 19:00

Domenica 8 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

Sabato 14 agosto: 16:30 - 19:00

Domenica 15 agosto: 10:00 - 13:00 / 16:30 -19:00

 

Costo ingresso al Real Sito: 2 euro

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18.07.2021 # 5769

I Dittici d’Iran di Vanni Pandolfi. Sensazioni e racconti di una terra vista da dentro

Analogie in un libro fotografico, figlio del lockdown, di appunti fotografici presi dal 2011 al 2020 che vede la luce

di Marco Maraviglia

Chi è Vanni Pandolfi

Classe 1982. Laureato in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Firenze, per vivere è socio di un’agenzia che si occupa di sorveglianza non armata.

Conserva ancora le fotografie che realizzò a 6-7 anni realizzate con una macchinetta fotografica che regalava un’azienda produttrice di cioccolato.

 

Best Selected,un’invenzione di fotografia condivisa

Vanni Pandolfi, pur occupandosi di altro per lavoro, coltiva ugualmente da sempre la sua passione per la fotografia spostandosi oltre ipropri confini. Oltre quelli che sono i propri servizi fotografici. Crea Best Selected, una vetrina, un contenitore che si occupa di Fotografia intercettando fotografi meritevoli divisibilità sparsi nell’Oceano della rete.

Ogni anno e da quattro anni, Vanni seleziona infatti le immagini più interessanti per realizzare dei volumi fotografici usando Blurb, un noto servizio di stampa on demand, rendendoli acquistabili in rete. E nuovi autori emergono. O perlomeno resterà traccia cartacea dei loro lavori.

Un’iniziativa lodevole che fa comprendere il senso di condivisione, senza gelosie o altro genere di sovrastrutture, di VanniPandolfi.

 

L’Iran di Vanni Pandolfi

Credo che nell’immaginario collettivo l’Iran sia solo guerre e petrolio. Le scene che ci mostra la tv difficilmente ampliano le nostre conoscenze di un Paese che in realtà è culla di civiltà millenarie. Un Paese demonizzato dall’Occidente, dalle tensioni internazionali derivate dalla rivoluzione del’79, che ne mostra solo i problemi che riguardano la classe dirigente con il resto del mondo.

 

È invece un paese meraviglioso, con una storia gloriosa e antica. Culla di civiltà millenarie. Deserti, montagne con ghiacciai, foreste, e il mare delGolfo Persico. Completo dal punto di vista naturale. Con un popolo accogliente,educatissimo, pieno di vita.

 

Vanni conosce nel 2011 Yasmine durante una serata magica in discoteca e comprendono che il loro incontro non è un semplice colpo di fulmine. Si sposeranno l’anno dopo.

Con lei inizierà a conoscere quel Paese in tutti i suoi aspetti culturali, paesaggistici, sociali, fotografandoli come appunti di viaggio.

 

Nell’ultimo viaggio ho notato differenze soprattutto nelle condizioni economiche. L’embargo e le sanzioni internazionali stanno facendo soffrire soprattutto il popolo piuttosto che la classe dirigente. C’è una crisi pesante,e la forbice tra ricchi e poveri si è allargata enormemente ingoiando la classe media giù verso la povertà.

 

Ma l’Iran è comunque un Paese ricco di energie dove, sì,circolano nelle strade i "controllori della moralità” che vigilano sul rispetto delle leggi emanate dal Governo riguardo quegli aspetti riconducibili alla morale islamica, ma c’è un mix di contaminazioni tra l’antico e il moderno,dove le “generazioni tecnologiche”, l’influenza occidentale, musica di ogni genere e quant’altro, creano un qualcosa di elettrizzante e stimolante.

E con l’arte dell’ospitalità che crea le condizioni per far sentire a casa propria anche lo straniero.

 

I Dittici d’Iran

Il libro è uno di quelli “figli del lockdown”. Mesi pandemici che hanno dato a tanti il tempo di risistemare idee, riprendere in mano progetti lasciati accantonati o di organizzarne di nuovi. Vanni Pandolfi in quei mesi fa mente locale sul suo archivio di nove anni di fotografie realizzate in Iran e fa nascere il suo racconto fotografico.

 

Sono nati così questi dittici che rappresentano frammenti di esistenze e momenti eccezionali della mia vita. Ogni dittico è un grumo di significati ed emozioni da decifrare riguardate vari aspetti “complessi” del Paese Iran e delle persone a me care che lo abitano.

 

Quando ho visto Ditticid’Iran di Vanni Pandolfi, mi sono sentito come scoprire le chiavi per accedere in un territorio ubicato oltre il mondo. Accompagnato dalla sua presenza nella mente, ascoltavo le sue essenziali parole che leggevo nelle didascalie. Brevi riflessioni personali e simil-poetiche che accompagnano le foto. Pregne di evocazioni, sensazioni, soffi di percezioni che immergono il lettore in atmosfere a cavallo tra l’antico e l’oggi, tra il mistico e il metropolitano. Silenzi senza tempo da ascoltare e poi sonorità urbane, miscelate al ritmo di arpeggi e rock.

È l’Iran di Vanni Pandolfi, o almeno quello che ho interpretato. Con le sue connessioni, contaminazioni e contraddizioni tipiche di un Paese che ha attraversato millenni di civiltà.

Con la giusta scelta del bianconero per concentrare l’attenzione sui soggetti-pensieri e le vignettature che richiamano l’effetto Holga, si stimola l’osservatore a scrutare con più attenzione e più a lungo le immagini per coglierne il senso delle analogie dei dittici.

Moschee ed altri luoghi di culto, interni di appartamenti,le strade, il bazar di dieci chilometri, le donne, le pause, le spiagge sul MarCaspio dove assaporare il tramonto su un tappeto persiano, i deserti e le montagne, i luoghi dove si incontrano i giovani, le feste, le amicizie di pochi attimi fatte nel traffico tra i finestrini delle auto... Vanni Pandolfi ci racconta con una fiaba fotografica una parte di quell’Iran ai più sconosciuta attraversandolo con immagini di Teheran, Esfahan, Shiraz, Kashan, villaggi nel nord sul Mar Caspio, Abyane, la zona del Gilan, le rovine di Persepolis.

L’Iran di Vanni Pandolfi, un Paese col un indice di criminalità tra i più bassi del mondo. La sua seconda casa.

 

 

Dove trovare Dittici d’Iran (2011-2020)

https://it.blurb.com/b/10768128-dittici-d-iran-2011-2020

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13.07.2021 # 5766

Danel, il figlio de la Revolución, con la passione del ring in mostra

Federico Righi espone a MUSEUM venti immagini che documentano la vita di una nascente stella del pugilato cubano

di Marco Maraviglia

Chi è Federico Righi

Lasciando stare che è un plur ilaureato (Ingegneria e Architettura), Federico Righi è un grande appassionato di fotografia facendo della street photography una sua ragione di vita in cui la Leica è ormai da anni sempre a tracolla come fosse un tutt’uno con lui stesso. Non va a caccia di scene di strada di proposito ma immortala ciò che gli si presenta innanzi, con colpo d’occhio.

Partecipa a mostre personali, collettive e competizioni fotografiche anche internazionali, dandogli riscontri positivi.


Cuba. Maggio 2012

Chi l’ha detto che i workshop fotografici sono un’industria per spillar quattrini agli aspiranti fotografi? Non è sempre così, basta individuare quelli in cui ci sono fotografi professionisti che hanno tutti gli strumenti e le abilità nel riuscire a trasferire le proprie conoscenze. Federico Righi nel maggio 2012 partecipa a uno di quei workshop giusti, organizzato da Nicolas Pascarel che conosce Cuba quasi come se fosse la sua seconda casa.

Il workshop si sviluppa su diversi temi e Federico Righi si appassiona alla storia di Danel, un ragazzo diventato pugile quasi per caso.

 

Federico Righi racconta Danel, una storia minimalista

Checché se ne dica, tra i frutti della rivoluzione cubana c’è l’istruzione gratuita per ogni grado ma la vita di Danel prese una piega diversa di cui ad oggi non sappiamo quale sia stato l’esito e Federico Righi si è ripromesso di tornare a trovarlo.

Danel era un ragazzo che studiava ingegneria ma la sua vita cambiò nel momento in cui i suoi genitori morirono a poca distanza l’uno dall’altro. Sebbene gli studi universitari fossero gratuiti, doveva pur mantenersi per vivere e si trasferì all’Avana iniziando a fare molteplici lavori fin quando fu assunto come guardia giurata.

Da ragazzino un suo idolo era Teófilo Stevenson, campione di pugilato cubano e, senza tante pretese, Danel inizia a frequentare una palestra dove viene notato dall’ex pugile Carlos Manuel Miranda che lo invita a frequentare la scuola di boxe allestita al piano superiore della sua casa. Miranda da talent scout diventa il coach di Danel che fa un primo incontro nella categoria welter e stravince.

Federico Righi si appassiona a questa storia e intende documentarne alcuni suoi aspetti entrandoci dentro perché, detto un po’ alla Robert Capa, se non sei vicino non potresti fare buone foto.


Federico Righi entra nella vita di Danel

Vicino, vicinissimo, Federico Righi diventa per qualche giorno l’ombra di Danel. Lo ritrae in palestra durante gli allenamenti in condizioni critiche. Palestra poco areata, alto tasso di umidità che si condensa a terra, tanta sudorazione non solo degli atleti ma anche di Federico; luce al neon debole che lo costringe a usare tempi di esposizione lenti rischiando di ottenere foto inaccettabilmente mosse. Coglie i dettagli, il sudore che scende sul volto di Danel, particolari della muscolatura del boxer, le mani fasciate dopo aver tolto i guantoni, l’intensità degli sguardi che evocano impegno, concentrazione. Sacrificio.

Nella precarietà di una palestra arrangiata, le immagini in bianco nero di Federico Righi esaltano una bellezza nascosta che trasmettono quell’energia coinvolgente che quasi sembra di esserci anche tu. Dentro. Da vicino.

Ma il reportage non si limita solo agli allenamenti in palestra.

 

Un giorno accompagnai Danel a casa, quasi due ore dal centro dell’Avana, prendemmo un taxi e poi un autobus e poi, a piedi, per le campagne.Giungemmo ad un caseggiato, costituito, perlopiù, da baracche in legno e poche abitazioni in muratura. Danel, viveva in una baracca tinta di un rosa acceso.

 

Federico Righi entra nella vita di Danel ritraendolo nel suo contesto privato. Nella sua casa tinta di rosa che è un misto di muratura e lamiere; con conigli, piantine speziali che coltiva, galli da combattimento che dal 1980 sono nuovamente legali nel Paese. E conosce la sua compagna che potrebbe essere la madre.

Perché Cuba ha i suoi lati che condizionano tristemente il benessere della popolazione: se sei giovane e povero, non puoi permetterti di vivere con una ragazza coetanea. Un gap generato dalla prostituzione a Cuba.

 

Mi domando spesso se Danel fosse riuscito a coronare il suo sogno di diventare un pugile professionista.

Io spero di sì e, appena mi sarà possibile, tornerò a cercarlo presso la scuola di Carlos Miranda all’Avana.

 


Danel, il figlio de la Revolución, con la passione del ring

di Federico Righi


Rassegna Un Altro Sguardo sulla Fotografia, a cura di Mario Laporta

MUSEUM – Largo Corpo di Napoli, 3

Fino al 14 luglio

Ingresso libero

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04.02.2021 # 5611

La Lente Artistica Ultra-Wide 2.8/17 è ora disponibile su Kickstarter

Una prospettiva completamente nuova con la lente progettata per mirrorless full-frame e compatibile con fotocamere M Mount

di Adelma Rago

Fermarsi in mezzo alla folla che percorre le strade urbane, immergersi nelle profondità della foresta nuotando tra pini imponenti, lanciarsi nel deserto sabbioso, navigando in vasti panorami aperti e, soprattutto, fotografare tutto questo. Nuove possibilità ultra grandangolari e dettagli sbalorditivi sono due delle principali caratteristiche della lente artistica Lomography Atoll Ultra-Wide disponibile da oggi su Kickstarter.



Con l’obiettivo artistico Lomography Ultra-Wide Atoll è possibile avvicinarsi incredibilmente al soggetto, catturando allo stesso tempo l’azione tutt’intorno con dettagli unici. Atoll può fotografare un oggetto in primo piano a una distanza di 0.1m, mantenendo anche lo sfondo a fuoco. Il mirino garantisce una composizione accurata con le fotocamere analogiche e l’opportunità di riempire ogni angolo di 103° con colore, carisma e chiarezza.

La lente artistica Atoll Ultra-Wide è un modo completamente nuovo di vedere il mondo, una prospettiva piacevolmente ampia e un invito a far esplodere le proprie aspettative. Gli scatti ultra grandangolari aumentano le dimensioni relative e vantano una profondità impressionante per fotografie e video accattivanti, stimolanti e coinvolgenti.




FOTO E VIDEO


L’obiettivo artistico Lomography Atoll Ultra-Wide è stato progettato pensando sia ai fotografi che ai video maker: passare tra le due configurazioni non è mai stato così facile. Catturare paesaggi, azione, fotografia di strada e di viaggio, oltre a video mozzafiato, dal documentario dinamico all’incredibile avventura d’azione. Con un moderno meccanismo di messa a fuoco elicoidale, ghiera controllo del diaframma smorzato e un breve raggio di messa a fuoco, è possibile regolare perfettamente la messa a fuoco e l’f-stop mentre la fotocamera è in uso, per un controllo creativo, rapido e silenzioso.


L’OFFERTA 


Su Kickstarter la Lente Artistica Lomography Atoll Ultra-Wide sarà disponibile per i sostenitori ad un prezzo iniziale di 399 USD, con un risparmio fino a 150 USD e data di consegna a partire da agosto 2021. Per maggiori informazioni o per sostenere il progetto clicca qui.




SPECIFICHE TECNICHE


*Per ulteriori specifiche, consultare la pagina di Kickstarter


- Lunghezza focale: 17 mm

- Copertura formati: 35 mm / full-frame

- Campo visivo: 103°

- Paraluce Lotus: Sì

- Costruzione lente: 13 elementi multistrato, 10 gruppi

- Messa a fuoco: Manuale

- Minima distanza di messa a fuoco: 0.1 m (Canon RF, Nikon Z, Sony E), 0.25 m (attacco M)

- Apertura massima: f/2.8

- Costruzione apertura: 8 lamelle, f/2.8–f/22

- Anello di apertura: smorzato

- Scala di profondità di campo: Sì

- Attacco: Canon RF/ Nikon Z/ Sony E (con adattatore close-up) e M (nativo)

- Contatti elettrici: No

- Telemetro M Mount: Sì

- M Mount Frameline: 28 mm

- Mirino ottico esterno: Sì

- Materiali: Alluminio anodizzato sabbiato

- Dimensioni (inclusi paraluce lotus e adattatore close-up): 89 mm (Sony E) / 91 mm (Nikon Z) / 87     mm (Canon RF) / ø73 mm × 79 mm (M)

- Disponibile su Kickstarter: Da 399 USD

- Prezzo al dettaglio stimato: Da 549 USD

- Data di consegna : agosto 2021


Altri dettagli:


- Progettato per fotocamere full-frame mirrorless Canon RF/Nikon Z/ Sony E e fotocamere analogiche e digitali con M mount

- Notevole campo visivo ultra grandangolare di 103° con distorsione minima, colori vibranti e forti contrasti

- Distanza di messa a fuoco minima di 0.1 m con fotocamere Canon RF, Nikon Z, Sony E e 0.25 m con fotocamere M mount

- Ottime prestazioni in condizioni di scarsa illuminazione e design ottico rettilineo migliorato

- Compatto e ottimizzato per foto e video con meccanismo di messa a fuoco elicoidale, ghiera controllo del diaframma smorzato e distanza di messa a fuoco ridotta




CHE COS’È LOMOGRAPHY?


Fondata a Vienna nel 1992, la Lomographic Society International è un’organizzazione attiva a livello globale dedicata alla fotografia analogica, sperimentale e creativa. Attraverso i suoi prodotti che comprendono pellicole innovative, fotocamere, prodotti istantanei, obiettivi e accessori fotografici, si dedica alla progettazione e alla produzione di tutti gli strumenti fotografici necessari per creare, catturare e raccontare il mondo. Attraverso i Negozi Online e gli Embassy Stores, rifornisce non solo tutti i "Lomografi” ma anche laboratori fotografici specializzati, gallerie, musei e punti vendita partner internazionali. Lomography ha una forte presenza sui social media con 1,5 milioni di follower su Facebook, Instagram, YouTube e Twitter. Con l’hashtag #HeyLomography su un proprio scatto, si ha la possibilità di apparire sui loro social.


CHI SONO I LOMOGRAFI?


I Lomografi sono tutti coloro appassionati di fotografia e con una forte voglia di sperimentare. Desiderosi di immortalare tutti i ricordi, raccontare storie, e scattare su pellicola, negli ultimi 20

anni la comunità creativa composta da 1 milione di Lomografi ha caricato oltre 15 milioni di foto sul loro sito, il più grande archivio online di fotografia analogica e sperimentale nel mondo. 

I Lomografi utilizzano strumenti fotografici innovativi per stimolare la loro immaginazione, e scoprire nuovi trucchi durante i workshops, partecipano ai concorsi di Lomography e contribuiscono al Lomography Magazine. La loro sete di viaggiare, sperimentare, commettere errori, condividere e vivere la vita in tutta la sua bellezza e bizzarria, è ciò che li rende speciali.


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