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Made in Ilas // Pagina 2 di 13
14.04.2020 # 5513
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista a Claudia Iacomino

Ha iniziato a usare la fotografia per mettere insieme delle visioni che si materializzavano solo quando diventavano un’immagine. Claudia Iacomino si racconta a Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Claudia Iacomino nasce nel 1986 a Napoli.
Studia la pratica artistica fin dal liceo e ne approfondisce la teoria e la storia laureandosi in Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali presso l’Università Federico II di Napoli, con una tesi sull’identità fotografica. Nel 2014 si specializza con lode in Fotografia come Linguaggio d’arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli con una ricerca personale sul linguaggio fotografico e la sua relativa percezione. Dal 2014 inizia ad insegnare Arte della Fotografia negli istituti superiori di Latina e Napoli, dividendosi tra Lazio e Campania. La sua costante indagine sul reale la porta ad utilizzare lo strumento fotografico concependolo come il più adatto a descrivere il pensiero più che la realtà. Anche quando esplora nuovi mezzi, come il video, non abbandona la semantica fotografica, prediligendo l’esaltazione dell’immagine statica come metafora del pensiero.




L’Intervista

Come ti descriveresti?

Adesso io, non lo nego, non son capace di descrivermi, mi sembra che si finisca quasi sempre in quella falsa modestia dell’essere questo o quello. Vediamo, posso dire di essere tante persone insieme che si incontrano, si scontrano, a volte si lasciano ma poi resistono; che mi piace osservare le cose che accadono, a volte molto più di viverle e non solo per pigrizia piuttosto per incapacità. Mi piace scoprire cose nuove, che detto così sembra l’incipit di un tema di mia nipote, eppure è così. Un libro, un artista, un movimento storico, un regista, mi viene sempre di cercare risposte lì. La tecnologia no, quella non mi piace, ho un rapporto complesso con la velocità.


Hai sempre saputo di voler fare la fotografa?

Essere fotografi significa tante cose, legate anche a come si usa la fotografia, al ruolo che le si dà. Io ho iniziato a usarla per mettere insieme delle visioni che si materializzavano solo quando diventavano un’immagine. Poi, specializzandomi, ho iniziato a lavorare con la fotografia commerciale, a insegnarla ma il ruolo di fotografa mi appartiene solo quando ritorno al mondo delle visioni, quando creo qualcosa che prima non c’era.



©Claudia Iacomino

Che ricordi hai del tuo percorso alla Ilas?

Durante un periodo molto frenetico, in cui studiavo a Roma, insegnavo a Latina e vivevo contemporaneamente a Napoli, mi chiama il Direttore del corso di Fotografia dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli per dirmi che avevo vinto una  borsa di studio di un anno alla Ilas. Ero lusingata ma anche stanca di riiniziare a studiare la tecnica fotografica, e qui c’è stata la sorpresa. La Ilas non è stata solo tecnica, eccellente e fatta a livelli professionali, è stata crescita personale e sviluppo delle identità fotografiche, con cui ognuno di noi entrava in contatto. Pierluigi De Simone è un prezioso insegnante, ci ha portati oltre la pratica in studio, verso la semantica, la narrativa e in generale verso una cultura fotografica su cui ancora oggi, spesso, apriamo grandi dibattiti.


Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare?

Finiti gli studi sono partita per Londra. Andavo in giro per gallerie a presentare il mio lavoro, la mia ricerca. Proporsi significa anche convincere l’altro del valore del tuo lavoro, e questa è stata una grande sfida. Mi sono presentata sul set di un fotografo di moda e appena mi ha vista mi ha detto chiaramente “non posso farti lavorare qui, sei troppo esile, non saresti utile neanche per montare i set”. Poi a fine giornata mi
ha chiesto di restare. Abbiamo lavorato insieme per uno shooting e sono andata via. Non era quello che mi interessava. Ad oggi la sfida più grande è quella di ripensare alla fotografia come mezzo per contemplare un dolore, ma è tanto più ardua.


©Claudia Iacomino

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?

La sua identità, e non a livello ontologico. Io penso per immagini. A tutte le parole che ascolto gli attribuisco un’immagine, un ricordo visivo, è così che funziona e questo mi affascina. E non è solo l’eterna dialettica tra realtà e percezione, è molto di più. E’ la capacità che ha la fotografia di suggestionare la nostra visione, di attivare dei meccanismi esperienziali in silenzio, senza fare troppo rumore e in modo quasi infimo. E’ una bugia autentica ma è anche coscienza individuale e collettiva, è conoscenza delle cose. Inoltre sempre più spesso mi attirano i suoi limiti; analizzare tutto quello che la fotografia non è: il suono, l’odore, le parole; questo mi ha portato a sviluppare un lavoro di sinestesie visive, “La fotografia degli altri è bellissima” in cui il testo suggerisce l’Immagine. Un modo diverso di pensare alla fotografia, svuotandola dal referente.


Mi ha colpito molto l’immagine che hai su facebook, una foto “manipolata” da Julie Cockburn con ago e filo. Quanto pensi sia fondamentale fare ricerca al di là della fotografia?

Una volta ho letto questa frase ironica che diceva “Ma quelli che fanno ricerca, in realtà cosa cercano?” e mi piacerebbe dare una risposta piena di senso ma non ce l’ho, anzi colleziono dubbi per questo ricerco.
Probabilmente si prova a cercare significati profondi nelle cose, delle risposte, o magari si cerca di lasciare una traccia, a volte lo si fa anche solo per ego, per dire la propria, che è il modo peggiore di fare ricerca.


©Claudia Iacomino

C’è un fotografo a cui ti ispiri?

Cattelan, perché non è un fotografo. Ma in generale dipende dall’umore.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?

Di conoscere il mondo delle immagini, tutto, dai pittogrammi alla storia dell’arte passando per la grafica, fino al cinema. Riempirsi gli occhi di ciò che è stato, di ciò che è e di ciò che la nostra mente può generare con la lettura, la musica ed ogni forma di cultura.


C’è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?

No, non direi, la foto non è mai finita. Ogni foto scattata può essere la base per un’altra fotografia, e queste sono le parole di Gastel(!). Piuttosto mi piace guardare con soddisfazione e affetto questo estratto di “Oggi ho conosciuto un uovo”, una delle mie prime fotografie, sulla quale ho costruito un profondo lavoro di ricerca.


©Claudia Iacomino

Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?

Non so cucinare, non amo mangiare e in generale non ricordo i sapori che assaggio.


Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori?

Ho fatto un solo lavoro in bianco e nero “Sedimenti”, esposto questo dicembre alla Fondazione Circolo Artistico Politecnico, in una collettiva. Per quanto fosse stata una scelta ponderata e faticosamente accettata, avevo prurito alle mani ogni volta che lo vedevo. Il colore mi serve a comunicare una sensazione precisa, così come la sua assenza ha un valore semantico, ne sono cosciente. Il punto è che i colori esistono, inficiano la nostra espressione delle cose e non riesco ad escluderli dal processo visivo.


©Claudia Iacomino

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.

Il fuoco, il cibo, l’arte.


Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 

Rispondere a questa domanda in un periodo di singolare quarantena, è difficile. Per ogni altro giorno sarebbe valsa la risposta di cercare stimoli, osservare dettagli, recuperare domande, formulare risposte. Adesso provo a pormi le stesse ambizioni ma senza troppa consolazione.


Cosa dobbiamo aspettarci da te?

Probabilmente un cambiamento di rotta rispetto a quanto prodotto finora.

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13.12.2021 # 5854
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione ilas:
intervista a Silvio Acocella

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

di Urania Casciello

Silvio Acocella nasce nel 1983 a Salerno. Dopo gli studi universitari decide di dedicarsi alla fotografia frequentando la ILAS sotto la supervisione di maestri quali Ugo Pons Salabelle.
Dopo la scuola si trasferisce a Milano e lavora a stretto contatto con numerosi fotografi di moda, tra tutti Peter Lindbergh. Tornato a Salerno lavora con Ferdinando Califano e apre nel 2010 il suo primo studio fotografico.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
Diciamo che ho sempre avuto la passione per la fotografia, da piccolo prendevo la yeshica a pellicola di mio padre e mi piaceva sperimentare, poi mi hanno regalato una telecamera, insomma crescendo la mia passione è aumentata, insomma avevo deciso che la fotografia avrebbe fatto parte della mia vita. Ho iniziato a fotografare per hobby, poi ho deciso di studiare alla ilas per approfondire, mi sono trasferito a Milano lavorando lì un anno e poi sono tornato al sud, dove sono di base a Massa Lubrense.

Come hai, stai, e pensi di affrontare per i prossimi mesi questo periodo di crisi sanitaria globale? C’è stato qualche cambiamento lavorativo?
Venendo a mancare tutto il resto di attività che prevedono una documentazione fotografica, ho avuto la fortuna di avere come cliente un’azienda che mi ha commissionato foto per un e-commerce, settore invece che per fortuna non ha avuto problemi, anzi tutto l’opposto, in questo periodo. Diciamo che cercando, soluzioni si trovano.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Un ricordo bellissimo, la scuola, il personale, la direzione. Su tutti il mio docente di Fotografia Ugo Pons Salabelle. Nonostante siano passati più di dieci anni da quando ho frequentato il corso ilas, ci sentiamo ancora e gli chiedo ancora consigli!

Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare fini ad oggi? C’è qualche aneddoto?

Diciamo che nel mondo della fotografia, disavventure tecniche succedono quasi spesso, anche quelle con i clienti. Forse ricordo meglio le cose belle ed è una fortuna, tra tutte quando ho lavorato con Lindbergh nell’anno i cui ho vissuto a Milano, un’ esperienza che ricorderò tutta la vita!

C'è un fotografo a cui ti ispiri? Perché?
Tra i miei preferiti Martin Parr e Peter Lindbergh, ovviamente per ragioni opposte, ma in generale mi piace entrare nella testa dei fotografi e capire il loro punto di vista. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Dunque, non è un periodo facile, ma direi che - se è davvero quello che vogliono fare - di andare contro tutti (perché molti gli diranno che fare foto è un hobby non un lavoro) e studiare un sacco.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?

Non ho una foto che mi rappresenta più di altre, forse, tra tutte le mie foto, sicuramente quelle scattate in bianco e nero.

Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?
Un dolce molto carico, pieno di zuccheri. Prima lo mangi e sei soddisfatto, dopo vieni assalito dai sensi di colpa.

Ha la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Perché?

Bianco e nero, assolutamente. La fotografia per me è Bianco e Nero. E se penso al bianco e nero penso a Mimmo Iodice.

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Visti i tempi non saprei, sicuramente mi piacerebbe aumentare anche la produzione video, un settore che secondo me deve andare di pari passo con la fotografia.

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01.12.2021 # 5848
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione ilas:
intervista a Emilia Apostolico

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

di Urania Casciello

(Urania Casciello) Come ti descriveresti? 
(Emilia Apostolico) Mi definisco una persona consapevole. Può sembrare strano, ma la consapevolezza non è  scontata, la consapevolezza dà spessore e forma alla mia esistenza.

Hai sempre saputo di voler fare la fotografa?
No, ma ho sempre saputo che avrei fatto qualcosa di creativo, di assolutamente divertente.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Ero in un momento della mia vita in cui, appunto, mi  mancava la consapevolezza di diverse cose, ma è stata una bella esperienza. Una scuola seria, insegnanti fantastici. Ugo Pons Salabelle, in particolare, mi ha lasciato un ricordo bellissimo. Un uomo ricco di cultura, le sue lezioni: indimenticabili!
 
Il tuo lavoro ti porta ad essere in contatto costante con le famiglie, maternità e bimbi appena nati. Cosa ti piace di più del mondo della fotografia family? Cosa si prova?
 È un mondo meraviglioso. Condivido momenti importanti, dinamiche nuove. Ho sempre davanti la parte più bella dell'umanità, e poi stare vicino ai neonati è magico.
 
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare fino ad oggi?
La sfida  più grande è quella di riuscire sempre ad entrare in sintonia con i miei clienti. Quando si realizzano questi particolari tipi di servizi fotografici si entra in intimità, le persone si mettono a "nudo" e devono sentire di potersi fidare. Ogni volta che entro in sala di posa devo sgombrare la mente da tutti i miei pensieri e sentire le loro emozioni.  


Come hai, stai, e pensi di affrontare per i prossimi mesi questo periodo di crisi sanitaria globale? C’è stato qualche cambiamento lavorativo (o nella gestione del lavoro)?
Sicuramente nello studio c'è l'adeguamento al protocollo Covid che, in realtà, eccetto l'uso della mascherina, non ha modificato di molto quelle che erano già le norme di igiene e sicurezza che, fotografando bambini di pochissimi giorni, già adottavo.  

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
La sua forza evocatrice, la sua potenza.

C'è un fotografo a cui ti ispiri? Perchè?
Leticia Reig, una fotografa spagnola. Le sue foto mi commuovono e le sento molto vicine al mio stile.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di intraprendere un rapporto profondo con sé stesso, dare ascolto ai propri sogni e individuare bene la strada da percorrere. Fatto questo, che è la parte più difficile, poi investire tanto nella formazione e nello studio costante.

 Ha la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Perché
Colori. Il colore mi dà tutte le sfumature, infinite possibilità.

Tre cose di cui NON potresti fare a meno sulla terra.
L'amore, l'arte, l'allegria.

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14.06.2021 # 5742
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista ad Andrea Emma

Viaggio di un Creative Director tra

di Urania Casciello

Andrea Emma è creative director e fondatore dell’agenzia di comunicazione CROP Studio.

Nasce a Napoli nel 1981, nel giorno della Liberazione. Affascinato fin dai primi anni di vita dalle armonie delle arti visive e performative deve gran parte della sua sensibilità artistica alle attitudini e talenti familiari che gli hanno aperto la strada verso un’esplorazione appassionata dell’arte, della musica e della fotografia. Terminati gli studi liceali e iniziati quelli universitari viene totalmente assorbito nel mondo Ilas, dove comincia un percorso formativo decisivo. Dal 2001 inizia la sua immersione nel mondo della comunicazione digitale e cominciano le prime esperienze lavorative presso agenzie di comunicazione come art director. Nel 2006 decide di continuare da freelance professionista e in un momento di grande fermento artistico personale si trasferisce a Barcellona nel 2008, vivendo quattro anni di immensa crescita professionale. Diventa in poco tempo direttore creativo di un’agenzia internazionale di Web Marketing e Digital Design. Nel 2011, spinto dall’amore per Napoli e dalla voglia di sfruttarne un inespresso potenziale, decide di partecipare ad un progetto di co-working portando la sua esperienza internazionale e conoscendo gran parte del team con il quale adesso collabora. L’amore per la fotografia e la musica si consacra in una delle esperienze umane ed artistiche più stimolanti, attraverso la mostra personale “Enzo Avitabile Music Life” del 2012 al Castel Sant’Elmo, estratto delle fotografie di scena del docu-film firmato dal premio Oscar Jonathan Demme. Nello stesso 2012 è ideatore, fondatore e creative director di CROP Studio, la sua sfida attualmente in corso più stimolante e importante.





(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente? 

(Andrea Emma) È un periodo molto intenso, di grande pianificazione e organizzazione di progetti stimolanti. La fortuna di fare questo lavoro è spesso quella di poter scegliere con chi lavorare e soprattutto in che modo cercare di fare al meglio le cose. Per rispondere al meglio alla tua domanda posso rivelarti che i progetti più interessanti degli ultimi mesi vanno dalla tecnologia e l’ecosostenibilità, passando per l’arte e il design con un periodo molto intenso di produzioni video che coinvolgono scenari rurali, sveglie presto, mille caffè e albe mozzafiato.


Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?

Credo nella creatività come ad un dono o semplicemente come una positiva “inquietudine” che ti circola dentro. 
Avendo avuto un trascorso da musicista, è un po’ come sentire il “groove” che hai dentro. 
La creatività non puoi scegliere di averla, o ce l’hai o non fa per te. Ma per stimolarla spesso scelgo di immergermi totalmente nel punto di vista avverso all’obiettivo che voglio perseguire, per avere una visione lucida e chiara delle cose che non dovrò certamente fare.




Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?

Ricordo di essere stato attirato da un manifesto che mio padre mi fece vedere per strada, all’epoca ero uno studente universitario di informatica ingolfato e non era certamente sereno il mio stato d’animo. Quel manifesto e la lungimiranza di mio padre - a cui devo tutto - mi spinsero a compiere il passo. Ed è stato un passo che somigliava più ad un salto. Ricordo dell’Ilas come di un qualcosa che all’epoca era totalmente inedito nello scenario formativo del 2000-2001. Entrare in aula, ascoltare la musica durante i laboratori, avere dei professionisti giovani, simpatici e preparatissimi. Non c’era un solo minuto di lezione che non fosse appassionante. Per mia fortuna ho letteralmente divorato l’anno, nello stesso anno ho cominciato a lavorare come designer e attualmente molti dei docenti con cui ho fatto lezione sono diventati amici e in alcune occasioni anche colleghi di lavoro. Qualcosa di veramente intenso.

Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

La sensibilità verso le arti visive mi ha sempre avvicinato molto al mondo della comunicazione. Ricordo che nella televisione anni 80-90 la cosa che mi piaceva di più guardare erano le pubblicità, mi soffermavo a guardare i packaging, mi affascinavano le tipografie e le illustrazioni, MTV rappresentava l’innovazione in termini di ricerca di stile, di animazioni ed ero uno spettatore già all’epoca attento a tanti dettagli.
Non sapevo di poter fare proprio questo lavoro, ma ero certo che sarei entrato da una delle porte dell’arte per poterla far diventare parte della mia vita.



Nel 2012 hai fondato CROP Studio, come l’avevi pensata in quegli anni e come è diventata oggi?

Nel 2012 avevo gli occhi che brillavano di un’esperienza conclusa all’estero ed ero in pieno amore per il mio rientro in patria. Devo ammettere che il ritorno è stato stimolante anche grazie al gruppo di visionari professionisti che ho conosciuto. La voglia era tantissima di poter creare qualcosa di unico e di sfruttare il potenziale e le altissime qualità che ognuno di noi esprimeva in modo indipendente, ed è così che è nata CROP Studio.
L’intuizione è stata giusta perché mancava un’idea di appartenenza e un coordinamento strategico. La possibilità di “incrociare i flussi” e diventare più forti. CROP Studio voleva essere esattamente quello che sta diventando oggi, una realtà che guarda al futuro della comunicazione digitale con interesse e con cura, ma soprattutto proponendosi come alternativa davvero valida nel mercato. Siamo consapevoli che troppe agenzie professano il “nuovo" e l'innovazione come unica soluzione, ma a lungo termine è l’esperienza e la strategia che determinano - con risultati misurabili e tangibili - il successo. Nel nome stesso dell’agenzia c’è il concetto chiave di tutto il nostro metodo: tagliamo l’eccesso e semplifichiamo, consapevoli che, come diceva Bruno Munari “Complicare è facile, semplificare è difficile” e che “Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità”.

Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?

In ogni lavoro cerco di sentirmi appagato e rappresentato, perché cerco di non pubblicare mai nulla che non sia davvero riconoscibile e pulito. I lavori più stimolanti e che ricordo con più affetto sono stati il progetto per il Pastificio Lucio Garofalo nel 2011, dove sono stati raccontati i formati di pasta in modo innovativo e diverso, valorizzando la pasta come opera d’arte; le fotografie di scena per il docu-film sulla vita di Enzo Avitabile con la regia di Jonathan Demme che mi hanno regalato l’emozione di poter conoscere artisti e musicisti di tutto il mondo, di poter condividere 20 giorni di produzione con un regista premio Oscar ed esporre una mostra personale al Castel Sant’Elmo. Negli ultimi mesi sono davvero soddisfatto e felice di aver concluso e pubblicato un progetto per un’azienda produttrice di e-bike che mi ha coinvolto in ogni piccolo processo di produzione.




Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?

Partiamo dal presupposto che ho la fortuna di fare un lavoro che si basa su emozioni, armonie, colori e arte.
Le sfide più grandi finora affrontate sono state quelle di divulgare e far comprendere ad aziende e clienti il vero valore del digitale, della comunicazione di qualità, e del giocare secondo le regole.
Molto spesso prima ancora di essere un consulente per le aziende mi ritrovo a dover psicanalizzare manager e imprenditori nel compiere il passo verso l’innovazione, nel credere di più nel proprio prodotto e affidarsi ad una nuova visione. 
Sono troppe le agenzie e i finti professionisti che speculano e dissanguano le aziende che ovviamente restano traumatizzate e scottate da approcci senza alcun senso, dove tutto diventa inutile e genera poca fiducia nel mondo del digital branding.


Sei stato a Barcellona nel 2008 come direttore creativo per un’agenzia internazionale di Web Marketing e Digital Design, che ricordi hai della tua esperienza e della città? Ci torneresti?

Barcellona era un sandalo infradito.
Una città comoda, versatile, senza troppi giri di parole. Ognuno poteva essere chi voleva e lo scambio culturale era immenso. Circolava tanta sperimentazione e tanta cultura, anche se a volte si rendevano artisti e artistiche cose che per la cultura Italiana e per il patrimonio artistico-culturale di Napoli non potevano reggere nemmeno lontanamente il confronto. Nel 2008 Barcellona era una perfetta macchina di marketing, le aziende investivano sui giovani, sui master, la città era piena di eventi, concerti, sole, mare, contaminazioni di ogni genere.
In ufficio eravamo più di 40, io ero l’unico italiano e si parlavano quattro lingue: lo spagnolo, l’inglese, il catalano e il napoletano. L’esperienza professionale è stata unica a livello tecnico, c’era una piena fiducia nel capitale umano, ognuno poteva gestire le ore di lavoro in modo agevole tenendo conto però degli obiettivi da raggiungere e le consegne da rispettare. Una metodologia nuova ed innovativa per quel tempo. Quest’esperienza oggi mi è utile per coordinare al meglio risorse e lavorazioni, rispettando la vita.





Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro? Consiglieresti un’esperienza all’estero come hai fatto tu?

Sembra banale ma in questo lavoro se non sei felice e non vai a lavoro contento di ciò che stai per fare allora vuol dire che stai sbagliando tutto. Se non c’è emozione nel pensare, ideare, progettare, coordinare è meglio dedicarsi ad altro.
Questo è un lavoro che premia lo studio, la ricerca della qualità, l’applicazione, la tenacia, la resistenza, il metodo.
Fare un’esperienza all’estero per me è stato edificante, decisivo, vorace. Non si può pensare in grande se non si va a vedere come si fanno le cose al di là dei nostri confini. Il ruolo che si ha nel mondo della comunicazione comincia anche dall’esplorazione e dalla ricerca di ciò che naturalmente ci stimola.


Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita e perché.

Grazie a mio fratello avevo accesso alla visione di film che erano forse un po’ precoci per la mia tenera età, ma gli anni 80 sfornavano pietre miliari che hanno composto meticolosamente l’universo di sogni, sensazioni e caratteristiche della mia attuale personalità. 
Back to the Future (Robert Zemeckis - 1985) era uno di quei film che mi hanno stravolto: la narrazione, la possibilità di pensare alle azioni che possono cambiare il futuro (e il passato). Una struttura geniale che mi ha fatto percepire la vita e le azioni da compiere in modo diverso, forse più riflessivo.
Frédéric Beigbeder - Lire 26.900 (99 Francs il titolo originale) Lo ricordo con estrema lucidità perché lo lessi nel 2001 quando ero immerso nel mondo del cambiamento e nell’esplorazione della vita da pubblicitario / art director. Questo libro è stato preparatorio, provocatorio, quasi come un’armatura. In una lettura scivolosa e diretta mi ha indicato cosa non volevo essere ma allo stesso tempo cosa la pubblicità a quel tempo era capace di creare nelle persone. Premonitore per tanti aspetti legati al mondo digitale di oggi.





Una parola che ti rappresenta.

Sicurezza. È quella che sento di avere quando accolgo un mandato, è quella che voglio avere ogni volta che devo compiere una scelta, è quella che scelgo per i miei figli e i miei affetti. La sicurezza non è mai qualcosa di oggettivo ma bisogna crederci per ottenerla. Ma soprattutto la sicurezza perché sono sicuro di aver scelto la mia strada e sono sicuro di poter fare un buon lavoro, perché quando ci guida la passione, la sicurezza ne è l’espressione.

Tre cose a cui non potresti mai rinunciare.

All’amore, alla passione, alla famiglia. Nulla esisterebbe senza.

Cosa ti guida?

Raggiungere il prossimo obiettivo, ma in realtà sono io che guido!

Progetti futuri?

Di progetti in cantiere ne ho tanti, interessanti e in via di sperimentazione e sviluppo.
Il futuro spero mi dia la conferma che ciò che sto costruendo oggi sia d’esempio, nel bene e nel male, per tutti quelli che vorranno intraprendere questa strada. 

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14.04.2020 # 5512
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista a Federica Mele

Tra fotografia e fotoritocco, non dimenticandosi mai della musica, Federica Mele si racconta a Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Federica Mele è nata a Napoli nel 1993.
Ama la musica, la sua macchina fotografica (Samantha), il suo Mac (Johnny Junior), e il suo cane (Argo). Prima di camminare aveva già le mani nell’argilla, grazie ai suoi genitori. Le è sempre stato abbastanza chiaro che avrebbe vissuto di e con l’arte. Non ha mai dovuto scegliere, ha avuto la fortuna di esserci nata dentro. Nonostante il suo amore indiscusso per il fotoritocco e per la post-produzione, che le ha permesso di dare sfogo alla creatività liberamente, quando ha incontrato la macchina fotografica è stato amore a prima vista. Nel 2015 ha frequentato la ILAS, dove ha capito che sarebbe stata felice nel mondo della fotografia e che non avrebbe mai sentito il “peso” del lavoro.
Subito dopo la ILAS ha partecipato a diversi workshop, con Alessia Cosio, Marianna Santoni e Martin Benes (per ben 3 volte) e ha superato una selezione per lo studio fotografico Rotili De Simone.



L´Intervista

Progetti attuali?

Oltre ai progetti lavorativi in corso, che continuano a procedere per il meglio, mi sto dedicando alla realizzazione di diversi obiettivi. Il primo è quello di farmi maggiore pubblicità con i social, che avevo un po´ perso di vista. Sto, inoltre, continuando il mio periodo di sperimentazione personale, credo infatti che per un fotografo sia davvero importante. 


Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?

Se Marilyn Monroe era celebre per le due gocce di Chanel, nel mio caso due cucchiai di nutella e si parte. No, scherzo! Credo che la mia fonte di ispirazione principale sia la musica. Mi dà, allo stesso tempo, la calma e la carica per affrontare un nuovo lavoro. Nel caso di lavori personali, quello che mi trasmette una canzone spesso mi ispira per un nuovo progetto. Quindi in realtà, no, non ho un vero e proprio rituale, ma la musica è una parte fondamentale della mia vita. 


Preferisci lavorare in team o da sola?

Ho lavorato prevalentemente in team, e da queste esperienze ho imparato molto. Ho acquisito maggiore calma e velocità. E il team mi ha spronato soprattutto a guardare le cose in maniera diversa, fuori dalle mie abitudini, uno sguardo nuovo. A mio parere, il team accresce il proprio potenziale.
Nei progetti che ho affrontato da sola, invece, ho avuto la possibilità di sfidare me stessa e vedere fin dove potevo arrivare. Stressante, ma soddisfacente.



Credits: Arkè per Miriade. A.D. Gianluca Tramontano - ph. RotiliDeSimone - P.P. Federica Mele


Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

In realtà sì, credo di averlo sempre saputo. Ho iniziato a usare photoshop 5.5 quando avevo 12 anni. La fotografia è arrivata subito dopo grazie alla mia migliore amica, se adesso so cosa mi rende felice lo devo a lei. Quando ero al liceo volevo fare l’architetto, all’università mi sono iscritta all’Orientale, ma ad un certo punto ho capito che trovavo ogni scusa per fotografare o per stare al computer. In quel periodo mio cugino frequentava la Ilas, e non smetterò mai di ringraziarlo per avermi portato lì. Mi ha cambiato veramente la vita.



Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?

Alla Ilas ho iniziato a comprendere l’importanza di lavorare e di confrontarsi con altre persone. Ma il ricordo principale riguarda i miei insegnati, Pierluigi De Simone e Fabio Chiaese, per tutto ciò che mi hanno insegnato trasmettendomi il loro amore e la loro passione, cosa che non è da tutti secondo me.
Prima di iniziare le lezioni cercai informazioni su Pierluigi e scoprii che il suo colore preferito è il blu. Non so perché, ma è stato una sorta di segnale (visto che è anche il mio colore preferito) e infatti avevo ragione. 
Come si dice “sei il risultato di tutte le persone che incontri e delle esperienze che fai”. Beh, loro sono una parte importante di me e della mia crescita, e non smetterò mai di ringraziarli. 


Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiera?

Forse sembrerò un po’ presuntuosa dicendo questo, ma quando vedo un lavoro finito sono sempre abbastanza fiera del gradino che ho superato. E questo mi dà lo slancio per quello successivo. Se proprio devo scegliere un lavoro che più mi rappresenta, è un ritratto che ho fatto al mio cane.


©Federica Mele

Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare nel tuo lavoro?

Sicuramente il mio primo vero lavoro: era la prima volta che lavoravo per un importante marchio di borse, avevo una marea di scontorni da fare e delle consegne che per me, all’epoca, erano assurde. Non dormii alcuni giorni per consegnare le foto in tempo. Anche adesso, ogni volta che chiedo la data della consegna, la risposta è sempre “ieri”. 



C’è qualcosa che non ti piace o che cambieresti nel mondo della fotografia e della post produzione? 

Della fotografia, probabilmente cambierei il modo in cui la si vede oggi. Ogni giorno, attraverso i social, ci troviamo davanti migliaia di fotografie ma quasi nessuno si ferma veramente a guardarla una fotografia.
Per quanto riguarda la post produzione, c’è un dibattito sui pro e i contro da sempre, con l’arrivo del digitale ancora di più, e mi piacerebbe che le persone si aprissero un po’ di più a questa professione (che non è ancora nota a tutti). Viene spesso vista in modo negativo e secondo me è tanto bella quanto la fotografia. Con la la post produzione si apre un altro mondo e non capisco perché molte persone ne siano così intimorite. 



Credits: Arkè per Carpisa. A.D. Gianluca Tramontano - ph. RotiliDeSimone - P.P. Federica Mele


Cosa ti appaga di più del tuo lavoro?

Il risultato. Quando dedico ore e ore a un lavoro, poi vederne il risultato è la cosa che mi fa capire che in realtà non sto lavorando. 


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?

Non ho un’esperienza decennale, ma se c’è qualcosa che ho imparato nel tempo, e che avrei voluto realizzare prima, è che bisogna sempre buttarsi, creare, sperimentare. So che può sembrare banale, anche a me è stato ripetuto molte volte, ma non è così scontato. Ancora oggi è la cosa che dico a me stessa tutti i giorni.


©Federica Mele

Se la fotografia fosse un cibo, quale sarebbe?

Cioccolato. Non potrei vivere senza.


Tre fotografi che ammiri di più?

Francesco Cito, per il suo coraggio e per il modo in cui ha raccontato la sua verità. Il fotogiornalismo non è stato il mio percorso, ma lo ammiro come persona, oltre che come fotografo. Pensare a quello che ha fatto, da dove è partito e dove è arrivato, mi da sempre motivazione.
Richard Avedon, per i suoi ritratti. I suoi soggetti non danno mai l’idea di essere buttati li, a caso, hanno sempre un motivo per essere li, in quel modo. 
Shoji Ueda, per il modo in cui è riuscito a portare il surrealismo nella realtà e per l’essenza dei suoi scatti. 


Per 24 ore hai la possibilità di cambiare tutti i colori della terra in un solo colore, quale scegli?

Sembrerà strano, ma scelgo il blu! Questo colore mi ipnotizza, ha un ascendente su di me. 


Cosa ti aspetta per il futuro?

Non ne ho idea! E forse è proprio questo il bello. Tanti progetti, tante idee per la testa. Sicuramente continuerò con i miei cyborg, ma poi chissà. Una cosa è sicura però, avrò “i piedi ben piantati a terra e gli occhi fissi sulle stelle”, come dice una canzone dei Goo Goo Dolls.



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14.04.2020 # 5511
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista ad Andrea Tascino

Da piccolo preferiva alcuni cartoni animati ad altri solo per lo stile grafico. Andrea Tascino, direttore artistico di un´agenzia con sede anche in Spagna, si racconta a Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Andrea Tascino è direttore creativo e titolare dell’agenzia di comunicazione Nunau.

La sua passione per il design pubblicitario è nata sin da bambino, appassionato di spot alla tv e di tutto ciò che aveva una bella grafica. Verso i 10 anni inizia a collezionare lattine di bibite da tutto il mondo, circa 700 sulle mensole della stanza, al posto dei pupazzi. A 19 anni decide di iscriversi a Scienze della Comunicazione e contestualmente inizia il corso di Grafica Pubblicitaria alla Ilas.A 21 anni la svolta, il suo primo impiego in agenzia, la Soluzioni S.r.l. di Massimo Maria Lucidi dove ha imparato cosa significa lavorare nel mondo della comunicazione a 360°. Entrato come grafico si ritrova ad organizzare eventi, consegnare la posta, fare campagne pubblicitarie, portare il caffè, ma anche partecipare a business meeting con Santo Versace, il candidato a Sindaco del periodo, o il direttore Marketing Mondo di Costa Crociere. Un’immersione totale nel mondo del lavoro entrando dalla porta principale. Post-laurea passa un anno a Londra per imparare la lingua e proseguire gli studi universitari, ma al momento di decidere se intraprendere il percorso di studi, passando varie selezioni, inizia un lavoro come account manager per una software house. Arriva la mancanza di Napoli e del mare così inizia il nuovo capitolo lavorativo con una casa-studio a Mergellina. Dopo 7 anni di professione – e una bimba in arrivo – nasce l’idea, con l’ausilio di 2 clienti imprenditori, di creare la NUNAU, neologismo che sta a significare NEW-NOW il nuovo adesso.

L´Intervista


(Urania Casciello) Cosa significa essere direttore creativo oggi?

(Andrea Tascino) Svolgere la mansione di direzione creativa non è tanto difficile se hai dei collaboratori bravi ogni tanto metto la mia ma lascio molto lavorare perché ho piena fiducia in loro, la parte più difficile è quella di amministrare la società, gestire i clienti, cercare di rispettare tutte le consegne e sopratutto quello di vendere un prodotto che non esiste. Eh già perché “vendere”, nel nostro settore, significa vendere un prodotto che non esiste, convincere il cliente che verrà un lavoro perfetto per lui, realizzarlo e poi infine, la parte forse più difficile, farsi pagare (ahinoi).

 
A cosa stai lavorando attualmente?

In questo periodo, al tempo del corona virus per i posteri, stiamo lavorando su più progetti di cui 3 molto importanti. Tutto lo staff è in smartworking e nello specifico stiamo lavorando alla realizzazione della Brand Identity, del Portale web e della Strategia Digitale di una scuola di formazione per Avvocati Tributaristi che risulterà la prima in Italia, in quanto unici ad avere la certificazione, stiamo lavorando a Bioambassador un portale interamente dedicato al bio e alla sostenibilità ed ad un progetto molto carino di Experience in Costiera Amalfitana.


© Andrea Tascino - Nunau


Quali sono le prime cose che fai quando ti approcci ad un progetto?

In agenzia, con l’esperienza pregressa, abbiamo sviluppato un metodo per aiutare il cliente su cosa vuole veramente, il metodo Nunau. Questa scelta è dovuta dal fatto che nella maggior parte dei casi il cliente ti fa una richiesta di servizi, ma non sa bene a cosa servono come utilizzarli e se gli servono davvero. Noi in trenta giorni, con interviste al cliente o ai vari membri del suo staff, one-to-one o in gruppo, con le nostre professionalità in organico, tiriamo fuori un documento strategico, le istruzioni sul da farsi, poi il cliente è libero di scegliere noi per realizzare il lavoro  o portare questo documento in un’altra agenzia. 

 
Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?

Davvero molto bello, è stato come rifare il liceo ma con tutte materia che mi piacevano, i professori erano tutti ragazzi simpatici ed ogni giorno si imparava con il sorriso sulle labbra.

 
Hai qualche aneddoto su qualche difficoltà lavorativa che poi sei riuscito a risolvere?

Di aneddoti ce ne sono tanti ma per mia indole le cose risolte difficilmente le ricordo, solo quelle non risolte restano nella memoria, come qualche cliente che ha deciso di non pagarmi una grossa somma di denaro, o qualche collaboratore che si è comportato in maniera sleale. Quelle le ricordo ma me le tengo per me.


© Andrea Tascino - Nunau


Qual è il lavoro di cui vai più fiero?

Senza fare marchette, o preferenze, come per i figli, il lavoro di cui vado più fiero è quello che faccio tutti i giorni. Essere presente in ufficio, cercare di essere un esempio umano e professionale per il team, cercare di migliorarmi e migliorare ogni giorno… di questo si, vado fiero.


Napoli, Milano e Barcellona, pregi e difetti delle città che hai scelto per la tua agenzia di comunicazione.

– Napoli perché è la mia città e tutto nel mondo, per non essere esagerato è nato qui.

– Barcellona per necessità lavorative, abbiamo gestito e organizzato l’apertura di tre nuovi punti vendita di Mondo Convenienza in Spagna, due a Barcellona e uno a Madrid.

– Milano sempre per una opportunità di lavoro, NAF-NAF Italia è un nostro cliente che gestisce un nostro collaboratore a Milano ma anche con lo scopo di creare una rete commerciale alternativa puntando al settore del Fashion.


© Andrea Tascino - Nunau


Come vedi il futuro lavorativo dei direttori creativi?

Più che il futuro dei direttori creativi cerco di guardare al futuro della nostra professione e del nostro settore, cercando di anticiparlo. Sicuramente la pubblicità sarà sempre più invasiva e più presente nelle nostre vita, cambiano e cambieranno i supporti e le tipologie, l’importante è restare sempre aggiornati ed essere ottimisti.

 
Che consiglio daresti alle persone che si avvicinano adesso al tuo settore?

Di credere in se stessi e portare avanti le proprie idee. Per quanto difficile, il nostro è un lavoro magico, assistere alla nascita di un nuovo Logo che prima era solo nelle nostre meningi è una cosa meravigliosa è questo è “priceless”.

 
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

Sin da piccolo ero attratto dalla pubblicità e dal design, crescendo, ho dovuto mettere insieme solo i pezzi.


© Andrea Tascino - Nunau


Quali sono i tre film che ti hanno cambiato la vita?

Arancia Meccanica, forse mi ha insegnato la geometria visiva e la ricercatezza nei particolari, Voglia di Vincere (teenwolf) forse mi ha insegnato a credere in me stesso, Il Padrino la saga forse l’onore ed il rispetto, ovviamente guardandolo dal punto di vista romantico.

 
Hai la macchina del tempo a disposizione, dove e in che epoca decidi di viaggiare?

Non tanto lontano, nel passato negli anni 80’ ma da adulto (io sono dell’84) per la musica i vestiti, la genuità delle persone, nel futuro invece mi circa 500 anni per vedere l’evoluzione, se ci sarà, se ci saremo.


© Andrea Tascino - Nunau


Devi spiegare il tuo lavoro a una persona del 1800, cosa gli dici?

Dilettissimo Marchesino di Villalta, lo sa che lo calzolaio sta attaccando un’etichetta rossa alle sue scarpe in modo che elle siano uniche ed indistinguibili alle genti. Va bene così?

 
Cosa dobbiamo aspettarci da te? Progetti futuri?

Finche avrò passione per questo lavoro continueremo a cercare di portare il futuro nel nostro presente, da poco ci stiamo affacciando al mondo software e delle app per lanciare qualche progetto nostro, speriamo, vincente.

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04.04.2020 # 5500
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista a Francesco D'Amico

Francesco D´Amico, classe 1998, ha seguito i suoi sogni ed è diventato fotografo

di Urania Casciello

Generazione Ilas: Intervista a Francesco D’Amico

Francesco D´Amico, classe 1998, ha seguito i suoi sogni ed è diventato fotografo. Ecco la sua intervista per Generazione Ilas.

Francesco D’Amico è nato nel 1998 a Cava de’Tirreni, dove attualmente vive. Intraprendente e creativo fin da bambino, inizia ad avvicinarsi alla fotografia in pellicola – e poi successivamente alla fotografia digitale – grazie al suo insegnante del liceo, che gli ha trasmesso la passione per la fotografia. Si iscrive poi alla ILAS – Accademia Italiana di Comunicazione Visiva – di Napoli e grazie agli insegnamenti dei docenti Pierluigi de Simone, Fabio Gordo ed Elisabetta Buonanno, decide che la fotografia sarà il suo mondo. 

L´Intervista

(Urania Casciello) Come ti descriveresti? 


(Francesco D’Amico) Di certo posso dire che sono un ragazzo pessimista, polemico e molto autocritico. Senza queste due caratteristiche però sicuramente non sarei la persona determinata che sono, che divora la vita a morsi giorno dopo giorno. Non credo siano sempre delle caratteristiche negative. Questa determinazione mi porta ad essere un grande sognatore con idee ben chiare sul mio futuro. Questo credo sia il mio punto forte.

 

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?


Da come dicono i miei e da che mi ricordo ho sempre avuto questa vena creativa, che spaziava dalla musica al disegno a tutto ciò che si avvicinava all’arte. Pensavo di poter diventare un cantante famosissimo che saliva sul palco da solista in compagnia della sua chitarra (forse a questo credo ancora, quando la impugno in cameretta azzardando due accordi) o addirittura uno stilista di grande fama, ho ancora qualcosa conservato nel mio cassetto ma meglio lasciare tutto come sta (ride). La fotografia è entrata nella mia vita al liceo, ma ho sempre evitato l’idea che potesse diventare il mio lavoro per ignoranza più che altro. Sia il mio paese che la mia famiglia, me compreso, era abituata ad una fotografia di cerimonia. Inoltre era un ambito molto chiuso perché ci sono “pochi eletti” fidati che possono scattare questo tipo di eventi nella mia città. Neanche mi piaceva quel settore e per questo ho iniziato a frequentare l’università: informatica. Seguivo le lezioni ma nel mentre ero lì a post produrre le fotografie scattate il giorno prima. Studiavo per gli esami ma la mia testa era da un’altra parte (gli li superavo anche, non so spiegarti come). Un giorno mi sveglio da questo lungo sonno e decido di lasciare tutto per dedicarmi a ciò che più mi interessava di più, contro tutti all’inizio, ma per davvero.

 

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?


La ilas è stata davvero la cosa giusta al momento giusto. Mi ha cambiato la vita radicalmente e non lo dico superficialmente. È stato un percorso che mi ha sicuramente aiutato a conoscere la professione della fotografia e tutto ciò che ne deriva, ma principalmente mi ha aiutato come persona. Ora so chi sono e cosa voglio dalla mia vita, so dove voglio essere e chi voglio essere fra 10 anni. E questa non è una cosa da prendere sottogamba. L’ambiente alla ilas è qualcosa di bellissimo, infatti ogni tanto ritorno per dei saluti generali ma anche per respirare quell’aria che mi manca tanto. I professori Pierluigi de Simone, Fabio Gordo ed Elisabetta Buonanno che tengo a citare sempre e ovunque sono i primi ad aver creduto in me, da prima che iniziassi a farlo io. E al di là del rapporto professore/alunno si è instaurato un rapporto d’amicizia, tant’è che alcune volte Fabio ancora deve stare lì a subire le mie polemiche e il pessimismo cronico che è parte di me ! Per non parlare del fatto che condivido ancora le mie foto su Facebook solo per avere un feedback da Pierluigi ed Elisabetta. Quando arriva la notifica, esulto un po’ e penso che il lavoro è ok!



Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fini ad oggi? C’è qualche aneddoto?



Credo che in generale la sfida più grande in ambito lavorativo sia comunicare ed entrare in empatia con modelli che ovviamente non conosci caratterialmente prima di quel giorno. Il carattere, l’espressività, la “teatralità” sono elementi fondamentali nella mia fotografia, senza di quelli non si scatta. E mi è capitato una volta di lavorare con un modello un po’ montato, il ragazzetto bello che sfila per Dolce&Gabbana, molto all’italiana, che abbiamo vestito con degli abiti che richiamavano al classicismo, con balze, merletti, cose molto pompose, di una designer pazzesca. Eravamo in esterna e dei ragazzini buttavano l’occhio e non capendo il mood dell’editoriale, urlando prendevano in giro il modello per come era vestito. Si è innervosito a tal punto da lasciare il set per chiamare il suo agente chiedendo di andar via perché secondo lui questi vestiti non esaltavano la sua figura, la sua immagine, abituato a vedersi con abiti di marchi di lusso. Da qui è partita un’opera di convincimento, di trattative e chi più ne ha più ne metta. Fortunatamente si è risolto tutto per il meglio.

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?


Della fotografia amo il fatto che sia un mezzo veloce per comunicare la propria estetica, il proprio senso di bellezza, la propria sensibilità riguardo a tematiche sociali e non. Ultimamente sto anche prendendo in considerazione l’idea che la fotografia sia un ottimo modo per valorizzare, portare alla luce, elogiare. Ho in mente un super editoriale su un’icona della musica italiana (per me) che non ha passato sempre dei bei momenti, per elogiare il suo personaggio molto controverso e controcorrente. Spero di realizzarlo presto.


C’è un fotografo a cui ti ispiri?


Sono stato influenzato per molto tempo da Avedon, solo che ora il discorso è un po’ diverso. In questo periodo sono molto a contatto con magazine, mi passano centinaia di foto sotto gli occhi e in ognuno trovo qualcosa che può arricchirmi, qualche dettaglio, qualche inquadratura, qualche nuova idea che può combaciare col mio gusto. Quindi non mi sto fermando tanto sui fotografi ma su ciò che mi sta bene addosso dell’estetica che ora va di moda. Ho comunque dei nomi che in un modo o nell’altro mi sono rimasti impressi: tra i giovani italiani che influenzano maggiormente la mia visione ci sono Marco Imperatore, Vito Fernicola, Marcello Arena poi Giampaolo Sgura, Morelli brothers, Peter Lindbergh, Inez and Vinoodh, Luigi and Iango, Giovanni Gastel.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?



Il consiglio che posso dare è quello di bombardarsi di immagini di qualità e di osare. La cosa che mi porterò dentro dell’incontro con Oliviero Toscani organizzato dalla ilas è questa parola: sovvertire. È quello che mi sento di consigliare e che consiglio anche a me stesso! Inoltre fissarsi sempre obiettivi e non accontentarsi mai dei piccoli risultati. Può sembrare qualcosa di banale, ma io credo che alla mia generazione – o almeno alcune persone della mia generazione – manchino sogni e ambizioni. Alla domanda “come ti immagini un futuro?” mi ritrovo risposte del tipo “non so cosa mangerò domani, pensare come mi immagino in un futuro mi risulta difficile” oppure risposte tipo “ora sto frequentando questa facoltà, appena finisco vedo che fare” risposte che mi fanno cadere le braccia.



Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Forza! Se solo penso cosa la mia pagina Instagram mi permette di fare! Una vetrina che mi ha messo in contatto diretto con fotografi e designer importanti di tutta Italia e non solo. Proprio da poco ho avuto un contatto con un designer emergente che ha realizzato abiti per la Mostra del Film di Venezia che mi invierà dei capi per farmeli scattare per un editoriale!


Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?


Ti direi la pizza, solo perché di pizza non si è mai sazi ed è troppo buona!


Qual è la fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?


È un po’ difficile dire quale fotografia mi rappresenta meglio per due motivi: il primo è che non posso scegliere un figlio al posto di un altro mentre il secondo è che la fotografia migliore la farò domani.

Vi mostrerò comunque qualcosa che fa parte di me!



Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno, scegli bianco e nero o colori?

Scelgo bianco e nero, anche se nelle foto amo usare i colori. Attraverso il b&w è possibile leggere più facilmente le emozioni.

 

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra?

Non inserirò la fotografia perché è troppo scontato, quindi: Loredana Bertè, il sesso e la diversità.

 

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?

I miei obiettivi.

 

Cosa dobbiamo aspettarci da te?

Cose in grande (leggi: che scasso tutto)! Sto dando la vita per la fotografia!


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02.04.2020 # 5503
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista a Ilaria Tortoriello

Del mondo della fotografia ama l´imprevedibilità e il contatto umano. La fotografa Ilaria Tortoriello si racconta a Generazione Ilas

di Urania Casciello


Ilaria Tortoriello nasce a Napoli nel 1986.

Nel 2010 si laurea in arti visive e discipline dello spettacolo all’Accademia Delle Belle Arti di Napoli.

Dal 2012 fino ad oggi lavora come fotografa di cerimonie.

Nel 2013 consegue la specialistica in fotografia all’Accademia delle belle arti di Napoli.

Nel 2014 vince una borsa di studio alla Scuola Romana di Fotografia.

Dal 2015 docente di fotografia presso il Liceo Classico di Formia.

Nel 2017 frequenta il corso di fotografia pubblicitaria presso la ILAS di Napoli.





L´intervista


(Urania Casciello) Come ti descriveresti?


(Ilaria Tortoriello) Sono una fotografa, che vive la fotografia come esigenza, ci sono persone che scrivono libri e stanno bene nel farlo, io sto bene nel fare fotografia.


Hai sempre saputo di voler fare la fotografa?


No, ho cominciato perché al secondo anno di università, all’Accademia delle belle arti di Napoli era obbligatorio un esame di fotografia, mi sentivo molto lontana da questa disciplina, ma da quel momento non ho più smesso.


Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?


Il ricordo più bello del percorso ILAS è Pierluigi De Simone, maestro e spalla su cui disperare quando non sai come affrontare il tuo lavoro, figura fondamentale e preziosa. Sento molta gratitudine verso di lui e verso questa scuola, un percorso che consiglierei a chiunque abbia voglia di imparare.


Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare?


Sono una persona ansiosa, quindi è sempre una sfida grande per me, qualsiasi tipo di lavoro e di qualsiasi portata, attualmente ho capito che una delle sfide più difficili è aspettare, coltivare un progetto con calma e non farsi fermare dal NO.


Cosa ti affascina del mondo della fotografia?


L’imprevedibilità e il contatto umano.


C’è un fotografo a cui ti ispiri?


Luigi Ghirri, Giovanni Chiaramonte, Alessandra Sanguinetti, Lisetta Carmi, Josef Koudelka e tanti altri. Non ho mai amato un solo fotografo, ho sempre pensato che ogni artista comunichi con una propria lingua personale, unica nel suo genere, quindi se ti svegli un giorno e sai parlare quella lingua vuol dire che fai parte di quella comunicazione, che comprendi quella lingua emozionandoti, anche se fino a quel momento non eri consapevole. Questa è la formula per l’innamoramento.


C’è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?


Non credo di avere una fotografia che mi  possa rappresentare, in questo momento della mia vita sento che il mio punto di vista vuole andare in un’altra direzione, ci sto lavorando molto ed è una condizione difficile e faticosa, due immagini possono essere un po’ figlie di questo caos comunicativo, mi trovo in una fase dove togliere tutto quello che è didascalico e ovvio è la mia regola numero uno.




Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Non avere fretta, ascoltare e non sentirsi subito Avedon perché la delusione potrebbe essere grande.


Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Sicuramente forza, siamo in un epoca dove gestire bene il proprio lavoro sul web vuol dire esserci professionalmente, ovviamente poi sono i fatti che contano.


Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?


Spaghetti aglio olio e peperoncino. Un piatto semplice ma non facile.


Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno, scegli Bianco e nero o colori?


Se il mondo per un giorno avesse il viso di mio padre allora sceglierei il bianco e nero, se invece il mondo fosse un posto vuoto e meravigliosamente desolato allora sceglierei il colore.


Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.


Onestà, gentilezza e umanità.


Cosa ti tira giù dal letto la mattina?


Pensare di poter essere una mamma che lavora e che può insegnare a sua figlia come poter guardare la vita con occhi curiosi e mai stanchi.


Cosa dobbiamo aspettarci da te?


Una vita tranquilla e una fotografia mai inutile.

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27.02.2020 # 5454
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas: Intervista a Francesco Leonardo

Ci sono molti modi di risolvere un problema, ma uno solo è quello giusto. Francesco Leonardo vive la sua professione secondo questo dettame, scopriamo insieme il perché.

di Urania Casciello

Jack-of-all-trades napoletano, classe 1989.

Dopo essersi diplomato in Web Design, Graphic Design e Pubblicità alla ILAS, ha avviato collaborazioni con agenzie di comunicazione di rilievo nazionale, curando numerosi progetti di Brand Identity, Web, Software, Grafica Editoriale e Advertising. 

Nel 2015 torna alla Ilas in qualità di docente nel Corso di Web Design Pro Responsive.

Dal 2016 è in Magma, importante realtà ICT, dove cura la direzione creativa e UX per progetti di medie e grandi dimensioni, offrendo consulenza tecnica e metodologica a clienti internazionali tra cui aziende Fortune 20.

"Ci sono molti modi di risolvere un problema, ma uno solo è quello giusto". 

Vive la sua professione secondo questo dettame, che si riflette anche sull´approccio che ha alla sua altra grande passione: la cucina.



L’Intervista


(Urania Casciello) Sul tuo sito ti descrivi così: Strategist / Designer / Developer, dicci qualcosa in più di questi tuoi tre ruoli.


(Francesco Leonardo) I cappelli e le maschere sarebbero anche molti di più; in dipendenza dalle dimensioni e peculiarità delle realtà organizzative con cui ho collaborato, nella mia storia professionale mi sono occupato di molte cose diverse nell´ambito della comunicazione e della tecnologia. Strategia di comunicazione e Strategia d´identità; progettazione grafica, editoriale, web e di prodotto UX/UI; architettura e produzione software; formazione; direzione creativa, advertising e marketing.

Si è capito che non so ancora cosa voglio fare da grande?


A cosa stai lavorando attualmente?


In questo periodo il mio impegno principale è una consulenza di technical architecture per un´azienda multinazionale leader del settore retail e wholesale farmaceutico; in particolare negli ultimi mesi mi sto occupando di abilitare e facilitare il cambio di paradigma, da sviluppo tradizionale a Development-as-a-Service, che nasce da una strategica partnership tecnologica con Microsoft, su un progetto distributed large-scale enterprise software per il dominio B2E Pharmacy.


Da dove viene la tua ispirazione? 


Nel lavoro cerco di farmi guidare esclusivamente dalla ricerca: molto spesso le idee vincenti che mi guidano per un progetto vengono da vittorie, mie o altrui, in settori diversi; per questo motivo mi piace moltissimo informarmi sugli argomenti più disparati, perché credo ci sia sempre valore nascosto in ogni ambito e linguaggio. C´è però sempre una componente di intuito, a cui lascio fare la sua parte, collegando in modo inconscio e inaspettato tutti gli stimoli ricevuti.



Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?


Ricordi preziosi principalmente legati alle persone che ho incontrato, altri studenti e docenti; nel periodo di studi ho stretto amicizie che resistono ancora oggi e collaborazioni che mi hanno lanciato nel mondo del lavoro.
Ritornare da docente è stato bello anche perché ho potuto vedere lo stesso tipo di fermento nel fare network in molti studenti della "nuova generazione ILAS".


Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?


Assolutamente no. Da bambino ero certo che sarei diventato un paleontologo; da adolescente, un medico; da quando ho frequentato ILAS, ed ho iniziato a lavorare in questo campo, ho esplorato e cambiato molti ruoli, e ad oggi ancora non ho ben capito cosa faccio di mestiere.


Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?


Qualche anno fa mi sono trovato a combattere per promuovere un cambiamento in un processo metodologico di sviluppo software; ero convinto del valore benefico per tutti della mia idea, ma mi sono trovato a scontrarmi con l´agenda personale di diversi gruppi in questa orgnaizzazione, interessati a mantenere lo status quo a discapito del benessere del progetto.

Spoiler alert: in quella occasione ho fallito.

Sequel: ho cambiato titolo alla proposta, ci ho riprovato qualche mese dopo, e ci sono riuscito.


C´è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?


Credo che il mio ambito di competenze soffra di un disequilibrio comune al terziario avanzato in genere: dove ci sono le competenze talvolta non c´è budget; dove c´è molto budget talvolta le competenze non contano; dove c´è molta dedizione al lavoro spesso si trascura l´aspetto umano. E combinazioni letali delle precedenti.



Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro? 


Ogni fenomeno culturale è specchio del suo tempo e contesto, ed oggi la comunicazione che davvero funziona è quella che vede il consumatore come primo content creator. In questa evoluzione, e in tutto ciò che verrà, vedo solo opportunità positive per il mio lavoro, perché comunicazione e tecnologia dovranno sempre essere al passo per supportare ed abilitare questi fenomeni.


Cosa ti tira giù dal letto la mattina?


Ogni giorno ho la possibilità di imparare qualcosa di nuovo: tecnologie, linguaggi, approcci. Viviamo in un tempo di informazione accessibile e voglio godermela appieno. Il mio lavoro poi mi offre la grande opportunità di imparare e di essere pagato per farlo.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Concentrarsi sull´acquisire competenze, ma comprendere bene che in comunicazione e in tecnologia, dove tutto diventa obsoleto nel giro di un istante, quello che davvero ci da valore come professionisti è la forma mentis che un´esperienza lavorativa, un mentore, o un percorso di studi può dare.


So che hai viaggiato/viaggi molto per lavoro. C´è una città dove ti sposteresti subito?


Chicago è già come una seconda casa per me, dato che ci passo una parte considerevole del mio tempo; oltre alla bellezza architettonica, la cultura gastronomica e brassicola, e l´anima blues della città, quello che apprezzo particolarmente è l´alto valore che le persone danno al lavoro di tipo intellettuale, e non avrei problemi a spostarmi lì. La verità è che oggi è così facile viaggiare che non avrei difficoltà a trasferirmi in qualsiasi (grande) città del mondo, con il giusto incentivo.


Una parola che ti rappresenta?


Fluido. 



Una parola che vorresti eliminare dalla terra?


Inerzia. Non la proprietà fisica ovviamente, mi riferisco all´immobilità e alla riluttanza che spesso attanaglia le persone e le organizzazioni nel promuovere il pieno potenziale di un´idea o di un progetto.


Se tu fossi una canzone?


Penso ce ne sia una diversa per ogni stato d´animo, ma non posso che dirti "Don´t Stop Me Now", perché sono alla 6ª tazza di caffè della giornata.


Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?


Non dovrebbe essere troppo difficile considerando le rivoluzioni industriali che hanno già caratterizzato il suo tempo; proverei a spiegargli che una rivoluzione tecnica e sociale non ha mai smesso di avvenire, e che anzi oggi i cambiamenti sono esponenzialmente più frequenti; e che quindi fondamentalmente il mio lavoro oggi prova a mettere insieme l´ergonomia umana e le soluzioni tecniche contemporanee per efficientare i processi produttivi.

Ascoltando la risposta che ti ho appena dato mi sto rendendo conto che sono partito dal presupposto che il mio interlocutore ottocentesco appartenesse all´upper class londinese.

Riformulo per un campione più rappresentativo: capocantiere.


Cosa ti aspetta per il futuro?


In maniera sempre più concreta, intelligenza artificiale e machine learning si stanno facendo strada nel mio quotidiano; vedo questo consolidarsi nel breve termine. 

Del lungo termine non ho la più pallida idea, e la cosa mi affascina molto.


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27.02.2020 # 5453
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista a Cristiano Vicedomini

Tra digital e musica, scopriamo insieme a Generazione Ilas il punto di vista di Cristiano Vicedomini sul mondo della comunicazione.

di Urania Casciello

Cristiano Vicedomini, ha 31 anni e lavora a Napoli come UI/UX designer. Dopo la laurea in filosofia, ha seguito un corso coordinato alla Ilas in Graphic Design, Pubblicità e Web design, diplomandosi nel 2013 con il massimo dei voti. Ha lavorato in seguito come grafico e web designer nella web agency Allaterza e per un portale online nel settore del betting Betadvisor. Attualmente lavora da Buzzoole nell´area prodotto da 3 anni, dove si occupa di user interface e user experience. 

Ha conseguito due master in UX/UI Design a Milano, uno al Politecnico e uno alla Fastweb Digital Academy. 

Oltre al digital, ha un´altra passione: la musica. Dopo aver suonato per molti anni in un gruppo ora è concentrato su progetto solista di musica elettronica.


L´Intervista




(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?


(Cristiano Vicedomini) Attualmente sto lavorando ad progetto di UX/UI per la startup dove lavoro, un tool molto articolato nell’ambito dell’influencer marketing.


Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?


Di solito guardo molto in giro, cerco di mettere bene a fuoco l’obiettivo finale. 

Di base prima di iniziare qualsiasi progetto cerco di ordinare le idee prima su carta, nell’ambito della UX molti nodi vengono al pettine proprio nella prima fase del ragionamento. 


Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?


É stato un periodo molto positivo, ho imparato molto e avevo molta stima degli insegnanti. Tutto ha avuto inizio lì anche perché venivo da un percorso di studi completamente diverso. Ricordo con piacere tutti i compagni di corso, con alcuni dei quali sono ancora in contatto.


Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?


Assolutamente no. Ho studiato filosofia ed ero convinto di seguire altre strade. Anche dopo il corso prima di specializzarmi nell’ambito dell’UXUI ho lavorato in agenzia occupandomi di grafica, stampa e comunicazione. Adesso dopo un po’ di anni ho trovato la mia dimensione.


Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare?


Quando anni fa in agenzia abbiamo dovuto chiudere una campagna multi-soggetto in pochi giorni per un brand abbastanza conosciuto. Sono stati giorni molto intensi, con imprevisti fino all’ultimo minuto. Abbiamo lavorato fino a tardi, ma col senno di poi è stata un’esperienza che mi ha indubbiamente formato anche perché si era formato un bel gruppo di lavoro ed è stato anche divertente. 



C´è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?


C’è molta ignoranza nel settore. Mi piacerebbe che ci fossero più opportunità qui a Napoli, che si rispettassero le giuste procedure e i tempi dovuti per consegnare un buon lavoro. La fretta è sempre cattiva consigliera.


Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Direi proprio forza, è anche grazie ai social che faccio il mio lavoro.  Essendo in prima linea nell’area prodotto, in una società di influencer marketing, non potrei dire altrimenti.



Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?


A parte la sveglia, la voglia di fare qualcosa che sia creativo, interessante.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Consiglierei di essere pazienti e soprattutto curiosi: aprirsi agli altri e alle loro idee è sempre una ricchezza. Mai fermarsi alla prima impressione.



Una parola che ti rappresenta?


Resistenza, in tutti i sensi. 


Una parola che vorresti eliminare dalla terra?


Il tempo.


Se tu fossi una canzone, quale saresti?


Svegliami dei CCCP.


Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?


Cerco il modo di rendere più facile e accessibile le cose alle persone. Sono un democratico.


Progetti futuri?


Voglio continuare a studiare e ad approfondire il mio lavoro, mi piace il fatto che sia una disciplina in continua evoluzione. Un giorno vorrei anche insegnare. 


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27.02.2020 # 5451
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas: Intervista a Paolo Loffredo

Paolo Loffredo è strategic designer nell´agenzia fondata insieme ai suoi soci: Hubitat (nome scelto per richiamare il termine Hub e Habitat). Perché questo nome? Scopriamolo insieme nella sua intervista per Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Paolo Loffredo classe ’85, nato a Battipaglia, ha studiato prima Economia Aziendale e poi Graphic Design e Motion Graphics,  fondando la sua prima agenzia nel 2009 a Napoli. Dopo diversi anni a capo della sua agenzia, insieme ai suoi attuali soci, ha deciso di unire le forze e creare qualcosa di unico: un’agenzia che potesse essere realmente un partner strategico per i clienti. Nel 2018 – quindi – fonda con due soci e amici Hubitat, agenzia di comunicazione integrata che ha sede a Battipaglia e Salerno. Parlando dell’agenzia dice: “Oggi fare comunicazione richiede specializzazione e integrazione. È difficile che una sola persona possa essere brava in tutto, è necessario invece poter contare su un gruppo formato da competenze differenti e specifiche ma guidate da un’unica visione. Hubitat nasce da questa fusione: siamo HUB nella misura in cui le nostre competenze si incrociano e si fondono, per restituire ai nostri clienti un risultato moltiplicato. Ma siamo anche un habitat, un luogo in cui le idee e le strategie nascono naturalmente integrate. Ormai, dopo tanti anni di collaborazione, è come se fossimo un’unica mente, pur se distinti per formazione, competenze e specializzazione.” Oltre ad essere uno strategic designer è  – prima di tutto – marito di Valentina e padre di Lisanna.


© Paolo Loffredo - Hubitat

L´Intervista

(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?

 

(Paolo Loffredo) Il progetto su cui sono concentrato in questo periodo è lo sviluppo di un metodo di lavoro per la mia agenzia. Abbiamo scelto un nome, Hubitat, per comunicare il senso di integrazione tra competenze e la certezza di un risultato integrato e coerente. Ora siamo impegnati nel definire le procedure che, oltre alle intenzioni, possano rendere questa idea sempre più produttiva e concreta.
Oltre a questo, appena ho un po’ di tempo mi dedico alla formazione personale: sto studiando design thinking, UI design e ho diversi progetti di packaging design, una mia passione.

 

Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?

 

Credo che la creatività sia frutto dell’incontro tra metodo e pensiero laterale. Non ho un rituale, ma un metodo sì: inizio con una lunga fase di ricerca in cui studio di tutto, dai siti web agli articoli della stampa, dai report alle brochure e ai social di aziende che operano in un settore specifico. Poi inizio a mettere da parte spunti e ispirazioni in una cartella che mi serve per raccogliere tutto quello che credo potrà servirmi: immagini, font, testi, lavori realizzati da altre aziende. Nella fase di studio tutto è utile. Poi inizia una fase di preparazione: creo i miei file, le griglie, preparo l’output. E poi inizia la fase di progettazione vera e propria, che può durare diversi giorni o settimane, a seconda della complessità. Quello che trovo utile in generale è la raccolta di feedback e opinioni dai miei collaboratori: ci confrontiamo molto e discutiamo di eventuali altre strade da percorrere. Credo che il confronto e la possibilità di integrare visioni siano il vero punto di forza di un’agenzia.

 

Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla Ilas?

 

La Ilas ha segnato l’inizio del mio percorso professionale: ricordo con grande affetto i miei docenti e a loro devo tutto quello che ho imparato. L’aula è un ambiente protetto in cui puoi – e, in un certo senso, devi – sbagliare. Hai l’opportunità di vivere in piccolo le difficoltà e le sfide che incontrerai di lì a poco e puoi imparare a superarle. Ricordo le notti insonni a lavorare sui progetti, la semplicità con cui i miei docenti risolvevano aspetti per me difficili e la soddisfazione di vedere riconosciuto il mio lavoro. Tra i banchi della Ilas ho capito di potercela fare e ho deciso anche come avrei voluto lavorare. Ho scelto 10 anni fa di dare sempre grande importanza al confronto, di non dare mai nulla per scontato: l’umiltà, che è un tratto del mio carattere, è diventata parte del mio metodo di lavoro.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

 

Forse sì. Ho sempre lavorato nel mondo della comunicazione, da ragazzo nel settore degli eventi, poi piano piano e anche grazie allo sviluppo della comunicazione digitale è diventato tutto più rapido. Ho studiato tanto e lo faccio ancora perché al netto dei nostri desideri, credo sia importante crearsi delle opportunità, farsi trovare pronti a cogliere quello che la vita potrà proporci.
Nella mia agenzia, quando inseriamo una nuova risorsa, diamo buoni per l’acquisto di libri e corsi online o workshop: sappiamo che dalla crescita delle persone che lavorano con noi dipende il successo di tutti.

 

Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?

 

È un po’ come chiedere a un papà di scegliere qual è il figlio preferito! Non credo di poterlo fare e ti spiego: ogni lavoro è frutto di un momento, di una fase professionale ma anche di condizioni specifiche, legate a quel progetto. Un cliente che si affida completamente ti offre la possibilità di esprimerti, ma uno che ti indirizza molto ti costringe a tirare fuori il meglio per trovare la strada giusta, anche dentro dei limiti molto stretti.Ci sono alcuni lavori a cui sono legato dal punto di vista affettivo, perché hanno rappresentato delle tappe importanti del mio percorso professionale e umano: SMET, uno dei più grandi gruppi di logistica integrata in Europa; Castelcivita, un progetto di promozione turistica e territoriale innovativo; Ecommerce HUB, un evento che è riuscito a portare a Salerno alcuni tra i maggiori esponenti del mondo dell’e-commerce e del digitale a livello internazionale; e poi certamente tutti i progetti su cui sono impegnato oggi, tra cui un packaging per un brand del settore food che mi darà l’opportunità di creare qualcosa che finirà sulle tavole degli italiani.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare?

 

Le difficoltà sono dietro l’angolo: credo che chi si occupa di comunicazione oggi debba farci l’abitudine. Quello che spesso mi ha messo in difficoltà è stata la necessità di “limitarmi” per evitare di superare un budget o rifiutare un lavoro perché già in fase di approvazione del preventivo avevo la certezza di non vedere riconosciuto il lavoro sull’identità del brand. Mi piacerebbe lavorare sempre al massimo, ma da imprenditore devo necessariamente dare un valore economico agli sforzi.

 

C’è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del mondo della comunicazione?

 

In generale no, credo sia tutto frutto della cultura della comunicazione. Ognuno di noi, in ogni progetto e con ogni cliente può pian piano cambiare qualcosa: la metà del nostro tempo la passiamo a spiegare, a formare i nostri clienti e sono certo che facendolo tutti, riusciremo a cambiare le cose. Accettare di lavorare per pochi spicci, accontentarsi e approssimare: questi sono i problemi più grandi del nostro settore.

 

 Se dovessi – per una qualsiasi ragione – cambiare città, dove andresti?

 

Mi piacerebbe vivere in un posto in cui veder crescere mia figlia a contatto con l’arte e la cultura. A volte pesa molto doversi confrontare con una mentalità spesso miope e non vorrei costringere mia figlia a fare lo stesso.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?

 

Consiglierei di non abbattersi di fronte alle prime difficoltà, di non scendere mai sotto un livello di qualità minimo e di non consegnare mai un lavoro su cui non metterebbero la firma. E poi di studiare sempre e di imparare a trovare del tempo per sé: lavoriamo tutti troppo e questo non aiuta la creatività.

 

Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita?

 

Più che un film e un libro, un disco: la cover di The Braxtons di The Boss, brano fantastico di Diana Ross. Ho un passato negli eventi da disc jockey, è un disco che mi accompagna fin da ragazzo, nella crescita formativa e professionale, c’è sempre stato e c’è ancora.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?

 

Responsabilità e ardore: la prima è legata al mio duplice ruolo, di direttore creativo e imprenditore; la seconda è quella spinta misteriosa che guida ogni nostra giornata, un desiderio di creare, di fare, di vivere la vita che abbiamo desiderato. E poi ci sono mia figlia e mia moglie: ogni giorno mi alzo e cerco di essere la persona di cui loro possano essere fiere.

 

Una parola che ti rappresenta?

 

Umiltà: viene da humus e ha a che fare con la terra, da cui tutto ha origine.

© Paolo Loffredo - Hubitat

Se tu fossi un piatto, quale saresti e perché?

 

Un piatto di pasta con crema di fagioli, crema di tonno e pomodoro secco. Una creazione che ho improvvisato e che mi rappresenta molto: colori, fusione di terra e mare e ovviamente un sapore intenso, ricco e genuino.

 

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?

 

Sono un operaio della fabbrica della comunicazione: produciamo qualcosa che non userai direttamente ma che ti permetterà di avere più informazioni, più opportunità e di raggiungere luoghi che oggi non immagini.

 

Progetti futuri?

 

Tantissimi, forse troppi da elencare. Stiamo rafforzando la divisione dedicata alla comunicazione food nella mia agenzia: è un settore in cui credo tantissimo e sto lavorando per renderlo sempre più efficiente.

© Paolo Loffredo - Hubitat

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27.02.2020 # 5395
Generazione Ilas:  Intervista a Claudia Iacomino

Generazione Ilas:
Intervista ad Annarita Ferrante

Annarita Ferrante vorrebbe partecipare a una missione spaziale ma al momento è con i piedi (ancora) per terra

di Urania Casciello

Annarita Ferrante a 11 anni comincia la sua vita intellettuale trovando tra un cumulo di libri Essere o Avere di Fromm, il suo libro-guida. Si dedica agli studi umanistici finché incontra la Ilas e frequenta il corso di pubblicità e marketing. Nel 2006 entra come copywriter in un’agenzia di pubblicità dove ha modo di sperimentare vari ruoli abbracciando l’accounting e la direzione creativa. Da questa posizione trova uno spazio vuoto, ovvero l’anello mancante tra le aziende-clienti e l’agenzia di pubblicità. Nel 2009 sta per trasferirsi a Roma dove cercherà altre esperienze di agenzia, ma riceve la proposta inaspettata di aprire e gestire un reparto marketing e comunicazione all’interno di un’azienda. Settore di difficile, azienda complessa, tutto da fare: una sfida che vincerà portando a compimento il piano in 10 anni. Il nuovo percorso la porta a percorrere parallelamente la libera professione come Concept Designer. I suoi occhi sono quelli di Giovanna Grauso, Art Director e Designer con la quale si unisce in smaltostudio, un collettivo di creativi indipendenti. In questi anni segue quella passione che non vorrà mai far diventare lavoro: la musica da dancefloor. Partecipa a progetti internazionali come manager, cura la comunicazione per dj emergenti, scrive lyrics, e crea un sito del tutto personale dove racconta, in video, foto e parole, i backstage degli eventi e i top dj in una chiave originale e genuina. Nel 2019 si innamora degli obiettivi ambiziosi ed innovativi di Hair Studio’s ai quali si dedica a tempo pieno.

L´Intervista



(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?

 

(Annarita Ferrante) Dopo anni di libertinismo professionale sono attualmente impegnata in una relazione stabile con un’azienda come marketing manager. Il gruppo Hair Studio’s sviluppa progetti e servizi avanzati nel settore dell’Hair Styling e della Moda. I più importanti tra questi le due insegne in franchising che contano circa 200 tra spa, saloni di parrucchiere e barbieri e l’Accademia Superiore per la formazione tecnico-artistica e manageriale. È il tipo di missione profonda che mi piace. Ho l’opportunità di confrontarmi a tutto tondo con il settore, al centro tra i grandi brand partner internazionali e le realtà locali. Lavoro dall’innovazione tecnologica e digitale al marketing esperenziale, dalle strategie di business alla parte più creativa delle collezioni moda. Ho tutto quello che mi serve per divertirmi a lavorare, non da ultimo il team o, per meglio dire, la famiglia con la quale condivido questa avventura.

 

Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?

 

Colleziono informazioni di ogni genere, osservo, ascolto, studio. Quando ho bisogno di tirar fuori qualche idea faccio tre giri su me stessa e aspetto la reazione degli elementi. Il processo creativo è simile ad una reazione chimica: una o più specie di idee modficano la loro composizione originaria per generare una nuova idea.

 

Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?

 

La ilas per me è stata un’esperienza fantastica, una grande opportunità. È il posto in cui ho incontrato me stessa e ciò che avrei voluto. All’avanguardia per modello di formazione, metodologia didattica e strumenti, ma soprattutto ricca di professionisti straordinari con i quali hai la possibilità di studiare, lavorare, confrontarti. C’è un po’ di ciascuno di loro in me: di Ballardini, i punti di vista, di Risuleo, l’immaginazione e il paradosso, di Iannucci, le storie e i personaggi. Poterli assistere come Tutor in anni più recenti è stato un grande orgoglio. Compatibilmente con gli impegni, torno volentieri tra i banchi in occasione dei seminari.

Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

 

L’ho saputo nel momento esatto in cui ho visto il manifesto ilas del corso di marketing e pubblicità.

 

Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiera?

 

Essere riuscita a valorizzare un prodotto al 1000%. È un dato che mi da una risposta oggettiva, dunque non teme alcun giudizio.

 

Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?

 

A) Spiegare alle aziende che il brand è un’entità concettuale.

B) Non ho mai avuto sfide più grandi di quelle che ho proposto ai clienti di affrontare.

C) La sfida più grande è sempre con se stessi, vale per ogni tipo di cliente o richiesta quando l’obiettivo è superarsi, spingersi oltre.

C’è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?

 

L’automazione e non parlo di AI. Anche l’intelligenza artificiale si sviluppa cercando risposte sempre più umane. Mi riferisco a tutti quegli umani che profetizzano metodi scientifici per raggiungere dei risultati, chi crede di poter ridurre tutto ad un modello, ad uno schema. Non mi piace l’improvvisazione.

 

Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?

 

Tra i driver del marketing c’è la personalizzazione dei servizi, dell’informazione e della comunicazione, l’approccio non è più mass ma H2H (human to human) dunque il rapporto è sempre più intimo. I mezzi digitali sono indispensabili per stabilire la conversazione, il rapporto e, infine, la loyalty. Siamo già oltre il web e i social come si conoscono comunemente. Dico, sei sul divano con tuo marito e cerchi con ironia il dialogo per capire perché non si fa sesso da un po’. Tempo qualche ora ti arriva un sms da un brand di farmaci per i problemi di prostata che ti consiglia di prenderti cura di lui. Sembra ironico ma è un esempio reale.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?

 

Mi spingo da sola tra le 5 e le 6 solitamente. Di ogni mattina mi attrae il nuovo, è il mio momento preferito della giornata. Piuttosto mi capita che qualche idea mi tiri giù dal letto nel cuore della notte.

 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?

 

Fare, sperimentare e studiare. Provare, sbagliare e continuare. Applicare strategie creative per la propria vita. Se non si trovano le opportunità, crearle. Osare, osare sempre.

 

Una parola che ti rappresenta?

 

Relatività.

Una parola che vorresti eliminare dalla terra?

 

Noia.

 

Se tu fossi una canzone, quale saresti?

 

The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd.

 

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?

 

Inventore, filosofo e scrittore con interesse a creare un rapporto tra chi produce e chi compra.

 

Cosa ti aspetta per il futuro?

 

Vorrei partecipare ad una missione dell’ESA (n.d.r. Agenzia spaziale europea) ma se questo non dovesse succedere penso che punterò tutto sul crescere insieme alla mia attuale azienda.

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