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Made in Ilas // Pagina 1 di 13
19.06.2023 # 6285

Generazione Ilas: Giulio Schioppa, dalla ILAS ai Musei Vaticani

Un Social Media Manager racconta il suo lavoro che gli ha cambiato la vita, in uno dei musei più meravigliosi al mondo

di Marco Maraviglia

Giulio Schioppa è nato a Napoli. Classe 1991. Amante dell‘arte e della fotografia che vede come uno strumento per catturare la spontaneità e la naturalezza del mondo intorno.

Si laurea in Giurisprudenza e fa il tirocinio come avvocato presso uno studio civilista e uno penalista. A un certo punto mette a fuoco sullo stile di vita che sta conducendo e immagina che non può essere quello il futuro in cui avrebbe voluto vivere per sempre.

 

Inizia a guardarsi intorno e un‘amica gli suggerisce i corsi della ILAS da lei già frequentati.

Giulio frequenta allora i corsi di Photoshop, Illustrator, Google web-designer, Google marketing e il corso di Social Media Manager con Alfonso Cannavacciuolo, Jose Compagnone, Fabio Bergamo e Mascia Zakhryalova, che gli suggeriscono di ampliare le conoscenze partendo proprio da Instagram, Facebook e Tik Tok.

Gli si apre un mondo.

Oggi Giulio Schioppa lavora come stagista presso i Musei Vaticani e ha già tanto da raccontare.

 

D: Come hai fatto a lavorare nel compartimento social network dei musei vaticani?

 

R: Ho inviato il CV quando ho visto che cercavano questa figura professionale. Oltre all‘attestato conseguito come SMM alla ILAS ho allegato lettere di referenze scritte da altri datori di lavoro: quella dell‘associazione AIDO per la quale scrivevo testi o correggevo bozze, quella di una società immobiliare per cui ho lavorato e di cui mi occupai della creazione e gestione del sito e della creazione dei contenuti sulle pagine Facebook, Instagram, WhatsApp business e Google Maps.

Non ho fatto un colloquio, è stata sufficiente la documentazione che mandai a novembre e a gennaio mi chiamarono.

So che, insieme alla mia, ci sono state candidature anche a livello mondiale. Attualmente ci sono 19 stagisti che provengono da varie parti del mondo come Taiwan, Russia, Israele.

Inutile dire che tra i requisiti era importante la conoscenza dell‘inglese.

 

D: Come ti trovi in questo prestigioso ambiente di lavoro?

 

Da amante dell‘arte per me è come un sogno essere approdato in questa Grande Bellezza. Ogni giorno scopro nuove opere, le loro storie, curiosità. So di essere un privilegiato lavorando in questo contesto.

Lavoro nei Musei Vaticani dal lunedì a venerdì e se capita di fare straordinari anche nei festivi per necessità, ne sono felice.

C‘è molta sintonia con la squadra di lavoro. I nostri ruoli sono ben distinti e quindi ognuno ha precise responsabilità. Interagiamo quotidianamente, viviamo come una famiglia e, pur pranzando insieme, capita che andiamo anche a cena insieme.

 

D: Quali mansioni svolgi all‘interno dell‘ufficio stampa dei musei vaticani?

 

R: Mi occupo della creazione dei contenuti per Instagram, in particolare dei reel, dei testi, della revisione dei post: il controllo  del formato delle foto, controllare la correzione delle didascalie, gli hashtag da inserire.

Durante il corso di SMM in ILAS ho scoperto anche di avere una certa destrezza nel creare i video.

Con i colleghi creiamo le scalette, programmazioni mensili che rivediamo ogni due giorni e siamo sempre in allerta per variarle a seconda delle esigenze museali non sempre prevedibili nell‘arco di un mese. Capita infatti di anticipare i contenuti di alcuni post, rispetto alla scaletta, e nel frattempo perfezioniamo quelli che avremmo dovuto inserire prima.

Osserviamo i competitor internazionali, ci aggiorniamo su varie piattaforme per eventuali novità.

Sto cercando di studiare in modo specifico gli algoritmi di Instagram.

Bisogna capire, attraverso l‘analisi della pagina, quali strategie migliori adottare per le storie, i reel e i post.

Tutti i contenuti li inserisce il capo-staff che è l‘unico ad avere le credenziali per accedere al profilo di Vaticanmuseums.

 

D: Quali sono le tue strategie per aumentare l‘engagement e la partecipazione del pubblico sui social media dei Musei Vaticani?

 

Dipende dal materiale dei contenuti da pubblicare. I reel attirano di più il pubblico perché mostrano un po‘ il backstage dei Musei: ad esempio come funziona la biglietteria, si mostra qualcosa che non è aperto al pubblico, l‘allestimento o lo spostamento di qualche opera.  A volte anche ripubblicare i contenuti creati da altri utenti, previa richiesta di autorizzazione all‘utilizzo e taggando gli autori delle foto, serve a stimolare il pubblico incitandolo a rispondere su cosa piace di più tra 5 o 10 foto. In tal modo la quantità dei commenti fanno posizionare i post in maniera più vantaggiosa nella home di Instagram.

Per politica adottata dai Musei Vaticani, non condividiamo le storie degli utenti perché diventerebbe una gran mole di lavoro che, come sappiamo, dura poi solo 24 ore.

 

D: Quali possono essere secondo te i nuovi canali della pubblicità? Come vedi il futuro della comunicazione via social?

 

R: In questo periodo storico Tik Tok è abbastanza nuovo ed è utile per comunicare alla Generazione Z. I Musei Vaticani hanno colto questa opportunità e, ma non nell‘immediato, c‘è l‘intenzione di aprire il canale dedicato.

Da pochi giorni si è attivata la possibilità di creare community su Instagram e probabilmente Facebook è destinato nel giro di pochi anni scomparire se non si rinnova ulteriormente.

Il cosiddetto Metaverso è stato lanciato, a mio parere, troppo in anticipo rispetto alle reali possibilità attuali. Sì, interagire tra realtà virtuale e realtà aumentata offrirà nuove opportunità per la comunicazione ma non credo che queste siano proprio dietro l‘angolo.

 

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19.01.2023 # 6199

Generazione ILAS: intervista a Stefano Perrotta

Dalla progettazione di libri, passando per fotografia e architettura, il designer Stefano Perrotta si racconta in un’intervista per la rubrica Generazione Ilas

di Urania Casciello

Stefano Perrotta studia Architettura presso il Dipartimento di Architettura (DiARC) dell‘Università degli Studi di Napoli Federico II dove ha partecipato, in qualità di assistente, ai corsi di Progettazione Architettonica e Urbana del prof. arch. Giovanni Multari. In seguito ad una collaborazione con la casa editrice Aracne di Roma si specializza in grafica, fotografia, advertising e direzione artistica presso l‘accademia italiana di comunicazione ILAS di Napoli.
Continua la sua formazione conseguendo il diploma di Illustrazione per l‘editoria presso la scuola Ars in Fabula di Macerata, il Master di Illustrazione Digitale alla Genius Academy di Roma, il corso annuale di fotografia analogica e digitale presso il CFI di Napoli e il corso di perfezionamento in Type Design alla Cfp Bauer di Milano. Ha frequentato, poi, un Master ILAS di ricerca fotografica curato da Antonio Biasiucci. È illustratore degli albi “Il mito di Aretusa” e “Il mito di Polifemo” editi da Cirnauti. Ha recentemente curato il progetto grafico della mostra “Comizi per Pier Paolo Pasolini” promossa dal Dipartimento di Studi Umanistici dell‘Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Attualmente lavora come grafico editoriale e illustratore presso la casa editrice LetteraVentidue di Siracusa ed è docente a contratto di “Design per la Comunicazione” presso il Dipartimento di Architettura dell‘Università degli Studi di Napoli Federico II. 
È Creative Director dello studio grafico Cratèra Fucine. 

(Urania Casciello) Come ti descrivi?

(Stefano Perrotta) Coinvolto in riflessioni vagamente distinguibili. 

Qual è stato il momento esatto in cui ti sei appassionato alla fotografia? Cosa ti affascina del mondo della fotografia?

Le immagini, in generale, mi hanno sempre interessato. Il cinema è stata la mia prima passione, ma è forse durante gli studi di Architettura che ho iniziato a coltivare quella per la fotografia. Esperienze personali e workshop mi hanno poi portato a iscrivermi al Master dell‘ILAS, a cui hanno fatto seguito anche il Corso di fotografia analogica e digitale del Centro di Fotografia Indipendente, guidato da Maria Spada, e un Workshop di ricerca fotografica, promosso proprio dall‘ILAS, con Antonio Biasucci. Di questo mondo mi affascina la ricerca, lunga, lenta e solitaria. 

Architettura, Fotografia e Grafica Editoriale, parlaci dei tuoi tre mondi e di come interagiscono tra loro.

Tutto è composizione. Anche in questo caso è probabilmente la mia formazione da architetto a essere il file rouge dei miei interessi. Architettura, fotografia, grafica, ma anche illustrazione, che ho studiato presso la scuola Ars in Fabula di Macerata, e Type Design, presso la Bauer di Milano, confluiscono nel mio lavoro. Oggi sono un grafico editoriale, progetto libri ed è nelle pagine dei volumi che si condensano tutte le esperienze maturate fino a ora. 

Fotografia di architettura di esterni e di interni. Cambia il tuo tipo di approccio? Hai una preferenza?

Non ho una preferenza, ma mi interessa la città. Professionalmente ho avuto importanti occasioni in entrambi i campi, ma la mia attuale ricerca indaga lo spazio pubblico e in particolare le infinite scale della nostra città. In entrambi i casi l‘approccio è analogo, sicuramente la differenza la fa l‘essere o no a contatto con le persone, che sono sempre incuriosite dalla presenza di un cavalletto e un obiettivo. 

C‘è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta? 

Per vari anni ho condotto una ricerca, non proprio sistematica, che ho intitolato “A zonzo. Ovvero la pausa perfetta di un pendolare atipico”. Ho viaggiato in giro per l‘Italia, per i vari corsi di formazione e per lavoro, con la mia attrezzatura, fotografando i luoghi che dopo poco diventavano per me familiari. Sono appunti e sono stati, per me, un pò casa. Forse ero alla ricerca di una domesticità urbana che non era concessa al mio essere pendolare. L‘immagine che segue è stata scattata a Siracusa, nell‘estate del 2018. È una foto rigorosa, scattata in una caldissima giornata, in una pausa da lavoro. 



Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare fino ad oggi?

Lavoro da ormai cinque anni per una casa editrice siciliana, LetteraVentidue, che si occupa di architettura e design. Seguivo sui social network il loro lavoro, che stimavo particolarmente, e ho deciso di rispondere a un annuncio. Oggi la casa editrice è una delle più gettonate a livello nazionale, ma già a quei tempi aveva un‘importante risonanza. Dopo un colloquio e un periodo di prova sono stato assunto. Essere preso in considerazione da validi professionisti, subito dopo la chiusura del Master, è stata una enorme gratificazione. Volevo però continuare a studiare e prendermi cura dei miei affetti, a Napoli. Così per diversi anni ho viaggiato ogni settimana per l‘Italia. Lavoravo a Siracusa e il venerdì e il sabato studiavo, in maniera alternata, illustrazione a Macerata e illustrazione digitale a Roma. La sfida è stata riuscire a dare il meglio nonostante le infinite ore di viaggio e essere presente per la mia compagna e la mia famiglia. Una sfida con me stesso, quindi. Dal punto professionale, invece, credo sia quella che sto ancora affrontando. Dallo scorso settembre sono docente di Design per la Comunicazione presso il Corso di Laurea Triennale in Design per la Comunità del Dipartimento di Architettura dell‘Università degli Studi di Napoli Federico II. Sono quindi tornato tra i banchi in cui ho iniziato i miei studi. Non avevo mai insegnato e i risultati fino ad ora ottenuti sono una grande soddisfazione.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ILAS?

La ILAS ha rappresentato per me un‘occasione di consapevolezza. Al momento della mia iscrizione al primo master in grafica editoriale, frequentando le lezioni di Alessandro Cocchia, a cui devo molto della mia formazione, ho capito quale direzione prendere dal punto di vista professionale. Ho frequentato molti corsi poi, dei quali ho un bellissimo ricordo, così come ho conosciuto molte persone che ancora frequento e alle quali sono molto affezionato. 

Che consiglio daresti a chi si approccia alla fotografia di architettura?

La fotografia è progetto, struttura, azione e riflessione, è pausa, è ricerca e soprattutto è errore. Consiglio di studiare a fondo, non solo la tecnica, ma i maestri. Consiglio di non avere fretta, di non farsi affascinare dallo scatto facile e soprattutto di non demordere. 



Ci sono film da guardare o riviste da seguire che consigli a chi intraprende il tuo percorso?

Di guardare tutto! Molto spesso le intuizioni più felici nascono dall‘osservazione delle cose più improbabili. In ambito cinematografico, opere per me insuperabili sono: 2001 Odissea nello spazio, di Stanley Kubrik (1968), Mulholland Drive di David Lynch (2001), Il pasto nudo di David Cronenberg (1992), Paris Texas (1984) e Alice nelle città (1974) di Wim Wenders. In ambito fotografico, gli autori a cui mi riferisco sono Luigi Ghirri, Gabriele Basilico e Wim Wenders. Negli anni ho imparato ad apprezzare lavori più caustici, come quello di Antoine d‘Agata, Roger Ballen, e Joel Peter Witkin.

Se la fotografia fosse un‘opera architettonica, quale sarebbe?

La fotografia è un‘opera architettonica, quindi direi tutte. 
Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? Dipende. Dalla luce del giorno di cui parliamo, dai luoghi che dovrò percorrere. Perché non esiste in assoluto il bianco o il nero o il colore, almeno nel mio lavoro fotografico. La scelte dipende dal soggetto e da ciò che intendo raccontare. 



Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.

Dell‘approccio etico a tutto, dell‘amore per le persone care e della pizza.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?

La voglia di costruire qualcosa di mio e la sveglia, dopo vari posponi. 

Cosa dobbiamo aspettarci da te?

Un progetto in grado di tenere insieme tutte le mie competenze, in cui poter mettere a frutto tutte le esperienze maturate. Qualcosa bolle in pentola, incrociamo le dita.

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19.12.2022 # 6188

Generazione ILAS: intervista a Maurizio Pagnozzi

Creatività, essenzialità e paternità, le tre parole che racchiudono la nostra intervista al designer Maurizio Pagnozzi.

di Urania Casciello

Maurizio Pagnozzi studia Graphic Design presso “Scuola la Tecnica” di Benevento, dove si diploma con il progetto “Anatomy of the typeface”. Continua i suoi studi alla ILAS di Napoli dove studia Graphic Design, Art Direction e Copywriting. Dal gennaio 2014 comincia la sua carriera come Teacher of Visual Communication. L’insegnamento va di pari passo con la sua attività di designer e fonda lo studio One Design.



Scopri One Design Logo Collection su Behance


I suoi progetti, realizzati per diversi clienti internazionali, vengono apprezzati principalmente per il suo stile diretto, pulito e essenziale, ma non privo di significati e contenuti. Nel 2014 vince il Cread Portfolio Awards e arriva nella Top 5 mondiale di Behance, nel 2015 partecipa al Creative Pro Show e nel 2016 alcuni suoi progetti sono esposti nella galleria di Rich Mix di London. Nel 2017 tiene una serie di seminari e workshop in giro per l’Italia, inoltre prende parte come giurato ad alcuni premi di Design internazionali, tra cui A’ Design Award & Competition, ruolo che ricopre ancora oggi. Dal 2018 collabora con Artigiancassa e BNL per i quali realizza diversi progetti corporate, logo design, web e video promozionali e nel 2019 collabora con loro allo sviluppo della piattaforma Brendity e ne diventa partner. Specializzato in Branding, Corporate Identity e Packaging, il suo fine è realizzare progetti che combinano concetti forti con esecuzioni solide e funzionali. I lavori sono stati pubblicati in diverse gallerie online e blog, riviste e libri del settore. Scrive inoltre la prefazione diversi libri di branding tra cui Logo Talks, Design in the Store e Logo Parade.



(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Maurizio Pagnozzi) Da qualche mese sono diventato papà e ho deciso di prendermi una piccola pausa dal lavoro fino al nuovo anno, per poter godere pienamente questi primi irripetibili momenti. Quindi attualmente è questo il progetto che mi tiene impegnato maggiormente, un’esperienza del tutto nuova tra pappine, ninne nanne, sonaglini e passeggiate nei parchi di Londra, ma altrettanto stimolante.

Da dove viene la tua ispirazione?
Vivo a Londra da ormai 8 anni, questa città è stata da sempre la fonte primaria della mia ispirazione, ricevo continui stimoli visivi grazie ai tanti musei, alla street art, alla sua architettura che è un mix perfetto tra antico e moderno, ma anche grazie ai vari pub e ai tanti eventi live. Amo perdermi nei vari quartieri che sono a loro volta micromondi così diversi gli uni dagli altri. Dopo tanti anni ancora resto meravigliato nello scoprire cose nuove. Quando sono in giro per la città amo scattare foto che poi racchiudo nella mia cartella di ispirazione.

Segui un rituale per trovare idee creative?
Sono principalmente un brand designer, ho ormai sviluppato un mio modo personale per gestire tutta la fase progettuale e creativa, anche per ottimizzare il tempo e arrivare quanto prima all’idea “giusta” da presentare al cliente. Nella fase creativa amo stare completamente solo per poter essere rilassato al massimo e far andare la fantasia, ho bisogno solo di un taccuino e una matita per i miei scarabocchi e un po’ di musica nelle orecchie. Uso la mia personale raccolta di ispirazione che contiene anche foto di nuvole, intagli di mobili e cancellate, solo per fare qualche esempio strambo.

Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?
Sono ormai trascorsi 10 anni, ero lì principalmente per approfondire un percorso formativo iniziato altrove, ma avevo ancora voglia di saperne di più di design e di iniziare un percorso in settori nuovi per me, ma estremamente correlati, come quello in art direction e copywriting. Pensavo che avere un’infarinatura di questi concetti mi sarebbe sicuramente tornata utile in futuro. Ma ero lì anche per un motivo puramente personale, volevo avere la conferma che quello che stavo studiando e approfondendo mi piaceva così tanto da farlo diventare davvero il lavoro della mia vita. L’esperienza fu molto positiva, continui stimoli dati dal confronto con colleghi e docenti e soprattutto ebbi quella conferma che cercavo, ero completamente preso da questo settore. Inoltre, ebbi l’occasione di mostrare per la prima volta i miei progetti e da lì partì quella rivoluzione, inizialmente anche mediatica, che mi ha portato fin qui.

Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
In realtà sono arrivato al design per caso, studiavo giurisprudenza, ma non ero più motivato come un tempo. Mi sentivo molto frustrato per questo, ero dispiaciuto nel vedere i miei amici amare quello che studiavano, mentre per me non era più così da un po’. Dopo un viaggio di qualche mese all’estero, in cui mi ero appassionato alla fotografia, un amico mi parlò di un corso di design in cui si studiavano anche principi di fotografia e fotoritocco. Ho quindi iniziato solo per curiosità, mai avrei immaginato che quello sarebbe diventato qualcosa di più di un hobby e che mi avrebbe portato a fare quello oggi amo così tanto, un lavoro mai statico, che mi ha portato parecchio in giro e che ben si collega a un’altra mia passione, che è quella di viaggiare.

Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?
Onestamente non sono uno che si affeziona a un progetto in particolare, sono quasi sempre più soddisfatto di quelli sviluppati per ultimi, ma non posso negare che il mio One Design sia quello che mi ha dato più visibilità e notorietà, inizialmente anche sui social. È stato pubblicato in diversi libri del settore, blog e riviste. Ancora oggi qualche volta capita che i miei clienti lo citino nelle prime email e molto spesso ricevo segnalazioni di plagio. Cominciai a pensarci mentre ero alla Ilas, durante una lezione di storia della grafica nella quale Daria la Ragione ci parlava dei loghi che sfruttano i principi della Gestalt. Mi venne la voglia di cimentarmi e cominciai a lavorarci su. Lo perfezionai una volta terminati i miei studi e finii per usarlo per il mio studio di grafica che aprii qualche mese dopo e posso dire che ha superato anche la prova del tempo dato che lo uso ancora oggi.

Hai ricevuto numerosi riconoscimenti per i tuoi lavori e sei membro di due giurie prestigiose. Cosa si prova a stare dalla parte di chi giudica? Quali sono le caratteristiche che ti colpiscono dei lavori in gara?
È molto stimolante farne parte, perché anno dopo anno si può notare lo sviluppo dello stile grafico e anche la direzione in cui sta andando il nostro settore, mi permette quindi di essere costantemente aggiornato, quello che ricevo in cambio è sicuramente maggiore di quello che do. Amo i progetti in cui vedi ben sintetizzati i principi base del design, in cui il progettista è consapevole di quello che sta facendo, in cui il risultato visivo è frutto di un percorso pensato e di una scelta sensata. Le mode del momento vanno e vengono, ma quei principi restano saldi nel tempo.

Dalla Pratica… alla teoria! Ho letto che stai scrivendo un libro sul Branding! Come è nata questa idea?
Qualche anno fa ho tenuto una serie di workshop e seminari in giro per l’Italia. Dopo quella esperienza ho ricevuto diverse richieste per continuare alcuni discorsi iniziati durante quegli incontri, ho quindi deciso di trascrivere quella che negli anni è stata la mia esperienza come brand designer, analizzando anche il percorso creativo e progettuale di alcuni miei lavori, partire da lì quindi come spunto per parlare delle regole fondamentali del branding.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di essere sempre curiosi, leggere libri del settore e non, visitare mostre, sfruttare al meglio tutti i mezzi attuali per soddisfare questa voglia di saperne di più, cercare stimoli visivi anche attraverso film o video games. Avere un certo bagaglio può di certo fare la differenza. Inoltre, penso che sia fondamentale non smettere mai di studiare, continuare a farlo anche quando si pensa erroneamente di saperne abbastanza.

Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita.
Sono da sempre un appassionato di cinema, pur usufruendo delle piattaforme streaming amo collezionare film in bluray, anche perché amo gli extra che contengono approfondimenti sui diversi aspetti di produzione e realizzazione dei film. Non ho limiti di gusto, vedo indistintamente film muti degli anni ‘20 dello scorso secolo, film dell’età d’oro di Hollywood, cinema francese, neorealismo italiano, ma anche blockbuster e b-movies. Per questo motivo non ho un film preferito in particolare, ma è stata in generale la scoperta del cinema a cambiarmi la vita. Però posso citare una serie tv che ho molto amato, si tratta di Med Man, serie sugli albori dell’advertisement nella New York degli anni ‘60 in una certa Madison Avenue, di cui consiglio la visione a tutti quelli che si approcciano al nostro settore. Per quanto riguarda il libro non posso non citare Alice in Wonderland, il libro feticcio di tutte le persone curiose e a cui io e mia moglie ci siamo ispirati per il nome di nostra figlia.

Una parola che ti rappresenta.
Senza dubbio minimal, è qualcosa che da sempre ho cercato di rendere al meglio nei miei progetti. Semplicità e essenzialità per esprimere al meglio un concetto con il minor numero di elementi possibili. Negli anni ho cercato il più possibile di renderlo mio, facendolo diventare anche un modo di pensare e di risolvere i problemi della vita quotidiana. Il cercare di arrivare a una soluzione nel modo più semplice, un po’ come si faceva da bambini, semplificando e mai complicando.

Tre cose a cui non potresti mai rinunciare.
Il mio Ipad, perché vivendo fuori da anni ho la possibilità di portare sempre con me tutti i miei libri e le mie riviste, ma anche per i miei scarabocchi o per appuntare note quando non ho con me fogli di carta, soprattutto nella fase esplorativa e di sviluppo di un concept, poi la musica che da sempre mi aiuta a rilassare la mente e lo smartphone per la fotocamera, dato che mi permette di poter scattare foto che possono poi servire ad ampliare la mia cartella di ispirazioni.

Cosa ti guida?
Il poter fare un lavoro che fortunatamente amo fare, l’essere continuamente stimolato dai nuovi progetti lavorativi, ogni nuovo progetto è sempre una nuova sfida. Sono sempre curioso di scoprire dove il mio lavoro può portarmi.

Progetti futuri?
Prima di tutto ho in programma di aggiornare finalmente il mio portfolio, sono ormai 5 anni che non lo faccio perché collaborando quasi esclusivamente con agenzie non ho più avuto questa esigenza, ma ora ho una gran voglia di far vedere alcuni lavori realizzati negli ultimi anni. Inoltre, ho trovato molto stimolante gli incontri e i seminari fatti in passato, potrebbe essere arrivato il momento di organizzare nuovamente qualcosa, dato che la pandemia ha reso la voglia di incontrare gente ancora più grande. Per quanto riguarda invece il futuro mi auguro davvero di poter continuare a svolgere al meglio il mio lavoro, ad essere stimolato e continuare a non annoiarmi. Ci sono nuove sfide che mi piacerebbe realizzare al meglio, alcune di queste riguardano Londra, altre invece l’Italia. Ma resto pur sempre campano e da buon campano sono molto scaramantico, non ne parlo fino alla completa realizzazione

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06.10.2022 # 6148

Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Un presente all‘insegna della creatività, tra passato e futuro della professione

di Paolo Falasconi

Paolo - Ciao Daniele e grazie per aver accettato di fare questa intervista. Sono davvero contento di ritrovarti dopo così tanto tempo, immagino avrai molte cose da raccontare, perciò forse è il caso di procedere con ordine. Intanto possiamo inquadrare il presente. Dove ti trovi attualmente e di cosa ti occupi?


Daniele - Il piacere é tutto mio. Da qualche anno vivo a Londra dove lavoro attualmente come Senior Designer presso AKQA.

L’Ilas é stata una tappa fondamentale per il mio percorso formativo. Mi ha permesso di mettere in pratica le conoscenze accumulate al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, con una visione concreta applicata alla progettazione grafica e all’ideazione di campagne pubblicitarie.

L’esperienza della Ilas mi ha permesso di conoscere persone fantastiche a cui devo tanto, a cominciare dal direttore Angelo Scognamiglio, e tutti i colleghi che sono ancora lì con voi. Da ognuno di loro e soprattutto da te, ho ricevuto insegnamenti e consigli preziosi che ancora oggi applico nel mio lavoro.


P - Aspetta un attimo. Ci siamo lasciati più di 10 anni fa che la tua destinazione era il Brasile, San Paolo per la precisione. Com‘è che sei finito a Londra?


D - E’ vero, ricordi bene. E’ andata così: nel 2013 dopo aver fatto parte del team di SapientNitro di San Paolo in Brasile, mi sentivo pronto per ritornare in Europa e Londra mi sembrava il luogo giusto perché offriva opportunità per certi versi simili al Brasile. Ebbi la fortuna di ottenere il trasferimento presso gli uffici della futura Publicis.Sapient dove avrei cominciato un cammino lungo quasi 9 anni. Ed eccomi qua.



P - Quindi il Brasile è stato la tua prima tappa professionale fuori dai confini italiani. Raccontami.


D - Nel 2009 durante il mio anno di corso di Grafica e Web all’Ilas ho avuto l’opportunità di unirmi al team di Argentovivo / Ilas dove mi é stata data l’opportunità di imparare e lavorare su progetti interessantissimi per clienti esterni e sulla progettazione del materiale comunicativo per la scuola.

Dopo un anno in agenzia come Junior Art Director ho scelto insieme alla mia attuale compagna di fare un’esperienza nel suo paese di origine, il Brasile e in particolare a San Paolo.
 San Paolo é una delle maggiori capitali per il settore creativo a livello mondiale e in particolare per il  digital design. Era la mia prima esperienza all’estero in una città da più di 12 milioni di abitanti. Un‘isola creativa dalle mille opportunità, piena di talenti straordinari e gente unica. Prima della mia partenza da Napoli riuscii a fare un colloquio con una agenzia situata in una città poco distante da San Paolo che apprezzó tantissimo il mio portfolio formato dai lavori che avevo realizzato come studente Ilas e visuals sviluppati con l’agenzia Argentovivo.

Dopo il primo lavoro in terra brasiliana e dopo le prime soddisfazioni decidemmo di spostarci a San Paolo dove il livello di difficoltà sarebbe aumentato da tutti i punti di vista. Un grande passo che fortunatamente si concretizzò in un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di continuare a fare fino ad oggi il lavoro che mi piace e che spero di poter perseguire per molti anni.

L’agenzia a cui forse devo di più durante il periodo trascorso a San Paolo é stata la Grïngo (che fu successivamente acquistata dal gruppo WPP sotto il nome di Possible Worldwide) diretta da André Matarazzo  una delle menti creative più influenti del nostro settore. Con loro ho partecipato a campagne per brand come Coca-Cola e Absolut Vodka nonché su ulteriori progetti e pitches. L’alto ritmo di lavoro e le forte pressioni che si vivono in queste realtà mi hanno permesso di acquisire sempre più fiducia nei miei mezzi – e fu questo banco di prova, insieme alla passione che nutro per il design che mi spinsero a cercare nuove esperienze. Così come il design si evolve nel tempo, la comunità dei designer si muove nella stessa scia che ti porta di continuo a confrontarti con nuove sfide – e Londra per me è stata una di queste.


P- Ok, siamo tornati a Londra. Mi hai detto che ricopri il ruolo di Senior Designer presso AKQA che suona un po’ come una sorta di supervisor. Non dirmi che hai rinunciato alla creatività! Ricordo che ripetevi spesso "toglietemi tutto ma non la possibilità di creare, disegnare". Ti prego, rassicurami.


D- Il team di AKQA é composto da designers, creative developers, 3D artists e creativi dal background straordinario. Le ispirazioni provengono da molteplici fonti e la passione per il design é viva in ogni step del processo creativo perché fa parte della filosofia dell’azienda.

Il ruolo di Senior Designer mi permette di toccare con mano le fasi più importanti di un progetto – dal concept alla realizzazione del prodotto finale. Ogni progetto ha una storia a sé ed i team vengono strutturati in modo diverso. Le figure con le quali collaboro di più ogni giorno sono i creative directors e i designers di UX. Le consegne dei batch (per esempio gruppi di template o components di un app design) vengono spesso organizzate su Design Sprints che hanno di solito la durata di una o due settimane ciascuno.

Una delle sfide più elettrizzanti é proprio quella di lavorare sotto pressione soprattutto quando il tempo a disposizione per la fase di concept (anche detta Discovery Phase o Design Exploration) é molto breve. Su alcuni progetti come ad esempio per i pitch, l’ideazione di un’art direction può anche variare da 1 o 3 giorni nei casi più estremi. 
In queste fasi l’obiettivo del designer é quello di entrare in stretta sintonia con il proprio team e soprattutto capire a fondo il brief. Ogni scelta creativa deve essere coerente con quest’ultimo ed allo stesso tempo essere capace di proporre punti di vista che arricchiscano e migliorino la soluzione che siamo chiamati a proporre.
Nel digital design il concetto di creatività é più ampio perché tiene conto di diversi fattori (come ad esempio lo ‘user testing’) che influiscono sul risultato finale. I prodotti digitali hanno una natura più dinamica perché evolvono nel tempo mentre accompagnano il modo in cui gli utenti ne usufruiscono. Anche il concetto di team é diverso rispetto al passato, perché oggi il cliente partecipa spesso attivamente al processo creativo – dove le energie di tutti convergono in una direzione sola.
Come vedi dipende dal ruolo e dal team in cui si lavora dove le opportunità di creare sono molteplici. Io però con la creatività convivo quotidianamente, quindi spero di averti rassicurato!


 

P - Ok, direi che ci sei riuscito bene e anzi, trovo la cosa molto interessante.

D - Ti dirò di più. Avendone avuto una esperienza diretta posso tranquillamente dire che la percezione che si ha lavorando in un team creativo é molto simile a quella delle attività di studio e laboratorio che si svolgono all’Ilas o presso qualunque università o liceo con orientamento artistico.
 Cambiano le responsabilità ma il concetto alla base di tutto rimane lo stesso. Passione, studio, ricerca e lavoro.



P - C‘è un progetto a cui sei particolarmente affezionato di cui ti andrebbe di condividere con noi qualche dettaglio?


D - É un progetto che ho realizzato qualche anno fa per un contest organizzato da Google Brasil.

Le idee dovevano proporre innovazioni tecnologiche da essere realizzate attraverso l’ausilio dei prodotti Google, a servizio della comunità locale o mondiale. La mia idea proponeva un mapping del livello di inquinamento dell’aria, proposto come contenuto interattivo e incluso come data in Google Maps.

É un progetto che ho conservato in quesi anni a cui ho anche dedicato un personale brand refresh per mantenerlo in linea con i look & feel più recenti di Material Design. Fu il primo progetto dove ebbi l’opportunità di dimostrare a me stesso che potevo curare da solo alcune delle fasi chiave di un prodotto di design: Idea, Concept, UX e UI.

La mia idea fu una delle 10 finaliste selezionate fra le migliaia inviate da tutti gli stati del Brasile e anche sottoscritte dalle maggiori agenzie creative nazionali.

La creazione dell’idea e il riscontro ottenuto durante l’evento a cui partecipammo di persona sono ricchi di ricordi che custodisco con soddisfazione.

Negli anni successivi la stessa Google cominció a sviluppare una idea simile che utilizzava le auto della tecnologia Street View per mappare le aree di inquinamento e ad oggi questa funzione é largamente diffusa e disponibile in molte app di meteo. Per me é stato interessante osservare come anche io nel mio piccolo, nel lontano 2012, mi trovavo in sintonia con innovazioni tecnologiche di questa dimensione.



P - Davvero impressionante. E quale tipo di tecnologia utilizzi per sviluppare questo tipo di progetti? Suppongo che le suite di Adobe la facciano da padrone in tutto il globo. E’ così?


D - Si il pacchetto Adobe é un tool che ogni studio o agenzia acquista per il proprio team. Io utilizzo sopratutto Illustrator, PhotoshopFigma e Principle per il prototyping visivo. Fino a qualche tempo fa, iI tool di riferimento per la UI era invece Sketch.
Con il remote working adottato dalle aziende in seguito alla pandemia, altri software spesso accessibili tramite browser, hanno avuto più successo perché facilitano la collaborazione in tempo reale. Per esempio in alcuni casi dove i vari team si riuniscono per lavorare ad un workshop o un brainstorm – spesso si preferisce accedere a Miro (o soluzioni simili) che permettono di lavorare su board digitali per condividere e archiviare idee e informazioni.



© Daniele Signoriello


P - Davvero molto interessante. Visto che accennavi a Figma, hai sentito della sua recente acquisizione da parte di Adobe? Se ho capito bene oltre manica si usa tanto. Ma in cosa trovi più performante FIGMA rispetto per esempio a XD?



D - Nei progetti a cui ho partecipato, non ho avuto l’occasione di testare XD perché di solito i team creativi adottano un tool unico che viene scelto come riferimento per tutti. Il successo di Figma é stato prevalentemente relativo alla sua capacità di automatizzare molte attività che spesso neanche Sketch era in grado di assicurare con facilità. La caratteristica primaria é l’archiviazione dei file nel cloud e la possibilità di recuperare versioni precedenti di un documento, attraverso la funzione ‘Version history’.

Inoltre, creare e condividere un Design System su Figma é molto semplice e stabile. Le funzioni di Inspect per developers sono già incluse nello stesso file e non vi é più, ad esempio, la necessità di pubblicare i design su Zeplin. Con la recente acquisizione di Figma da parte di Adobe mi aspetto interessanti integrazioni con la suite – sia queste incluse come funzioni native o accessibili attraverso plugins.



P - Certo, chiarissimo.  A proposito di team e lavoro di squadra, come è stato integrarsi in agenzia, insomma, era tutto nuovo per te, la lingua, la città, la cultura. Praticamente un salto nel buio.


D - Vivere e lavorare fuori dall’Italia ti cambia se sei disposto a farlo. Bisogna nella maggior parte dei casi provare ad avere un punto di vista più flessibile rispetto alle situazioni. Qui a Londra e soprattutto nel nostro settore, si incontrano molte culture diverse ma sul posto di lavoro non ci sono e non dovrebbero mai esserci bandiere, razze o generi.

Il mio consiglio é di rimanere fedeli alla propria essenza sempre nel rispetto altrui. Ció ti aiuta ad integrarti più facilmente nel tessuto sociale e lavorativo con un attenzione a mantenere un profilo basso e neutrale senza nessuna forma di ego.

Avere un buon livello di conoscenza della lingua é importante sia per comunicare col proprio team che per collaborare con i clienti – in alcuni casi invece, un livello di inglese intermediate che ti permetta di capire il brief e le task da eseguire, può essere talvolta sufficiente per far parte di un team creativo con risultati soddisfacenti.

A Londra ci si sente sempre un turista anche dopo molti anni e c’é sempre qualcosa da scoprire. Per me l’impatto con la città non é stato traumatico perché l’esperienza di San Paolo mi aveva già abituato ad una realtà simile. Inoltre Napoli nel suo piccolo, ha le caratteristiche di una metropoli e noi del sud in generale (dipendendo sempre dalla nostra storia e background) abbiamo una naturale capacità di adattarci che ci aiuta in ogni singola situazione.



P - Concordo pienamente. Ad ogni modo, anche se lo fai sembrare una passeggiata, non deve essere stato semplice, ti ammiro moltissimo. E quando proprio ti sembrava di sentire "too much pressure"?


D - Io personalmente metto su una bella canzone di Pino Daniele che mi ricollega alla mia città e mi fa ricordare chi sono e da dove vengo. Spesso la musica ci aiuta a staccarci un po’ dalla realtà quando ci sentiamo un po’ persi. In questi casi, molti di noi ci andiamo a ritagliare un spazio per riflettere e ricaricare le energie mentali. A volte basta semplicemente una camminata durante una pausa pranzo per ritrovare il piglio e l’ispirazione giusta.

Capita a tutti di avere un giornata dove si é meno produttivi ma basta avere fiducia che il giorno dopo é possibile recuperare il ritmo che cercavamo. Lavorando in team d’altronde, é più semplice perché le responsabilità possono essere spesso condivise.



P - Questo della musica mi sembra un ottimo suggerimento per tutti quelli che temono di non gestire bene l‘ansia. Perché poi specie all‘inizio, non c‘è solo il lavoro a cui pensare, bisogna occuparsi di tutto, dalla casa, alle questioni burocratiche...


D - Non é sempre facile affrontare tutto perché nella vita possono capitare vari imprevisti. Quando pensi di essere pronto a tutto ti capita di smarrirti alle prime difficoltà. In quei casi, se si incrociano le dita e si spera che la burrasca passi in fretta, nella maggior parte dei casi si ottiene un risultato opposto. Non è sempre semplice ma bisogna provare a rallentare il ritmo in modo da risolvere i problemi uno alla volta.

Per quanto riguarda le questioni burocratiche incluso la ricerca di una sistemazione, fortunatamente nel Regno Unito non ci sono molti impedimenti riscontrabili nel sistema italiano e questo aiuta molto anche coloro che sono agli inizi.



P - Spiegami meglio. Questa sembra essere un’informazione davvero interessante per i nostri lettori.


D - I servizi governativi per esempio sono tutti online e i cittadini non sono obbligati a recarsi personalmente ad uno sportello di immigrazione per la richiesta di un visto o il rilascio di un documento di identità. Anche il sistema medico segue gli stessi principi quindi il cittadino riesce ad avere un controllo più preciso dei propri diritti. Tutto questo aiuta a ridurre lo stress anche per coloro che sono in procinto di trasferirsi per motivi di lavoro o studio.

In alcuni casi le agenzie possono dare supporto nella ricerca di una sistemazione nel caso in cui si provenga dall’estero.



P - un motivo in più per pensare seriamente di fare questa esperienza. But the question of the ages is: dopo 10 anni a Londra, ti sentiresti di suggerire ad un diplomato di provarci? Ci sono realmente possibilità di riuscire a costruirsi un futuro? Dopotutto avranno anche gli inglesi i loro bravi designer.


D - Con le nuove leggi, potrebbe esse più complicato conseguire un lavoro perché bisogna ricevere un invito da parte di un’azienda che dovrà avere l’interesse a investire su un individuo che risiede al di fuori dal territorio britannico.

Il mercato del lavoro a Londra é molto attivo e la richiesta di personale é molto viva. C’é una grande rete di recruiter ad indirizzo creativo che lavora molto sul networking con le aziende. Il mio consiglio é di costruirsi un buon portfolio che possa riflettere al meglio le proprie qualità e anche se a distanza, cominciare a creare un contatto con i recruiter in modo da individuare – in accordo con le attuali leggi di immigrazione, le opportunità che offre il mercato.

Però in generale mi sento di dire che prima di tutto bisogna seguire il proprio istinto e gli interessi cercando di non sentirsi legato ad un paese o ad una cultura. Essere aperti al cambiamento.



P - Hai ragione. Daniele dal tuo interessantissimo racconto mi pare di capire che difficilmente ritornerai in Italia, mi sbaglio?


D - Anche se preferisco non fare programmi a lungo termine, per scaramanzia preferisco rispondere con un ‘Mai dire mai’.



P - Ok, non voglio rubarti altro tempo, è stato tutto molto interessante. Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza, sono sicuro che tornerà utile a molti giovani designer e creativi che non vedono l‘ora di poter affermarsi.


D - Grazie mille per l’invito. Lasciami fare un augurio e un saluto a tutti i vostri lettori e studenti, nella speranza di riuscire a realizzare i propri sogni e ambizioni.




Il suo portfolio


DANIELE SIGNORIELLO

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07.07.2022 # 6096

Generazione ILAS: intervista a Marco Civale

Tra mille passioni e un canale Youtube, il fotografo e retoucher Marco Civale si racconta in un‘intervista per Generazione Ilas

di Urania Casciello

Marco Civale è fotografo, fotoritoccatore e creatore di contenuti. Nato in un piccolo paese a pochi passi dal mare, vicino alla Costiera Amalfitana, dopo aver frequentato il Corso di Fotografia a Napoli, vive e lavora a Londra. Artista con tantissime passioni, ha aperto un canale YouTube che gli permette di aiutare con i suoi tutorial chiunque abbia i suoi stessi interessi per la fotografia e il fotoritocco.

Hai sempre saputo di voler diventare fotografo?
Ho tantissime passioni, la fotografia è stata una scelta tra le tante, in quanto non è l‘unica cosa che amo, ma che mi permette di unire tutta la mia creatività. La fotografia è arrivata attraverso un percorso fatto nel tempo.

Che ricordo hai del percorso alla Ilas?
Ricordo con piacere tutti gli shooting fatti con Ugo Pons Salabelle e con Fabio Gordo. Da fotografo dilettante ho acquisito le conoscenze per essere un professionista. Investire in formazione è sempre la scelta giusta da fare ed è la chiave per il successo. Da quando ho iniziato a studiare non ho mai smesso e ancora adesso continuo ad approfondire e studiare.


Dalla Ilas sei finito subito a Londra. Raccontaci un pò.
Subito dopo l’esperienza alla Ilas, con il portfolio realizzato, ho trovato lavoro a Londra in un‘agenzia come fotografo e fotoritoccatore per poi diventare coordinatore della fotografia.La preparazione scolastica e poi aziendale mi hanno dato la possibilità di abbracciare una forma mentis strutturata. Ora lavoro come fotografo freelance e creo contenuti per il mio canale Youtube.



Su quali progetti ti sei concentrato nell’ultimo periodo?
I progetti su cui mi sono concentrato sono diversi, da foto per brand di make up a prodotti naturali o floreali. Tra i brand di abbigliamento troviamo Sister Jane, Marina Rinaldi, Fabrizio Viti tra i tanti.



Come è partito il progetto del canale Youtube?
In passato mi ero già occupato di video recensioni. Diventato fotografo professionista ho iniziato a fare video sulla fotografia per il semplice fatto che ho notato che mancava, soprattutto sul fronte italiano, una sorta di approfondimento su alcune tematiche. Aiutando gli altri, si può poi nel tempo ampliare i propri progetti e ambire ad altro. Durante la pandemia, stando tanto tempo in casa, ho sacrificato il mio tempo per dedicarmi tantissimo al canale.



Che consiglio daresti a chi si sta avvicinando ora al mondo della fotografia e del fotoritocco?
Consiglio di non pretendere troppo da se stessi, la fotografia è una cosa che arriva con il tempo. Consiglio di sperimentare tanto e di non avere paura del giudizio degli altri, perché iniziamo tutti da zero. Consiglio inoltre di seguire il proprio istinto, tutti mi dicevano di non andare via e invece ora sono a Londra e sono fiero della scelta che ho fatto.



Chi è il tuo fotografo preferito, perché?
Andrò contro corrente e piuttosto che guardare al passato guarderò al presente. 
https://www.instagram.com/ianhippo è una grande! Penso sia la mia fonte di ispirazione e dietro ogni sua fotografia si riesce a distinguere la ricerca fotografica ed il lavoro di squadra. Anche lui in quel di Londra, chissà se un giorno avrò la possibilità di collaborare con lui. Ha un canale YouTube dove mostra alcuni retroscena dei suoi shooting, seguitelo!



Tre persone che vorresti fotografare? 
1) HoYeon Jung - quando l‘ho vista recitare in Squid Game mi hanno colpito i suoi tratti. Super espressiva e penso possa essere una modella molto interessante proprio per le espressioni ed i tratti delicati che ha.
2) Lorde - adoro le sue canzoni e rispecchiano molto il mio carattere, è quasi sempre presente in sottofondo mentre scatto o ritocco. Si è capito che mi piacciono i volti delicati. 
3) Jennifer Lawrence - innamorato follemente di lei in Hunger Games, Passenger, the Avengers ed altri. Le farei delle foto perché è pazzesca!



Per un mese puoi scattare o a colori o bianco e nero?
Il bianco e nero lo userei per i ritratti. Ma la mia risposta è 100% colori.



Come ti vedi tra 10 anni?
Spero di avere un mio studio a Londra e insegnare fotografia in giro per il mondo.


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27.06.2022 # 6084

Generazione ILAS: intervista a Anna Ventrella

Tra diari d’infanzia e libri che hanno cambiato la sua vita, la Content Manager Anna Ventrella si racconta in un’intervista per Generazione Ilas

di Urania Casciello

Anna Ventrella, classe ‘86, inizia a capire che la scrittura sarebbe stata la sua migliore amica nella vita all’età di 10 anni. Durante gli anni del liceo sperimenta la sua passione componendo poesie, monologhi teatrali e racconti. Un suo monologo teatrale lo recita anche in uno spettacolo a cui prende parte come attrice. Per diversi anni il suo grandissimo amore è stato il teatro, accumulando ben 15 anni di “divertimento” nella nobile arte della recitazione. All’università si avvicina al mondo del cinema, passione da sempre presente nella sua vita e decide di partire per Roma, facendo la sua primissima esperienza lavorativa come assistente alla regia per la Taodue. Per un anno lavora come assistente alla regia, avendo anche la fortuna di conoscere da vicino il set cinematografico di Gomorra - produzione della Cattleya. Si accorge, in realtà, presto che quella non era la sua strada. Trascorre un due anni a fare esperienze lavorative ancora differenti, che l’avvicinano sempre più al mondo della vendita. Il master in Social Media Marketing all’ILAS diviene determinante per la sua carriera, perché è lì che inizia a capire qual è veramente la sua strada, ovvero il web copywriting. La collaborazione dapprima con una web agency sul territorio napoletano e poi in un e-commerce di moda, in qualità di web copywriter, le fanno capire che la sua strada è il mondo della scrittura per l’online. Fonda la sua azienda ANSELU’, creando un gruppo di lavoro di 10 persone, tutte appassionate di comunicazione e content marketing con le quali segue progetti di digital marketing.


(Urania Casciello) Come mai hai deciso di fare questo lavoro?
(Anna Ventrella) Ho sempre amato la scrittura, fin da piccola scrivevo poesie, avevo i miei diari. Uno dei primi regali a cui tengo di più è proprio un diario che ho riempito tutto e oggi qualche volta lo rileggo, questa cosa mi fa tanto sorridere. Poi, una mia cara cugina mi ha spinto verso la scrittura e da lì ho capito che scrivere sarebbe potuto essere un lavoro. Quando poi sono andata alla Ilas, ho avuto due docenti che sono stati determinanti: Fulvio Iannucci e Mariya (Mascia) Zakhryalova.

Abbiamo già voglia di leggere qualcosa di tuo, dove possiamo farlo?
Tra le realtà con cui collaboro c’è Studio Samo per il quale mi occupo di scrittura di articoli di blog, un lavoro che mi da modo di studiare costantemente e conoscere e approfondire tanti nuovi argomenti. QUI tutti gli articoli realizzati per Studio Samo. Tra gli altri lavori realizzati nell’ultimo periodo troviamo https://www.mobydicktoken.net/ e per Arkys, agenzia con cui collaboro, https://iquadro.energy. 

C’è qualche progetto che ti ha appassionato ultimamente?
Scelgo sempre progetti che mi appassionano, tutto quello che faccio lo faccio con amore e dedizione, in particolare da dicembre ho iniziato a seguire un progetto sulle criptovalute e blockchain. È un progetto molto sfidante che mi da la possibilità di sperimentare in un settore nascente che sarà il nostro futuro.

C’è stata qualche esperienza lavorativa “difficile”?
Questo è un settore dove le cose “strane” sono all’ordine del giorno. Anche le incomprensioni, soprattutto adesso che si lavora da casa e ci si incontra meno dal vivo. Ed è facile non capirsi. Quindi quando si fa un lavoro come il mio devi diventare molto bravo ad entrare nella testa del cliente e capire le sue esigenze. Avere qualche “scontro” fa bene, sia a te stesso che agli altri, perché si cresce insieme. 

Cosa consigli a chi vuole intraprendere un percorso lavorativo come il tuo?
Creare contenuti è un lavoro molto impegnativo che richiede tantissimo studio e tantissime ore iniziali in cui devi metterti lì e capire l’obiettivo che vuoi raggiungere. Consiglio di fare tanti corsi di formazione, studiare tanto e fare networking. Per iniziare consiglio di lavorare proprio sulla scrittura del proprio blog personale.

Cosa fai per essere sempre aggiornata?
Seguo Alessio Beltrami, Luca Orlandini, Fabio Antichi.
Ma anche scrivere per Studio Samo mi dà la possibilità di studiare tantissimo! Diciamo che lavorare con tematiche diverse mi mette sempre nella condizione di imparare. Più fai, meglio è. Inoltre, proprio con Fabio Antichi e con il format di interviste Aperiweb ho avuto la possibilità di parlare e conoscere diversi esperti di settore e quindi è sempre stato facile rimanere aggiornata su un sacco di tematiche interessanti. 

Tre cose di cui non potresti fare a meno sulla terra.
I propri affetti, la musica e lo sport.

C’è un libro che ti ha cambiato la vita?
Ce ne sono due: Padre ricco, padre povero di Robert T. Kiyosaki e Le Armi della Persuasione di Robert Cialdini. Il primo mi ha cambiato la vita perché dopo averlo letto sono passata da dipendente a libera professionista. Il libro parla di investimenti ma si può leggere da tutti i punti di vista, quello più importante: investire su se stessi. Il secondo mi ha aiutato tantissimo perché si concentra molto sulle tecniche che possono essere utilizzate per influenzare il nostro interlocutore. Poi c’è Lettera a un bambino mai nato scritto da Oriana Fallaci che porto sempre nel cuore, soprattutto la parte sulla Polvere di Luna.

E invece un film?
Non c’è un film in particolare ma amo tantissimo la filmografia di Robin Williams e Tom Hanks.  La figura cinematografica che invece ha influenzato di più il mio percorso di vita è Charlie Chaplin.

Che cosa ti tira giù dal letto la mattina?
La voglia di fare meglio e di più.

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Scrivo per le persone.

Come ti vedi tra 10 anni?
Spero di vivere in Toscana in un bel casale dove apro la finestra e vedo il verde. Spero di lavorare ma non troppo e di avere una famiglia.

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16.05.2022 # 6059

Generazione ILAS: intervista a Simona Falco

Tra comunicazione, social nel presente e nel futuro (Metaverso), passando per creatività e razionalità, Simona Falco si racconta in un'intervista per Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Simona Falco si occupa di comunicazione digitale.
Da due anni lavora presso l'Università Ca' Foscari di Venezia come "Communication Manager e supporto all'organizzazione e al coordinamento degli eventi" per un progetto europeo che mira a trovare nuove forme di collaborazione tra le imprese culturali e creative (CCI) e le imprese manifatturiere avanzate (AVM) che abbiano innestato un processo di innovazione nell'ambito delle nuove tecnologie e della comunicazione innovativa. Dal 2016 collabora come social media manager freelance con varie agenzie di comunicazione e pubblicità italiane e con aziende italiane in maniera autonoma. Ha esplorato l'ambito pubblicitario in senso stretto realizzando alcune sceneggiature per spot pubblicitari e ha approfondito l’ambito della scrittura per la televisione prendendo parte ad un gruppo autoriale di un piccolo format tv tutto al femminile.




Come ti descriveresti?
Se dovessi pensare a quattro aggettivi adatti a descrivere la mia personalità direi: curiosa, tenace, creativa e con una buona dose di intelligenza emotiva.Da sempre mi affascina la comunicazione in tutte le sue forme, convivono in me due parti diverse in un equilibrio personalissimo: l'amore per la creatività e l'esigenza di razionalità e concretezza. Non ho voluto rinunciare a nessuna delle due parti bensì le ho coltivate entrambe. Ho conseguito la laurea in economia aziendale, con tesi in marketing: “gli eventi quali strumenti di comunicazione commerciale per lo sviluppo del territorio”, e nel contempo ho preso il diploma in recitazione e regia teatrale, che ho approfondito recensendo spettacoli teatrali come apprendista giornalista nel settore cultura e spettacolo presso una testata giornalistica.Ho esplorato quindi cosa vuol dire comunicare con il corpo, con le parole, con le luci, con i silenzi, come l'altro risponde agli stimoli esterni e nel frattempo ho studiato i metodi e i processi di comunicazione e pubblicità aziendali. La mia vera curiosità è scoprire come funziona l'essere umano e grazie a questo tipo di formazione ho cominciato a capire e sperimentare come l'uomo processa le informazioni, le sue emozioni, per riuscire a trovare modelli comunicativi adeguati.

Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso che il tuo percorso lavorativo sarebbe stato nel mondo dei social?
In realtà non l'ho deciso ma sta accadendo da quando mi sono iscritta alla Ilas. Mentre seguivo il Corso di Social Media Marketing già facevo pratica per un'azienda. Pian piano ho costruito un portfolio clienti in vari settori, come fashion, il food ad enti di formazione. Negli ultimi anni sto dando priorità a progetti culturali innovativi, come quello che seguo per l'Università Ca' Foscari di Venezia e la collaborazione con il Palazzo Reale di Napoli per il "Summer Fest". La comunicazione degli eventi culturali mi appassiona molto, sono un ottimo strumento per lo sviluppo del territorio e una grande attrazione per il turismo.

Cosa ti affascina del mondo della comunicazione e nello specifico dei social?
La ricerca e la creatività. Mi piace molto sperimentare. Di certo c’è un gran lavoro di analisi per elaborare una strategia di comunicazione da cui scaturisce una campagna pubblicitaria ma non è una scienza esatta. Non saprai mai in anticipo se l'idea funziona. Che sia un post, uno spot o un evento bisogna agire in maniera creativa in linea con la strategia, raccogliere i risultati, controllare i dati e su questi riassestare le idee. Lo stesso vale per uno spettacolo teatrale o un'opera d'arte, in quanto, ci si rivolge alla sensibilità delle persone e la mente umana è spesso un'incognita. Il Neuromarketing, su questo ci viene in soccorso. Bisogna conoscere bene i processi che sono alla base della comunicazione per colpire il bersaglio. L'incognita è il rischio più grande che c'è in questo lavoro e chi opera con successo la percepisce come una sfida.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Nel 2015 mi resi conto che i social incominciavano ad occupare uno spazio importante nella vita delle persone e delle aziende, così decisi di approfondire. All'epoca mi occupavo di teatro, avevo appena firmato la mia prima regia teatrale per uno spettacolo al piccolo Teatro Bellini di Napoli e lavoravo come direttore casting. Un giorno, un mio collega mi incaricò di organizzare un casting per la ricerca di due attori per uno spot pubblicitario da realizzare all'interno di un corso della Ilas. Così scoprii l'esistenza di ciò che cercavo, un istituto di grande professionalità con docenti che esercitavano il mestiere che insegnavano, cosa fondamentale e non sempre scontata. Me ne innamorai e decisi di iscrivermi a due corsi: “social media manager e web marketing” e “comunicazione e pubblicità 2.0” frequentando anche il laboratorio di pubblicità. Mi aprí la mente! Un anno meraviglioso in cui imparai tantissimo. I percorsi della Ilas offrono una formazione completa nell’ ambito della comunicazione digitale con professionisti disponibili e aperti al dialogo. Partivo da zero sui new media ed ora il Business Manager è il mio amico fidato, ma la cosa più importante è stata acquisire il mindset giusto.

Parlaci un po' del tuo lavoro alla Ca' Foscari. Come è iniziata questa avventura? In che modo sta procedendo?
Due anni fa ho vinto un bando presso l'università Ca Foscari di Venezia per occuparmi di un progetto Interreg Central Europe "COCO4CCI" nel quale sono coinvolti sei paesi europei, Italia (con l'Università Ca’ Foscari e Confindustria Veneto Siav), Germania, Austria, Slovenia, Polonia e Slovacchia. I ricercatori stanno sviluppando una roadmap per implementare collaborazioni lavorative fruttevoli tra (CCI) e (AVM) dell'Europa centrale, che abbiano innestato un processo di innovazione, attraverso il lancio di diverse "Challenge" concrete. L'ambito di intervento riguarda l'innesto di nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale, la sostenibilità, la digital transformation, la comunicazione innovativa per la crescita economica e sociale dei paesi coinvolti.All’interno di questo meraviglioso progetto, mi occupo sia della comunicazione online e offline delle attività interne ed esterne che dell'organizzazione e coordinamento delle"challenge" in tutte le sue fasi, partendo dalla divulgazione delle sfide (in qualità di ufficio stampa e social media manager) al reclutamento dei creativi professionisti all'organizzazione delle visite aziendali, dei webinar di formazione, fino al pitch finale, nel quale i creativi sviluppano l'idea innovativa per risolvere il problema aziendale precedentemente definito dalle imprese italiane scelte per il progetto. Un contesto innovativo e dal respiro europeo. Sono molto orgogliosa di far farte.

Strategia e Piani editoriali, raccontaci una giornata tipo di una social media manager.
Già da 5 anni, gran parte del mio lavoro lo svolgo in smart working. Questo ha aumentato lamia produttività permettendomi di creare una rete di contatti con i vari professionisti di questo settore creando collaborazioni fruttevoli e consolidatesi ne tempo.Negli orari lavorativi sono sempre reperibile e a disposizione dell' agenzia con la quale collaboro e/o con i clienti che gestisco autonomamente.Quindi in genere, la mattina la dedico ad allinearmi sull' ordine del giorno e poi si parte!Un piano di comunicazione scaturisce da un’analisi approfondita del brand, dei competitor e del mercato di riferimento. Si passa poi all’identificazione del target di riferimento e degli obiettivi a breve e lungo termine. Su questi elementi si elabora una strategia di comunicazione dalla quale scaturisce il piano editoriale, che è l'insieme delle azioni da intraprendere per espletare la strategia comunicativa.L’art director e il copywriter traducono in immagini e parole ciò che si vuole comunicare.Essendo freelance mi occupo di tutte queste fasi, ad oggi più a livello strategico collaborando con ottimi professionisti del settore, nei vari ambiti diversi in base alle esigenze specifiche del cliente.Dopo una lunga gavetta di lavoro operativo sui social, che mi ha permesso di comprendere bene come funzionano le campagne pubblicitarie (soprattutto su Facebook, Instagram e linkedin) oggi do molto spazio ed importanza all'elaborazione della strategia e alla definizione degli obiettivi. Qualsiasi post, campagna pubblicitaria, spot pubblicitario, evento osito ecommerce deve essere funzionale alla strategia. L'improvvisazione non porta da nessuna parte. 

Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi?
Di sicuro il lavoro con l'università Cà Foscari di Venezia. Lavorare fianco a fianco con ricercatori universitari, direttori scientifici di progetto, Confindustria Veneto, dirigenti di alcune tra le più grandi aziende italiane è stato molto formativo. Inoltre interagire con le rispettive realtà nei vari paesi europei partner di progetto mi ha dato una visione più ampia di cosa accade in Europa in questo ambito.Molto formativo è stato anche l'approfondimento del settore delle nuove tecnologie innovative applicate sia alle aziende manifatturiere che alla aziende creative. C'è da dire che anche la collaborazione con diverse agenzie di comunicazione e pubblicità mi ha formato molto. Ho capito quali erano i miei limiti e i miei punti di forza e ci ho lavorato affinando il "metodo di lavoro". Di fondamentale importanza in un'agenzia è il lavoro di squadra, il rispetto per il lavoro altrui e lo scambio di idee. Il brainstorming, che è una delle tecniche di gruppo per far emergere idee creative, è un strumento che mi piace molto.

Essere aggiornati è alla base del lavoro di un Social Media Manager. Cosa fai per tenerti al passo coi tempi? 
Segui qualche sito/rivista/guruin particolare?Seguo ciclicamente corsi di aggiornamento, cosa fondamentale in quanto nel settore dei social media le cose cambiano molto velocemente. L’aggiornamento è fondamentale e la creatività è l'elemento di successo di una campagna pubblicitaria ma va costantemente allenata, infatti seguo ciclicamente dei laboratori per svilupparla sia in termini pratici che di mindset. Ad esempio, ultimamente, ho approfondito l’impiego del Design Thinking, un approccio all’innovazione basato sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione e una gestione creativa. Sono specializzata nella promozione di eventi culturali e creativi, in questo periodo, sto proprio effettuando uno studio su cosa accade in Italia e in Europa in questo ambito con uno sguardo particolare alle comunicazione innovativa.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di formarsi e studiare in centri accreditati e/o con professionisti del settore come la Ilas avere tanta costanza e ambizione, lasciare un occhio aperto sulle nuove tecnologie e sviluppare skill creative. Le tecnologie evolveranno ma il fattore umano non potrà mai essere sostituito, nella fattispecie, la sua capacità di trovare soluzioni creative.

Come pensi che evolveranno i social tra qualche anno?
Da un lato c'è la questione della sicurezza dei dati, dall' altro c'è un gran parlare su cosa diventerà il Metaverso. Secondo un rapporto della banca d’affari JP Morgan, diventerà un mercato da 1 trilione di dollari di revenue annuali.In linea generale si pensa che il Metaverso rivoluzionerà internet trasformandolo in una rete non di pagine web, ma di luoghi immersivi, interconnessi . Un'altra ipotesi lo definisce non come realtà sintetica ma come il mondo che vediamo arricchito da oggetti e informazioni digitali che si sovrappongo alla nostra visione. Accadrà quindi che gradualmente sempre più persone lasceranno i social media per immergersi in mondi più coinvolgenti e i brand, gli influencer e anche le istituzioni, dovranno interrogarsi su come poter essere parte di questo nuovo web. Le piattaforme di gioco e di intrattenimento, ad esempio, si stanno trasformando sempre più in luoghi di socializzazione, molti grandi brand li stanno già sperimentando. Balenciaga, Nike, Moncler, hanno scelto "Fortnite" per mettere in vendita i loro capi iconici per vestire gli avatar dei giocatori.

Ci sono degli account social che segui con interesse e che ti piacciono come vengono gestiti?
Mi viene subito in mente Taffo, che ha fatto dell’ironia e del real time la chiave del suo successo per i social con slogan spesso provocatori e decisi, sdoganado il black humour inItalia. una scelta coraggiosa rivelatasi vincente. Oreo e Kitkat hanno fatto storia con la mossa partita da un tweet di un utente che scrisse: “Posso dire che mi piace un po' troppo il cioccolato quando seguo @KITKAT e @Oreo.Dopo poco arrivò la risposta di Kit Kat che sfidava Oreo al gioco del "Tris" offrendo al rivale la possibilità di risposta. Oreo rispose rifiutando con educazione e complimentandosi con KitKat.McDonald's, quando si aprì al settore caffetteria nel 2015, milioni di persone in molti paesidel mondo aderirono alla campagna fortemente social presentandosi nei punti vendita vestitiin pigiama in cambio di una colazione gratis, facendo entrare il tweet #ImLovinIt nei trendtopic mondiali già al mattino.In ambito culturale il MoMA è il museo più seguito al mondo sui social media, molto attento ai trend della comunicazione digitale e veloce ad approdare per primo sulle nuove piattaforme, sulle quali costruisce la maggior parte del suo seguito proprio nelle fasi iniziali del processo. All’inizio del lockdown, ad esempio, realizzò una serie di contenuti per fornire consigli sui film da guardare a casa e offrí suggerimenti per far disegnare i bambini.Ancora Ceres, Fanpage, Freeda, the Jackal, Lego. Questi sono esempi a cui ispirarsi.Da non sottovalutare è l'Influencer marketing, soprattutto nell'ambito del makeup e del fashion nei quali è diventato una risorsa indispensabile.Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.Me ne viene in mente solo una ed è l'amore, in ogni sua forma. Dopo la salute ovviamente ed infine il buon cibo.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?
La consapevolezza che tutto può cambiare e cambierà. La curiosità di vedere in che modo.

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Gli direi che faccio conoscere i prodotti, che le fabbriche producono, alle persone che ne sono interessate attraverso un meccanismo magico.

Come ti vedi tra 10 anni?
Inutile fare piani e previsioni, la mia vita cambia ogni 5 anni. Vediamo cosa accade.

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26.04.2022 # 6032

Generazione ILAS: intervista a Vanda Petrella

Tra musica, città Europee, sogni, magie, fotografia e graphic design, Vanda Petrella si racconta in un'intervista per Generazione Ilas.

di Urania Casciello

Vanda Petrella, nasce nel Sud Italia, a Capua, nel 1990. Laureata in Giurisprudenza, ha studiato Fotografia, Graphic Design e Social Media Marketing. Dopo aver trascorso gli ultimi anni tra Roma e Londra, attualmente vive e lavora a Berlino.

Come ti descriveresti?
Complessa e mutevole. Una curiosa esploratrice. 

Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso che volevi diventare fotografa? 
In realtà non c’è stato un momento preciso, lo descriverei più come una graduale presa di coscienza. Un processo che ha radici lontane.
Mio padre che scatta in continuazione fotografie con la sua camera (una Yashica FR2 che ad oggi utilizzo spesso per i miei lavori) e un mobile pieno zeppo di rullini sviluppati e fotografie stampate sono i primi ricordi. Ma il primo approccio reale, consapevole, è avvenuto nel 2012. Vivevo in Spagna, a Granada, e una delle mie coinquiline era una fotografa, Laure. Con lei ho iniziato a scattare foto durante i nostri viaggi e capire davvero come funzionasse una reflex. Dopo quell’anno incredibile in Spagna la fotografia non mi ha mai abbandonata e credo sia stato più o meno nel 2016 il momento in cui ho realizzato che quella era la strada che volevo percorrere. 

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
La fotografia è una porta che ti apre a nuovi mondi, ti consente di navigare attraverso immaginari visivi e di dare nuove possibilità alla realtà. Mi piace vivere in quel piano di sospensione tra il reale e l’immaginato. A differenza di altre arti visive come la pittura o l’illustrazione, la fotografia non è mai astrazione al 100% ma parte sempre e inevitabilmente da un contatto con la realtà. L’interazione che avviene attraverso la macchina fotografica è con elementi reali che esistono nello spazio, a prescindere che siano persone, oggetti o paesaggi. Ciò che poi ne viene fuori è solo una delle possibili e infinite interpretazioni.



Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
L’anno trascorso all’Ilas, durante il quale ho frequentato contemporaneamente il Corso di Fotografia e di Grafica, è stato un anno di crescita, di stimoli e di nuove prospettive. Ho avuto degli insegnanti che sono stati in grado non solo di darmi delle solide basi tecniche, ma soprattuto di andare al di là del mezzo, insegnandomi il significato di un linguaggio, quello visivo. Ho imparato tanto, ma allo stesso tempo mi sono divertita e ho conosciuto delle persone che ancora oggi fanno parte della mia vita personale e professionale. 

Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
La più grande sfida lavorativa è stata proprio riuscire a lavorare con la fotografia e la grafica! È stato molto difficile all’inizio trovare delle opportunità che non solo mi consentissero di mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato, ma che allo stesso tempo fossero sufficientemente remunerative. Guardando indietro, i primi shooting sono stati delle vere e proprie avventure! Il lavoro era tanto ed il budget serviva solo a coprire le spese. Ma avevo bisogno di fare esperienza, di mettermi alla prova. Quindi ho accettato lavori per i quali mi trovavo a scattare su set diciamo “non convenzionali”, nel salone di casa o nel giardino. Quando si dice fare di necessità virtù!

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?

Questa foto è tratta da “Blooming”, uno degli ultimi progetti che ho realizzato qui a Berlino, pubblicato sulla rivista PurpleHaze Magazine. Mi interessa molto raccontare la femminilità da un prospettiva femminile, restituendole autenticità e superando le mille narrazioni maschili che da sempre sono state dominanti. L’idea è quella di ritrarre delle Muse, in grado di ispirare se stesse e altre donne, in uno spazio sacro che appartiene solo a sé stesse e nel quale sono libere di esplorare la femminilità al di là delle banali etichette che ne sono state date. 




Sul tuo sito c'è una sezione dedicata a ResistDance, una serie di foto analogiche scattate a Berlino che ritraggono gli ingressi dei più importanti Club della città. Raccontaci come è nato il progetto e se hai qualche aneddoto da raccontarci. 

RestistDance è una serie di foto a cui sono legatissima, non solo perché è stato il primo progetto realizzato a Berlino, ma anche perché ha coinciso con un grande momento di cambiamento nella mia vita.

 
Berlino non è una città d’impatto, come Londra o Parigi, è un luogo che va scoperto lentamente. Contiene molti angoli nascosti e magici, ma bisogna addentrarsi, sapere dove andare. I club berlinesi, più di tutti, sono i luoghi nei quali si può cogliere l'energia della città. Sono delle vere e proprie istituzioni ed io non volevo assolutamente perdermeli. Purtroppo il tempismo non è stato dalla mia perché dopo solo una settimana dal mio arrivo hanno chiuso di nuovo tutto. Ma non ho desistito, ho deciso di andare comunque a vedere tutti i principali club. Sapevo che in ogni caso, sarebbero stati dei luoghi interessanti. E a quel punto è iniziato un viaggio nel viaggio, scandito da porte chiuse, dietro le quali si nascondeva un mondo temporaneamente inaccessibile. Più scattavo e più il progetto svelava il suo duplice significato: da un lato la testimonianza di una mia personalissima esperienza, dall’altro il racconto di un momento storico di transizione che aveva coinvolto le vite di tutti. 

 
Il Berghain è stato il più difficile. Quando sono arrivata davanti a questo maestoso edificio ho trovato moltissime persone impegnate a scattare foto, come normalmente succede solo davanti a un monumento. All’improvviso un uomo con il suo carrello della spesa si ferma a contemplare l’enorme scritta che si trova sull’edificio:  “Morgen ist die frage” - “Domani è la domanda”. E in effetti il domani era la domanda che tutti ci stavamo ponendo. Poco dopo, girato l’angolo il mio sguardo si posa su una grossa scritta su un muretto: RESISTDANCE. In quel momento di riflessione e di incertezza, quella scritta mi è sembrata un messaggio rassicurante, ed è lì che è nato il nome del progetto. Non solo la resistenza della musica e della club culture, ma una resistenza collettiva che non lasciava fuori nessuno.


Berlino, Londra, Roma? Cosa hai amato di queste tre città? In quale altro luogo vorresti vivere?
Roma è maestosa e caciarona.
Londra è spettacolare e piena di stile.  
Berlino è folle e creativa. 
 
Mi piacerebbe vivere a Parigi o Barcellona. C’è un richiamo crescente verso luoghi che mi ricordano casa. Non solo per il clima o la lingua, ma soprattutto per il modo di vivere la città. A Berlino tutto avviene all’interno, nei luoghi chiusi. Bar, ristoranti, club. Le strade sono sempre poco affollate e silenziose. Mi piacerebbe in futuro spostarmi in una città dove si vive di più all’esterno, dove la strada è viva e fa rumore. 

C'è un fotografo che ami più di altri? 

Carlota Guerrero. 
È una fotografa, donna. Il suo sguardo è rivolto tutto all’universo femminile ed è davvero rivoluzionario. Scatta in analogico ed ha definito l’estetica di alcune delle mie artiste preferite, come Solange o la poeta Rupi Kaur. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di darsi tempo e di essere fedele al proprio sguardo. Ah e poi evitare di confrontarsi con gli altri aiuta molto! Siamo talmente bombardati da immagini e da gente che fa cose, che spesso perdiamo il focus. Bisogna concentrarsi su se stessi e sul proprio percorso. 

Ci sono film da guardare, riviste da seguire, che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Consiglio di nutrirsi di contenuti di qualità e soprattutto selezionati, seguendo una propria ricerca. Chiunque voglia intraprendere la carriera di fotografo dovrebbe avere un po’ di conoscenza del cinema, seguendo i propri gusti. Tra i miei preferiti Fellini, Lina Wertmüller Spike Lee, e Iñárritu. 
Le riviste sono bellissime e piene di spunti e stimoli. Io seguo moltissimo riviste come Crack Magazine, Wip Magazine e Brick Magazine.

Se la fotografia fosse un brano musicale, quale sarebbe e perchè?
Troppo difficile trovare un brano solo! Però quando ho iniziato a scattare ascoltavo moltissimo i Buena Vista Social Club, e quell’unione di vitalità e nostalgia, tipico della musica latina, la ritrovo e la ricerco spesso nella fotografia. 

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? 
Bianco e nero. Normalmente vedo e immagino tutto a colori, uso poco il bianco e nero.  Sarebbe interessante cambiare sguardo per un giorno.

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Il cibo
La musica 
Le persone 
 
Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 
L’ansia.
Per quanto ami dormire, il lavoro, e le tante cose da fare mi fanno attivare abbastanza presto la mattina. 
 
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Bellezza e magie. 

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05.04.2022 # 5986

Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

di Urania Casciello

Flavia Tartaglia, classe ’86, si avvicina alla scrittura creativa fin da bambina, trovando nelle parole la sua personale forma d’espressione. “Dove trovi le parole?”, “Si trovano nel vocabolario. Io le trovo nello stato di coinvolgimento”. Approda al mondo della comunicazione attraverso svariate collaborazioni e percorsi formativi presso testate giornalistiche, conseguendo il tesserino da giornalista pubblicista nel 2009 e divenendo di lì a poco direttore responsabile ed editore di un web magazine di arte e cultura e responsabile ufficio stampa di un gruppo di soprano. Dopo aver studiato Fotografia Pubblicitaria Pro presso la Ilas Academy e Fotografia di Scena con Mario Spada e CFI, si specializza in Fotografia di Scena, maturando esperienza presso Teatro Bellini, Teatro dell'Opera di Roma, Campania Teatro Festival Italia, Teatro Mercadante, Teatro Palapartenope - Casa della Musica, Teatro Ambra Jovinelli, Teatro romano di Ostia Antica, Teatro Tram, Teatro Bolivar, Teatro Nest, Macadam Theatre e Bus Theatre, Sala Assoli, Sala Moliere e molto altro. Ha esposto in collettiva presso Palazzo Ferrajoli (Roma) pubblicando con casa editrice Pagine; presso PAN Palazzo delle Arti (Napoli), pubblicando nel catalogo della mostra. Ha lavorato presso Palazzo Fondi - Barrio Botanico, Napoli. Lavora attualmente presso Teatro Bellini di Napoli.

Come ti descriveresti?
Una romantica. Nel senso che se non c’è uno stimolo emotivo, un’ispirazione che mi attira a livello sentimentale, non riesco ad attivare la mente, non riesco a creare, a muovermi, a fare. Questo vale in ogni ambito della mia vita, anche nel mio mestiere di fotografa, soprattutto nella fotografia di scena, Del Pia disse una frase nella quale mi rispecchio molto: “Perché io faccia un buon lavoro su uno spettacolo, devo nutrire dell'interesse autentico per quella ricerca o per le persone che lo mettono in scena. Quello che accade in scena, ha per me, a tutti gli effetti, la natura di una relazione amorosa".



Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso di voler diventare fotografa? 
È stato un momento molto intimo. Premetto che latentemente tutta la mia vita ha sempre orbitato attorno all’immagine, l’immagine ha sempre avuto un potere su di me, ma il momento in cui ho preso coscienza di voler fare qualcosa con l’immagine è stato quando ho visto la bellezza di un’artista, una donna soprano in scena. Quella Bellezza, un misto di eleganza e purezza, qualcosa che era al di fuori di questa realtà, di questa società (finalmente!), fu commovente per me al punto da essere preda del bisogno che tutti vedessero ciò che vedevo io. Credo che chi fa fotografia abbia molto più bisogno di affermare che di suggerire, la fotografia è una forma di espressione. 



Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
L’implicita richiesta di vedere oltre, quel momento in cui inizia in te la ricerca del modo più giusto, inquadratura, punto di vista, suggestioni, per portare in superficie, quindi fotografare, ciò che tu hai visto. Ad esempio mi piace molto lavorare con gli artisti, penso che ogni artista sia anche una persona, ma non tutte le persone sono anche artiste; il momento in cui scopro la persona dietro l’artista, questo mi affascina, è un varco non accessibile a tutti, sembra una conquista. 



Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
La Ilas è stata le mie radici. Senza questo percorso formativo non sarei quello che sono oggi. È stato per me quel tipo di scuola che insegna non solo qualcosa di teorico e pratico, ma ti insegna a pensare, in fine ad essere e, cosa più importante, a scegliere. I miei professori, Ugo Pons Salabelle, Fabio Gordo Chiaese e Felicia Nappo, sono stati dei veri e propri Maestri, con il valore che un tempo si dava a questo termine. Oltretutto li sento ancora, perché mi fido dei loro pareri, se mi dicono che ho fatto bene un lavoro mi sento in pace, soprattutto Felicia, per qualsiasi dubbio o confronto ancora la disturbo e la sua disponibilità mi commuove puntualmente. 


 
Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Fotografare uno spettacolo già in precedenza fotografato da un grande della fotografia di scena contemporanea che stimo tantissimo, temere quel confronto inevitabile, temere di non essere non dico all’altezza ma almeno non essere tanto più bassa. L’aneddoto è quando poi ho deciso di “farmi del male”, mostrando direttamente a lui quelle foto, il quale le ha apprezzate ma la mia risposta al suo apprezzamento è stato uno spontaneo, ovviamente incredulo, ed eccessivamente confidenziale “Seh, vabbè!”, poi mi sono subito ricomposta e ho sperato che non mi avesse sentito. 



So che il Teatro è una sorta di ossessione per te. Parlaci di questo amore e di come sei diventata fotografa di scena.
Come tutti gli amori, vanno vissuti a 360 gradi, infatti ho iniziato al teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale come personale di sala, poi ho collaborato per varie altre realtà teatrali, sono stata ufficio stampa, organizzatore teatrale, responsabile promozione e distribuzione, aiuto regia… insomma mi sono “impicciata” di un po’ di cose. Questo mi ha permesso di osservare molto il teatro, quello che accadeva sul palco, ma soprattutto quello che accadeva dietro: il palco è solo il punto visibile ai più, di un meccanismo invisibile immenso. Ho amato i suoi tempi, i suoi silenzi, i suoi odori, quegli angolini del teatro accessibili solo a chi ci lavora, che sono unici, poetici. Senza accorgermene, ho sviluppato una mia visione. Una sera, semplicemente, mi trovavo per lavoro a teatro, avevo la fotocamera con me perché l’avevo usata di pomeriggio per uno shooting still life alla Ilas, quindi ho iniziato a scattare, oltretutto senza permesso, da un palchetto, di nascosto. Tornata a casa, nel rivedere le fotografie al pc, ho sentito una soddisfazione immensa, sono finita in uno stato di coinvolgimento dal quale non si torna più indietro. Così ho iniziato a propormi ai teatri, soprattutto alle compagnie teatrali, a fare esperienza in questo ambito, pian piano a creare la mia cerchia di clienti. È una conoscenza inesauribile, come tutte le cose vive, forse è proprio questo costante apprendere, questo costante respiro, che mi cattura, non smetterò mai di imparare circa il teatro. Questo percorso non sarebbe andato nella direzione che volevo, però, senza essermi imbattuta nella conoscenza di cinque persone segnanti: Veronica Desiderio, donna e professionista dal valore inestimabile, la quale mi ha dato fiducia inserendomi nello staff di fotografi del teatro Bellini; Clara Bocchino, Maria Claudia Pesapane, Chiara D’Agostino che mi hanno fatto conoscere le loro compagnie teatrali, rispettivamente Putéca Cèlidonia, Ri.Te.Na. Teatro, Burlesque Cabaret Napoli, insieme alle quali ho mosso importanti passi di crescita ed evoluzione; infine Mario Spada, un uomo dall’umanità smisurata, un professionista che non ha bisogno di presentazioni. 



Fotografia di Scena e Fotografia Pubblicitaria. Pregi e difetti di queste due categorie. E se hai una preferenza. 
La fotografia pubblicitaria è la mia origine, se dovessi usare una parola per descriverla sarebbe “Perfezione”, questo per me è un grande pregio, anzi più che altro lo è la ricerca della perfezione, il perfettibile, che mi tiene viva. Nella fotografia pubblicitaria, ad esempio, difficilmente puoi consegnare ad un cliente uno scatto con una palese imperfezione, a meno che non ti chiedano di fare una ricerca personale al riguardo, che espressamente prevede qualche difetto come parte integrande del risultato. La fotografia di scena, invece, è quasi l’opposto. La prima volta che mostrai il mio portfolio di scena ad un fotografo di teatro mi disse “Le tue foto sono troppo perfette, devi sporcarti un po’!” Fu un commento importante per me, perché significava che avevo acquisito una regola e, si sa, solo se conosci le regole puoi superarle, altrimenti rischi di fare cose senza un senso, dalla frattura poi si riuscirà a creare il proprio stile personale. Alla fine di questo percorso di ricerca, ho capito che non sono due categorie così diverse tra loro, entrambe hanno lo scopo di raccontare qualcosa e di promuoverlo, quello che cambia sono le modalità e il terreno sul quale ti devi muovere, sicuramente non potrei mai rinunciare alla magia del teatro e a quello che la realtà teatrale fa alla mia mente; ma le amo entrambe e trovo me stessa sulla strada giusto a metà tra l’una e l’altra, nell’attimo in cui mi sento chiamata a fondere ciò che entrambe mi hanno insegnato. 



C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta? Perchè? 
Il ritratto di un’attrice, Clara Bocchino. Questo scatto fa parte di un book attrice che stavamo sperimentando, in quel momento non c’era una concentrazione o una particolare preparazione, stavamo quasi giocando prima di iniziare, semplicemente lei ha guardato in macchina, io ho scattato. Rivedendo lo scatto, più che aver raccontato qualcosa di lei, mi è sembrato di aver detto io qualcosa di importante di me, mi è sembrato che la mia verità fosse lì. Mi sono sentita rappresentata dalla sua bellezza, me ne sono sentita orgogliosa, è una fotografia che in realtà mostrerei per raccontare che cos’è per me la Bellezza, non intesa solo come aspetto esteriore ma come qualcosa di profondamente interiore che, ad uno sguardo attento, è visibile all’esterno, in qualche dettaglio di un corpo o di uno sguardo. Mentre in generale, i lavori che più rappresentano il mio stile sono quelli con la compagnia Burlesque Cabaret Napoli, fotografare il burlesque mi riporta a quegli anni che mi piacerebbe tanto tornassero di moda, quelli dove “C’era una certa arte nelle cose di tutti i giorni, dai tostapane, agli orologi!”, citando proprio Dita Von Teese, sovrana del burlesque. 



C'è stato un attore/attrice in particolare che ti è piaciuto immortalare?
Decisamente Silvia Calderoni. In un modo delicatissimo mi ha concesso di scattare ad uno spettacolo che la vedeva protagonista. È un piccolo sogno artistico che si è realizzato, perché volevo conoscerla da tempo, sono una fan sia della sua storia personale sia del suo percorso artistico che l’ha portata ad essere indubbiamente un’attrice immensa che ben poco fa rimpiangere le grandi del passato. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di puntare in alto. Perché chi punta in basso, in basso resta. Di non smettere mai di studiare, di imparare, di affrontare senza timore quel percorso che ci porta inevitabilmente a capire qual è il tipo di ambito fotografico che più ci rappresenta, raggiunta questa coscienza, dico di non cedere a compromessi, di non accontentarsi, di non arrendersi, di camminare per quella strada come fosse l’unica e la sola esistente, come se non ci fosse mai un’alternativa, e lungo quella strada proporsi, farsi conoscere, perché la tenacia premia sempre i tenaci. 

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Consiglio di guardare tutto, di essere degli osservatori seriali, ossessivi. Tutto ciò che esiste al mondo, i dettagli, le cose, le persone, i frutti della creatività altrui, tutto, il bello e il brutto, tutto insegna ai nostri occhi. In questo modo, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo, ci ritroviamo pieni di un bagaglio di immagini che miracolosamente sappiamo leggere e di conseguenza creare, un fotografo impara con gli occhi, e l’ispirazione che nasce guardando il lavoro degli altri è tutto, per questo in fine consiglio sicuramente di sfogliare monografie dei grandi fotografi della nostra storia, dalle origini ad oggi, compresi i libri di storia dell’arte, le pitture e, sembrerà strano: la musica, le suggestioni musicali aprono un varco in noi e finiscono dritte alla nostra parte emotiva, quella dalla quale provengono le illuminazioni migliori. 

Se la fotografia fosse un'opera teatrale, quale sarebbe?
Salomè, di Oscar Wilde. Mi riferisco alla parte in cui Salomè manifesta la sua passione per Iokanaan, cresciuta in forma di ossessione forse proprio per il negarsi di quest’ultimo. In un monologo struggente e quasi terrificante lei descrive minuziosamente tutto di ciò che ama e al contempo odia dell’immagine di Iokanaan. La fotografia, quella che resta sia in chi la scatta sia in chi la guarda, deve riuscire ad attraversare questo tipo di osservazione che stimola la maggior parte dei sentimenti umani, la Salomè di Wilde, a mio parere, è una di quelle opere che sanno affrontare molto bene questo viaggio.  

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori?
Quando si è felici si dice “Oggi vedo il mondo a colori!”, io spero di essere felice. Assolutamente anche in fotografia scelgo i colori. Per descrivere il perché, prendo in prestito le parole che Pina Baush rivolse a Francesco Carbone, il suo fotografo di scena, che le fu fedele e la seguì per tutta la vita e continuò a venerarla anche dopo la morte di lei: “Tu sei mediterraneo, vivi in un posto stupendo, per questo tu puoi fotografare solo a colori!”. 
 
Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Quel sentimento d’Amore nell’aria di quando hai in testa una persona; la bellezza delle donne; le persone che supportano la nostra libertà di somigliare il più possibile all’immagine che abbiamo di noi stesse. 

Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 
La speranza. Non c’è punizione peggiore per un essere umano, della perdita della speranza. 
 
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Risponderei piuttosto cosa sogno di realizzare e sicuramente sogno spazio in cui potermi muovere, sogno altezza, sogno di far parte, e di continuare sempre più a far parte, di realtà prestigiose, di grandi realtà nelle quali sentirmi piccola, lo stimolo ad inventare ogni giorno qualcosa in più, per essere all’altezza di ciò che stimo tanto, è ciò che in me fa la differenza tra la vita e la morte. 

Copyright foto Flavia Tartaglia per il Teatro Bellini

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15.03.2022 # 5940

Generazione ILAS: intervista a Valerio Lettieri

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

di Urania Casciello

Nato nel 1993 in provincia di Salerno, Valerio Lettieri si avvicina alla fotografia negli anni del liceo. Successivamente frequenta il corso in fotografia pubblicitaria alla Ilas di Napoli tenuto dai docenti Pierluigi De Simone e Fabio Chiaese. La passione per la fotografia lo porterà a sceglierla come professione e, successivamente, a trasferirsi a Londra dove oggi vive e lavora.

Come ti descriveresti?
Molto emotivo. Mi piace correre in auto con i finestrini abbassati e musica rock a palla.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
No. Nonostante la fotografia sia sempre stata presente nella mia vita, è stato solo durante gli anni del liceo che ha cominciato a prendermi di più. Dopo il liceo ho frequentato un corso di laurea in Ingegneria Meccanica alla Federico II che poi ho lasciato per dedicarmi completamente alla fotografia. 


Che ricordi hai del tuo percorso alla Ilas?
Ricordo quando, all’inizio del corso, mostrai delle fotografie di automobili che facevo all’epoca, ritoccate all’inverosimile, al mio docente Pierluigi De Simone. Neanche a dirlo, non avevo la minima idea di cosa costituisse una buona fotografia. Mi viene ancora da ridere se ci penso. Gli sono molto grato per tutto quello che mi ha insegnato e per avermi dato le basi di quello che adesso è il mio lavoro.


Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Penso che iniziare la carriera fotografica da assistente sia la prima grande sfida che richiede molto impegno ma allo stesso tempo da belle soddisfazioni. Specialmente se si lavora con diversi fotografi. Bisogna costantemente adattarsi a diversi modi di lavorare, nuove attrezzature con cui viaggiare e tempistiche differenti. Mi è capitato di lavorare in condizioni climatiche che vanno dai -30 gradi del nord Europa ai +40 del Medio Oriente; è stato molto interessante imparare come preparare e utilizzare le attrezzature in tali estremi.

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
Due cose in particolare: la possibilità di rendere eterno un istante vissuto e la possibilità di trovarmi in situazioni e di entrare in contatto con persone che non avrei mai incontrato altrimenti. 


Sul tuo sito c'è una sezione dedicata ai viaggi. Cosa ti piace fotografare quando sei in viaggio? Cosa cerchi?
Direi che dipende dal mindset con cui affronto ogni viaggio. Di solito mi affascinano molto i paesaggi dove si può notare l’impronta umana, ma allo stesso tempo tendo ad escludere ogni presenza fisica dalle mie fotografie. Mi piace dare una sensazione di sospensione. 


La tua personale top 3 dei luoghi che hai visitato, perché ti sono piaciuti?
Il primo posto che mi viene in mente è l’Islanda, dove sono andato a fare un viaggio in solitaria per i miei venticinque anni. I paesaggi e i colori sono incredibili. Ho un debole per gli spazi immensi dove per chilometri non incontri nessuno. 
Poi Parigi, che ho visitato più volte per lavoro. Fin da subito, mi sono sentito immediatamente a casa. Non so descrivere meglio a parole questa emozione, ma c’è qualcosa nell’aria.
Sicuramente poi, la Turchia, ricchissima di colori. Mi ha colpito il calore umano delle persone che ho incontrato lì. 

C'è un fotografo che ami più di altri?
Amo i lavori di molti fotografi. Se proprio dovessi sceglierne uno, direi Gregory Crewdson. Per la scelta delle luci, colori, composizione e soprattutto per la sensazione di sospensione, distacco e umanità che mi comunica. Ho apprezzato molto il suo ultimo libro “Cathedral of the Pines”.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro? 
Di volare ma con i piedi per terra. Di prepararsi a correre una lunga maratona piuttosto che uno sprint di cento metri. Credo che un ottimo modo per entrare nel mondo della fotografia professionale sia quello di fare l’assistente per alcuni anni prima di avviarsi per la propria strada. Ti permette di vedere e capire molte dinamiche dall’interno, una fra tutte, il rapporto con i clienti.

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Non ho un film in particolare da consigliare, me ne piacciono tanti. Quello che ultimamente mi ha colpito molto per la fotografia è stato Joker. Allo stesso modo per le riviste, c’è ne sono parecchie ma una che seguo particolarmente è il British Journal of Photography. Penso che il miglior modo per imparare sia comprare libri fotografici e studiarli e andare a vedere spesso mostre, non solo di fotografia ma di arte in generale. Nutrirsi solo di fotografia non basta.

Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?
Onestamente ho un rapporto a fasi alterne con i social media, o per meglio dire Instagram. Ci sono periodi in cui lo uso spesso e altri, anche lunghi, di completo distacco. I social hanno una loro utilità nel raggiungere un numero di persone più o meno grande, ma allo stesso tempo credo ci sia troppo rumore.
Penso che, per quanto possa essere utile avere un sito ed essere presente sui social media, avere un buon portfolio stampato e incontrare persone in carne ed ossa con cui poter parlare di idee sia molto più efficace.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?
Sì, è questo ritratto che ho scattato a mio padre la scorsa estate a Santa Maria di Castellabate. Ogni volta che da Londra torno a Napoli lo porto a fare un giro con me, mi faccio raccontare qualche storia di quando lui era giovane e scatto dei ritratti. Voglio tenere la memoria più viva possibile per più tempo possibile. 
Di questa foto mi piace particolarmente la continuità tra le rughe della sua pelle e le onde del mare. E anche il suo sguardo, rivolto lontano dall’obiettivo. Questi elementi, uniti alla luce, mi danno un senso di trascendenza dal tempo. 


Se la fotografia fosse una ricetta culinaria, quale sarebbe?
Gli gnocchi che faceva a mano mia nonna! In particolare mi torna in mente quando con infinita pazienza usava la forchetta per dargli la forma a righe. La fotografia è manualità, ripetizione di movimenti che diventano una seconda natura.

Se non fossi diventato fotografo, che lavoro avresti fatto?
Amo la meccanica e amo le automobili. Probabilmente il meccanico? O forse un pilota? Magari avrei continuato gli studi di Ingegneria, chi lo sa!

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? 
Difficile. Forse se potessi variare a seconda di cosa sto guardando sarebbe più semplice. Dovendone scegliere uno soltanto direi a colori, ma colori spenti.

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Leggerezza, amore e capacità di perdonare.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?  
Le bollette da pagare!

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Mi piacerebbe dedicarmi a un progetto a lungo termine e magari poi farne un libro. Ma al momento è soltanto un’idea.

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10.02.2022 # 5906

Generazione ilas:
intervista a Marco Perrella

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

di Urania Casciello

Classe 84, a 4 anni riceve il suo primo Commodore 64 che lo condanna a vivere a non più di 50m da un computer per il resto della sua vita. Dopo una parentesi di studio che lo porta dallo scientifico, al teatro, a 5 anni di Università mai messi a frutto, si iscrive alla Ilas di Napoli per sfuggire all’insopportabile destino di studiare argomenti che non gli piacciono. Dopo aver frequentato i corsi di Web Design e Grafica, è il 3D a vincere definitivamente la sua attenzione, portandolo sulla strada del 3D Generalist, prima, e dell’Experience Designer, poi. Dopo 3 anni di docenza nella stessa Ilas che lo aveva formato, decide di dedicarsi unicamente all’azienda in cui aveva contemporaneamente un part-time, la Digitalcomoedia, nella quale lavora tuttora.

 
(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Marco Perrella) In questo periodo siamo al lavoro su tanti progetti, non tutti di libera divulgazione, dai Beni Culturali al supporto all’Industria 4.0, dalle serie animate alle esperienze virtuali, per non parlare del nostro sito! Una cosa di cui posso parlare liberamente e che mi ha visto in prima linea è sicuramente “Arkaevision - Tempio di Nettuno”, un’esperienza di realtà virtuale nel Parco Archeologico di Paestum che a breve, virus permettendo, dovrebbe vedere la luce in seno al Museo del parco.

 
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas? Sia come studente che come docente
Ricordi molto molto preziosi. Dopo aver fatto il turista all’Università per anni ho semplicemente pensato di fare un tentativo mirato, dove avrei potuto concentrarmi su qualcosa che mi interessava senza dover studiare argomenti non di mio gradimento. Appena iniziati i corsi tutto è cambiato: l’accoglienza della scuola, la qualità della struttura e dei corsi, è stato fantastico, mi sono accorto che era quello che stavo cercando dopo essermi iscritto! Da docente, poi, si respirava una grande aria, sentirsi parte dell’entità che mi aveva stupito tanto era già una soddisfazione a sé, per non parlare della grande collaborazione con tutto il team; ma il ricordo più bello è legato sicuramente gli allievi, osservarne la crescita e ritrovare in loro, ogni volta, quello sguardo attento e appassionato era sempre emozionante.
 
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
Come si sarà capito assolutamente no. Sapevo di amare i videogiochi, di prestare una certa attenzione al comparto grafico e creativo, ma non sono mai stato particolarmente bravo ad analizzare i miei desideri. L’Ilas mi è stata fondamentale anche per capire come tutto questo poteva diventare un mestiere.
 
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare? 
La più grande finora? Studiare le possibilità di movimento dell’utente in VR. Una cosa che ormai diamo per scontata quando siamo davanti ad uno schermo, diventa all’improvviso un dilemma machiavellico. Trovare l’equilibrio tra immersione e godibilità dell’esperienza in questo nuovo media ci ha dato una gran quantità di grattacapi.


 
Il progetto a cui ti è piaciuto lavorare di più e perché?
Arkaevision - Tempio di Nettuno. Far prendere vita al Parco Archeologico com’è adesso e com’era 2500 anni fa è stato uno sforzo corale sorprendente ed appassionante. Assistere e collaborare alla motion capture, che da queste parti è un terreno quasi inesplorato, lavorare per i Beni Culturali, un tesoro impressionante che abbiamo la responsabilità di far conoscere, vedere tutti i gesti, piccoli e grandi, fatti da più di 30 persone convergere in un prodotto che ha impressionato chiunque l’abbia provato è una sensazione meravigliosa.
 
C'è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?
La percezione comune del settore. Come per tutti i settori basati sui new media, in Italia bisogna sempre fare i conti con diffidenza ed ignoranza. Prima di convincere come professionista o come azienda bisogna ancora superare la fase venditore porta a porta in cui devi vendere l’aspirapolvere di queste nuove tecnologie, spiegargli perché ci vuole tanto a produrre il lavoro, quali sono i vantaggi. Da un po’ di tempo stanno aumentando le persone che hanno una visione più corretta di questo settore, speriamo la conoscenza continui a diffondersi.
 
L’evoluzione del 3D è continua. Che consiglio daresti a chi si approccia adesso a questo mondo?
Di essere entusiasti e lanciarsi nella mischia. Hai perfettamente ragione, il 3D è in piena fioritura, giorno per giorno ci sono novità nelle tecnologie e nella loro applicazione, il Real-Time sempre più accessibile e potente, la Realtà Virtuale. È sicuramente un campo arzigogolato, quindi magari fatelo in maniera guidata, ma se vi interessa lanciatevi di petto! È come fare musica ai tempi di Mozart, non fatevi intimorire, ne varrà la pena.

Una parola che ti rappresenta e perché?
Versatilità. Ho sempre amato essere in grado di agire su tutti i fronti e questo mi ha portato ad essere capace di affrontare bene o male tante sfide, non solo quelle più vicine alla mia indole.
 
Una parola che vorresti eliminare dalla terra e perché?
Arroganza. Ci ho messo un po’ a trovarla, ma credo che senza si starebbe tutti meglio. Non parlo solo dell’arroganza del potente verso il debole, non amo guardare ai massimi sistemi che non possiamo cambiare, ma proprio di quella piccola, personale, diffusa ormai in tutti che ci impedisce di rapportarci in maniera spontanea e aperta con gli altri.
 
Se tu fossi una canzone, quale saresti?
Un ottico, di Fabrizio de André.
 
Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Non riesco a spiegarlo a mia madre, vuoi che lo spieghi a una persona del diciassettesimo secolo? Vediamo: cerco di far vivere cose fantastiche in una realtà che non esiste.

 Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?
Brutta domanda, forse svegliarmi la mattina doveva essere la risposta alla sfida più grande. Tuttavia, dato che alla fine mi alzo, direi la curiosità. Fare un lavoro creativo significa chiedersi sempre “chissà cosa succederà oggi” oppure “chissà se la soluzione che ho pensato funziona”, credo sia quello il motore delle mie giornate.
 
Progetti futuri?
Superare i limiti. In tutti i sensi, vedere le tecnologie che usiamo dove ci porteranno e farsi trovare in grado di sfruttarne le possibilità a fondo.



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