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04.04.2020 # 5500

Urania Casciello //

Generazione Ilas:
Intervista a Francesco D'Amico

Francesco D´Amico, classe 1998, ha seguito i suoi sogni ed è diventato fotografo

Generazione Ilas: Intervista a Francesco D’Amico

Francesco D´Amico, classe 1998, ha seguito i suoi sogni ed è diventato fotografo. Ecco la sua intervista per Generazione Ilas.

Francesco D’Amico è nato nel 1998 a Cava de’Tirreni, dove attualmente vive. Intraprendente e creativo fin da bambino, inizia ad avvicinarsi alla fotografia in pellicola – e poi successivamente alla fotografia digitale – grazie al suo insegnante del liceo, che gli ha trasmesso la passione per la fotografia. Si iscrive poi alla ILAS – Accademia Italiana di Comunicazione Visiva – di Napoli e grazie agli insegnamenti dei docenti Pierluigi de Simone, Fabio Gordo ed Elisabetta Buonanno, decide che la fotografia sarà il suo mondo. 

L´Intervista

(Urania Casciello) Come ti descriveresti? 


(Francesco D’Amico) Di certo posso dire che sono un ragazzo pessimista, polemico e molto autocritico. Senza queste due caratteristiche però sicuramente non sarei la persona determinata che sono, che divora la vita a morsi giorno dopo giorno. Non credo siano sempre delle caratteristiche negative. Questa determinazione mi porta ad essere un grande sognatore con idee ben chiare sul mio futuro. Questo credo sia il mio punto forte.

 

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?


Da come dicono i miei e da che mi ricordo ho sempre avuto questa vena creativa, che spaziava dalla musica al disegno a tutto ciò che si avvicinava all’arte. Pensavo di poter diventare un cantante famosissimo che saliva sul palco da solista in compagnia della sua chitarra (forse a questo credo ancora, quando la impugno in cameretta azzardando due accordi) o addirittura uno stilista di grande fama, ho ancora qualcosa conservato nel mio cassetto ma meglio lasciare tutto come sta (ride). La fotografia è entrata nella mia vita al liceo, ma ho sempre evitato l’idea che potesse diventare il mio lavoro per ignoranza più che altro. Sia il mio paese che la mia famiglia, me compreso, era abituata ad una fotografia di cerimonia. Inoltre era un ambito molto chiuso perché ci sono “pochi eletti” fidati che possono scattare questo tipo di eventi nella mia città. Neanche mi piaceva quel settore e per questo ho iniziato a frequentare l’università: informatica. Seguivo le lezioni ma nel mentre ero lì a post produrre le fotografie scattate il giorno prima. Studiavo per gli esami ma la mia testa era da un’altra parte (gli li superavo anche, non so spiegarti come). Un giorno mi sveglio da questo lungo sonno e decido di lasciare tutto per dedicarmi a ciò che più mi interessava di più, contro tutti all’inizio, ma per davvero.

 

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?


La ilas è stata davvero la cosa giusta al momento giusto. Mi ha cambiato la vita radicalmente e non lo dico superficialmente. È stato un percorso che mi ha sicuramente aiutato a conoscere la professione della fotografia e tutto ciò che ne deriva, ma principalmente mi ha aiutato come persona. Ora so chi sono e cosa voglio dalla mia vita, so dove voglio essere e chi voglio essere fra 10 anni. E questa non è una cosa da prendere sottogamba. L’ambiente alla ilas è qualcosa di bellissimo, infatti ogni tanto ritorno per dei saluti generali ma anche per respirare quell’aria che mi manca tanto. I professori Pierluigi de Simone, Fabio Gordo ed Elisabetta Buonanno che tengo a citare sempre e ovunque sono i primi ad aver creduto in me, da prima che iniziassi a farlo io. E al di là del rapporto professore/alunno si è instaurato un rapporto d’amicizia, tant’è che alcune volte Fabio ancora deve stare lì a subire le mie polemiche e il pessimismo cronico che è parte di me ! Per non parlare del fatto che condivido ancora le mie foto su Facebook solo per avere un feedback da Pierluigi ed Elisabetta. Quando arriva la notifica, esulto un po’ e penso che il lavoro è ok!



Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fini ad oggi? C’è qualche aneddoto?



Credo che in generale la sfida più grande in ambito lavorativo sia comunicare ed entrare in empatia con modelli che ovviamente non conosci caratterialmente prima di quel giorno. Il carattere, l’espressività, la “teatralità” sono elementi fondamentali nella mia fotografia, senza di quelli non si scatta. E mi è capitato una volta di lavorare con un modello un po’ montato, il ragazzetto bello che sfila per Dolce&Gabbana, molto all’italiana, che abbiamo vestito con degli abiti che richiamavano al classicismo, con balze, merletti, cose molto pompose, di una designer pazzesca. Eravamo in esterna e dei ragazzini buttavano l’occhio e non capendo il mood dell’editoriale, urlando prendevano in giro il modello per come era vestito. Si è innervosito a tal punto da lasciare il set per chiamare il suo agente chiedendo di andar via perché secondo lui questi vestiti non esaltavano la sua figura, la sua immagine, abituato a vedersi con abiti di marchi di lusso. Da qui è partita un’opera di convincimento, di trattative e chi più ne ha più ne metta. Fortunatamente si è risolto tutto per il meglio.

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?


Della fotografia amo il fatto che sia un mezzo veloce per comunicare la propria estetica, il proprio senso di bellezza, la propria sensibilità riguardo a tematiche sociali e non. Ultimamente sto anche prendendo in considerazione l’idea che la fotografia sia un ottimo modo per valorizzare, portare alla luce, elogiare. Ho in mente un super editoriale su un’icona della musica italiana (per me) che non ha passato sempre dei bei momenti, per elogiare il suo personaggio molto controverso e controcorrente. Spero di realizzarlo presto.


C’è un fotografo a cui ti ispiri?


Sono stato influenzato per molto tempo da Avedon, solo che ora il discorso è un po’ diverso. In questo periodo sono molto a contatto con magazine, mi passano centinaia di foto sotto gli occhi e in ognuno trovo qualcosa che può arricchirmi, qualche dettaglio, qualche inquadratura, qualche nuova idea che può combaciare col mio gusto. Quindi non mi sto fermando tanto sui fotografi ma su ciò che mi sta bene addosso dell’estetica che ora va di moda. Ho comunque dei nomi che in un modo o nell’altro mi sono rimasti impressi: tra i giovani italiani che influenzano maggiormente la mia visione ci sono Marco Imperatore, Vito Fernicola, Marcello Arena poi Giampaolo Sgura, Morelli brothers, Peter Lindbergh, Inez and Vinoodh, Luigi and Iango, Giovanni Gastel.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?



Il consiglio che posso dare è quello di bombardarsi di immagini di qualità e di osare. La cosa che mi porterò dentro dell’incontro con Oliviero Toscani organizzato dalla ilas è questa parola: sovvertire. È quello che mi sento di consigliare e che consiglio anche a me stesso! Inoltre fissarsi sempre obiettivi e non accontentarsi mai dei piccoli risultati. Può sembrare qualcosa di banale, ma io credo che alla mia generazione – o almeno alcune persone della mia generazione – manchino sogni e ambizioni. Alla domanda “come ti immagini un futuro?” mi ritrovo risposte del tipo “non so cosa mangerò domani, pensare come mi immagino in un futuro mi risulta difficile” oppure risposte tipo “ora sto frequentando questa facoltà, appena finisco vedo che fare” risposte che mi fanno cadere le braccia.



Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Forza! Se solo penso cosa la mia pagina Instagram mi permette di fare! Una vetrina che mi ha messo in contatto diretto con fotografi e designer importanti di tutta Italia e non solo. Proprio da poco ho avuto un contatto con un designer emergente che ha realizzato abiti per la Mostra del Film di Venezia che mi invierà dei capi per farmeli scattare per un editoriale!


Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?


Ti direi la pizza, solo perché di pizza non si è mai sazi ed è troppo buona!


Qual è la fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?


È un po’ difficile dire quale fotografia mi rappresenta meglio per due motivi: il primo è che non posso scegliere un figlio al posto di un altro mentre il secondo è che la fotografia migliore la farò domani.

Vi mostrerò comunque qualcosa che fa parte di me!



Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno, scegli bianco e nero o colori?

Scelgo bianco e nero, anche se nelle foto amo usare i colori. Attraverso il b&w è possibile leggere più facilmente le emozioni.

 

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra?

Non inserirò la fotografia perché è troppo scontato, quindi: Loredana Bertè, il sesso e la diversità.

 

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?

I miei obiettivi.

 

Cosa dobbiamo aspettarci da te?

Cose in grande (leggi: che scasso tutto)! Sto dando la vita per la fotografia!


02.04.2020 # 5503

Urania Casciello //

Generazione Ilas:
Intervista a Ilaria Tortoriello

Del mondo della fotografia ama l´imprevedibilità e il contatto umano. La fotografa Ilaria Tortoriello si racconta a Generazione Ilas


Ilaria Tortoriello nasce a Napoli nel 1986.

Nel 2010 si laurea in arti visive e discipline dello spettacolo all’Accademia Delle Belle Arti di Napoli.

Dal 2012 fino ad oggi lavora come fotografa di cerimonie.

Nel 2013 consegue la specialistica in fotografia all’Accademia delle belle arti di Napoli.

Nel 2014 vince una borsa di studio alla Scuola Romana di Fotografia.

Dal 2015 docente di fotografia presso il Liceo Classico di Formia.

Nel 2017 frequenta il corso di fotografia pubblicitaria presso la ILAS di Napoli.





L´intervista


(Urania Casciello) Come ti descriveresti?


(Ilaria Tortoriello) Sono una fotografa, che vive la fotografia come esigenza, ci sono persone che scrivono libri e stanno bene nel farlo, io sto bene nel fare fotografia.


Hai sempre saputo di voler fare la fotografa?


No, ho cominciato perché al secondo anno di università, all’Accademia delle belle arti di Napoli era obbligatorio un esame di fotografia, mi sentivo molto lontana da questa disciplina, ma da quel momento non ho più smesso.


Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?


Il ricordo più bello del percorso ILAS è Pierluigi De Simone, maestro e spalla su cui disperare quando non sai come affrontare il tuo lavoro, figura fondamentale e preziosa. Sento molta gratitudine verso di lui e verso questa scuola, un percorso che consiglierei a chiunque abbia voglia di imparare.


Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare?


Sono una persona ansiosa, quindi è sempre una sfida grande per me, qualsiasi tipo di lavoro e di qualsiasi portata, attualmente ho capito che una delle sfide più difficili è aspettare, coltivare un progetto con calma e non farsi fermare dal NO.


Cosa ti affascina del mondo della fotografia?


L’imprevedibilità e il contatto umano.


C’è un fotografo a cui ti ispiri?


Luigi Ghirri, Giovanni Chiaramonte, Alessandra Sanguinetti, Lisetta Carmi, Josef Koudelka e tanti altri. Non ho mai amato un solo fotografo, ho sempre pensato che ogni artista comunichi con una propria lingua personale, unica nel suo genere, quindi se ti svegli un giorno e sai parlare quella lingua vuol dire che fai parte di quella comunicazione, che comprendi quella lingua emozionandoti, anche se fino a quel momento non eri consapevole. Questa è la formula per l’innamoramento.


C’è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?


Non credo di avere una fotografia che mi  possa rappresentare, in questo momento della mia vita sento che il mio punto di vista vuole andare in un’altra direzione, ci sto lavorando molto ed è una condizione difficile e faticosa, due immagini possono essere un po’ figlie di questo caos comunicativo, mi trovo in una fase dove togliere tutto quello che è didascalico e ovvio è la mia regola numero uno.




Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Non avere fretta, ascoltare e non sentirsi subito Avedon perché la delusione potrebbe essere grande.


Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Sicuramente forza, siamo in un epoca dove gestire bene il proprio lavoro sul web vuol dire esserci professionalmente, ovviamente poi sono i fatti che contano.


Se la fotografia fosse una ricetta, quale sarebbe?


Spaghetti aglio olio e peperoncino. Un piatto semplice ma non facile.


Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno, scegli Bianco e nero o colori?


Se il mondo per un giorno avesse il viso di mio padre allora sceglierei il bianco e nero, se invece il mondo fosse un posto vuoto e meravigliosamente desolato allora sceglierei il colore.


Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.


Onestà, gentilezza e umanità.


Cosa ti tira giù dal letto la mattina?


Pensare di poter essere una mamma che lavora e che può insegnare a sua figlia come poter guardare la vita con occhi curiosi e mai stanchi.


Cosa dobbiamo aspettarci da te?


Una vita tranquilla e una fotografia mai inutile.

27.02.2020 # 5454

Urania Casciello //

Generazione Ilas: Intervista a Francesco Leonardo

Ci sono molti modi di risolvere un problema, ma uno solo è quello giusto. Francesco Leonardo vive la sua professione secondo questo dettame, scopriamo insieme il perché.

Jack-of-all-trades napoletano, classe 1989.

Dopo essersi diplomato in Web Design, Graphic Design e Pubblicità alla ILAS, ha avviato collaborazioni con agenzie di comunicazione di rilievo nazionale, curando numerosi progetti di Brand Identity, Web, Software, Grafica Editoriale e Advertising. 

Nel 2015 torna alla Ilas in qualità di docente nel Corso di Web Design Pro Responsive.

Dal 2016 è in Magma, importante realtà ICT, dove cura la direzione creativa e UX per progetti di medie e grandi dimensioni, offrendo consulenza tecnica e metodologica a clienti internazionali tra cui aziende Fortune 20.

"Ci sono molti modi di risolvere un problema, ma uno solo è quello giusto". 

Vive la sua professione secondo questo dettame, che si riflette anche sull´approccio che ha alla sua altra grande passione: la cucina.



L’Intervista


(Urania Casciello) Sul tuo sito ti descrivi così: Strategist / Designer / Developer, dicci qualcosa in più di questi tuoi tre ruoli.


(Francesco Leonardo) I cappelli e le maschere sarebbero anche molti di più; in dipendenza dalle dimensioni e peculiarità delle realtà organizzative con cui ho collaborato, nella mia storia professionale mi sono occupato di molte cose diverse nell´ambito della comunicazione e della tecnologia. Strategia di comunicazione e Strategia d´identità; progettazione grafica, editoriale, web e di prodotto UX/UI; architettura e produzione software; formazione; direzione creativa, advertising e marketing.

Si è capito che non so ancora cosa voglio fare da grande?


A cosa stai lavorando attualmente?


In questo periodo il mio impegno principale è una consulenza di technical architecture per un´azienda multinazionale leader del settore retail e wholesale farmaceutico; in particolare negli ultimi mesi mi sto occupando di abilitare e facilitare il cambio di paradigma, da sviluppo tradizionale a Development-as-a-Service, che nasce da una strategica partnership tecnologica con Microsoft, su un progetto distributed large-scale enterprise software per il dominio B2E Pharmacy.


Da dove viene la tua ispirazione? 


Nel lavoro cerco di farmi guidare esclusivamente dalla ricerca: molto spesso le idee vincenti che mi guidano per un progetto vengono da vittorie, mie o altrui, in settori diversi; per questo motivo mi piace moltissimo informarmi sugli argomenti più disparati, perché credo ci sia sempre valore nascosto in ogni ambito e linguaggio. C´è però sempre una componente di intuito, a cui lascio fare la sua parte, collegando in modo inconscio e inaspettato tutti gli stimoli ricevuti.



Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?


Ricordi preziosi principalmente legati alle persone che ho incontrato, altri studenti e docenti; nel periodo di studi ho stretto amicizie che resistono ancora oggi e collaborazioni che mi hanno lanciato nel mondo del lavoro.
Ritornare da docente è stato bello anche perché ho potuto vedere lo stesso tipo di fermento nel fare network in molti studenti della "nuova generazione ILAS".


Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?


Assolutamente no. Da bambino ero certo che sarei diventato un paleontologo; da adolescente, un medico; da quando ho frequentato ILAS, ed ho iniziato a lavorare in questo campo, ho esplorato e cambiato molti ruoli, e ad oggi ancora non ho ben capito cosa faccio di mestiere.


Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare?


Qualche anno fa mi sono trovato a combattere per promuovere un cambiamento in un processo metodologico di sviluppo software; ero convinto del valore benefico per tutti della mia idea, ma mi sono trovato a scontrarmi con l´agenda personale di diversi gruppi in questa orgnaizzazione, interessati a mantenere lo status quo a discapito del benessere del progetto.

Spoiler alert: in quella occasione ho fallito.

Sequel: ho cambiato titolo alla proposta, ci ho riprovato qualche mese dopo, e ci sono riuscito.


C´è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?


Credo che il mio ambito di competenze soffra di un disequilibrio comune al terziario avanzato in genere: dove ci sono le competenze talvolta non c´è budget; dove c´è molto budget talvolta le competenze non contano; dove c´è molta dedizione al lavoro spesso si trascura l´aspetto umano. E combinazioni letali delle precedenti.



Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro? 


Ogni fenomeno culturale è specchio del suo tempo e contesto, ed oggi la comunicazione che davvero funziona è quella che vede il consumatore come primo content creator. In questa evoluzione, e in tutto ciò che verrà, vedo solo opportunità positive per il mio lavoro, perché comunicazione e tecnologia dovranno sempre essere al passo per supportare ed abilitare questi fenomeni.


Cosa ti tira giù dal letto la mattina?


Ogni giorno ho la possibilità di imparare qualcosa di nuovo: tecnologie, linguaggi, approcci. Viviamo in un tempo di informazione accessibile e voglio godermela appieno. Il mio lavoro poi mi offre la grande opportunità di imparare e di essere pagato per farlo.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Concentrarsi sull´acquisire competenze, ma comprendere bene che in comunicazione e in tecnologia, dove tutto diventa obsoleto nel giro di un istante, quello che davvero ci da valore come professionisti è la forma mentis che un´esperienza lavorativa, un mentore, o un percorso di studi può dare.


So che hai viaggiato/viaggi molto per lavoro. C´è una città dove ti sposteresti subito?


Chicago è già come una seconda casa per me, dato che ci passo una parte considerevole del mio tempo; oltre alla bellezza architettonica, la cultura gastronomica e brassicola, e l´anima blues della città, quello che apprezzo particolarmente è l´alto valore che le persone danno al lavoro di tipo intellettuale, e non avrei problemi a spostarmi lì. La verità è che oggi è così facile viaggiare che non avrei difficoltà a trasferirmi in qualsiasi (grande) città del mondo, con il giusto incentivo.


Una parola che ti rappresenta?


Fluido. 



Una parola che vorresti eliminare dalla terra?


Inerzia. Non la proprietà fisica ovviamente, mi riferisco all´immobilità e alla riluttanza che spesso attanaglia le persone e le organizzazioni nel promuovere il pieno potenziale di un´idea o di un progetto.


Se tu fossi una canzone?


Penso ce ne sia una diversa per ogni stato d´animo, ma non posso che dirti "Don´t Stop Me Now", perché sono alla 6ª tazza di caffè della giornata.


Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?


Non dovrebbe essere troppo difficile considerando le rivoluzioni industriali che hanno già caratterizzato il suo tempo; proverei a spiegargli che una rivoluzione tecnica e sociale non ha mai smesso di avvenire, e che anzi oggi i cambiamenti sono esponenzialmente più frequenti; e che quindi fondamentalmente il mio lavoro oggi prova a mettere insieme l´ergonomia umana e le soluzioni tecniche contemporanee per efficientare i processi produttivi.

Ascoltando la risposta che ti ho appena dato mi sto rendendo conto che sono partito dal presupposto che il mio interlocutore ottocentesco appartenesse all´upper class londinese.

Riformulo per un campione più rappresentativo: capocantiere.


Cosa ti aspetta per il futuro?


In maniera sempre più concreta, intelligenza artificiale e machine learning si stanno facendo strada nel mio quotidiano; vedo questo consolidarsi nel breve termine. 

Del lungo termine non ho la più pallida idea, e la cosa mi affascina molto.


27.02.2020 # 5453

Urania Casciello //

Generazione Ilas:
Intervista a Cristiano Vicedomini

Tra digital e musica, scopriamo insieme a Generazione Ilas il punto di vista di Cristiano Vicedomini sul mondo della comunicazione.

Cristiano Vicedomini, ha 31 anni e lavora a Napoli come UI/UX designer. Dopo la laurea in filosofia, ha seguito un corso coordinato alla Ilas in Graphic Design, Pubblicità e Web design, diplomandosi nel 2013 con il massimo dei voti. Ha lavorato in seguito come grafico e web designer nella web agency Allaterza e per un portale online nel settore del betting Betadvisor. Attualmente lavora da Buzzoole nell´area prodotto da 3 anni, dove si occupa di user interface e user experience. 

Ha conseguito due master in UX/UI Design a Milano, uno al Politecnico e uno alla Fastweb Digital Academy. 

Oltre al digital, ha un´altra passione: la musica. Dopo aver suonato per molti anni in un gruppo ora è concentrato su progetto solista di musica elettronica.


L´Intervista




(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?


(Cristiano Vicedomini) Attualmente sto lavorando ad progetto di UX/UI per la startup dove lavoro, un tool molto articolato nell’ambito dell’influencer marketing.


Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?


Di solito guardo molto in giro, cerco di mettere bene a fuoco l’obiettivo finale. 

Di base prima di iniziare qualsiasi progetto cerco di ordinare le idee prima su carta, nell’ambito della UX molti nodi vengono al pettine proprio nella prima fase del ragionamento. 


Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?


É stato un periodo molto positivo, ho imparato molto e avevo molta stima degli insegnanti. Tutto ha avuto inizio lì anche perché venivo da un percorso di studi completamente diverso. Ricordo con piacere tutti i compagni di corso, con alcuni dei quali sono ancora in contatto.


Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?


Assolutamente no. Ho studiato filosofia ed ero convinto di seguire altre strade. Anche dopo il corso prima di specializzarmi nell’ambito dell’UXUI ho lavorato in agenzia occupandomi di grafica, stampa e comunicazione. Adesso dopo un po’ di anni ho trovato la mia dimensione.


Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare?


Quando anni fa in agenzia abbiamo dovuto chiudere una campagna multi-soggetto in pochi giorni per un brand abbastanza conosciuto. Sono stati giorni molto intensi, con imprevisti fino all’ultimo minuto. Abbiamo lavorato fino a tardi, ma col senno di poi è stata un’esperienza che mi ha indubbiamente formato anche perché si era formato un bel gruppo di lavoro ed è stato anche divertente. 



C´è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?


C’è molta ignoranza nel settore. Mi piacerebbe che ci fossero più opportunità qui a Napoli, che si rispettassero le giuste procedure e i tempi dovuti per consegnare un buon lavoro. La fretta è sempre cattiva consigliera.


Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?


Direi proprio forza, è anche grazie ai social che faccio il mio lavoro.  Essendo in prima linea nell’area prodotto, in una società di influencer marketing, non potrei dire altrimenti.



Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?


A parte la sveglia, la voglia di fare qualcosa che sia creativo, interessante.


Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?


Consiglierei di essere pazienti e soprattutto curiosi: aprirsi agli altri e alle loro idee è sempre una ricchezza. Mai fermarsi alla prima impressione.



Una parola che ti rappresenta?


Resistenza, in tutti i sensi. 


Una parola che vorresti eliminare dalla terra?


Il tempo.


Se tu fossi una canzone, quale saresti?


Svegliami dei CCCP.


Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?


Cerco il modo di rendere più facile e accessibile le cose alle persone. Sono un democratico.


Progetti futuri?


Voglio continuare a studiare e ad approfondire il mio lavoro, mi piace il fatto che sia una disciplina in continua evoluzione. Un giorno vorrei anche insegnare. 


27.02.2020 # 5451

Urania Casciello //

Generazione Ilas: Intervista a Paolo Loffredo

Paolo Loffredo è strategic designer nell´agenzia fondata insieme ai suoi soci: Hubitat (nome scelto per richiamare il termine Hub e Habitat). Perché questo nome? Scopriamolo insieme nella sua intervista per Generazione Ilas.

Paolo Loffredo classe ’85, nato a Battipaglia, ha studiato prima Economia Aziendale e poi Graphic Design e Motion Graphics,  fondando la sua prima agenzia nel 2009 a Napoli. Dopo diversi anni a capo della sua agenzia, insieme ai suoi attuali soci, ha deciso di unire le forze e creare qualcosa di unico: un’agenzia che potesse essere realmente un partner strategico per i clienti. Nel 2018 – quindi – fonda con due soci e amici Hubitat, agenzia di comunicazione integrata che ha sede a Battipaglia e Salerno. Parlando dell’agenzia dice: “Oggi fare comunicazione richiede specializzazione e integrazione. È difficile che una sola persona possa essere brava in tutto, è necessario invece poter contare su un gruppo formato da competenze differenti e specifiche ma guidate da un’unica visione. Hubitat nasce da questa fusione: siamo HUB nella misura in cui le nostre competenze si incrociano e si fondono, per restituire ai nostri clienti un risultato moltiplicato. Ma siamo anche un habitat, un luogo in cui le idee e le strategie nascono naturalmente integrate. Ormai, dopo tanti anni di collaborazione, è come se fossimo un’unica mente, pur se distinti per formazione, competenze e specializzazione.” Oltre ad essere uno strategic designer è  – prima di tutto – marito di Valentina e padre di Lisanna.


© Paolo Loffredo - Hubitat

L´Intervista

(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?

 

(Paolo Loffredo) Il progetto su cui sono concentrato in questo periodo è lo sviluppo di un metodo di lavoro per la mia agenzia. Abbiamo scelto un nome, Hubitat, per comunicare il senso di integrazione tra competenze e la certezza di un risultato integrato e coerente. Ora siamo impegnati nel definire le procedure che, oltre alle intenzioni, possano rendere questa idea sempre più produttiva e concreta.
Oltre a questo, appena ho un po’ di tempo mi dedico alla formazione personale: sto studiando design thinking, UI design e ho diversi progetti di packaging design, una mia passione.

 

Da dove viene la tua ispirazione? Segui un rituale per trovare idee creative?

 

Credo che la creatività sia frutto dell’incontro tra metodo e pensiero laterale. Non ho un rituale, ma un metodo sì: inizio con una lunga fase di ricerca in cui studio di tutto, dai siti web agli articoli della stampa, dai report alle brochure e ai social di aziende che operano in un settore specifico. Poi inizio a mettere da parte spunti e ispirazioni in una cartella che mi serve per raccogliere tutto quello che credo potrà servirmi: immagini, font, testi, lavori realizzati da altre aziende. Nella fase di studio tutto è utile. Poi inizia una fase di preparazione: creo i miei file, le griglie, preparo l’output. E poi inizia la fase di progettazione vera e propria, che può durare diversi giorni o settimane, a seconda della complessità. Quello che trovo utile in generale è la raccolta di feedback e opinioni dai miei collaboratori: ci confrontiamo molto e discutiamo di eventuali altre strade da percorrere. Credo che il confronto e la possibilità di integrare visioni siano il vero punto di forza di un’agenzia.

 

Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla Ilas?

 

La Ilas ha segnato l’inizio del mio percorso professionale: ricordo con grande affetto i miei docenti e a loro devo tutto quello che ho imparato. L’aula è un ambiente protetto in cui puoi – e, in un certo senso, devi – sbagliare. Hai l’opportunità di vivere in piccolo le difficoltà e le sfide che incontrerai di lì a poco e puoi imparare a superarle. Ricordo le notti insonni a lavorare sui progetti, la semplicità con cui i miei docenti risolvevano aspetti per me difficili e la soddisfazione di vedere riconosciuto il mio lavoro. Tra i banchi della Ilas ho capito di potercela fare e ho deciso anche come avrei voluto lavorare. Ho scelto 10 anni fa di dare sempre grande importanza al confronto, di non dare mai nulla per scontato: l’umiltà, che è un tratto del mio carattere, è diventata parte del mio metodo di lavoro.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?

 

Forse sì. Ho sempre lavorato nel mondo della comunicazione, da ragazzo nel settore degli eventi, poi piano piano e anche grazie allo sviluppo della comunicazione digitale è diventato tutto più rapido. Ho studiato tanto e lo faccio ancora perché al netto dei nostri desideri, credo sia importante crearsi delle opportunità, farsi trovare pronti a cogliere quello che la vita potrà proporci.
Nella mia agenzia, quando inseriamo una nuova risorsa, diamo buoni per l’acquisto di libri e corsi online o workshop: sappiamo che dalla crescita delle persone che lavorano con noi dipende il successo di tutti.

 

Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?

 

È un po’ come chiedere a un papà di scegliere qual è il figlio preferito! Non credo di poterlo fare e ti spiego: ogni lavoro è frutto di un momento, di una fase professionale ma anche di condizioni specifiche, legate a quel progetto. Un cliente che si affida completamente ti offre la possibilità di esprimerti, ma uno che ti indirizza molto ti costringe a tirare fuori il meglio per trovare la strada giusta, anche dentro dei limiti molto stretti.Ci sono alcuni lavori a cui sono legato dal punto di vista affettivo, perché hanno rappresentato delle tappe importanti del mio percorso professionale e umano: SMET, uno dei più grandi gruppi di logistica integrata in Europa; Castelcivita, un progetto di promozione turistica e territoriale innovativo; Ecommerce HUB, un evento che è riuscito a portare a Salerno alcuni tra i maggiori esponenti del mondo dell’e-commerce e del digitale a livello internazionale; e poi certamente tutti i progetti su cui sono impegnato oggi, tra cui un packaging per un brand del settore food che mi darà l’opportunità di creare qualcosa che finirà sulle tavole degli italiani.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Qual è la sfida lavorativa più grande che hai dovuto affrontare?

 

Le difficoltà sono dietro l’angolo: credo che chi si occupa di comunicazione oggi debba farci l’abitudine. Quello che spesso mi ha messo in difficoltà è stata la necessità di “limitarmi” per evitare di superare un budget o rifiutare un lavoro perché già in fase di approvazione del preventivo avevo la certezza di non vedere riconosciuto il lavoro sull’identità del brand. Mi piacerebbe lavorare sempre al massimo, ma da imprenditore devo necessariamente dare un valore economico agli sforzi.

 

C’è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del mondo della comunicazione?

 

In generale no, credo sia tutto frutto della cultura della comunicazione. Ognuno di noi, in ogni progetto e con ogni cliente può pian piano cambiare qualcosa: la metà del nostro tempo la passiamo a spiegare, a formare i nostri clienti e sono certo che facendolo tutti, riusciremo a cambiare le cose. Accettare di lavorare per pochi spicci, accontentarsi e approssimare: questi sono i problemi più grandi del nostro settore.

 

 Se dovessi – per una qualsiasi ragione – cambiare città, dove andresti?

 

Mi piacerebbe vivere in un posto in cui veder crescere mia figlia a contatto con l’arte e la cultura. A volte pesa molto doversi confrontare con una mentalità spesso miope e non vorrei costringere mia figlia a fare lo stesso.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?

 

Consiglierei di non abbattersi di fronte alle prime difficoltà, di non scendere mai sotto un livello di qualità minimo e di non consegnare mai un lavoro su cui non metterebbero la firma. E poi di studiare sempre e di imparare a trovare del tempo per sé: lavoriamo tutti troppo e questo non aiuta la creatività.

 

Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita?

 

Più che un film e un libro, un disco: la cover di The Braxtons di The Boss, brano fantastico di Diana Ross. Ho un passato negli eventi da disc jockey, è un disco che mi accompagna fin da ragazzo, nella crescita formativa e professionale, c’è sempre stato e c’è ancora.


© Paolo Loffredo - Hubitat

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?

 

Responsabilità e ardore: la prima è legata al mio duplice ruolo, di direttore creativo e imprenditore; la seconda è quella spinta misteriosa che guida ogni nostra giornata, un desiderio di creare, di fare, di vivere la vita che abbiamo desiderato. E poi ci sono mia figlia e mia moglie: ogni giorno mi alzo e cerco di essere la persona di cui loro possano essere fiere.

 

Una parola che ti rappresenta?

 

Umiltà: viene da humus e ha a che fare con la terra, da cui tutto ha origine.

© Paolo Loffredo - Hubitat

Se tu fossi un piatto, quale saresti e perché?

 

Un piatto di pasta con crema di fagioli, crema di tonno e pomodoro secco. Una creazione che ho improvvisato e che mi rappresenta molto: colori, fusione di terra e mare e ovviamente un sapore intenso, ricco e genuino.

 

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?

 

Sono un operaio della fabbrica della comunicazione: produciamo qualcosa che non userai direttamente ma che ti permetterà di avere più informazioni, più opportunità e di raggiungere luoghi che oggi non immagini.

 

Progetti futuri?

 

Tantissimi, forse troppi da elencare. Stiamo rafforzando la divisione dedicata alla comunicazione food nella mia agenzia: è un settore in cui credo tantissimo e sto lavorando per renderlo sempre più efficiente.

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