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Mostre ed eventi // Pagina 109 di 231
18.12.2012 # 2819
New India Designscape

Daria La Ragione //

New India Designscape

a Milano fino al 24 Febbraio 2013

Triennale Design Museum porta avanti il ciclo dedicato al nuovo design internazionale negli spazi del MINI&Triennale CreativeSet proponendo una inedita selezione dei più interessanti lavori dei designer indiani contemporanei, a cura di Simona Romano con la collaborazione di Avnish Mehta.
New India Designscape presenta la complessità di un contesto, di un paesaggio, in cui prevalgono le interrelazioni e le continue interrogazioni sul progetto più che la fissità di identità nazionali e di figure in sé concluse, come i maestri delle generazioni passate.
I giovani designer selezionati, permeati dalla matrice culturale dell’India ma fortemente contaminati da altri contesti, per lo più occidentali, attraverso il loro contributi progettuali propongono progetti che vivono in un delicato equilibrio tra l’innovazione e la tradizione.
Spesso sono proprio i contenuti mitici a essere riproposti, con una certa ironia, in oggetti comuni (per esempio in Mr Prick di Sandip Paul, nei Lotus pieces di Sahil and Sartak, nella Cheerharan Toilet Paper di Divya Thakur, in Cut.ok.Paste di Mira Malhotra, nella Hanuman T-shirt di Lokesh Karekar, negli abiti di Manish Arora, nelle Varanasi Cows di Kangan Arora) a dimostrazione che l’antico e il contemporaneo, il sacro e il profano, si mischiano in un tutto non immediatamente decodificabile (per i non indiani) portando nel quotidiano contenuti profondi con risvolti, nell’era globale, quasi terapeutici.
Altri oggetti partono dalla cultura materiale autoctona (ardua sfida dal momento che gli oggetti più comuni e tradizionali dell’India hanno un coefficiente di modernità, funzionalità, ed estetico difficilmente superabile) o la reinterpretano innovando alcune tipologie (come nella Disposable Mug di Paul) o utilizzando alcuni oggetti comuni come dei semilavorati per crearne altri (la Choori Lamp di Sahil and Sartak, gli abiti di Aneeth Arora, i lettering di Hanif Kureshi, i gioielli di Shilpa Chevan).
Negli oggetti in mostra vengono riproposti anche alcuni immaginari di un’India meno mediatica, che espone a un confronto tra diverse realtà sociali, a cui si guarda con un’accettazione, non rassegnazione, che prende forma, più o meno inconscia, in altri oggetti quasi surreali come il Bori Cycle Throne di Gunjan Gupta; e tra questi confronti non poteva mancare una riattualizzazione post-coloniale del rapporto India-Inghilterra (il lettering Englishes di Geetika Alok).
Le esigenze concrete della vita dei villaggi di cui è fatta la maggior parte dell’India non urbana ispira invece il cosiddetto barefoot design in cui una lavatrice a pedali (Reyma Josè) e la struttura in bamboo per il carico e il trasporto di pesi sulle spalle (Vikram Dinubhai Panchal), fanno la differenza in termini di qualità di una vita di per sé difficile. Ma il design si pone spesso in dialogo anche con le raffinatissime tecniche artigianali rurali per ridisegnare gli oggetti tradizionali (il furniture design in bamboo di Sandeep Sangaru e Andrea Norohda, i progetti di Garima Aggarwal Roy, il Flying bird e le Singing Leaves di Rajiv Jassal, i Natural dishes di Sanders e Kandula, la bicicletta in bamboo di design anonimo) e incentivare le piccole economie locali (i Bamboo Cubes di M.P. Ranjan, i Chitku works di Priyanka Tolia)
L’India urbana invece, quella tecnologica, che si caratterizza più per lo sviluppo di processi e semilavorati che per il design, quasi trova un alter ego artistico nei lavori di Padmaja Krishnan (Excess mobile e Wood Pc) e di Ranjit Makkuni (progettista di sofisticate installazioni interattive che ci connettono con il sacro).
L’India, anche nel design, si rivela così, difficilmente organizzabile, classificabile, sistematizzabile, decifrabile. Convivono progettisti che vi rimangono con l’intento di cambiare le cose (in mancanza delle aziende sono molte le produzioni self-made in piccole serie), che vi tornano dopo lunghi periodi di formazione e attività all’estero, o che lavorano lontano dalla grande madre senza mai dimenticarla nei loro progetti.
Un paesaggio, il designscape indiano, ricco, che attraverso le diverse articolazioni del dialogo tra modernità e tradizione, potrà produrre nuovi contenuti per una società globale sempre in continuo divenire, e, proprio per questo, sempre alla ricerca delle proprie ancestrali radici.


21.01.2013 # 2858
New India Designscape

Daria La Ragione //

SURPRISE. Pietro Gallina. Ombre, profili, impronte

a Torino fino al 24 febbraio

Dopo la mostra dedicata ad Ugo Nespolo, il protagonista del secondo appuntamento è Pietro Gallina (Torino, 1937), che esordì nel 1967 con una personale alla galleria La Bertesca di Genova, avendo avviato da qualche tempo una originale ricerca incentrata sulla rappresentazione di figure umane e animali. L’ombra e il profilo sono stati da lui utilizzati come metonimie della figura umana, e in queste icone bidimensionali si condensa una ricchezza di osservazioni e particolari che rendono attuale il loro abitare lo spazio espositivo. Presenze diverse – gli archetipi della madre e del bambino, alcuni ritratti (inedito quello di Aldo Passoni), un uomo specchiante, l’ombra di una giovane donna seduta (donata dall’artista alla GAM nel 1967 per il Museo di Arte Sperimentale) e quella di una scultura di Giacometti – dialogano in mostra tra loro e con i riguardanti, o riflettono e inquadrano l’ambiente che le incornicia. Dopo aver lavorato sul tema della silhouette, Gallina affrontò il paradosso dell’impronta, nella serie effimera delle Nevigrafie e, per contrasto, nell’opera in bronzo del 1970 presentata qui per la prima volta, in cui è fissata per sempre la traccia di un suo passo.  

21.01.2013 # 2857
New India Designscape

Daria La Ragione //

WUNDERKAMMER. Davide Calandra scultore.

a Torino fino al 24 febbraio

A partire dal 17 gennaio 2013, in attesa del prossimo appuntamento dedicato ad opere preziose di Giovanni Migliara, Wunderkammerdiviene lo spazio dove accogliere e valorizzare un’importante opera di Davide Calandra rientrata da un lungo periodo di restauro: si tratta del gesso L’aratro, il cui bronzo si trova alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.  

Protagonista di una delle carriere più fortunate nel panorama della scultura italiana tra Otto e Novecento, Davide Calandra (Torino 1856 – 1915) si formò all’Accademia Albertina di Torino sotto la guida di Enrico Gamba e Odoardo Tabacchi: un’educazione che sarebbe stata completata da un soggiorno a Parigi nel 1881 con il fratello Edoardo. Il suo lungo e importante impegno nel campo della scultura monumentale prese avvio da una produzione decorativa e di genere, in cui Calandra sperimentò varie possibilità espressive sulla scia della tarda Scapigliatura milanese. Una sensibilità che si intrecciò a suggestioni tardo romantiche, filtrate anche dalla narrativa, ravvisabili in opere comeCuor sulle spine (1882) o Fior di chiostro (1884) entrambe nelle collezioni della GAM. A segnare una svolta breve, ma significativa nella produzione giovanile dello scultore torinese fu l’adesione, intorno al 1888, ad un verismo legato a temi rustici e campestri di cui è principale testimonianza il gesso qui esposto, L’aratro, cui l’anno dopo si affiancherà, Attraverso i campi, conservato alla Gipsoteca di Savigliano.  

Giunto nelle collezioni del Museo nel 1922 attraverso la donazione di Giorgio Calandra, il modello in gesso descrive senza abbellimenti il procedere di un contadino che dissoda con l’aratro il terreno per prepararlo alla semina: una scelta che introduceva in scultura un soggetto che aveva salde radici nella pittura piemontese, da Antonio Fontanesi a Carlo Pittara. In quello stesso 1888 il gesso fu tradotto nel bronzo che Calandra presentò all’esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Noto anche come Il primo solco, il bronzo fu nuovamente esposto a Brera nel 1891 e infine all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, dove fu acquistato per le collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, un lusinghiero riconoscimento che avrebbe contribuito a consolidare la carriera dello scultore torinese.  La breve stagione di questi temi agresti ha suggerito che essa abbia rappresentato per Calandra soprattutto un significativo aggiornamento in direzione antiromantica, in stretto parallelo con le scelte letterarie del fratello Edoardo. In questa prospettiva il modello conservato alla GAM rappresenta un primo, originale esito di una ricerca che sarebbe proseguita sino a condurre lo scultore a maturare una peculiare cultura eclettica capace di coniugare un colto storicismo con le eleganti cadenze fin de siècle, la cifra che avrebbe improntato la sua grande scultura celebrativa e di cui è nobile esempio Il conquistatore, posto nel giardino del Museo.  

La scultura in gesso è stata restaurata dal laboratorio Nicola Restauri ad Aramengo (AT). I modelli in gesso del braccio sinistro e della mano destra del contadino, che erano compromessi sul gesso originale, sono stati ripristinati eseguendo un calco direttamente sulla scultura bronzea conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Il gesso si presentava inoltre con una tonalità tendente al grigio a causa della polvere che si era depositata nel corso degli anni, così come un alone giallastro era stato provocato dall’ossidazione dei materiali. Tramite un’accurata pulitura eseguita agendo sotto aspirazione, è stato possibile riportarlo alla sua tonalità originaria.



21.01.2013 # 2856
New India Designscape

Daria La Ragione //

Michele Valori - Abitare le case

a Roma fino al 17 febbraio 2013

Grande sperimentatore di edilizia residenziale, promotore di una nuova edilizia popolare, tra gli autori del nuovo Piano Regolatore di Roma negli Anni Sessanta: è Michele Valori, uno dei protagonisti dell’architettura italiana del secondo Novecento. A questo architetto di grande rigore, urbanista illuminato e docente, il MAXXI Architettura insieme all’Associazione Michele Valori dedica la mostraAbitare le case.
Allestita a Palazzo Zenobio in occasione dell’ultima edizione della Biennale di Architettura di Venezia, la mostra arriva nelle sale del MAXXI arricchita di 35 nuovi disegni, parte dei progetti Torre Spagnola (Matera 1954) e Progetto INA Casa (Civita Castellana 1950) che vanno ad aggiungersi agli oltre quaranta tra disegni originali, fotografie, modelli, video interviste d’epoca e di testimonianze sul portato della sua opera.
Protagonista della mostra è l’Archivio Valori, donato nel 2006 dalla famiglia per le collezioni del MAXXI Architettura: un patrimonio di grande interesse di cui l’esposizione presenta una selezione di progetti e realizzazioni che documentano l’attenta ricerca dell’architetto sul tema dell’abitare nelle sue molteplici declinazioni. In mostra anche uno schermo touch screen da cui sarà possibile accedere ad altri progetti degli oltre 100 che costituiscono il patrimonio complessivo dell’Archivio Valori.
Dalle sperimentazioni di edilizia residenziale pubblica al fianco di architetti come Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi, per la ricostruzione dopo il conflitto mondiale, fino alla travagliata definizione del nuovo piano regolatore di Roma (1955 – 1962), la mostra evidenzia la passione civile, il rigore metodologico e la qualità professionale dei progetti di Michele Valori sul tema dell’abitare.


18.12.2012 # 2821
New India Designscape

Daria La Ragione //

Oltre il muro

a Rivoli fino al 31 dicembre 2012

Il Museo: i muri, pareti e quinte, segni del sogno incompiuto di Vittorio Amedeo II e del suo architetto, sono spesso testimonianze esorcizzate – degradate dal tempo e dalla storia – di altri artisti che nelle sale del Castello lavorarono al tempo della Residenza storica e che ora offrono la sfida agli artisti contemporanei per un confronto con se stessi, con la propria capacità e volontà di attraversare le barriere, fisicamente, concettualmente e politicamente, mettendosi in gioco per superare – profeticamente – la logica della distanza e della separazione. Nell’interpretazione dell’arte i muri nati come separazione si ritrovano ad essere elementi per estreme comunicazioni, luoghi ed epifanie di situazioni dolorose di convivenza, di scontro o di oppressione, di speranza o d’inquietudine. I blocchi e le pareti possono essere mentali, fisici, culturali o economici. Oltre il muro, tramite i propri percorsi che si intersecano dialogando, propone non solo una rilettura della collezione ma anche dello stesso ruolo del Museo nella civiltà contemporanea. Una sorta di gioco ribalterà i ruoli di curatore e visitatore, portando quest’ultimo a cercare la chiave per stabilire un discorso tra le opere e il concetto di limite, confine, luogo e memoria.

18.12.2012 # 2820
New India Designscape

Daria La Ragione //

Paola Pivi. Tulkus 1880 to 2018

a Rivoli fino al 6 gennaio 2013

Tulkus 1880 to 2018 è un progetto che consiste nella progressiva raccolta dei ritratti fotografici di tutti i tulku, dagli esordi della fotografia sino ad oggi.
 
Nel Buddismo tibetano, un tulku è la reincarnazione riconosciuta di un maestro Buddista precedente che, avendo raggiunto un alto livello di realizzazione (ad esempio Sua Santità Il Dalai Lama, o Sua Santità Karmapa), è in grado di scegliere i modi della propria reincarnazione e, spesso, di comunicare attraverso degli indizi criptati, il luogo della propria rinascita.
 
Il Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea ospita la prima mostra di questo progetto esponendo più di 1000 fotografie. L’intero progetto, un work in progress, aspira a raccogliere almeno 1500 ritratti ai fini di creare una collezione quanto più completa se non esaustiva di immagini raffiguranti i tulku, appartenenti alle diverse scuole Buddiste e Bonpo, in tutte le diverse aree del mondo dove è praticato il Buddismo Tibetano. Un unico archivio fotografico di questa portata non era mai stato realizzato in precedenza.
I ritratti esposti sono del tipo comunemente diffuso nella cultura tibetana: ritratti del singolo tulku sul trono in abiti formali oppure ritratti del volto del tulku. Si ritiene che ci siano oggi più di 2000 tulku.
 
Queste fotografie hanno valore spirituale e sono sacre per i Buddisti poiché si crede che la fotografia di un tulku abbia lo stesso potere del tulku ritratto.


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