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Mostre ed eventi // Pagina 94 di 231
28.06.2013 # 3126
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

Island. New Art from Ireland

a Modena fino al 15 settembre 2013

La collettiva – secondo step di una collaborazione internazionale che ha portato in Irlanda 80 fotografie selezionate dalla Raccolta di Fotografia della Galleria civica di Modena ( "The Artist's Eye" esposta fino al 7 luglio alla Glucksman) – presenta il lavoro di 5 artisti contemporanei residenti in Irlanda, una ventina di opere fra fotografie, dipinti, disegni, sculture, film, video e installazioni, realizzate a partire dal 2000, in un periodo cruciale per l'irlanda e per l'Europa nel corso del quale l'esuberanza e l'ottimismo per il nuovo millennio sono collassati nella crisi economica globale.

Gli artisti selezionati, Dorothy Cross, Damien Flood, Mark Garry, Martin Healy, Niamh O’Malley, sono stati chiamati ad indagare il tema dell’isola con particolare riferimento all’Irlanda, alla quale hanno guardato cogliendo aspetti diversi della cultura isolana, interrogandosi su come possa tornare a crescere e a fiorire in futuro.

La mostra si apre con "Drift" (2013), film di Mark Garry presentato in questa occasione in anteprima mondiale; l'artista presenta inoltre due sculture "Where oil meets water" e "To say a psalm for now". Niamh O’Malley è presente con due disegni, il video dal titolo "Island" (2010), e una scultura appositamente realizzata per la mostra. Martin Healy presenta scatti di archeologia industriale trattata dall'artista come se l'obiettivo fosse puntato su Dolmen e Menhir, "Fata Morgana" (2010), un'opera al neon che cita le coordinate di un'isola che non c'è a richiamare l'idea del miraggio e "The Last Man", un film del 2011. Dorothy Cross espone sculture e fotografie, "Udder Chair" una sedia che richiama i valori tradizionali della cultura isolana e "Poll na bPeist (Wormhole)" (2008), la fotografia di una vasca scavata vicino alla costa che si riempie come una piscina naturale con la marea. Damien Flood indaga il tema dell'isola attraverso alcuni dipinti: "Smoke Ring" (2012), "Dig" (2012) "Glass Mountain" (2013), "Sunflower" (2012), "Bench" (2010) "Cyclical Mountains" (2011), "Dome" (2009). Queste opere dialogheranno con un dipinto di Paul Henry, celebre artista del XX secolo che ritrae dolci colline e cottage dal tetto di paglia tradizionali, una rappresentazione dell'immaginario popolare del paesaggio irlandese, e, al contempo, un ritratto della dura realtà della vita quotidiana delle comunità rurali povere.

L'Irlanda, secondo la curatrice, cattura l'immaginazione dell'artista con i suoi lussureggianti prati verdi, i cieli mutevoli e la bellezza costiera. Ma questa immagine, sullo sfondo, è ricca di sfumature lugubri, di ombre oscure gettate dalle diverse ondate di invasori e dalle epopee di intere generazioni di emigranti. Per molti artisti irlandesi in questi paesaggi vi è un ricco filone di ispirazione che viene affrontato non senza una certa tensione. E' attraverso di essa che non è difficile approdare al racconto di una vera e propria cultura dell'isola.

Il linguaggio visivo è ostinatamente legato al proprio senso di luogo, senza però essere scollegato dall'arte intesa in senso più globale.

Dorothy Cross, Damien Flood, Mark Garry, Martin Healy, Niamh O’Malley sono artisti che celebrano la bellezza d'Irlanda, rifiutando però di essere inquadrati in una cornice espressiva romantica. Sul loro lavoro è come se incombesse un'ombra.

La mostra, aperta dal giovedì alla domenica dalle 19.00 alle 23.00, chiusa il lunedì, martedì e mercoledì, resterà aperta al pubblico fino al 15 settembre 2013 ultimo giorno di apertura del festivalfilosofia (Modena, 13-15 settembre).

Ad essa si accompagna una pubblicazione bilingue inglese-italiano che documenterà le opere in mostra e che presenterà testi della curatrice Fiona Kearney.


10.07.2013 # 3143
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

ALFRED HITCHCOCK nei Film della Universal Pictures

a Milano fino al 22 settembre 2013

Dal 21 giugno al 22 settembre 2013 le sale di Palazzo Reale di Milano ospiteranno una mostra dedicata al Maestro del brivido per eccellenza: Alfred Hitchcock. 

“Alfred Hitchcock nei film della Universal Pictures” è una mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Alef-cultural project management con la collaborazione speciale della Universal Pictures Italia divisione di Home Entertainment. 

Sono passati più di trent’anni dalla morte del mago della suspense che ha terrorizzato - e forse continua a terrorizzare - milioni di spettatori con i suoi capolavori. Durante la sua carriera Alfred Hitchcock ha girato oltre cinquanta film - dall’epoca del cinema muto agli anni settanta – che, nel tempo, l’hanno reso uno dei più influenti e venerati innovatori cinematografici di tutti i tempi. 

Nella storia del cinema, Hitchcock è infatti rinomato per il suo ingegno, le trame avvincenti, la pioneristica gestione delle camere da presa e l’originale stile di montaggio; la sua magistrale abilità nel tener viva la tensione in ogni singolo fotogramma è ancora studiata ed emulata dai film-makers di tutto il mondo. 

Obiettivo dell’esposizione è cercare di indagare e ricreare quell’effetto di suspense hitchcockiano, quella combinazione perfetta di elementi che, nel corso degli anni, ha tenuto tantissimi spettatori con il fiato sospeso nella doccia di un motel, affacciati su un cortile a spiare i vicini o alle prese con uccelli furiosi. Hitchcock lavorava alle scene dei suoi film con lo scopo di tenere gli spettatori in sospeso il più a lungo possibile, come affermò egli stesso: 

“Se fai esplodere una bomba il pubblico ha uno shock di dieci secondi, mentre se lo metti semplicemente al corrente della presenza di una bomba, la suspence può essere dilatata e il pubblico mantenuto in sospeso per cinque minuti.” 

Il percorso espositivo racconta la figura di Alfred Hitchcock attraverso i principali capolavori firmati Universal Pictures, la celebre casa di produzione che, acquisendo la Paramount Pictures, ha prodotto i suoi film dal 1940 al 1976. Una collaborazione decisamente proficua che ha portato sul grande schermo capolavori indimenticabili e inimitabili come “Psyco”, “La finestra sul cortile”, “Gli Uccelli”, “La donna che visse due volte” e molti altri. 

La mostra presenta settanta fotografie e contenuti speciali provenienti dagli archivi della major americana che, per preservare la qualità di queste opere, ha restaurato le quattordici pellicole originali nell’audio e nel video portandole in alta definizione su disco Blu-ray™ per la visione in home video. Il lavoro svolto per la riedizione di questi film e il materiale raccolto è la base su cui è stata strutturata la mostra. Il pubblico potrà immergersi nei backstage dei principali film di Hitchcock scoprendo particolari curiosi sulla realizzazione delle scene più celebri, sull’impiego dei primi effetti speciali, sugli attori e sulla vita privata del grande maestro. 

Il critico cinematografico Gianni Canova accompagnerà il visitatore, con una serie di approfondimenti video, lungo la mostra analizzando i principali capolavori del regista britannico firmati Universal Pictures. 

Primo fra tutti “Psyco” (1960), una delle sue opere più controverse e innovative. Una pietra miliare del cinema del brivido che, nel 1960, riuscì a battere tutti i record di incassi e fece fuggire il pubblico dalle sale in preda al panico. 

Un’occasione per vedere da dietro le quinte il metafisico motel Bates, il personaggio inquietante di Norman, la doppia personalità di Marion, la celebre scena della doccia e il ruolo fondamentale di Alma Reville, la moglie-consigliera del maestro del brivido. 

10.07.2013 # 3142
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

GUIDO CREPAX - Ritratto di un artista

a Milano fino al 15 settembre 2013

"Con Crepax cambiava il senso del tempo nel fumetto, ovvero il rapporto tra spazio e tempo... due inquadrature potevano suggerire contemporaneità, come se il lettore voltasse rapidamente la testa da una parte e dall'altra di una scena, cogliendo nello stesso istante due particolari diversi"

Umberto Eco

Apre a Palazzo Reale la prima esposizione dell'opera di Guido Crepax a 10 anni dalla sua scomparsa e a 80 anni dalla sua nascita (15 luglio 1933). Fumettista, illustratore di libri, giornali, copertine di dischi, designer pubblicitario, scenografo di teatro, designer per oggetti di largo consumo e creatore di giochi in ambito familiare: per la prima volta la mostra mette in primo piano l'autore più che Valentina, il personaggio che lo ha reso celebre in tutto il mondo.

Tutta l'opera di Guido Crepax deve molto alla fotografia e al cinema: lo dimostrano la struttura delle sue pagine a fumetti, l'amore per i particolari e lo stile narrativo del suo racconto per immagini. Da qui la scelta delle circa 90 tavole originali esposte - selezionate dall'Archivio Crepax tra le oltre 4.500 dell'autore - dalle quali emerge il forte legame del suo lavoro con la fotografia e il cinema: la prima incarnata da Valentina, fotografa di moda protagonista di storie raccontate per immagini dove il particolare conta più del generale; il secondo decifrabile nel montaggio quasi cinematografico delle sue storie a fumetti, segno dell'amore dell'autore per il grande schermo.

Oltre trenta sagome a grandezza naturale, scenografie, filmati e particolari installazioni realizzate ad hoc accompagnano il visitatore nel percorso. I disegni originali, la maggior parte dei quali nel classico bianco e nero, saranno inseriti in una speciale quadreria di grandi dimensioni e totem interamente realizzati in cartone riciclabile ed ecocompatibile.

Organizzata in 10 sale tematiche, la mostra racconta il background culturale delle opere: il rapporto di Crepax con Milano, teatro di molte avventure di Valentina, la famiglia e la casa, la presenza di citazioni di oggetti che hanno fatto la storia del design italiano e internazionale, lo sguardo attento a moda, costumi e tendenze del suo tempo, i riferimenti a pittori e scultori nelle sue tavole.

10.07.2013 # 3141
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

LIFE I GRANDI FOTOGRAFI

a Roma fino al 4 agosto 2013

Per buona parte del XX secolo, i fotografi di Life hanno raccontato con le loro immagini ogni aspetto della vita umana. Uscito per la prima volta nel 1936 e poi con cadenza settimanale fino agli anni Settanta, la rivista fu creata da Henry Luce per cercare proprio nel fotogiornalismo, negli occhi privilegiati dei fotografi, le immagini del nuovo secolo da mostrare ai lettori.

“Vedere la vita, vedere il mondo” era il motto sul primo numero di Life e veramente, con il loro stile inconfondibile, i fotografi di questa rivista hanno impresso una svolta nella maniera di comprendere l’attualità, di vederla e di raccontarla attraverso le immagini. Gli anni Trenta della Depressione, gli anni Quaranta, la Seconda guerra mondiale, il difficile dopoguerra, il Vietnam: Life ha raccontato il Novecento e ha imposto una linea, indicato una maniera particolare di guardare e quindi di pensare l’attualità.


La mostra Life. I grandi Fotografi è una produzione inedita, messa a punto proprio per questa occasione. Un insieme di circa 150 fotografie, tra le più celebri, racconteranno la nascita, l’evoluzione e lo stabilizzarsi di una visione che è diventata decisiva: il mondo alla maniera di Life. La testimonianza del talento, della creatività e del coraggio di questi autori è racchiusa in questa esposizione.

Il volume che accompagna la mostra, pubblicato da Contrasto, raccoglie i profili biografici e le immagini degli autori che, nel tempo, hanno fatto grande la rivista: 99 tra i più grandi fotografi della storia, da Eisenstaedt a Bourke-White, da Mydans a Parks, da W. Eugene Smith a Robert Capa fino a Morse e a McNally, il cui recente servizio sul Ground Zero si inserisce nella grande tradizione di Life. 


"I fotografi che lavorano per Life riprendono il mondo che li circonda e prestano una particolare attenzione alle persone che lo abitano e alle loro attività. Ciascuno di noi è convinto di saperlo fare meglio di chiunque altro (ma forse non tutti abbiamo ragione). Molte delle nostre foto restano impresse nella memoria e diventano veri classici. Per quale motivo? Credo perché conservano la capacità di sorprendere. La parola scritta diventa rapidamente obsoleta: una notizia vecchia è un ossimoro. Invece le fotografie vecchie continuano a richiamare la nostra attenzione, e credo sia proprio questo lo spartiacque tra le ambizioni dei fotografi e quelle dei giornalisti. L’ambizione di creare opere che non perdano mai d’interesse, è la base portante di questo lavoro”.


John Loengard 

10.07.2013 # 3140
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

TROMPE L'OEIL

a Milano fino al 1 settembre 2013

Nella storia dell’arte, il trompe l'œil è un genere pittorico volto a suscitare nello spettatore la presunzione della tridimensionalità di oggetti dipinti su una superficie a due dimensioni. 

Attraverso la forza dell'illusione, mette in dubbio la nostra capacità di distinguere fra realtà e rappresentazione e, in questo senso, trova il suo compimento proprio oggi, molti secoli dopo la sua invenzione, nella fotografia.
Di fronte agli elementi architettonici della Camera Picta di Mantegna o alla cornice che introduce allo studio di San Gerolamo nel quadro di Antonello da Messina, infatti, ci troviamo nella stessa condizione che accompagna l'osservazione di qualsiasi fotografia: pur avendo l'impressione di stare di fronte alla realtà, siamo invece al cospetto di una sua immagine.
A partire da un utilizzo della fotografia in modalità e forme molto diverse, la mostra presenta una serie di immagini e video sul rapporto tra verità e finzione portando all’estremo il paradosso secondo cui, ancora oggi e nonostante le tecnologie digitali, la fotografia viene considerata una “prova di realtà” inconfutabile, oltre che una elaborazione personale di quella stessa realtà che dovrebbe documentare.
Come sia possibile questa duplice lettura, e quali siano le sue diverse implicazioni, è il tema di Trompe l'œil: un viaggio alle origini della nostra visione e della fiducia che attribuiamo alla macchina fotografica.

La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 28 giugno all'1 settembre e presenta i lavori di Pedro Almeida, Elena Amici, Immacolata Cante, Alice Caracciolo, Antonio Cormano, Miryam Cuppone, Alessia D'Alessio, Matteo Damiani, Guadalupe Delgadillo, Silvia Di Frisco, Martina Garioni, Nicola Genchi, Elena Giandomenico, Kateryna Kovarzh, Simone Mantovani, Nicole Moserle, Marios Orphanos, Tommaso Passerini, Giuseppina Pellegrino, Lucia Pizzinato, Benedetta Pomini, Carolina Prieto, Luca Ravanelli, Leonard Regazzo, Simone Sacchetto, Lisa Salini, Camellia Tavassoli, Sofia Urzi, Cecilia Valsecchi, Yu Zhenghui, Chiara Zandonà, Alba Zari.

28.06.2013 # 3125
Island. New Art from Ireland

Daria La Ragione //

FABRIZIO PLESSI

a Mantova fino al 15 settembre 2013

L’installazione del videoartista è il primo intervento del ciclo “Le case degli dèi” che vedrà alternarsi artisti quali Bill Viola, Candida Höfer, Giuseppe Penone, Ai Weiwei.

Dal 15 giugno al 15 settembre 2013, Palazzo Te di Mantova è teatro di un insolito, quanto inedito, confronto tra Giulio Romano (Roma, 1499 – Mantova, 1546) e Fabrizio Plessi (Reggio Emilia 1940).

Per l’occasione il videoartista ha pensato un’installazione site specific che dialoga con le pareti affrescate della Sala dei Giganti della residenza ducale mantovana.
Quello di Plessi è il primo intervento del ciclo “Le case degli dèi” che vedrà, successivamente, alternarsi artisti quali Bill Viola, Candida Höfer, Giuseppe Penone, Ai Weiwei, che occuperanno con i loro lavori varie sale e spazi di Palazzo Te.

L’iniziativa è stata ideata e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e alla Promozione Turistica del Comune di Mantova in collaborazione con il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, con il contributo della Fondazione Cariplo e della Regione Lombardia insieme ai comuni delle Terre di Mezzo, all’interno del progetto “Miti e delizie delle Terre di Mezzo” per la valorizzazione e la comunicazione dei luoghi più emblematici del territorio mantovano.

L’opera di Plessi presenta una visione capovolta e disordinata di un gruppo di tavoli, come se fossero stati rovesciati da un cataclisma. Ogni tavolo ospita tre grandi monitor che proiettano video sui quali scorre un flusso d’acqua nera interrotta, a intervalli crescenti, da tonfi di pietre che vi cadono dentro, molte delle quali, realmente prelevate da cave del mantovano, sono disposte sul pavimento. Il sonoro basso e cupo di acqua e di cadute di massi reinterpreta la tragedia dipinta da Giulio Romano che pare rianimarsi e far percepire al visitatore gli sconquassi della terra, il tuonare dei fulmini, lo scroscio dell’acqua e le urla dei Giganti.

“Il senso complessivo dell'installazione di Plessi - afferma Marco Tonelli, Assessore alle Politiche Culturali e alla Promozione Turistica del Comune di Mantova - è collegabile alla condizione di crisi globale (culturale, economica, sociale, politica) che la società occidentale sta attraversando da diversi anni ormai, senza che si intraveda una luce, una soluzione, una uscita a breve distanza”.
“Del resto - prosegue Tonelli - il periodo stesso del Manierismo, di cui l'opera di Giulio Romano è emblema, dalla storiografia ufficiale è sempre stato definito un periodo di crisi religiosa e spirituale, estetica e sociale, un passaggio critico tra le certezze classiche del Rinascimento e i fasti celebrativi del Barocco”.

L’installazione è introdotta da una sezione preliminare, collocata nella sala degli Stucchi e in quella dei Cesari, con i progetti, i disegni e i pensieri dell’artista.
L’intervento di Plessi raffigura un ordine olimpico messo in crisi, un rovesciamento di valori, così come illustrato nel ciclo mitologico della Caduta dei Giganti, i quali, arrampicandosi sui monti di Pelio e Ossa tentarono la scalata dell’Olimpo; gli dèi, Zeus in testa, abbatterono la loro superbia con fulmini e tuoni, facendo crollare su di essi le montagne e sommergendoli con flutti d’acqua.

L’obiettivo di Plessi non è quello di mettersi in competizione con lo spazio che contiene la sua opera, ma di assecondarla. Nel caso della Sala dei Giganti, opera manierista per antonomasia, la monumentalità del ciclo affrescato e la sua tensione emotiva sono stati raffreddati dall’installazione di Plessi e trasportati in un dominio più tetro, sommerso, quasi primordiale. L’arte barocca, teatrale e tecnologica di Plessi si misura in questo caso con quella manierista e altrettanto teatrale di Giulio Romano, il più illustre allievo di Raffaello.

Plessi è da sempre amante del dialogo con la storia, con il mito e la monumentalità di spazi antichi.
La sua più recente serie di installazioni, Monumenta (2012), inserite nella Valle dei Templi di Agrigento sulla linea ideale che unisce il tempio di Zeus a quello di Era, testimonia questa tendenza. Senza contare il suo intervento Llaüt Light (2012) nella Llotja a Palma di Maiorca, costruzione gotica di grande suggestione o quelli di anni precedenti in cisterne sotterranee d’epoca romana o in musei come il Kunsthistorisches Museum di Vienna nel 1998 con L’Arca dell’Arte.
L’opera ideata per la Sala dei Giganti, attraverso la ciclicità stessa del loop del video – rispecchiata nella circolarità della volta dipinta raffigurante la visione dell’Olimpo -, si inserisce perfettamente in questa linea mitologica ed eroica di Plessi.

L’appuntamento mantovano precede di pochi giorni l’inaugurazione del Plessi Museum, al Passo del Brennero. Sarà una struttura architettonica innovativa, che ospiterà, al suo interno, una sede espositiva permanente dedicata all’arte di Fabrizio Plessi e sarà il primo esempio italiano di spazio museale in autostrada, simbolo di connessione tra il mondo mediterraneo e quello mitteleuropeo.

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