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Mostre ed eventi // Pagina 63 di 231
20.05.2014 # 3647

Daria La Ragione //

GIANNI DESSI'. Tutto insieme

a Lissone fino al 15 giugno 2014

Gianni Dessì [Roma, 1955] indaga il mondo con occhio curioso e vigile. Nel corso degli anni l'artista ha sviluppato una personale visione della realtà che ci circonda, conscio del fatto che l'arte è «un vedere attraverso il quale si disegna il mondo».

Né astratta né figurativa, l'arte di Dessì interroga i linguaggi della pittura per assecondare le proprie intuizioni, le idee e le urgenze che gli permettono di raggiungere un'essenza e un'evidenza delle forme. Grazie a una economia stringente che ha la forza di aprirsi alla vastità, Dessì continua imperterrito a svilup-

pare un percorso coerente ma sempre imprevedibile.

«Vagheggio un'idea dell'arte che possa essere inclusiva e non esclusiva» ammette l'artista. È con questo spirito che si esplica il titolo di questa mostra: Tutto insieme allude a un complesso eterogeneo attraverso il quale Dessì intende riarticolare lo spazio espositivo, creando rimandi e concatenazioni tra i singoli elementi. Poiché la somma delle singole parti è più grande delle parti stesse, l'artista intende stabilire una relazione tra opera e opera, combinando assieme pittura, disegno e altre tecniche, alla maniera di disjecta membra che si ricompongono a chiarire il proprio corpus artistico.

Dessì crea forme precise nella loro definizione benché libere nella loro interpretazione; ciò consente uno scambio vicendevole tra dento e fuori, finito e non-finito, generando un flusso di energie e di sensibilità. Concependo ogni mostra alla stregua di un ambiente unitario, l'artista stabilisce una forte relazione tra

le opere e lo spettatore. Tematizzando la sostanza del gesto e del segno, dei pieni e dei vuoti, Dessì genera un coagulo di significati che trovano il proprio fondamento nel groviglio del mondo. In mostra a Lissone un

dipinto su tela, una serie di opere su carta e una grande vetroresina intendono afferrare il cuore stesso della forma mentre migra tra le tecniche e i materiali.

09.05.2014 # 3637

Daria La Ragione //

"Il garbo è tutto": Segni e carte di Carol Rama

a Torino fino al 15 giugno 2014

La GAM presenta a partire dal 16 aprile negli spazi della Wunderkammer, recentemente riallestiti, un’importante serie di carte di Carol Rama provenienti dalla collezione del museo.

A curare la mostra, quindicesimo capitolo del progetto Wunderkammer, è stata invitata Maria Cristina Mundici, storica dell’arte e membro del Comitato Scientifico dell’Archivio Carol Rama.

Carol Rama è oggi un’artista nota sullo scenario artistico italiano e internazionale, nonostante il suo lavoro abbia avuto nel corso del Novecento fortune alterne.

Nata a Torino nel 1918, riceve un riconoscimento universale nel 2003 alla Cinquantesima Biennale di Venezia col premio alla carriera. Andando a ritroso nel tempo, soltanto dal 1985 si succedono sue importanti mostre monografiche in spazi pubblici, in Italia e all’estero. Agli albori della sua carriera, tra gli anni Trenta e Quaranta, è apprezzata e sostenuta da Felice Casorati. In quel periodo realizza acquerelli straordinari, di cui vediamo in mostra esempi notevoli quali Nonna Carolina (1936, sua prima opera conosciuta) e Appassionata (1940).

La rudezza di certa iconografia, che Carol Rama ricava da elaborazioni del proprio vissuto, è felicemente bilanciata dall’eleganza formale del segno e della composizione, che richiamano opere di Klimt e Schiele.
In seguito si rivolge all’astrattismo, caratterizzato prima dall’adesione al Mac torinese negli anni Cinquanta, poi connotato negli anni Sessanta dall’uso di oggetti sovrapposti a macchie informali di colore, in quadri che Edoardo Sanguineti ha denominato “bricolage”. Lo stretto rapporto esistente tra Carol Rama e Sanguineti è ricordato in mostra da una cartella di incisioni, Idilli, completata da poesie del letterato.

L’astrazione prosegue negli anni Settanta con una serie di quadri ottenuti applicando su superfici solitamente monocrome frammenti di camere d’aria usate, stese come pelle pittorica o lasciate nella loro evidenza tridimensionale, come accade nello splendido quadro esposto in mostra Movimento e immobilità di Birnam(1978). Del ritorno alla figurazione, a partire dagli anni Ottanta, parlano infine sia Seduzioni (1985) sia una cartella del 1993-1998 composta da venticinque incisioni, in cui la pittrice riprende temi e iconografie che le sono proprie.

Il progetto Wunderkammer, che da quest’anno si è trasferito in uno spazio espositivo nuovo e più ampio, è curato da Virginia Bertone, conservatore delle raccolte e responsabile del Gabinetto Disegni e Stampe della GAM.



09.05.2014 # 3636

Daria La Ragione //

TINA MODOTTI. Perché non muore il fuoco

a Torino fino al 5 ottobre 2014

Dal 1 maggio al 5 ottobre 2014, Palazzo Madama rende omaggio a Tina Modotti (1896 – 1942) la cui eccezionale personalità umana, artistica e politica l’ha resa una delle donne fotografe più celebri al mondo. L'esposizione, che gode del patrocinio del Comune di Torino, è ospitata nella Corte Medievale di Palazzo Madama e nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Torino Musei, l’associazione culturale Cinema Zero e la casa editrice Silvana Editoriale.

“Sempre, quando le parole "arte" e "artistico" vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo… Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni.” (Tina Modotti, Sulla fotografia)


09.05.2014 # 3635

Daria La Ragione //

Artemisia Gentileschi. La Santa Caterina dagli Uffizi

a Torino fino al 3 giugno 2014

 Artemisia Gentileschi è una delle artiste più note del panorama artistico italiano. Figlia di Orazio, pittore toscano di impronta caravaggesca, seguì le orme del padre, formandosi alla bottega romana della famiglia. Il suo stile si evolve nell’insegnamento di Caravaggio, sul quale però Artemisia innesta una più forte vena emotiva e teatrale. 

Nota alle cronache anche per il caso di stupro che la vide vittima nel 1611, Artemisia è divenuta nel Novecento un simbolo del femminismo internazionale. 

La Santa Caterina fu dipinta verso la fine del soggiorno di Artemisia a Firenze, intorno al 1620. La santa indossa una ricca veste di velluto e una corona tempestata di gemme, a ricordare le sue nobili origini ed è raffigurata in un atteggiamento contemplativo. La mano sinistra è appoggiata sulla ruota dentata, uno degli strumenti con cui fu torturata. La destra regge la palma simbolo del martirio. È una figura di forte presenza fisica, che si staglia dal fondo scuro come affacciandosi sulla ribalta di un palcoscenico. Anche per questo si è pensato che Artemisia possa avere preso a modello una donna reale. La santa Caterina potrebbe essere un autoritratto, o anche il ritratto di Maria Maddalena d’Austria, moglie del duca Cosimo II de Medici, alla quale potrebbe alludere la sfarzosa corona gemmata. 

L’esposizione del dipinto di Artemisia Gentileschi nelle sale di Palazzo Madama, in prestito dalle collezioni della Galleria degli Uffizi rappresenta il punto di partenza di un dialogo tra le collezioni dei due grandi musei, in vista di un progetto di più ampio respiro dedicato all’autoritratto femminile previsto per l’estate del 2014. 


09.05.2014 # 3634

Daria La Ragione //

FABRIZIO PLESSI. Gli anni Settanta

a Milano fino al 28 giugno 2014

L’esposizione propone una delle opere più importanti dell’artista reggiano: ‘Gabbia d’acqua’, presentata alla Biennale di Venezia del 1972, oltre all’installazione ‘Crazy pool’ e a una serie di lavori su carta realizzata nel decennio decisivo della sua evoluzione creativa.

Dal 9 maggio al 28 giugno 2014, la Fondazione Mudima di Milano (via Tadino 26) ospita una personale di Fabrizio Plessi che indaga gli anni Settanta, un periodo estremamente proficuo e di grande progettualità nell’evoluzione del suo linguaggio artistico.
Curata da Marco Meneguzzo, l’esposizione che segna il ritorno di Plessi a Milano, ripercorre la storia di un decennio che ha visto l’autore reggiano affermarsi nel panorama dell’arte internazionale, nel quale Plessi abbandona gli strumenti tradizionali del creare, adottando il video e l’installazione come cifra caratteristica del proprio lavoro, e scegliendo l’acqua come soggetto esclusivo di tutta la sua ricerca espressiva, di ogni suo progetto e di ogni suo singolo disegno.

Sono anni in cui Plessi progetta e crea delle videoinstallazioni rimaste famose per la storia della video-arte non solo italiana. Tra queste spiccano due lavori fondamentali: la prima, la “Gabbia d’acqua”, esposta alla Biennale di Venezia del 1972 e mai esposta a Milano, che presenta una piramide in ferro, alla cui cuspide è sospesa una gabbia cubica che contiene acqua colorata, in cui ricorda Marco Meneguzzo, “al di là dell’aspetto paradossale - la gabbia apparentemente aperta che contiene l’incontenibile - è la presenza fisica, la ‘pesantezza’ visibile e addirittura ostentata dell’oggetto che contrasta con la fluidità dell’acqua, con l’idea dello ‘scorrere’, del passare”.
La seconda, “Crazy Pool” vede all’interno di una canoa in legno, allestita nella piscina vuota al piano inferiore della Fondazione Mudima, agitarsi un mare elettronico diffuso dagli schermi di televisori, in cui il video restituisce una percezione fredda e fluida, analoga a quella dell’elemento acquatico che ha scelto, ma tutt’altro che narrativo, come vorrebbe il medium utilizzato. Sottolinea ancora Marco Meneguzzo che “Plessi non usa il video per narrare, ma per esprimere, ed è molto difficile trovare nei suoi lavori che implicano l’uso del video anche il minimo accenno narrativo, mentre è quasi sempre utilizzato accanto e a contrasto di altri elementi, primo fra tutti l’acqua di cui sfrutta l’ambiguità percettiva”.

Un elemento di enorme importanza della rassegna milanese risiede nelle opere su carta intelata, tela emulsionata su legno e su carta millimetrata, mai più esposte da quarant’anni. Si tratta di un forte nucleo di grandi lavori progettuali, a metà tra un’iconografia pop e il concettualismo successivo, risalenti agli anni 1969/76, esposti allo Studio Nino Soldano, e ancora nella sua collezione, che testimonia la precocità di certi temi e di certi sviluppi futuri e centrali di Plessi, come l’interesse tutto concettuale per l’acqua come elemento “imprendibile”, mentre una serie di disegni su carta millimetrata – della collezione personale dell’artista, mostrano il robusto consolidarsi del concetto di videoinstallazione, ripreso da Plessi nel decennio successivo, e fonte di ispirazione diretta o mediata per una generazione più giovane di video-artisti.

FABRIZIO PLESSI. Gli anni Settanta

Milano, Fondazione Mudima (via Tadino 26)

9 maggio - 28 giugno 2014

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