Ci sono storie che, quando te le raccontano, ti sembrano film, romanzi, creature nate dalla penna di un romanziere, frutto della fantasia. Perché sono così avventurose che si stenta a credere che il personaggio sia stato persona, che davvero qualcuno abbia camminato sulla luna, deciso le sorti di milioni di persone, trasformato la vita quotidiana con invenzioni rivoluzionarie. Sono lì che aspettano solo che qualcuno le metta su carta, su pellicola, per impedire che il ricordo svanisca, che si perda questo patrimonio di eccezionalità.
Tina Modotti è stata una di queste persone, con una vita così intensa che sono due, tre, quattro.

Piccola emigrante friulana, poi astro nascente del cinema muto a Holliwood, personaggio di spicco del circolo culturale messicano che ruotava intorno alle figure carismatiche di Frida Khalo e Diego Rivera, amante di artisti, politici, fotografa strepitosa dei lavoratori, dei contadini, delle masse sfruttate, ma anche spia per l'URSS.
Tutto ciò in poco più di quarant'anni.

Una vita così andava raccontata e non stupisce che, oltre ai tanti libri, non uno, ma due fumetti siano stati dedicati al racconto della storia di questa donna appassionata. Il primo, del 2003, è dell'italiano Paolo Cossi, edito da Biblioteca dell'Immagine. Un'altra graphic novel, del 2007, dello spagnolo Angel De La Calle, è stato rieditata quest'anno, e a settembre è prevista l'uscita del secondo volume dedicato dal disegnatore alla fotografa italiana.
Fino alla fine la sua via fu segnata dall'eccezionale: fu Neruda a scriverne l'epitaffio, dedicandole la poesia con cui si chiude questo piccolo omaggio alla fotografa e alla donna.
Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l'ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d'acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l'anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l'assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d'una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall'acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.
Pablo Neruda, 5 gennaio 1942.