Ormai siamo abituati a leggere ci concorsi banditi da comuni e città che sono alla ricerca di un city branding: un marchio che possa identificare e insieme raccontare la specificità di un luogo.
Ce ne sono così tanti che nasce legittimo un sospetto: e cioè che persone di scarsa competenza tentino di aggirare l’ostacolo chiamando a raccolta grafici e designer, con l’auspicio che possano colmare il vuoto di competenze in materia di comunicazione che tristemente affligge buona parte delle nostre istituzioni.
Il dubbio si fa quasi certezza quando queste esperienze sono messe a confronto con il luminoso esempio rappresentato dal City Branding della città di Bologna, del quale mi piacerebbe molto dire che ha fatto scuola, ma sarebbe una bugia dal momento che rimane un’oasi nel deserto.
Le differenze che saltano agli occhi sono moltissime, ma ce n’è una che proprio brilla: pure essendo nato a seguito di un concorso, il brand è Bologna è figlio di un processo lungo e accurato, ma soprattutto figlio di persone competenti e attente.
Spicca su tutte la figura di Roberto Grandi, ordinario di Sociologia dei processi comunicativi dell’Università di Bologna, autore di testi sulla comunicazione pubblica e – udite udite – responsabile scientifico del progetto Bologna City Branding.
Insomma, per una volta si è pensato di acquisirle, queste benedette competenze, prima di chiedere ai grafici di metterci mano.
E la differenza è manifesta: prima di bandire il concorso è stata svolta un’attività di ricerca per chiarire quale fosse la percezione della città, e sono state svolte tre indagini:
– un questionario somministrato prevalentemente a stranieri che hanno soggiornato nella città per periodi più o meno lunghi;
– un’analisi sul web per capire a quali parole veniva associata la parola Bologna;
– un focus con i cittadini per capire l’immagine desiderata della città.


«il branding oggi non è un problema di marketing classico ma di storytelling, ossia attiene a come si racconta la storia di un brand, quali sono le figure, i colori, le sensazioni per raccontarlo. Dall’analisi delle tre ricerche abbiamo tratto alcune conclusioni su quello che è il cuore dell’identità della città. (…)L’immagine di una città che è considerata un piccolo gioiello nascosto perché non ha mai investito nella propria promozione: ci si capita per caso, di passaggio e per questo il turista non ha aspettative. È un città in cui le persone dicono di non sentirsi trattate da turisti, ma subito da cittadini. Una città accogliente, dove puoi camminare senza avere una meta e perderti. Se dobbiamo pensare all’identità di questa città mettendo insieme le caratteristiche materiali, come le due torri, le piazze, la collina e i portici, e quelle immateriali, è parso evidente come l’elemento distintivo fossero i portici.
Le torri sono abbastanza scontate, i portici sono l’elemento avvolgente che riflette le caratteristiche immateriali, il potersi perdere, il lasciarsi avvolgere dalla città. Dal punto di vista semantico il portico rappresenta la dimensione orizzontale. Quasi tutte le città contemporanee comunicano un senso di verticalità: la dimensione verticale ti sorprende attraverso la vista. La dimensione orizzontale, invece, sorprende attraverso l’udito e l’olfatto: l’ascolto dei rumori, gli odori, l’essere circondati dalle persone. Bologna è città plurisensoriale, ti propone un codice aperto perché ti dice che puoi farti tu il tuo racconto.»
Il risultato è stato uno dei progetti più innovativi che si siano visti nel nostro paese, che ha dato vita al primo logo generativo di una città. Gli autori sono Matteo Bartoli e Michele Pastore, i progetti arrivati 524, e si sono aggiudicati 14.000€, non visibilità, ma soldi, in grado di attrarre professionisti validi spingendo a competere per un progetto serio e credibile.

Che significa “logo generativo”?
«Il progetto è nato con l’obiettivo di tradurre visivamente le infinite sfaccettature e le percezioni della città – che costituiscono il che cosa è Bologna – costruendo un sistema di scrittura che sostituisce ai grafemi dell’alfabeto dei segni astratti caratterizzanti.
È stato così disegnato un alfabeto di segni geometrici, riconducibili a un immaginario storico tipicamente italiano. (…) Con queste forme/lettere è possibile perciò “scrivere” qualsiasi concetto riferibile alla città,
includendo ogni caratteristica fisica o astratta, generale o personale, che si vuole associare a Bologna. Dal punto di vista grafico si ottiene così una forma precisa e diversa da tutte le altre (un logo) per ogni parola generata. Ogni logo può essere poi colorato con tinte derivate da due colori individuati puntualmente.»
L’
Urban Center Bologna, il “luogo in cui puoi conoscere le principali politiche e i progetti che stanno cambiando Bologna”, mette a disposizione di tutti un documento in cui viene raccontata la genesi del logo e le sue caratteristiche, che potete leggere qui, mentre qui potete giocare a creare il vostro logo di Bologna.