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16.05.2022 # 6059

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Simona Falco

Tra comunicazione, social nel presente e nel futuro (Metaverso), passando per creatività e razionalità, Simona Falco si racconta in un'intervista per Generazione Ilas.

Simona Falco si occupa di comunicazione digitale.
Da due anni lavora presso l'Università Ca' Foscari di Venezia come "Communication Manager e supporto all'organizzazione e al coordinamento degli eventi" per un progetto europeo che mira a trovare nuove forme di collaborazione tra le imprese culturali e creative (CCI) e le imprese manifatturiere avanzate (AVM) che abbiano innestato un processo di innovazione nell'ambito delle nuove tecnologie e della comunicazione innovativa. Dal 2016 collabora come social media manager freelance con varie agenzie di comunicazione e pubblicità italiane e con aziende italiane in maniera autonoma. Ha esplorato l'ambito pubblicitario in senso stretto realizzando alcune sceneggiature per spot pubblicitari e ha approfondito l’ambito della scrittura per la televisione prendendo parte ad un gruppo autoriale di un piccolo format tv tutto al femminile.




Come ti descriveresti?
Se dovessi pensare a quattro aggettivi adatti a descrivere la mia personalità direi: curiosa, tenace, creativa e con una buona dose di intelligenza emotiva.Da sempre mi affascina la comunicazione in tutte le sue forme, convivono in me due parti diverse in un equilibrio personalissimo: l'amore per la creatività e l'esigenza di razionalità e concretezza. Non ho voluto rinunciare a nessuna delle due parti bensì le ho coltivate entrambe. Ho conseguito la laurea in economia aziendale, con tesi in marketing: “gli eventi quali strumenti di comunicazione commerciale per lo sviluppo del territorio”, e nel contempo ho preso il diploma in recitazione e regia teatrale, che ho approfondito recensendo spettacoli teatrali come apprendista giornalista nel settore cultura e spettacolo presso una testata giornalistica.Ho esplorato quindi cosa vuol dire comunicare con il corpo, con le parole, con le luci, con i silenzi, come l'altro risponde agli stimoli esterni e nel frattempo ho studiato i metodi e i processi di comunicazione e pubblicità aziendali. La mia vera curiosità è scoprire come funziona l'essere umano e grazie a questo tipo di formazione ho cominciato a capire e sperimentare come l'uomo processa le informazioni, le sue emozioni, per riuscire a trovare modelli comunicativi adeguati.

Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso che il tuo percorso lavorativo sarebbe stato nel mondo dei social?
In realtà non l'ho deciso ma sta accadendo da quando mi sono iscritta alla Ilas. Mentre seguivo il Corso di Social Media Marketing già facevo pratica per un'azienda. Pian piano ho costruito un portfolio clienti in vari settori, come fashion, il food ad enti di formazione. Negli ultimi anni sto dando priorità a progetti culturali innovativi, come quello che seguo per l'Università Ca' Foscari di Venezia e la collaborazione con il Palazzo Reale di Napoli per il "Summer Fest". La comunicazione degli eventi culturali mi appassiona molto, sono un ottimo strumento per lo sviluppo del territorio e una grande attrazione per il turismo.

Cosa ti affascina del mondo della comunicazione e nello specifico dei social?
La ricerca e la creatività. Mi piace molto sperimentare. Di certo c’è un gran lavoro di analisi per elaborare una strategia di comunicazione da cui scaturisce una campagna pubblicitaria ma non è una scienza esatta. Non saprai mai in anticipo se l'idea funziona. Che sia un post, uno spot o un evento bisogna agire in maniera creativa in linea con la strategia, raccogliere i risultati, controllare i dati e su questi riassestare le idee. Lo stesso vale per uno spettacolo teatrale o un'opera d'arte, in quanto, ci si rivolge alla sensibilità delle persone e la mente umana è spesso un'incognita. Il Neuromarketing, su questo ci viene in soccorso. Bisogna conoscere bene i processi che sono alla base della comunicazione per colpire il bersaglio. L'incognita è il rischio più grande che c'è in questo lavoro e chi opera con successo la percepisce come una sfida.

Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
Nel 2015 mi resi conto che i social incominciavano ad occupare uno spazio importante nella vita delle persone e delle aziende, così decisi di approfondire. All'epoca mi occupavo di teatro, avevo appena firmato la mia prima regia teatrale per uno spettacolo al piccolo Teatro Bellini di Napoli e lavoravo come direttore casting. Un giorno, un mio collega mi incaricò di organizzare un casting per la ricerca di due attori per uno spot pubblicitario da realizzare all'interno di un corso della Ilas. Così scoprii l'esistenza di ciò che cercavo, un istituto di grande professionalità con docenti che esercitavano il mestiere che insegnavano, cosa fondamentale e non sempre scontata. Me ne innamorai e decisi di iscrivermi a due corsi: “social media manager e web marketing” e “comunicazione e pubblicità 2.0” frequentando anche il laboratorio di pubblicità. Mi aprí la mente! Un anno meraviglioso in cui imparai tantissimo. I percorsi della Ilas offrono una formazione completa nell’ ambito della comunicazione digitale con professionisti disponibili e aperti al dialogo. Partivo da zero sui new media ed ora il Business Manager è il mio amico fidato, ma la cosa più importante è stata acquisire il mindset giusto.

Parlaci un po' del tuo lavoro alla Ca' Foscari. Come è iniziata questa avventura? In che modo sta procedendo?
Due anni fa ho vinto un bando presso l'università Ca Foscari di Venezia per occuparmi di un progetto Interreg Central Europe "COCO4CCI" nel quale sono coinvolti sei paesi europei, Italia (con l'Università Ca’ Foscari e Confindustria Veneto Siav), Germania, Austria, Slovenia, Polonia e Slovacchia. I ricercatori stanno sviluppando una roadmap per implementare collaborazioni lavorative fruttevoli tra (CCI) e (AVM) dell'Europa centrale, che abbiano innestato un processo di innovazione, attraverso il lancio di diverse "Challenge" concrete. L'ambito di intervento riguarda l'innesto di nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale, la sostenibilità, la digital transformation, la comunicazione innovativa per la crescita economica e sociale dei paesi coinvolti.All’interno di questo meraviglioso progetto, mi occupo sia della comunicazione online e offline delle attività interne ed esterne che dell'organizzazione e coordinamento delle"challenge" in tutte le sue fasi, partendo dalla divulgazione delle sfide (in qualità di ufficio stampa e social media manager) al reclutamento dei creativi professionisti all'organizzazione delle visite aziendali, dei webinar di formazione, fino al pitch finale, nel quale i creativi sviluppano l'idea innovativa per risolvere il problema aziendale precedentemente definito dalle imprese italiane scelte per il progetto. Un contesto innovativo e dal respiro europeo. Sono molto orgogliosa di far farte.

Strategia e Piani editoriali, raccontaci una giornata tipo di una social media manager.
Già da 5 anni, gran parte del mio lavoro lo svolgo in smart working. Questo ha aumentato lamia produttività permettendomi di creare una rete di contatti con i vari professionisti di questo settore creando collaborazioni fruttevoli e consolidatesi ne tempo.Negli orari lavorativi sono sempre reperibile e a disposizione dell' agenzia con la quale collaboro e/o con i clienti che gestisco autonomamente.Quindi in genere, la mattina la dedico ad allinearmi sull' ordine del giorno e poi si parte!Un piano di comunicazione scaturisce da un’analisi approfondita del brand, dei competitor e del mercato di riferimento. Si passa poi all’identificazione del target di riferimento e degli obiettivi a breve e lungo termine. Su questi elementi si elabora una strategia di comunicazione dalla quale scaturisce il piano editoriale, che è l'insieme delle azioni da intraprendere per espletare la strategia comunicativa.L’art director e il copywriter traducono in immagini e parole ciò che si vuole comunicare.Essendo freelance mi occupo di tutte queste fasi, ad oggi più a livello strategico collaborando con ottimi professionisti del settore, nei vari ambiti diversi in base alle esigenze specifiche del cliente.Dopo una lunga gavetta di lavoro operativo sui social, che mi ha permesso di comprendere bene come funzionano le campagne pubblicitarie (soprattutto su Facebook, Instagram e linkedin) oggi do molto spazio ed importanza all'elaborazione della strategia e alla definizione degli obiettivi. Qualsiasi post, campagna pubblicitaria, spot pubblicitario, evento osito ecommerce deve essere funzionale alla strategia. L'improvvisazione non porta da nessuna parte. 

Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi?
Di sicuro il lavoro con l'università Cà Foscari di Venezia. Lavorare fianco a fianco con ricercatori universitari, direttori scientifici di progetto, Confindustria Veneto, dirigenti di alcune tra le più grandi aziende italiane è stato molto formativo. Inoltre interagire con le rispettive realtà nei vari paesi europei partner di progetto mi ha dato una visione più ampia di cosa accade in Europa in questo ambito.Molto formativo è stato anche l'approfondimento del settore delle nuove tecnologie innovative applicate sia alle aziende manifatturiere che alla aziende creative. C'è da dire che anche la collaborazione con diverse agenzie di comunicazione e pubblicità mi ha formato molto. Ho capito quali erano i miei limiti e i miei punti di forza e ci ho lavorato affinando il "metodo di lavoro". Di fondamentale importanza in un'agenzia è il lavoro di squadra, il rispetto per il lavoro altrui e lo scambio di idee. Il brainstorming, che è una delle tecniche di gruppo per far emergere idee creative, è un strumento che mi piace molto.

Essere aggiornati è alla base del lavoro di un Social Media Manager. Cosa fai per tenerti al passo coi tempi? 
Segui qualche sito/rivista/guruin particolare?Seguo ciclicamente corsi di aggiornamento, cosa fondamentale in quanto nel settore dei social media le cose cambiano molto velocemente. L’aggiornamento è fondamentale e la creatività è l'elemento di successo di una campagna pubblicitaria ma va costantemente allenata, infatti seguo ciclicamente dei laboratori per svilupparla sia in termini pratici che di mindset. Ad esempio, ultimamente, ho approfondito l’impiego del Design Thinking, un approccio all’innovazione basato sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione e una gestione creativa. Sono specializzata nella promozione di eventi culturali e creativi, in questo periodo, sto proprio effettuando uno studio su cosa accade in Italia e in Europa in questo ambito con uno sguardo particolare alle comunicazione innovativa.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di formarsi e studiare in centri accreditati e/o con professionisti del settore come la Ilas avere tanta costanza e ambizione, lasciare un occhio aperto sulle nuove tecnologie e sviluppare skill creative. Le tecnologie evolveranno ma il fattore umano non potrà mai essere sostituito, nella fattispecie, la sua capacità di trovare soluzioni creative.

Come pensi che evolveranno i social tra qualche anno?
Da un lato c'è la questione della sicurezza dei dati, dall' altro c'è un gran parlare su cosa diventerà il Metaverso. Secondo un rapporto della banca d’affari JP Morgan, diventerà un mercato da 1 trilione di dollari di revenue annuali.In linea generale si pensa che il Metaverso rivoluzionerà internet trasformandolo in una rete non di pagine web, ma di luoghi immersivi, interconnessi . Un'altra ipotesi lo definisce non come realtà sintetica ma come il mondo che vediamo arricchito da oggetti e informazioni digitali che si sovrappongo alla nostra visione. Accadrà quindi che gradualmente sempre più persone lasceranno i social media per immergersi in mondi più coinvolgenti e i brand, gli influencer e anche le istituzioni, dovranno interrogarsi su come poter essere parte di questo nuovo web. Le piattaforme di gioco e di intrattenimento, ad esempio, si stanno trasformando sempre più in luoghi di socializzazione, molti grandi brand li stanno già sperimentando. Balenciaga, Nike, Moncler, hanno scelto "Fortnite" per mettere in vendita i loro capi iconici per vestire gli avatar dei giocatori.

Ci sono degli account social che segui con interesse e che ti piacciono come vengono gestiti?
Mi viene subito in mente Taffo, che ha fatto dell’ironia e del real time la chiave del suo successo per i social con slogan spesso provocatori e decisi, sdoganado il black humour inItalia. una scelta coraggiosa rivelatasi vincente. Oreo e Kitkat hanno fatto storia con la mossa partita da un tweet di un utente che scrisse: “Posso dire che mi piace un po' troppo il cioccolato quando seguo @KITKAT e @Oreo.Dopo poco arrivò la risposta di Kit Kat che sfidava Oreo al gioco del "Tris" offrendo al rivale la possibilità di risposta. Oreo rispose rifiutando con educazione e complimentandosi con KitKat.McDonald's, quando si aprì al settore caffetteria nel 2015, milioni di persone in molti paesidel mondo aderirono alla campagna fortemente social presentandosi nei punti vendita vestitiin pigiama in cambio di una colazione gratis, facendo entrare il tweet #ImLovinIt nei trendtopic mondiali già al mattino.In ambito culturale il MoMA è il museo più seguito al mondo sui social media, molto attento ai trend della comunicazione digitale e veloce ad approdare per primo sulle nuove piattaforme, sulle quali costruisce la maggior parte del suo seguito proprio nelle fasi iniziali del processo. All’inizio del lockdown, ad esempio, realizzò una serie di contenuti per fornire consigli sui film da guardare a casa e offrí suggerimenti per far disegnare i bambini.Ancora Ceres, Fanpage, Freeda, the Jackal, Lego. Questi sono esempi a cui ispirarsi.Da non sottovalutare è l'Influencer marketing, soprattutto nell'ambito del makeup e del fashion nei quali è diventato una risorsa indispensabile.Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.Me ne viene in mente solo una ed è l'amore, in ogni sua forma. Dopo la salute ovviamente ed infine il buon cibo.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?
La consapevolezza che tutto può cambiare e cambierà. La curiosità di vedere in che modo.

Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Gli direi che faccio conoscere i prodotti, che le fabbriche producono, alle persone che ne sono interessate attraverso un meccanismo magico.

Come ti vedi tra 10 anni?
Inutile fare piani e previsioni, la mia vita cambia ogni 5 anni. Vediamo cosa accade.

26.04.2022 # 6032

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Vanda Petrella

Tra musica, città Europee, sogni, magie, fotografia e graphic design, Vanda Petrella si racconta in un'intervista per Generazione Ilas.

Vanda Petrella, nasce nel Sud Italia, a Capua, nel 1990. Laureata in Giurisprudenza, ha studiato Fotografia, Graphic Design e Social Media Marketing. Dopo aver trascorso gli ultimi anni tra Roma e Londra, attualmente vive e lavora a Berlino.

Come ti descriveresti?
Complessa e mutevole. Una curiosa esploratrice. 

Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso che volevi diventare fotografa? 
In realtà non c’è stato un momento preciso, lo descriverei più come una graduale presa di coscienza. Un processo che ha radici lontane.
Mio padre che scatta in continuazione fotografie con la sua camera (una Yashica FR2 che ad oggi utilizzo spesso per i miei lavori) e un mobile pieno zeppo di rullini sviluppati e fotografie stampate sono i primi ricordi. Ma il primo approccio reale, consapevole, è avvenuto nel 2012. Vivevo in Spagna, a Granada, e una delle mie coinquiline era una fotografa, Laure. Con lei ho iniziato a scattare foto durante i nostri viaggi e capire davvero come funzionasse una reflex. Dopo quell’anno incredibile in Spagna la fotografia non mi ha mai abbandonata e credo sia stato più o meno nel 2016 il momento in cui ho realizzato che quella era la strada che volevo percorrere. 

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
La fotografia è una porta che ti apre a nuovi mondi, ti consente di navigare attraverso immaginari visivi e di dare nuove possibilità alla realtà. Mi piace vivere in quel piano di sospensione tra il reale e l’immaginato. A differenza di altre arti visive come la pittura o l’illustrazione, la fotografia non è mai astrazione al 100% ma parte sempre e inevitabilmente da un contatto con la realtà. L’interazione che avviene attraverso la macchina fotografica è con elementi reali che esistono nello spazio, a prescindere che siano persone, oggetti o paesaggi. Ciò che poi ne viene fuori è solo una delle possibili e infinite interpretazioni.



Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
L’anno trascorso all’Ilas, durante il quale ho frequentato contemporaneamente il Corso di Fotografia e di Grafica, è stato un anno di crescita, di stimoli e di nuove prospettive. Ho avuto degli insegnanti che sono stati in grado non solo di darmi delle solide basi tecniche, ma soprattuto di andare al di là del mezzo, insegnandomi il significato di un linguaggio, quello visivo. Ho imparato tanto, ma allo stesso tempo mi sono divertita e ho conosciuto delle persone che ancora oggi fanno parte della mia vita personale e professionale. 

Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
La più grande sfida lavorativa è stata proprio riuscire a lavorare con la fotografia e la grafica! È stato molto difficile all’inizio trovare delle opportunità che non solo mi consentissero di mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato, ma che allo stesso tempo fossero sufficientemente remunerative. Guardando indietro, i primi shooting sono stati delle vere e proprie avventure! Il lavoro era tanto ed il budget serviva solo a coprire le spese. Ma avevo bisogno di fare esperienza, di mettermi alla prova. Quindi ho accettato lavori per i quali mi trovavo a scattare su set diciamo “non convenzionali”, nel salone di casa o nel giardino. Quando si dice fare di necessità virtù!

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?

Questa foto è tratta da “Blooming”, uno degli ultimi progetti che ho realizzato qui a Berlino, pubblicato sulla rivista PurpleHaze Magazine. Mi interessa molto raccontare la femminilità da un prospettiva femminile, restituendole autenticità e superando le mille narrazioni maschili che da sempre sono state dominanti. L’idea è quella di ritrarre delle Muse, in grado di ispirare se stesse e altre donne, in uno spazio sacro che appartiene solo a sé stesse e nel quale sono libere di esplorare la femminilità al di là delle banali etichette che ne sono state date. 




Sul tuo sito c'è una sezione dedicata a ResistDance, una serie di foto analogiche scattate a Berlino che ritraggono gli ingressi dei più importanti Club della città. Raccontaci come è nato il progetto e se hai qualche aneddoto da raccontarci. 

RestistDance è una serie di foto a cui sono legatissima, non solo perché è stato il primo progetto realizzato a Berlino, ma anche perché ha coinciso con un grande momento di cambiamento nella mia vita.

 
Berlino non è una città d’impatto, come Londra o Parigi, è un luogo che va scoperto lentamente. Contiene molti angoli nascosti e magici, ma bisogna addentrarsi, sapere dove andare. I club berlinesi, più di tutti, sono i luoghi nei quali si può cogliere l'energia della città. Sono delle vere e proprie istituzioni ed io non volevo assolutamente perdermeli. Purtroppo il tempismo non è stato dalla mia perché dopo solo una settimana dal mio arrivo hanno chiuso di nuovo tutto. Ma non ho desistito, ho deciso di andare comunque a vedere tutti i principali club. Sapevo che in ogni caso, sarebbero stati dei luoghi interessanti. E a quel punto è iniziato un viaggio nel viaggio, scandito da porte chiuse, dietro le quali si nascondeva un mondo temporaneamente inaccessibile. Più scattavo e più il progetto svelava il suo duplice significato: da un lato la testimonianza di una mia personalissima esperienza, dall’altro il racconto di un momento storico di transizione che aveva coinvolto le vite di tutti. 

 
Il Berghain è stato il più difficile. Quando sono arrivata davanti a questo maestoso edificio ho trovato moltissime persone impegnate a scattare foto, come normalmente succede solo davanti a un monumento. All’improvviso un uomo con il suo carrello della spesa si ferma a contemplare l’enorme scritta che si trova sull’edificio:  “Morgen ist die frage” - “Domani è la domanda”. E in effetti il domani era la domanda che tutti ci stavamo ponendo. Poco dopo, girato l’angolo il mio sguardo si posa su una grossa scritta su un muretto: RESISTDANCE. In quel momento di riflessione e di incertezza, quella scritta mi è sembrata un messaggio rassicurante, ed è lì che è nato il nome del progetto. Non solo la resistenza della musica e della club culture, ma una resistenza collettiva che non lasciava fuori nessuno.


Berlino, Londra, Roma? Cosa hai amato di queste tre città? In quale altro luogo vorresti vivere?
Roma è maestosa e caciarona.
Londra è spettacolare e piena di stile.  
Berlino è folle e creativa. 
 
Mi piacerebbe vivere a Parigi o Barcellona. C’è un richiamo crescente verso luoghi che mi ricordano casa. Non solo per il clima o la lingua, ma soprattutto per il modo di vivere la città. A Berlino tutto avviene all’interno, nei luoghi chiusi. Bar, ristoranti, club. Le strade sono sempre poco affollate e silenziose. Mi piacerebbe in futuro spostarmi in una città dove si vive di più all’esterno, dove la strada è viva e fa rumore. 

C'è un fotografo che ami più di altri? 

Carlota Guerrero. 
È una fotografa, donna. Il suo sguardo è rivolto tutto all’universo femminile ed è davvero rivoluzionario. Scatta in analogico ed ha definito l’estetica di alcune delle mie artiste preferite, come Solange o la poeta Rupi Kaur. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di darsi tempo e di essere fedele al proprio sguardo. Ah e poi evitare di confrontarsi con gli altri aiuta molto! Siamo talmente bombardati da immagini e da gente che fa cose, che spesso perdiamo il focus. Bisogna concentrarsi su se stessi e sul proprio percorso. 

Ci sono film da guardare, riviste da seguire, che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Consiglio di nutrirsi di contenuti di qualità e soprattutto selezionati, seguendo una propria ricerca. Chiunque voglia intraprendere la carriera di fotografo dovrebbe avere un po’ di conoscenza del cinema, seguendo i propri gusti. Tra i miei preferiti Fellini, Lina Wertmüller Spike Lee, e Iñárritu. 
Le riviste sono bellissime e piene di spunti e stimoli. Io seguo moltissimo riviste come Crack Magazine, Wip Magazine e Brick Magazine.

Se la fotografia fosse un brano musicale, quale sarebbe e perchè?
Troppo difficile trovare un brano solo! Però quando ho iniziato a scattare ascoltavo moltissimo i Buena Vista Social Club, e quell’unione di vitalità e nostalgia, tipico della musica latina, la ritrovo e la ricerco spesso nella fotografia. 

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? 
Bianco e nero. Normalmente vedo e immagino tutto a colori, uso poco il bianco e nero.  Sarebbe interessante cambiare sguardo per un giorno.

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Il cibo
La musica 
Le persone 
 
Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 
L’ansia.
Per quanto ami dormire, il lavoro, e le tante cose da fare mi fanno attivare abbastanza presto la mattina. 
 
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Bellezza e magie. 

05.04.2022 # 5986

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Flavia Tartaglia

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Flavia Tartaglia, classe ’86, si avvicina alla scrittura creativa fin da bambina, trovando nelle parole la sua personale forma d’espressione. “Dove trovi le parole?”, “Si trovano nel vocabolario. Io le trovo nello stato di coinvolgimento”. Approda al mondo della comunicazione attraverso svariate collaborazioni e percorsi formativi presso testate giornalistiche, conseguendo il tesserino da giornalista pubblicista nel 2009 e divenendo di lì a poco direttore responsabile ed editore di un web magazine di arte e cultura e responsabile ufficio stampa di un gruppo di soprano. Dopo aver studiato Fotografia Pubblicitaria Pro presso la Ilas Academy e Fotografia di Scena con Mario Spada e CFI, si specializza in Fotografia di Scena, maturando esperienza presso Teatro Bellini, Teatro dell'Opera di Roma, Campania Teatro Festival Italia, Teatro Mercadante, Teatro Palapartenope - Casa della Musica, Teatro Ambra Jovinelli, Teatro romano di Ostia Antica, Teatro Tram, Teatro Bolivar, Teatro Nest, Macadam Theatre e Bus Theatre, Sala Assoli, Sala Moliere e molto altro. Ha esposto in collettiva presso Palazzo Ferrajoli (Roma) pubblicando con casa editrice Pagine; presso PAN Palazzo delle Arti (Napoli), pubblicando nel catalogo della mostra. Ha lavorato presso Palazzo Fondi - Barrio Botanico, Napoli. Lavora attualmente presso Teatro Bellini di Napoli.

Come ti descriveresti?
Una romantica. Nel senso che se non c’è uno stimolo emotivo, un’ispirazione che mi attira a livello sentimentale, non riesco ad attivare la mente, non riesco a creare, a muovermi, a fare. Questo vale in ogni ambito della mia vita, anche nel mio mestiere di fotografa, soprattutto nella fotografia di scena, Del Pia disse una frase nella quale mi rispecchio molto: “Perché io faccia un buon lavoro su uno spettacolo, devo nutrire dell'interesse autentico per quella ricerca o per le persone che lo mettono in scena. Quello che accade in scena, ha per me, a tutti gli effetti, la natura di una relazione amorosa".



Qual è stato il momento esatto in cui hai deciso di voler diventare fotografa? 
È stato un momento molto intimo. Premetto che latentemente tutta la mia vita ha sempre orbitato attorno all’immagine, l’immagine ha sempre avuto un potere su di me, ma il momento in cui ho preso coscienza di voler fare qualcosa con l’immagine è stato quando ho visto la bellezza di un’artista, una donna soprano in scena. Quella Bellezza, un misto di eleganza e purezza, qualcosa che era al di fuori di questa realtà, di questa società (finalmente!), fu commovente per me al punto da essere preda del bisogno che tutti vedessero ciò che vedevo io. Credo che chi fa fotografia abbia molto più bisogno di affermare che di suggerire, la fotografia è una forma di espressione. 



Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
L’implicita richiesta di vedere oltre, quel momento in cui inizia in te la ricerca del modo più giusto, inquadratura, punto di vista, suggestioni, per portare in superficie, quindi fotografare, ciò che tu hai visto. Ad esempio mi piace molto lavorare con gli artisti, penso che ogni artista sia anche una persona, ma non tutte le persone sono anche artiste; il momento in cui scopro la persona dietro l’artista, questo mi affascina, è un varco non accessibile a tutti, sembra una conquista. 



Che ricordi hai del tuo percorso alla ilas?
La Ilas è stata le mie radici. Senza questo percorso formativo non sarei quello che sono oggi. È stato per me quel tipo di scuola che insegna non solo qualcosa di teorico e pratico, ma ti insegna a pensare, in fine ad essere e, cosa più importante, a scegliere. I miei professori, Ugo Pons Salabelle, Fabio Gordo Chiaese e Felicia Nappo, sono stati dei veri e propri Maestri, con il valore che un tempo si dava a questo termine. Oltretutto li sento ancora, perché mi fido dei loro pareri, se mi dicono che ho fatto bene un lavoro mi sento in pace, soprattutto Felicia, per qualsiasi dubbio o confronto ancora la disturbo e la sua disponibilità mi commuove puntualmente. 


 
Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Fotografare uno spettacolo già in precedenza fotografato da un grande della fotografia di scena contemporanea che stimo tantissimo, temere quel confronto inevitabile, temere di non essere non dico all’altezza ma almeno non essere tanto più bassa. L’aneddoto è quando poi ho deciso di “farmi del male”, mostrando direttamente a lui quelle foto, il quale le ha apprezzate ma la mia risposta al suo apprezzamento è stato uno spontaneo, ovviamente incredulo, ed eccessivamente confidenziale “Seh, vabbè!”, poi mi sono subito ricomposta e ho sperato che non mi avesse sentito. 



So che il Teatro è una sorta di ossessione per te. Parlaci di questo amore e di come sei diventata fotografa di scena.
Come tutti gli amori, vanno vissuti a 360 gradi, infatti ho iniziato al teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale come personale di sala, poi ho collaborato per varie altre realtà teatrali, sono stata ufficio stampa, organizzatore teatrale, responsabile promozione e distribuzione, aiuto regia… insomma mi sono “impicciata” di un po’ di cose. Questo mi ha permesso di osservare molto il teatro, quello che accadeva sul palco, ma soprattutto quello che accadeva dietro: il palco è solo il punto visibile ai più, di un meccanismo invisibile immenso. Ho amato i suoi tempi, i suoi silenzi, i suoi odori, quegli angolini del teatro accessibili solo a chi ci lavora, che sono unici, poetici. Senza accorgermene, ho sviluppato una mia visione. Una sera, semplicemente, mi trovavo per lavoro a teatro, avevo la fotocamera con me perché l’avevo usata di pomeriggio per uno shooting still life alla Ilas, quindi ho iniziato a scattare, oltretutto senza permesso, da un palchetto, di nascosto. Tornata a casa, nel rivedere le fotografie al pc, ho sentito una soddisfazione immensa, sono finita in uno stato di coinvolgimento dal quale non si torna più indietro. Così ho iniziato a propormi ai teatri, soprattutto alle compagnie teatrali, a fare esperienza in questo ambito, pian piano a creare la mia cerchia di clienti. È una conoscenza inesauribile, come tutte le cose vive, forse è proprio questo costante apprendere, questo costante respiro, che mi cattura, non smetterò mai di imparare circa il teatro. Questo percorso non sarebbe andato nella direzione che volevo, però, senza essermi imbattuta nella conoscenza di cinque persone segnanti: Veronica Desiderio, donna e professionista dal valore inestimabile, la quale mi ha dato fiducia inserendomi nello staff di fotografi del teatro Bellini; Clara Bocchino, Maria Claudia Pesapane, Chiara D’Agostino che mi hanno fatto conoscere le loro compagnie teatrali, rispettivamente Putéca Cèlidonia, Ri.Te.Na. Teatro, Burlesque Cabaret Napoli, insieme alle quali ho mosso importanti passi di crescita ed evoluzione; infine Mario Spada, un uomo dall’umanità smisurata, un professionista che non ha bisogno di presentazioni. 



Fotografia di Scena e Fotografia Pubblicitaria. Pregi e difetti di queste due categorie. E se hai una preferenza. 
La fotografia pubblicitaria è la mia origine, se dovessi usare una parola per descriverla sarebbe “Perfezione”, questo per me è un grande pregio, anzi più che altro lo è la ricerca della perfezione, il perfettibile, che mi tiene viva. Nella fotografia pubblicitaria, ad esempio, difficilmente puoi consegnare ad un cliente uno scatto con una palese imperfezione, a meno che non ti chiedano di fare una ricerca personale al riguardo, che espressamente prevede qualche difetto come parte integrande del risultato. La fotografia di scena, invece, è quasi l’opposto. La prima volta che mostrai il mio portfolio di scena ad un fotografo di teatro mi disse “Le tue foto sono troppo perfette, devi sporcarti un po’!” Fu un commento importante per me, perché significava che avevo acquisito una regola e, si sa, solo se conosci le regole puoi superarle, altrimenti rischi di fare cose senza un senso, dalla frattura poi si riuscirà a creare il proprio stile personale. Alla fine di questo percorso di ricerca, ho capito che non sono due categorie così diverse tra loro, entrambe hanno lo scopo di raccontare qualcosa e di promuoverlo, quello che cambia sono le modalità e il terreno sul quale ti devi muovere, sicuramente non potrei mai rinunciare alla magia del teatro e a quello che la realtà teatrale fa alla mia mente; ma le amo entrambe e trovo me stessa sulla strada giusto a metà tra l’una e l’altra, nell’attimo in cui mi sento chiamata a fondere ciò che entrambe mi hanno insegnato. 



C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta? Perchè? 
Il ritratto di un’attrice, Clara Bocchino. Questo scatto fa parte di un book attrice che stavamo sperimentando, in quel momento non c’era una concentrazione o una particolare preparazione, stavamo quasi giocando prima di iniziare, semplicemente lei ha guardato in macchina, io ho scattato. Rivedendo lo scatto, più che aver raccontato qualcosa di lei, mi è sembrato di aver detto io qualcosa di importante di me, mi è sembrato che la mia verità fosse lì. Mi sono sentita rappresentata dalla sua bellezza, me ne sono sentita orgogliosa, è una fotografia che in realtà mostrerei per raccontare che cos’è per me la Bellezza, non intesa solo come aspetto esteriore ma come qualcosa di profondamente interiore che, ad uno sguardo attento, è visibile all’esterno, in qualche dettaglio di un corpo o di uno sguardo. Mentre in generale, i lavori che più rappresentano il mio stile sono quelli con la compagnia Burlesque Cabaret Napoli, fotografare il burlesque mi riporta a quegli anni che mi piacerebbe tanto tornassero di moda, quelli dove “C’era una certa arte nelle cose di tutti i giorni, dai tostapane, agli orologi!”, citando proprio Dita Von Teese, sovrana del burlesque. 



C'è stato un attore/attrice in particolare che ti è piaciuto immortalare?
Decisamente Silvia Calderoni. In un modo delicatissimo mi ha concesso di scattare ad uno spettacolo che la vedeva protagonista. È un piccolo sogno artistico che si è realizzato, perché volevo conoscerla da tempo, sono una fan sia della sua storia personale sia del suo percorso artistico che l’ha portata ad essere indubbiamente un’attrice immensa che ben poco fa rimpiangere le grandi del passato. 

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di puntare in alto. Perché chi punta in basso, in basso resta. Di non smettere mai di studiare, di imparare, di affrontare senza timore quel percorso che ci porta inevitabilmente a capire qual è il tipo di ambito fotografico che più ci rappresenta, raggiunta questa coscienza, dico di non cedere a compromessi, di non accontentarsi, di non arrendersi, di camminare per quella strada come fosse l’unica e la sola esistente, come se non ci fosse mai un’alternativa, e lungo quella strada proporsi, farsi conoscere, perché la tenacia premia sempre i tenaci. 

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Consiglio di guardare tutto, di essere degli osservatori seriali, ossessivi. Tutto ciò che esiste al mondo, i dettagli, le cose, le persone, i frutti della creatività altrui, tutto, il bello e il brutto, tutto insegna ai nostri occhi. In questo modo, spesso senza che nemmeno ce ne accorgiamo, ci ritroviamo pieni di un bagaglio di immagini che miracolosamente sappiamo leggere e di conseguenza creare, un fotografo impara con gli occhi, e l’ispirazione che nasce guardando il lavoro degli altri è tutto, per questo in fine consiglio sicuramente di sfogliare monografie dei grandi fotografi della nostra storia, dalle origini ad oggi, compresi i libri di storia dell’arte, le pitture e, sembrerà strano: la musica, le suggestioni musicali aprono un varco in noi e finiscono dritte alla nostra parte emotiva, quella dalla quale provengono le illuminazioni migliori. 

Se la fotografia fosse un'opera teatrale, quale sarebbe?
Salomè, di Oscar Wilde. Mi riferisco alla parte in cui Salomè manifesta la sua passione per Iokanaan, cresciuta in forma di ossessione forse proprio per il negarsi di quest’ultimo. In un monologo struggente e quasi terrificante lei descrive minuziosamente tutto di ciò che ama e al contempo odia dell’immagine di Iokanaan. La fotografia, quella che resta sia in chi la scatta sia in chi la guarda, deve riuscire ad attraversare questo tipo di osservazione che stimola la maggior parte dei sentimenti umani, la Salomè di Wilde, a mio parere, è una di quelle opere che sanno affrontare molto bene questo viaggio.  

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori?
Quando si è felici si dice “Oggi vedo il mondo a colori!”, io spero di essere felice. Assolutamente anche in fotografia scelgo i colori. Per descrivere il perché, prendo in prestito le parole che Pina Baush rivolse a Francesco Carbone, il suo fotografo di scena, che le fu fedele e la seguì per tutta la vita e continuò a venerarla anche dopo la morte di lei: “Tu sei mediterraneo, vivi in un posto stupendo, per questo tu puoi fotografare solo a colori!”. 
 
Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Quel sentimento d’Amore nell’aria di quando hai in testa una persona; la bellezza delle donne; le persone che supportano la nostra libertà di somigliare il più possibile all’immagine che abbiamo di noi stesse. 

Cosa ti tira giù dal letto la mattina? 
La speranza. Non c’è punizione peggiore per un essere umano, della perdita della speranza. 
 
Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Risponderei piuttosto cosa sogno di realizzare e sicuramente sogno spazio in cui potermi muovere, sogno altezza, sogno di far parte, e di continuare sempre più a far parte, di realtà prestigiose, di grandi realtà nelle quali sentirmi piccola, lo stimolo ad inventare ogni giorno qualcosa in più, per essere all’altezza di ciò che stimo tanto, è ciò che in me fa la differenza tra la vita e la morte. 

Copyright foto Flavia Tartaglia per il Teatro Bellini

15.03.2022 # 5940

Urania Casciello //

Generazione ILAS: intervista a Valerio Lettieri

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Nato nel 1993 in provincia di Salerno, Valerio Lettieri si avvicina alla fotografia negli anni del liceo. Successivamente frequenta il corso in fotografia pubblicitaria alla Ilas di Napoli tenuto dai docenti Pierluigi De Simone e Fabio Chiaese. La passione per la fotografia lo porterà a sceglierla come professione e, successivamente, a trasferirsi a Londra dove oggi vive e lavora.

Come ti descriveresti?
Molto emotivo. Mi piace correre in auto con i finestrini abbassati e musica rock a palla.

Hai sempre saputo di voler fare il fotografo?
No. Nonostante la fotografia sia sempre stata presente nella mia vita, è stato solo durante gli anni del liceo che ha cominciato a prendermi di più. Dopo il liceo ho frequentato un corso di laurea in Ingegneria Meccanica alla Federico II che poi ho lasciato per dedicarmi completamente alla fotografia. 


Che ricordi hai del tuo percorso alla Ilas?
Ricordo quando, all’inizio del corso, mostrai delle fotografie di automobili che facevo all’epoca, ritoccate all’inverosimile, al mio docente Pierluigi De Simone. Neanche a dirlo, non avevo la minima idea di cosa costituisse una buona fotografia. Mi viene ancora da ridere se ci penso. Gli sono molto grato per tutto quello che mi ha insegnato e per avermi dato le basi di quello che adesso è il mio lavoro.


Qual è la sfida più grande (lavorativa) che hai dovuto affrontare fino ad oggi? C’è qualche aneddoto?
Penso che iniziare la carriera fotografica da assistente sia la prima grande sfida che richiede molto impegno ma allo stesso tempo da belle soddisfazioni. Specialmente se si lavora con diversi fotografi. Bisogna costantemente adattarsi a diversi modi di lavorare, nuove attrezzature con cui viaggiare e tempistiche differenti. Mi è capitato di lavorare in condizioni climatiche che vanno dai -30 gradi del nord Europa ai +40 del Medio Oriente; è stato molto interessante imparare come preparare e utilizzare le attrezzature in tali estremi.

Cosa ti affascina del mondo della fotografia?
Due cose in particolare: la possibilità di rendere eterno un istante vissuto e la possibilità di trovarmi in situazioni e di entrare in contatto con persone che non avrei mai incontrato altrimenti. 


Sul tuo sito c'è una sezione dedicata ai viaggi. Cosa ti piace fotografare quando sei in viaggio? Cosa cerchi?
Direi che dipende dal mindset con cui affronto ogni viaggio. Di solito mi affascinano molto i paesaggi dove si può notare l’impronta umana, ma allo stesso tempo tendo ad escludere ogni presenza fisica dalle mie fotografie. Mi piace dare una sensazione di sospensione. 


La tua personale top 3 dei luoghi che hai visitato, perché ti sono piaciuti?
Il primo posto che mi viene in mente è l’Islanda, dove sono andato a fare un viaggio in solitaria per i miei venticinque anni. I paesaggi e i colori sono incredibili. Ho un debole per gli spazi immensi dove per chilometri non incontri nessuno. 
Poi Parigi, che ho visitato più volte per lavoro. Fin da subito, mi sono sentito immediatamente a casa. Non so descrivere meglio a parole questa emozione, ma c’è qualcosa nell’aria.
Sicuramente poi, la Turchia, ricchissima di colori. Mi ha colpito il calore umano delle persone che ho incontrato lì. 

C'è un fotografo che ami più di altri?
Amo i lavori di molti fotografi. Se proprio dovessi sceglierne uno, direi Gregory Crewdson. Per la scelta delle luci, colori, composizione e soprattutto per la sensazione di sospensione, distacco e umanità che mi comunica. Ho apprezzato molto il suo ultimo libro “Cathedral of the Pines”.

Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro? 
Di volare ma con i piedi per terra. Di prepararsi a correre una lunga maratona piuttosto che uno sprint di cento metri. Credo che un ottimo modo per entrare nel mondo della fotografia professionale sia quello di fare l’assistente per alcuni anni prima di avviarsi per la propria strada. Ti permette di vedere e capire molte dinamiche dall’interno, una fra tutte, il rapporto con i clienti.

Ci sono film da guardare, riviste da seguire (o qualsiasi fonte) che consigli a chi vuole percorrere la carriera di fotografo?
Non ho un film in particolare da consigliare, me ne piacciono tanti. Quello che ultimamente mi ha colpito molto per la fotografia è stato Joker. Allo stesso modo per le riviste, c’è ne sono parecchie ma una che seguo particolarmente è il British Journal of Photography. Penso che il miglior modo per imparare sia comprare libri fotografici e studiarli e andare a vedere spesso mostre, non solo di fotografia ma di arte in generale. Nutrirsi solo di fotografia non basta.

Web e Social, forza o debolezza per il tuo lavoro?
Onestamente ho un rapporto a fasi alterne con i social media, o per meglio dire Instagram. Ci sono periodi in cui lo uso spesso e altri, anche lunghi, di completo distacco. I social hanno una loro utilità nel raggiungere un numero di persone più o meno grande, ma allo stesso tempo credo ci sia troppo rumore.
Penso che, per quanto possa essere utile avere un sito ed essere presente sui social media, avere un buon portfolio stampato e incontrare persone in carne ed ossa con cui poter parlare di idee sia molto più efficace.

C'è una fotografia che hai fatto che più ti rappresenta?
Sì, è questo ritratto che ho scattato a mio padre la scorsa estate a Santa Maria di Castellabate. Ogni volta che da Londra torno a Napoli lo porto a fare un giro con me, mi faccio raccontare qualche storia di quando lui era giovane e scatto dei ritratti. Voglio tenere la memoria più viva possibile per più tempo possibile. 
Di questa foto mi piace particolarmente la continuità tra le rughe della sua pelle e le onde del mare. E anche il suo sguardo, rivolto lontano dall’obiettivo. Questi elementi, uniti alla luce, mi danno un senso di trascendenza dal tempo. 


Se la fotografia fosse una ricetta culinaria, quale sarebbe?
Gli gnocchi che faceva a mano mia nonna! In particolare mi torna in mente quando con infinita pazienza usava la forchetta per dargli la forma a righe. La fotografia è manualità, ripetizione di movimenti che diventano una seconda natura.

Se non fossi diventato fotografo, che lavoro avresti fatto?
Amo la meccanica e amo le automobili. Probabilmente il meccanico? O forse un pilota? Magari avrei continuato gli studi di Ingegneria, chi lo sa!

Hai la possibilità di scegliere come guardare il mondo per un giorno? Scegli Bianco e nero o colori? 
Difficile. Forse se potessi variare a seconda di cosa sto guardando sarebbe più semplice. Dovendone scegliere uno soltanto direi a colori, ma colori spenti.

Tre cose di cui NON si potrebbe fare a meno sulla terra.
Leggerezza, amore e capacità di perdonare.

Cosa ti tira giù dal letto la mattina?  
Le bollette da pagare!

Cosa dobbiamo aspettarci da te?
Mi piacerebbe dedicarmi a un progetto a lungo termine e magari poi farne un libro. Ma al momento è soltanto un’idea.

10.02.2022 # 5906

Urania Casciello //

Generazione ilas:
intervista a Marco Perrella

una nuova intervista ad un professionista che ha frequentato i corsi ilas e ha saputo mettere a frutto le abilità acquisite

Classe 84, a 4 anni riceve il suo primo Commodore 64 che lo condanna a vivere a non più di 50m da un computer per il resto della sua vita. Dopo una parentesi di studio che lo porta dallo scientifico, al teatro, a 5 anni di Università mai messi a frutto, si iscrive alla Ilas di Napoli per sfuggire all’insopportabile destino di studiare argomenti che non gli piacciono. Dopo aver frequentato i corsi di Web Design e Grafica, è il 3D a vincere definitivamente la sua attenzione, portandolo sulla strada del 3D Generalist, prima, e dell’Experience Designer, poi. Dopo 3 anni di docenza nella stessa Ilas che lo aveva formato, decide di dedicarsi unicamente all’azienda in cui aveva contemporaneamente un part-time, la Digitalcomoedia, nella quale lavora tuttora.

 
(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Marco Perrella) In questo periodo siamo al lavoro su tanti progetti, non tutti di libera divulgazione, dai Beni Culturali al supporto all’Industria 4.0, dalle serie animate alle esperienze virtuali, per non parlare del nostro sito! Una cosa di cui posso parlare liberamente e che mi ha visto in prima linea è sicuramente “Arkaevision - Tempio di Nettuno”, un’esperienza di realtà virtuale nel Parco Archeologico di Paestum che a breve, virus permettendo, dovrebbe vedere la luce in seno al Museo del parco.

 
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas? Sia come studente che come docente
Ricordi molto molto preziosi. Dopo aver fatto il turista all’Università per anni ho semplicemente pensato di fare un tentativo mirato, dove avrei potuto concentrarmi su qualcosa che mi interessava senza dover studiare argomenti non di mio gradimento. Appena iniziati i corsi tutto è cambiato: l’accoglienza della scuola, la qualità della struttura e dei corsi, è stato fantastico, mi sono accorto che era quello che stavo cercando dopo essermi iscritto! Da docente, poi, si respirava una grande aria, sentirsi parte dell’entità che mi aveva stupito tanto era già una soddisfazione a sé, per non parlare della grande collaborazione con tutto il team; ma il ricordo più bello è legato sicuramente gli allievi, osservarne la crescita e ritrovare in loro, ogni volta, quello sguardo attento e appassionato era sempre emozionante.
 
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
Come si sarà capito assolutamente no. Sapevo di amare i videogiochi, di prestare una certa attenzione al comparto grafico e creativo, ma non sono mai stato particolarmente bravo ad analizzare i miei desideri. L’Ilas mi è stata fondamentale anche per capire come tutto questo poteva diventare un mestiere.
 
Qual è la sfida più grande che hai dovuto affrontare? 
La più grande finora? Studiare le possibilità di movimento dell’utente in VR. Una cosa che ormai diamo per scontata quando siamo davanti ad uno schermo, diventa all’improvviso un dilemma machiavellico. Trovare l’equilibrio tra immersione e godibilità dell’esperienza in questo nuovo media ci ha dato una gran quantità di grattacapi.


 
Il progetto a cui ti è piaciuto lavorare di più e perché?
Arkaevision - Tempio di Nettuno. Far prendere vita al Parco Archeologico com’è adesso e com’era 2500 anni fa è stato uno sforzo corale sorprendente ed appassionante. Assistere e collaborare alla motion capture, che da queste parti è un terreno quasi inesplorato, lavorare per i Beni Culturali, un tesoro impressionante che abbiamo la responsabilità di far conoscere, vedere tutti i gesti, piccoli e grandi, fatti da più di 30 persone convergere in un prodotto che ha impressionato chiunque l’abbia provato è una sensazione meravigliosa.
 
C'è qualcosa che ti non ti piace o che cambieresti del tuo settore professionale?
La percezione comune del settore. Come per tutti i settori basati sui new media, in Italia bisogna sempre fare i conti con diffidenza ed ignoranza. Prima di convincere come professionista o come azienda bisogna ancora superare la fase venditore porta a porta in cui devi vendere l’aspirapolvere di queste nuove tecnologie, spiegargli perché ci vuole tanto a produrre il lavoro, quali sono i vantaggi. Da un po’ di tempo stanno aumentando le persone che hanno una visione più corretta di questo settore, speriamo la conoscenza continui a diffondersi.
 
L’evoluzione del 3D è continua. Che consiglio daresti a chi si approccia adesso a questo mondo?
Di essere entusiasti e lanciarsi nella mischia. Hai perfettamente ragione, il 3D è in piena fioritura, giorno per giorno ci sono novità nelle tecnologie e nella loro applicazione, il Real-Time sempre più accessibile e potente, la Realtà Virtuale. È sicuramente un campo arzigogolato, quindi magari fatelo in maniera guidata, ma se vi interessa lanciatevi di petto! È come fare musica ai tempi di Mozart, non fatevi intimorire, ne varrà la pena.

Una parola che ti rappresenta e perché?
Versatilità. Ho sempre amato essere in grado di agire su tutti i fronti e questo mi ha portato ad essere capace di affrontare bene o male tante sfide, non solo quelle più vicine alla mia indole.
 
Una parola che vorresti eliminare dalla terra e perché?
Arroganza. Ci ho messo un po’ a trovarla, ma credo che senza si starebbe tutti meglio. Non parlo solo dell’arroganza del potente verso il debole, non amo guardare ai massimi sistemi che non possiamo cambiare, ma proprio di quella piccola, personale, diffusa ormai in tutti che ci impedisce di rapportarci in maniera spontanea e aperta con gli altri.
 
Se tu fossi una canzone, quale saresti?
Un ottico, di Fabrizio de André.
 
Come descriveresti il tuo lavoro ad una persona del 1800?
Non riesco a spiegarlo a mia madre, vuoi che lo spieghi a una persona del diciassettesimo secolo? Vediamo: cerco di far vivere cose fantastiche in una realtà che non esiste.

 Cosa ti tira giù dal letto la mattina? Cosa ti guida?
Brutta domanda, forse svegliarmi la mattina doveva essere la risposta alla sfida più grande. Tuttavia, dato che alla fine mi alzo, direi la curiosità. Fare un lavoro creativo significa chiedersi sempre “chissà cosa succederà oggi” oppure “chissà se la soluzione che ho pensato funziona”, credo sia quello il motore delle mie giornate.
 
Progetti futuri?
Superare i limiti. In tutti i sensi, vedere le tecnologie che usiamo dove ci porteranno e farsi trovare in grado di sfruttarne le possibilità a fondo.



copyright immagini Digitalcomoedia


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