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23.03.2022 # 5955

Marco Maraviglia //

Alma Carrano… e questa è un’altra storia. Una zelig in mostra.

Tre storie fotografiche tra contaminazioni di tecniche e sperimentazioni di stili. Fotomontaggi, sandwich e “storyboard” circolari

Chi è Alma Carrano

Donna della III età. Insegnante di scienze naturali ormai in pensione.

Ha sempre avuto la passione per le immagini che potessero farla sentire in quel cuscinetto di confine tra realtà e finzione. Ha un’attrazione per la sensazione di sospensione, di allontanamento dalla realtà dove le storie vanno rilette, inventate, ricostruite, dilatando le dimensioni degli spazi e della vita.

Da ragazza per soddisfare questo bisogno di essere artefice di percezioni tangenti la realtà, usava una cinepresa Super8 e solo in età adulta iniziò a fotografare.

Lesse qualcosa di Feininger per iniziare a imparare a fotografare ma fu grazie a un corso che seguì, tenuto da Augusto De Luca sul finire degli anni ’80 presso il Centro Krome, che si appassionò con entusiasmo alla composizione fotografica.

Preferisce il racconto fotografico alle immagini singole. Il racconto da costruire attraverso un’immaginazione onirica. A volte come in quei sogni in cui lo storyboard è fatto di frame emozionali, senza un inizio e una fine, ma i vari elementi comunicano comunque un concetto.

Contamina pensieri, immaginazione, parole e immagini. E realizza videopoesie come Le rose di Sarajevo, che le fa conquistare il primo posto al Premio Città di Latina 2020.

Sua è la storia e la realizzazione di Le avventure di broccoletto, un libro edito da Temperino Rosso Edizioni nel 2021. Un racconto fotografico realizzato con fotomontaggi, dove un broccoletto incontra altri ortaggi e il cui fine educativo è quello di dimostrare che la diversità e l’aggregazione è ricchezza.

Quindi Alma Carrano scrive anche sceneggiature. La sua scrittura cinematografica percorre sentieri umani dai tocchi duri, storie concrete che si intrecciano con i drammi della società reale. E vince anche dei premi nazionali come il Premio Mauro Bolognini 2014 e il Premio Città di Ascoli Piceno 2021.

Tra i premi di fotografia vince il Premio Città di Como 2018, con una recensione di Giovanni Gastel; II Trofeo Portfolio Città di Sulmona; è finalista di Autore dell’Anno 2017 FIAF Campania con il progetto “Ofelia, ieri e oggi vittima di femminicidio”.

 

E questa è un’altra storia…

È il titolo della mostra allestita all’ArtGarage di Pozzuoli fino al 24 marzo.

«È un titolo provocatorio perché so che a molti fotografi non piacciono parole come “progetto” o “storytelling”» e in realtà le storie “scritte” sulle pareti con le fotografie in mostra di Alma Carrano sono tre. Realizzate in periodi diversi e con tre stili foto-grafici diversi tra di loro.

Come una zelig nell’accezione migliore del termine dove il suo stile è il contenuto, la storia stessa del messaggio che vuole comunicare e non la fotografia di per sé.

 

Angeli caduti

Otto immagini ispirate alla tradizione giudaica del Libro di Enoch e strizzando l’occhio a Giovanni Gastel.

L’immaginazione dell’osservatore può passare dalla storia del patriarca Enoch il cui testo racconta di angeli ribelli che per punizione divina caddero sulla terra unendosi agli umani, o anche passare per Il cielo sopra Berlino o per il suo remake di La città degli angeli con Nicholas Cage.

Angeli graziati ma che decidono di tornare a contatto con i sapori della vita terrena fatti di amore e di sofferenza.

Gli angeli di Alma Carrano hanno ancora le ali. Forse perché appena giunti sulla terra. Forse contemplano e si pentono della loro evasione. Sono in limbi senza tempo. Non sappiamo se si libereranno per sempre delle loro ali. Non sappiamo se decideranno di tornare da dove sono venuti.

 

John Doe sulle vie dell’Ovest

John Doe è l’equivalente americano del nostro Tizio o Caio. Un personaggio che c’è, esiste, ma non si sa nulla di preciso della sua vita perché potrebbe essere chiunque.

John Doe nella prima fotografia è di spalle accanto a una moto. Pronto a mordersi un favoloso viaggio on the road come solo i biker possono comprenderne le emozioni a contatto con i paesaggi sconfinati del West. Con Don’t bogart that joint o l’intera colonna sonora di Easy rider che risuona nella mente.

Nove immagini in bianconero. Ispirandosi ad Ansel Adams. Un viaggio circolare nella Valle della Morte. Perché prima o poi, si ritorna. E tutto torna.



Schegge di donna

È un lavoro analogico di Alma Carrano realizzato circa venti anni fa. Si tratta di stampe dai cosiddetti sandwich: sovrapposizione di due o più diapositive nello stesso telaietto.

Schegge di donna consiste in composizioni di dettagli di sguardi femminili tratti da quadri o pagine di giornali che si sovrappongono alle foto di frammenti di foglie e fiori.

Alma Carrano con questo lavoro indaga sull’intimità della donna attraverso le espressioni dei volti di Marilyn Monroe, la Gioconda di Leonardo e altre ancora, ricercando un’affinità con la natura. La sua bellezza e inevitabile caducità la rendono “la chiave del tempo”. Un tempo che nel suo trascorrere rende la donna fata, sibilla e strega: “Fata quando nasce, maga quando ama e strega per la società e la religione”.

E, osservando queste immagini, non si riesce a non ricordare La fata Edoardo Bennato.

Ma questa… è un’altra storia.

 

 

…E questa è un’altra storia

di Alma Carrano

FOTOARTinGARAGE, rassegna coordinata da Gianni Bccari

Parco Bognar, 21 – Pozzuoli -NA

12-24 marzo

Da Lunedì a Venerdì 10,00-13,00 e 16,30-21,00
sabato 10,00 13,00 16,30-20,00
Domenica Chiuso

15.03.2022 # 5939

Marco Maraviglia //

Francesca Artoni. Il tempo in un attimo di ghiaccio

Fotografie di attimi di vita congelati. Wunderkammer sentimentali fatti di “perle” raccolte a KmZero

Chi è Francesca Artoni

Classe 1978. Nata a Guastalla (RE).

È perito chimico, lavora in ambito ospedaliero in un reparto operatorio, volontaria della Protezione Civile e non ha mai fatto studi artistici ma in età più matura e in pochissimi anni, è entrata nella carreggiata della fotografia artistica. Con risultati che non avrebbero deluso lei per prima visto che ha sempre coltivato la sua vena creativa dipingendo, disegnando o ritrasformando oggetti riportandoli a vita nuova.

Pur essendo una nativa digitale appartenente alla grande famiglia dei Millennials, appare come una donna d’altri tempi. Nata a contatto con la campagna e cresciuta nell’azienda vinicola di famiglia, la sua personalità sembra uscire da una fiaba dei fratelli Grimm.

Colleziona quelle che lei definisce “perle”. Tutto ciò che possa ricordarle attimi di vita. Suoi o quelli di altri. Le raccoglie e, attraverso processi di empatia e contaminazioni di tecniche artistiche che vanno dal collage al congelamento, passando per ruggine, ritagli di idee e quant’altro, le racconta in poesie visive.

Nel 2012 il marito le regala la prima fotocamera e inizia a frequentare alcuni incontri di fotografia. Dopo niente è stato più lo stesso.

 

Conservare (abstract)

In un mondo in cui tutto scorre sul filo della corsa al consumo, dove qualcosa che si rompe o si guasta finisce per lo più in discarica perché scompaiono gli “aggiustatori”; la produzione in serie rischia di non far più distinguere il lavoro esclusivo e certosino dell’artigiano; la sovrapproduzione di fotografie che non vengono stampate  facendo disperdere nell’ambiente momenti di riferimento della vita e valori umani rendendo anaffettive le persone, c’è chi rema controcorrente.

Qualcuno conserva ancora le vecchie cartoline ricevute dagli amici o le lettere d’amore dell’era pre-email. Qualcuno possiede i barattoli o le scatole dei ricordi in cui sono custoditi il primo dentino perso, una noce a tre spicchi, una piccola saponetta rubata in un albergo ancora nella sua confezione originale, un sassolino a forma di cuore raccolto su una spiaggia proprio durante un incontro sentimentale o anche una levetta di una lattina di bevanda vintage che fu la prima fede di fidanzamento.

Si tratta di una sorta di disposofobia positiva, la selezione di oggetti fatta non in maniera compulsiva ma legata a momenti particolari della propria vita. Wunderkammer sentimentali. Per accarezzare la vita del passato in un processo psico-emotivo che ci lega alla bellezza del presente. Amando il già vissuto.

Ma a chi saranno destinati questi oggetti senza racconti scritti che ne descrivono i loro attimi, del perché sono lì, conservati accuratamente anche se giù in cantina?

Forse chi li ritroverà durante gli sfratti di vecchie case senza più parenti, coglierà la magia contenuta in essi. Un’energia percepibile da qualche sensitivo o da chi ha a cuore il rispetto della memoria. E i mercatini delle pulci sono grandi serbatoi di sentimenti andati. Lì dove la memoria ha l’opportunità di percorrere altre vi(t)e.

Come capsule del tempo destinate a quel che resterà di un’umanità estinta o agli alieni di passaggio su questo pianeta.

 

Lo spacciatore di vecchie foto

Francesca Artoni cavalca l’onda dei ricordi. Non soltanto quelli suoi.

Per lei conservare oggetti nasce dalla necessità di catturare momenti che possono sembrare banali ma che in realtà sono sintesi del suo modo di “aver cara la vita”.

E questo può avvenire anche attraverso la post-fotografia: il recupero di foto vecchie di famiglia attraverso una reinterpretazione che non ne intacchi il ricordo, ma lo congela.

Francesca Artoni ha il suo pusher di fiducia. Uno dei tanti svuota cantine che hanno il triste compito di rimuovere ciò che è stato per tanti anni serbatoio di ricordi di famiglia e smistarlo tra mercatini, antiquari, discarica. Da lui Francesca riceve delle foto che lei continua a preservare.

Qualcuna di queste immagini diventa per lei oggetto di Criogenia.



Criogenia

Criogenia è il progetto di Francesca Artoni di cui sono esposte alcune immagini presso Movimento Aperto a Napoli.

 

  «Criogenia è nata da una mia riflessione sul tempo. È un pensiero che unisce molti miei lavori. Ho tratto ispirazione dal tema capolinea, per riflettere sulla ciclicità del tempo. Il tempo ciclico, o concezione circolare, vede l'universo come un continuo prodursi e disfarsi, nella sequenza eterna ed infinita della vita.»

 

Vecchie foto di famiglia, fiori e insetti del suo giardino, Francesca li congela immaginando per essi un’ibernazione che fissi per sempre la loro essenza. La paura forse di perdere attimi, sia pur minimalisti, che fanno parte comunque dell’armonia ciclica della vita.

Le immagini di Criogenia risvegliano nella mente i profumi che ci hanno donato i fiori, il battito di ali degli insetti, le emozioni di attimi di gioia familiare.

Si tratta di un processo delicato e intimo dell’autrice che non si limita al semplice scatto fotografico di tali oggetti. Francesca ne esorcizza la loro caducità congelandoli, come volerli soccorrere trasferendoli in una macchina del tempo per salvarne la loro bellezza nascosta.

Immagini che traspaiono dal ghiaccio come oltre un vetro appannato di una finestra. Un gioco visivo di vedo non vedo. Immagini oniriche di un mondo realmente esistito oltre quel ghiaccio che lo preserva.

 

La mostra

Criogenia di Francesca Artoni nasce nel 2017. È un work in progress che l’autrice via via implementa con nuovi soggetti ghiacciati e poi fotografati. Nella sua ricerca tende a individuare una gamma cromatica abbastanza estesa e comunque leggera, soft, acquerellata, sfumata.

Sedici sono le immagini esposte su un totale di oltre quaranta foto al momento realizzate.

Una parte è dedicata al mondo vegetale realizzata con fiori del proprio giardino, un’altra parte è dedicata al mondo animale con piccoli insetti. La terza sezione è dedicata all’umano in cui sono “glaciati” oggetti e foto di famiglia.

Le stampe fineart sono tutte quadrate in formati variabili a partire dal 25x25 e incorniciate in 50x50.

Immagini tutte realizzate a Km0: lavori che si sviluppano tra il giardino e gli interni della sua casa di campagna.

Tra i profumi della vigna, il legno di un camino acceso, collage e ricordi rinchiusi in scatole.

 

 

Per chi volesse addentrarsi maggiormente nel senso nel lavoro di Francesca Artoni si suggerisce la visione di Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber e Il favoloso mondo di Amelie di Jean-Pierre Jeunet.

 

 

Il tempo in un attimo di ghiaccio

di Francesca Artoni

a cura di Giovanni Ruggiero

MOVIMENTO APERTO di Napoli, dell’artista Ilia Tufano

Via Duomo, 290/C

dal 4 al 30 marzo 2022

il lunedì e il martedì ore 17-19, il giovedì ore 10.30-12.30

e su appuntamento chiamando i numeri 3332229274 - 3356440700

09.03.2022 # 5935

Marco Maraviglia //

“Photo chi scatta”, un ciclo di appuntamenti televisivi sulla fotografia raccontata da alcuni protagonisti

Enrico Scaglia è l’autore della trasmissione televisiva in onda su Byoblu la tv dei cittadini. Per una fotografia consapevole

Chi è Enrico Scaglia

Classe 1965. Nato a Vittorio Veneto (TV) e vive a Trieste.

Nel 1974 riceve in regalo dalla zia una Comet Bencini che lo inchioderà per sempre alla passione per la fotografia.

Gli si apre un mondo, non si stacca più da quella fotocamera e il parroco della chiesa di quartiere gli concede una sala dove allestire una camera oscura per sviluppare i suoi rullini e stampare da sé le prime foto in bianconero.

A 15 anni, grazie all’aiuto dei genitori, parte da solo per Torino dove studia fotografia al Bodoni.

Inizia a girare il mondo fotografando bambini. Gli anni passano e per necessità professionali apre la P.IVA.

Conosciuto come “il fotografo dei bambini” realizza campagne pubblicitarie per diversi settori merceologici a loro destinati.

Socio dal ’92 dell’Associazione Nazionale Fotografi Professionisti, ne viene coinvolto nel Direttivo.

Si occupa da alcuni anni di formazione a Trieste e lì acquisisce uno spazio destinandolo anche a galleria per mostre fotografiche.

 

Photo chi scatta

Photo chi scatta è una trasmissione di 30’ dedicata alla fotografia ideata da Enrico Scaglia per Byoblu, la tv dei cittadini.

Si articola in otto puntate di altrettanti interventi di autori noti quali il fotoreporter Francesco Cito, Marta Carelli professionista della comunicazione della fotografia sui social, la fotografa ritrattista Marina Alessi, l’esperto di painting light Renato Marcialis che parlerà del suo progetto Caravaggio in cucina, l’avvocato Federico Montaldo che tratterà del diritto d’autore in fotografia, Gabriele Zani fotografo di famiglia, la storica dell'arte prof. Angela Madesani che interpreterà le immagini di Julia Margaret Cameron.

Nell’ottava puntata ci sarà una sorpresa. Un’intervista che definirla surreale sarebbe poco e dai contenuti tecnici che saranno utili a tutti gli appassionati di fotografia.

Ogni puntata è registrata in video-chiamata e non ha tagli. Consta di tre momenti: un’introduzione, poi l’intervento del fotografo supportato da brevi commenti e domande dell’autore della trasmissione durante il quale scorrono le fotografie più significative e la terza parte che si conclude con la chiosa dello stesso Scaglia che evidenzia e commenta brevemente i punti salienti dell’intervento.

Va in onda il sabato alle ore 21.00.

Seguendo la trasmissione ci si sente come stare a cena con il fotografo, con l’amico di famiglia che racconta gradevolmente la sua storia, il suo lavoro.

Dai feedback sui social, Enrico Scaglia ha riscontrato un certo gradimento anche da parte di genitori che hanno seguito la puntata con Francesco Cito insieme ai propri figli.

 

La televisione per la didattica

La tv di Stato trasmetteva programmi come Costruire è facile con il grande Bruno Munari, o Non è mai troppo tardi, corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta condotto da Alberto Manzi. Giocagiò che mostrava a bambini e ragazzi anche come riciclare materiali per realizzare oggetti per la casa. Trasmissioni che non erano blindate in un canale specifico ma rientravano nel palinsesto generale della settimana. Gioco, didattica, intrattenimento e cultura erano tutti nella stessa cesta dell’unico tubo catodico che si possedeva in casa.

Poi qualcosa è cambiato. Si è andata creando man mano una segmentazione dell’offerta televisiva con canali dedicati ad argomenti specifici come se si trattasse di riviste specializzate di nautica o numismatica.

 

La televisione che racconta la fotografia

Figlio del baby boom, Enrico Scaglia ha evidentemente qualche reminiscenza del passato storico della televisione.

Da alcuni anni dedica il suo tempo al trasferimento di conoscenze della fotografia. Una generosità certo non rara per quei professionisti che si avvicinano alla sessantina, ma quando ci metti anche la condivisione di conoscenze attinte da altri serbatoi di professionisti, mettendoli in connessione con il pubblico, potremmo dire che si sta compiendo un passo che va un po’ più oltre di un certo individualismo. Il trasferimento delle conoscenze argina il buio della fotografia.

E allora Enrico, forte del suo senso associazionistico, propone alla redazione di Byoblu la tv dei cittadini un programma di fotografia.

 

La fotografia è un linguaggio universale ma la sua massificazione sta facendo perdere quella che è la sua grammatica per comunicare attraverso essa. L’idea della trasmissione è quella di dare degli elementi per imparare a come approcciarsi alla fotografia. In ogni puntata si mette da parte qualcosa che possa essere utile per un discorso di costruzione di consapevolezza fotografica.

 


Per la tv dei cittadini è una novità. Byoblu ha sempre fatto programmi di approfondimento relativi a notizie di attualità ma raramente, forse mai, solo prettamente culturali.

Una strategia di Byoblu per coinvolgere una nuova fetta di pubblico?

Questo non ci interessa. L’importante è che si parli di fotografia. Specialmente perché ce n’è bisogno nell’immenso vuoto dello scenario fotografico dell’offerta televisiva.

Nell’immensa ridondanza di fotografie che non comunicano.

Photo chi scatta, un approccio alla fotografia per tutti per comprenderne la sua (de)codifica.

 

 

 

Photo chi scatta

Autore: Enrico Scaglia

Dove: Byoblu, la tv dei cittadini

Canale tv: 262

Quando: sabato ore 21.00

 

La prima puntata è online su Byoblu

 

Hanno collaborato alla prima puntata:

Francesco Cito

Caterina Puhali

Lisa Dri

Tania Piccin


credit della foto di copertina: © 2022 Lisa Dri (resp.le della fotografia del programma) Enrico Scaglia per Byoblu - frame tratto dalla prima puntata con Francesco Cito

15.02.2022 # 5913

Marco Maraviglia //

Fotografare letteralmente. La scrittura al servizio della fotografia

Un saggio di Simona Guerra con preziosi consigli che aiutano a potenziare la comunicazione delle proprie fotografie

Chi è Simona Guerra

Laurea al DAMS di Bologna. Ha studiato storia della fotografia con Italo Zannier. Si occupa da oltre vent’anni di fotografia e ha lavorato per importanti archivi fotografici tra cui Archivio Fratelli Alinari, Archivio Ist. Antoniano (Zecchino d’Oro), Archivio IlSole24Ore Edagricole a Bologna.

Nel 2000 cura il riordino del patrimonio fotografico di Mario Giacomelli in occasione di una retrospettiva tenutasi a Roma al Palazzo delle Esposizioni. Da questa esperienza nasce il libro Mario Giacomelli. La mia vita intera, edito per Bruno Mondadori nel 2008 e che riceve importanti riconoscimenti.

Il festival Giornate di Fotografia curato con Lisa Calabrese, e altre attività come ideazione e organizzazione di workshop, mostre, saggi di fotografia e la gestione come curatrice unica dello Spazio Piktart per la fotografia, a Senigallia, non sono che alcune attività svolte da Simona Guerra che fanno di lei un’eclettica animatrice culturale dello scenario nazionale.

 

Parole, parole, parole…
A cosa serve la fotografia? A comunicare un’emozione? A documentare un evento? A essere testimonianza di un fatto? A comunicare per immagini quando le parole non bastano? Ma una fotografia può non essere accompagnata da parole?

La fotografia da sola a volte non basta. Occorrono parole che la contestualizzino. Ma si può anche incappare in un rischio quando una fotografia può essere decontestualizzata, riproposta in un contesto diverso da quello per cui è stata scattata per creare in buona o cattiva fede, una fake. Se accompagnata da parole che ne depistano il senso o il contenuto del momento in cui è stata scattata.

E può essere anche manipolata per “ristrutturare” un fatto. Come la rimozione dei dissidenti politici da una foto di gruppo. Lenin docet. O, ad esempio, proponendo una sola fotografia che mostri una spiaggia devastata da sacchetti di immondizia come lasciati lì per caso, oscurando le altre che comprovano invece che si tratta di un’operazione di ecologisti che stanno ripulendo quella spiaggia.

Le foto che le agenzie stampa inviavano via telefoto nelle redazioni dei giornali fino alla metà degli anni ’90, contenevano riferimenti didascalici. Parole. Le foto stampate ai sali d’argento che i fotoreporter consegnavano ai quotidiani, riportavano sul retro oltre che il proprio nome, anche la data e indicazioni del soggetto presente nella foto. Parole. Anche sui telaietti delle diapositive c’erano descrizioni didascaliche. Parole. E oggi, quando mandiamo immagini fotografiche a un editore, inseriamo nelle info file un minimo di informazioni descrittive o alleghiamo un documento in Word descrivendo il servizio fotografico che proponiamo. Parole.

Senza contare poi la quantità di parole spese nei testi dei curatori di mostre fotografiche. Affinché il senso di foto concettuali, artistiche e quant’altro possa raggiungere il pubblico.

Così, giusto per non lasciare una libera interpretazione che potrebbe essere inesatta.

 

“Ho sempre pensato che la fotografia sia come una barzelletta: se la devi spiegare non è venuta bene.”

- Ansel Adams

 

Ma non può esistere una fotografia pura che non abbia bisogno di parole e senza nemmeno il nome dell’autore?

Se la fotografia riporta solo il nome dell’autore, se questo è noto, può rimandare a un’interpretazione che condiziona la visione della fotografia stessa? Un titolo quanto condiziona sull’interpretazione di un’immagine?

 

Perché scrivere se fotografo?

L’obiettivo del libro di Simona Guerra è quello di provare a capire se e come la fotografia “potrebbe essere potenziata nella sua capacità comunicativa ed espressiva grazie all’aiuto delle parole”.

Le fotografie sui giornali servono (almeno dovrebbero servire) ad attirare l’attenzione sul testo della notizia. La sequenza di lettura dovrebbe essere fotografia-titolo-sottotitolo-testo della notizia. Una sequenza che potrebbe essere anche titolo-sottotitolo- fotografia-testo della notizia. Comunque la fotografia ha la sua importanza attrattiva per condurre verso la lettura e l’approfondimento della notizia.

Ma, come dice Simona Guerra, non si tratta di una guerra tra fotografie e parole:

 

Può darsi infatti che in certi casi sia così, ma questo saggio non vuole insegnare a spiegare le proprie fotografie, né ha lo scopo di convincere ad usare testi a corredo delle immagini. Quello che si propone è di conoscere meglio l’espressione scritta al fine di arricchire il proprio lavoro sulla fotografia. Se serve, quando serve.

 

Fotografia e scrittura possono sostenersi. Insieme possono amplificare la comunicazione e una piena percezione vissuta dall’autore delle fotografie. Per trasmetterla all’osservatore.

Perché non tutti possono possedere tutti gli strumenti culturali e conoscenze per leggere qualsiasi fotografia. E non è il caso di trascurare una parte di pubblico restando su un piedistallo ma forse è meglio accompagnarlo nella comprensione. Almeno quando è indispensabile.

Dare il titolo a una foto, scrivere un testo di introduzione a un portfolio da presentare a un editore o a un gallerista, scrivere una sinossi esplicativa di un reportage fotografico per sollecitare un giornalista a farne un articolo per il giornale per cui collabora, o anche scrivere brevi ma efficaci didascalie non può che alzare l’attenzione sul materiale fotografico prodotto. Ma anche scrivere a monte per un progetto fotografico ciò che si intende fotografare, i soggetti, i concetti, aiuta a sviluppare il progetto stesso.

E magari può avvenire anche il contrario: dalle fotografie possono nascere poi storie.

 

 

“FOTOGRAFARE, LETTERALMENTE”

La scrittura al servizio della fotografia

Saggio. Progetto Piktart, 2021

Autrice: Simona Guerra

15x21 cm - 144 pagine - 14  foto - Testo: Italiano - Copertina morbida - Prezzo: € 21,00 –  www.pikta.it/piktart - dicembre 2021 - ISBN: 978-88-946728

07.02.2022 # 5900

Marco Maraviglia //

Alessandro Fruzzetti. La fotografia come impegno sociale

Padroni contro i valori delle donne. Un’indagine visiva sulle distorsioni dei rapporti uomo/donna

Chi è Alessandro Fruzzetti

Classe 1971. Nato a Pisa e vive in provincia di Livorno. Diploma di geometra. Titolare di uno studio tecnico. Appassionato di fotografia. 

Da bambino era attratto dalle arti visive in generale, ha sempre disegnato e dipinto. Da adolescente ha iniziato a fotografare per hobby. Verso i 40 anni inizia a utilizzare la fotografia come mezzo espressivo e indagatore: su se stesso e la sua famiglia, poi volgendo lo sguardo verso la società e soprattutto sui diritti civili.


Abbiamo un problema…

XXI secolo. 21° secolo. O, se preferite, ventunesimo secolo.

Anno 2022 d.C. Abbiamo sorpassato il primo ventennio del secondo millennio ma abbiamo qualche problema. Anzi, il peggio è che ci troviamo ancora a porci il problema dell’esistenza di un problema. Uno tra i tanti. Donne e uomini. Uomini e donne. Un periodo in cui la parità dei diritti sembra risolversi con lo schwa, con un simbolino che non sai nemmeno come scriverlo dalla tastiera del PC e quando lo trovi ne abusi: ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ ǝ. E nel frattempo, presi da un’esaltazione collettiva, sembrava che sarebbe stata eletta la prima Presidente della Repubblica donna. Come se fosse un avvento. Un miracolo. Quasi come fosse accaduto qualcosa di bizzarro. Qualcosa di anormale. Ma anormale sono i numeri annuali di femminicidio.

Anno 2022 e siamo ancora ben lontani da una normalità. Non siamo ancora PERSONE ma distinti dal genere.

Il livello culturale di un Paese sembra però non avere una relazione ben definita con l’apartheid. Il rispetto delle persone, a prescinde dal genere, non dipende dal grado di civiltà di una Nazione. Forse perché siamo fatti di ormoni, di chimiche che non hanno nulla a che fare con la ragione. Non si tratta di giustificare l’ingombrante e a volte violento peso maschile nella società, ma cercare di capire se e quando il cordone ombelicale con la cultura patriarcale, sessista, maschilista, sarà mai staccato. «Io uomo, tu donna», sembra che rimbombi ancora nelle nostre menti all’alba di tutte le transizioni declamate. Forse siamo ancora lontani, lontanissimi dalla fine dei sessi, quella del «Io Persona, tu Persona».


Quei 6X3 di chi te la dà: il (dis)valore delle donne

Alessandro Fruzzetti con Il (dis)valore delle donne sottolinea con dissenso un certo modo di fare comunicazione pubblicitaria che cavalca quanto sopra accennato. Manifesti che sembrano realizzati per rientrare nella strategia del “purché se ne parli”. 


Battute a doppio senso che ricordano la caserma o certi filmetti sexy all’italiana, sono una violenza diversa che tuttavia mortifica e inorridisce


Dal comunicato stampa:

“Fruzzetti ha raccolto questi manifesti pubblicitari e ha fotografato dodici donne affermate nel loro lavoro, che appallottolano e lacerano questi messaggi. Tra loro c’è anche la maestra della fotografia Giuliana Traverso, scomparsa un anno fa. Ne ottiene dodici immagini in cui è espresso il rifiuto in modo singolare: sulla stessa tavola pone, incollato, il manifesto stropicciato (e quindi negato) e la donna che si ribella al messaggio, appunto strappandolo, perché non sottomessa o assoggettata, come invece quel messaggio vorrebbe suggerire.”


Si tratta dell’ennesima operazione di sensibilizzazione sulla monetizzazione dell’individuo donna. Si potrebbe obiettare che, riguardo certi manifesti, si tratti di ironia, di simpatia giocosa verso la donna. Ma purtroppo non esistono strumenti che valutino a monte l’apprezzamento della goliardia da parte dell’universo femminile. Il buon senso su quali parametri si fonda? La sfera del rispetto è soggettiva? Ma se pur fosse che solo una ristretta minoranza di donne si ritenesse offesa, è civile non considerarla? Meglio mostrare, e senza headline, senza claim, solo donne belle per pubblicizzare l’intimo? E ciò non potrebbe essere un’altrettanta mancanza di rispetto nei confronti delle donne meno belle?

Abbiamo evidentemente ancora bisogno di riflettere.

Magari volgendo un occhio all’arte che sembra non sia mai stata attaccata sotto questi aspetti. Eh, sarebbe bello poter vedere un giorno i 6x3 pubblicitari che meritano, in un museo. 


Padroni, dieci assassini tra tanti

Nessun motivo giustifica un omicidio. L’essere umano ha la fortuna di essere dotato della mente: ragione e parola. Strumenti che dovrebbero servire a gestire qualsiasi tipo di relazione umana. Ma ragione e parola non funzionano sempre. Qualsiasi omicidio denota falle nel sistema-uomo decretandone il fallimento.


“Padroni”, è spietato. Violento, per certi aspetti. Tre colori: il bianco, il nero e il rosso, senza mediazione, senza indulgenza e senza accondiscendenza. Come nelle foto segnaletiche prese dentro il carcere o in questura. Se noi, gente comune, mettiamo la faccia in ogni nostra azione, perché non dovrebbero mettercela anche i Padroni, quelli che, vantando una supremazia sulle loro donne, considerate di loro proprietà, arrivano al delitto? Ecco i volti di alcuni di loro.


Dieci assassini colpevoli di femminicidi. Ritratti in bianconero sui quali Alessandro Fruzzetti ha operato incisioni, bruciature, tagli, ispirandosi alle armi del delitto utilizzate dai “padroni”. Coltello, fucile, corda, cutter… Una sagoma è lasciata in bianco, a significare che l’elenco dei “padroni” purtroppo non si arresta. Ci sono nomi e cognomi in queste immagini. Di vittime e carnefici.


Credo molto nella potenza della fotografia come mezzo espressivo e credo che possa essere molto utile come critica sociale. I miei lavori esprimono la mia presa di posizione e sono più eloquenti di ciò che potrei aggiungere con le parole.




La fotografia come impegno sociale

Di Alessandro Fruzzetti

MOVIMENTO APERTO 

Via Duomo 290/C – Piazza Filangieri

dal 4 febbraio al 25 febbraio 2022 

il lunedì e il martedì ore 17-19, il giovedì ore 10.30-12.30

e su appuntamento chiamando i numeri 3332229274 - 3356440700



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