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28.10.2021 # 5822
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Un’opportunità per partecipare a una collettiva per raccontare l’impatto pandemico sulla società. A cura di Simona Guerra

Che succede? L’impatto pandemico sulla società

Cosa è successo negli ultimi due anni? Ce ne siamo accorti? Crediamo veramente di avere piena consapevolezza della nuova dimensione umana in cui siamo stati catapultati, causa pandemia? Sono cambiati i nostri rapporti sociali e interpersonali? Frequentiamo le stesse persone allo stesso modo di quando eravamo nel “mondo di prima”? Abbiamo percezione di eventuali danni subiti nella nostra mente per aver vissuto il lockdown? Capita di trovarci soli in auto con la mascherina indossata e senza accorgercene? Abbiamo ridotto l’uso dei trasporti pubblici preferendo spostarci a piedi? Ci chiediamo mai quali sono i parametri per cui si potrà uscire dall’emergenza in cui viviamo? Tendiamo a programmare le nostre vacanze in luoghi meno frequentati? Ma veramente è aumentata la folla della movida perché vuole riprendersi un pezzo di vita perduto,come se non ci fosse un domani? Siamo ormai già abituati a mostrare un QR code per entrare in un museo? O evitiamo di andarci perché emotivamente non accettiamo di esibire un’etichetta preferendo aspettare che si ripristini la normalità? È possibile l’adattamento dell’uomo alla distopia sociale senza conseguenti effetti collaterali?

Se non vi siete mai fatti almeno una di queste domande o altre ancora, potete terminare qui la lettura.

 

Call: chiamata alle armi per gli invisibili effetti sociali della pandemia

Simona Guerra, scrittrice, critica di fotografia e curatrice di mostre cerca narrazioni riguardanti lo stato attuale dell’Italia: Lo stato italiano adesso.

 

Sembra che il presente non sia più così semplice da trasmettere con le immagini. Anche perché un terremoto si può fotografare; gli effetti di una bomba con i suoi morti e feriti si può raccontare. Ma gran parte dei problemi di oggi restano inaccessibili agli occhi e all’apparecchio fotografico, a cui sembra sia stata lanciata una nuova sfida.

 

Si cercano progetti che esprimano visivamente e con l’ausilio di testi, narrazioni che vadano concettualmente oltre quelle immagini già viste come gente sui balconi, file fuori ai supermercati e carrelli in uscita stracolmi di provviste, gente distanziata con mascherina nei giardini pubblici, segni arrossati sui volti del personale sanitario causa mascherina indossata a lungo, ecc. ecc.

NO. Simona Guerra cerca il “dentro”, l’invisibile intimo, il tormento di quei fotografi che stanno ancora soffrendo per la mancanza di un abbraccio con un’amica incontrata per strada dopo oltre un anno; soffrono nell’evitare feste in casa con i soliti 30-40 amici; per il preferire la video-chiamata con un cliente; per non poter andare a trovare un amico in ospedale.

Tutte privazioni che non fanno parte di una vita normale. Perché non sono a dimensione umana.

 

Le immagini che ci propongono i media servono, o dovrebbero servire, a rappresentare il presente, dunque, chi e in che modo sta raccontando: la paura, la diffidenza, la perdita d’identità e quella di autodeterminarsi? La ricerca della Verità, continuamente rovesciata da versioni tra loro contrastanti, spesso offerte dalla stessa persona. E ancora: il terrore della sofferenza e della morte, le divisioni, gli attriti, i pensatori in lotta, il concetto di altruismo, dovere, responsabilità?

 

Gli artisti che hanno raccontato i disagi della storia

Negli anni l’arte ha comunicato contesti storici rappresentandone il tedio, il disagio, i drammi vissuti dalla società ma metabolizzati e rappresentati dagli artisti. Mi vengono in mente L’Urlo di Munch, apoteosi dell’Espressionismo; Il sonno della ragione genera mostri di Goya; Guernica di Picasso; fino ad arrivare ad alcune opere di Andy Warhol che metteva in discussione la frenesia della civiltà americana. Non sono che alcuni esempi che non documentano visivamente fatti, ma mostrano visivamente stati emozionali, invisibili, immateriali e che colpiscono duramente al cuore l’osservatore. E chissà se esistono fotografie che riescano a mostrare gli attuali stati psico-intimi attraverso gli invisibili metadati di questa realtà.

 

Che ne è, oggi, della narrazione dei fatti? È tornata ad essere ricca come prima dell’inizio della pandemia o ci sarebbe bisogno di materiale aggiuntivo perché si possa dire di avere una narrazione dell’oggi più completa?

 

Diamoci da fare: come procedere

Fino al 1° dicembre, Simona Guerra accoglierà e visionerà lavori fotografici (corredati da scritti) realizzati sulla base di questa traccia. Gli autori che meglio sapranno spingersi oltre i confini della narrazione già disponibile (per temi e punti di vista) verranno esposti all’interno dello Spazio di Piktart, sito a Senigallia, in una mostra della durata di 10 giorni, nell’inverno 2021.

Verrà inoltre valutata la messa a punto di un catalogo della mostra, edito dalla Piktart, con un testo critico a corredo e presentazione.

Si tratta di una vera e propria chiamata alle armi, visive e testuali, da sempre potenti strumenti di espressione e utensili preziosi del concetto artistico di attivismo.

Le attività di curatela di questa mostra vengono offerte a titolo gratuito e rappresentano il sostegno di Simona a quella parte di società che si è accorta di quanto minaccioso sia questo momento storico e sente l’urgenza di comunicarlo.

 

Dettagli:

www.pikta.it/piktart


Credit: Ph. Enrique Meseguer da Pixbay

05.11.2021 # 5831
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Dimitra Dede in mostra alla Spot Home Gallery con Ápeiron: l’assenza di confine

Immagini introspettive di un’insostenibile leggerezza dell’essere che indagano l’indefinibile della vita tra il buio e il buio

Chi è Dimitra Dede

Dimitra Dede è un’artista visiva greca che vive a Londra e lavora prevalentemente con la fotografia. Ha conseguito una specializzazione in New Media dopo gli studi in fotografia.

La sua pratica artistica coniuga la pittura e l’uso di sostanze chimiche con la fotografia. La creazione delle sue immagini si basa su un processo intuitivo. La sua ricerca esplora la connessione tra spazio e tempo, memoria e disorientamento, perdita e vulnerabilità umana, la vita e l’Assurdo. Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei e festival in Europa, Stati Uniti e Asia.

Il suo libro Mayflies è stato selezionato nella shortlist del premio per il Miglior Libro d’Autore ai Rencontres d’Arles 2020, e del premio Unseen Dummy Award 2018 all’Unseen Festival di Amsterdam.

- dal comunicato stampa

 

Osservando le foto di Dimitra

Si entra in un mondo grigio torbido, dove i neri sembrano carboncini sfumati a mano. E tratti come tracciati a china. Macchie slavate.Tutto si confonde, tutto è inafferrabile. Nell’oscurità il circostante è fluido. Onirico. Sogni o incubi?

Dettagli che divengono galassie. Il reale diviene immaginazione. Tutto si sovrappone. C’è tanto blur. Indefinibile, come ciò che la nostra zona grigia nasconde nella mente. Vedo riflessi, o sovrapposizioni di spazi, corpi e paesaggi? Non conta saperlo perché meglio lasciarsi andare a quel segmento della vita che c’è tra il buio e il buio. Tra il ventre materno e l’ultimo sospiro. Non conta perché il messaggio, la sensazione che l’osservatore riesce a percepire, è sufficiente.

Immagini da decifrare o ascoltare? Quale anfratto del proprio intimo bisogna esplorare per riconoscersi in quei frame che sembrano in movimento, che si avvicinano, ci sfiorano, si allontanano ma ci affollano come sogni labili, profetici, inconsci?

Ma poi, perché cercare di capire in un mondo in cui non esistono certezze? Tutto scorre in un arco temporale breve. I segni ci travolgono, ci attraversano.

Acqua, terra, il verde… tutto in grigio/nero. Il bianco è la luce, la somma di tutti i colori, e qui non serve, resta nel mondo di fuori per non distrarre da un’introspezione inconscia e meditativa. Tra accenni pareidolici immersi nell’eleganza di un glamour celato. Apoteosi della sensualità perché nascosta e da scoprire.

E tutto scorre, tra ricordi di passaggio, di quelli che forse non ne abbiamo bisogno riviverli, ma ci sono, esistono, vivono ancora in qualche meandro della nostra anima.

 

…una mano, un corpo, un ghiacciaio, un sesso femminile, delle nuvole, un volto, un albero, un corpo o una roccia si equivalgono. Pretesti per formare immagini, per provocarle, per generarle. Dimitra Dede le tratta come materia prima che lei lavora, graffia, trasforma, muta e stravolge per raggiungere un mondo che esiste solo nell’immagine, un mondo fluttuante ancorato ad un reale già dissolto. Il tempo si è fermato, o eternizzato, non sappiamo, tanto strettamente fotografico da non aver più nulla a che vedere con quello dei nostri orologi.

- Christian Caujolle.

 

Come nasce la mostra

Cristina Ferraiuolo, gallerista della Spot Home Gallery, è una cacciatrice di teste del campo fotografico. Per la sua attività spulcia anche libri fotografici di editori indipendenti ed ha scoperto Dimitra Dede che ha voluto nella sua galleria per la mostra Ápeiron curandone la realizzazione insieme a Michael Ackerman.

63 opere, frutto di un percorso di circa 20 anni.

Ápeiron, dal greco antico “à”, assenza e“peras”, confine: assenza di confine. Il principio, infinito ed eterno, da dove tutte le cose hanno origine e ove si dissolvono, è un concetto intorno al quale ruota l’intera produzione artistica di Dimitra Dede, ben riflesso nella frase dello scrittore greco Nikos Kazantzakis: "Veniamo da un abisso oscuro; ritorniamo in un abisso oscuro. Lo spazio luminoso che intercorre tra di loro lo chiamiamo vita".

 

La tecnica di Dimitra

L’artista non usa programmi di manipolazione di immagini ma interviene direttamente sui negativi con bruciature, cera, solarizzazione in camera oscura, vernice e usa tutto ciò che può per imprimervi dei segni come graffi e incisioni.

Un processo di trasformazione “punitivo” della materia che le consente di elaborare il dolore e di raggiungere l’armonia ricomponendo i pezzi frammentati della sua esistenza di donna, figlia, madre e artista.

I negativi così trattati vengono poi scannerizzati e stampati in giclée su diversi tipi di carta, a seconda dei soggetti.

Alcune immagini sono stampate su una spessa carta materica, di cotone, che restituisce l’opacità, il mistero e l’indefinito del suo lavoro; per altre una preziosa carta giapponese, la Taizan, sottile, leggermente trasparente, ma eccezionalmente resistente: assonanza con un femminile materno che coniuga fragilità e forza, amore e cura.

 

 

SPOT HOME GALLERY di Cristina Ferraiuolo

ÁPEIRON

Dimitra Dede

dal 28 ottobre 2021al 28 gennaio 2022

 

Opening 28 ottobre2021

dalle ore 12 alle ore 20

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA sul sito www.spothomegallery.com

 

Contatti

Spot home gallery

via Toledo n. 66, Napoli

+39 081 9228816

info@spothomegallery.com

18.10.2021 # 5819
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Lost the Way Home, il libro di Antonino Condorelli per gli invisibili di Amburgo

Iniziativa editoriale in tandem con i medici volontari di ArztMobil Hamburg per sostenere attività di solidarietà per indigenti e senzatetto

Chi è Antonino Condorelli

Classe 1973. Fotogiornalista freelance nato a Catanzaro e dove ha vissuto parte della sua vita.

Ha studiato fotografia a Milano. Inizia la professione di fotografo lavorando per i giornali calabresi coprendo fatti di cronaca, politica e i primi sbarchi dei migranti nello Jonio.

Si è sempre occupato principalmente del Sud nel mondo documentandone i suoi aspetti sociali.

Ha collaborato con agenzie nazionali e internazionali. Ha pubblicato su giornali Italiani e stranieri. Ha viaggiato in Argentina durante la crisi del 2002, in varie città d’Europa e in Burundi dove capì che l’Africa e il vicino Medio Oriente erano i luoghi dove avrebbe concentro la sua attenzione.

È stato in diversi paesi africani colpito da quel che si dice “il mal d’Africa”. Un amore che lo ha visto impegnato 

Dal 2015 si trasferisce in Germania con la sua famiglia e dove ha più opportunità professionali.

Nel 2016 ha vinto il “Blauer Löwe” per un lavoro realizzato in un paese della Bassa Sassonia circa gli immigrati che vivono in quel posto.

 

Il Sud del mondo

Quando pensiamo al Sud del mondo immaginiamo quelle zone economicamente depresse concentrate in Africa, nel Sud dell’Asia, luoghi dell’America latina. Ma i punti cardinali possono acquisire una loro soggettività in un mondo dove anche nelle metropoli più ricche, civilizzate, tecnologicamente avanzate,esistono sacche di emarginazione socio-economiche, di minoranze bistrattate. Il Sud del mondo si trova anche nella dispersione scolastica delle grandi città, nel non riconoscere pari diritti di lavoro a prescindere dal genere, nei disabili che vivono in contesti urbani che li impediscono di spostarsi autonomamente causa barriere architettoniche, negli immigrati sfruttati sul lavoro, carceri sovraffollate, nei senzatetto, indigenti e tanto altro. Invisibili. Un Sud di cui molti girano la testa dall’altra parte. Un Sud a volte considerato parassitismo che “meglio se non ci fosse”. Ma c’è. Esiste. E servirebbe un po’ di sensibilità ed empatia in più per salvaguardare la dignità umana. Sostenibilità umana.

 

L’esercito dei volontari

Fortunatamente quel Restiamo umani di Vittorio Arrigoni sembra calzare a pennello come un claim per tutte quelle attività di associazioni ed altre organizzazioni che si prodigano nel sostenere i cosiddetti “invisibili”. Minoranze “fastidiose”.

A mia memoria credo che tutto sia iniziato nel 1865 conl’Esercito della Salvezza, un’organizzazione evangelica che aiutava i bisognosi e ancora operativa in tutto il mondo. La solidarietà si è poi estesa a tante altre realtà e il fotoreporter Antonino Condorelli entrando in contatto con una di queste, ha voluto dare il proprio contributo.

 

Antonino Condorelli per ArztMobil Hamburg

“Lost the way homeè un progetto fotografico nato durante la prima ondata della pandemia da Coronavirus nel 2020. Il Fotogiornalista Antonino Condorelli ha seguito in quel periodo un’organizzazione di medici volontari che, nella città di Amburgo, si prendono cura delle persone senza tetto e con scarsa sufficienza economica. Il lavoro, partito inizialmente come un reportage da pubblicare sui giornali, ha preso una "piega" diversa quando Condorelli ha proposto ad ArztMobil Hamburg di realizzare un libro con il quale poter sostenere economicamente l'organizzazione.

Per più di un mese il fotografo Antonino Condorelli ha seguito i medici di ArztMobil Hamburg cercando di raccontare il difficile lavoro che svolgono i volontari nel curare e assistere i senzatetto della città, soprattutto in questo periodo incerto di pandemia. Lost the way home è un viaggio intimo nella vita di medici e assistiti che attraverso il loro incontro rischiarano le ombre della vita. Lost theway home allude al complicato rapporto con la vita di una società che esclude chi vive diversamente.” (Dal comunicato stampa).

 

 

Il libro Lost the way home

Il libro consta di sessanta fotografie in bianconero con testi dell’autore e dei medici di ArztMobil Hamburg per un totale di 88 pagine.

Immagini che raccontano l’attività dei medici volontari, tra visite mediche nel camion attrezzato ad ambulatorio, rifornimenti alimentari e relative distribuzioni tramite furgone; momenti intensi le cui foto lasciano intuire il rapporto di fiducia instaurato tra medici e pazienti e con ritratti di alcuni di questi. Ritratti dove si scorge un filo comune per tutti: lo sguardo sofferto, di una vita provata che racconta storie probabilmente irraccontabili, fatte di miseria, violenze, soprusi, abbandoni subiti da chi magari doveva esserti vicino. Persone che non ce l’hanno fatta perché emotivamente fragili, senza spirito combattivo e che si sono lasciate andare. Per scelta o per vicissitudini della vita.

Ma i volontari sono lì. Non fanno domande. Ascoltano, i loro malesseri, per curarli o perlomeno alleviarli.

 

Il nostro autobus non è solo una sala per trattamenti sanitari, maanche un rifugio. Spesso l'attenzione non è solo sulle cure mediche, ma sulletue preoccupazioni e sui tuoi problemi.

- JuliaHerrmann; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

E l’obiettivo di Antonino è lì, occhio discreto ma penetrante, dentro quelle atmosfere dure ma impregnate di bontà.

Antonino Condorelli, in termini di celebrità, non è Dorothea Lange ma ha fatto un passo avanti perché oltre a sensibilizzare con questo libro su uno spaccato sociale della “civiltà” occidentale, ha messo a disposizione la sua professionalità senza badare al profitto.

 

… queste esperienze mi hanno aperto gli occhi. Ho camminato per le strade con più attenzione. E all'improvviso ho notato molte difficoltà nella nostra ricca città che non avevo mai visto prima o forse non volevo vedere. Coloro che vedono le difficoltà devono agire.

-Von Levke Sonntag; volontaria dell’ArztMobil Hamburg

 

 

Il libro è stato autopubblicato nel febbraio 2020 ed èacquistabile sul sito di Antonino Condorelli (https://www.antoninocondorelli.com/prodotto/lost-the-way-home-homeless/)

 

 

PROSSIME MOSTRE:

 

Dal 22-10-21 al 21-11-21

Vernissage giorno 22 ottobre alle ore 19 presso St.Michaelis Kirche, Johan Sebastian Bach Platz, Lüneburg.

La chiesa in cui si tiene la mostra è una delle chiese maggiori di Lüneburg costruita dai benedettini intorno al 1300. Bach è stato allievo lì.

Contatti +49 04131 2072-14

 

Dal 26-11-21 fino al 19-12-21

Vernissage giorno 26 novembre alle ore 18 presso Reso FabrikWinsen Luhe, Neulander Weg 15, Winsen Luhe.

La Reso Fabrik è una fabbrica sociale in cui vengono realizzati programmi di inclusione per gli abitanti della città. Si occupa di realizzare progetti di vario tipo, spesso basati sull'arte, con cui si cerca di aggregare le varie culture presenti.

Contatti +49 04171 783940

 

In entrambe le strutture l'ingresso è libero, e in entrambe le mostre sarà possibile acquistare il libro Lost the Way Home per sostenere imedici di Arzt Mobil. Costo del libro 45,00 € se acquistato sul posto.

 

Ufficio Stampa e Organizzazione: antoninocondorelli@antoninocondorelli.com

06.10.2021 # 5811
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Marina Alessi in mostra con +D1, i ritratti corali di una perfetta padrona di casa

Presso la Galleria Gallerati a Roma i bianconeri della fotografa Marina Alessi e la possibilità di essere ritratti su prenotazione

Chi è Marina Alessi

Classe 1960. Vive e lavora a Milano dal 1984 iniziando come assistente per Giovanni Gastel e Fabrizio Ferri. Professionalmente attiva dalla fine degli anni ’80, fotografa specializzata in ritratti, ha colto attraverso il suo obiettivo  i protagonisti del mondo del teatro, del cinema, della cultura e della televisione, seguendoli sui set, sui palcoscenici e nella vita come ritrattista e fotografa di scena.

Partecipa a tutte le edizioni del CliCiak, il concorso nazionale riservato ai fotografi di scena.

 

Ha lavorato principalmente in grande formato con Linhof Technika 4x5.

Ebbe l’audacia di presentare un progetto alla Polaroid per poter utilizzare la Giant Camera, di cui sono presenti nel mondo solo 5 esemplari, fotografando per sei anni oltre 280 personaggi. La Giant Camera, per intenderci, realizza scatti unici 50x60 su supporto Polaroid a sviluppo immediato.

 

Ha pubblicato i libri fotografici:  44+1, AutoRitratti – fotografia e street art gioco a due (Vallecchi 2009,introduzione di Dario Fo e testo critico di Roberto Mutti); Facce da leggere – 282 ritratti di scrittori(Rizzoli 2010, prefazione di Sandro Veronesi), Zelig – 25 anni di risate (Mondadori 2012).

 

Tutto il resto lo si può conoscere sul suo sito: www.marinaalessi.com

 

+D1 –Ritratti corali

Più di uno, più di una. Sono principalmente ritratti di gruppo in bianconero realizzati con reflex digitale. Un lavoro iniziato nel 2019 come residenza d’artista presso il MACRO e, successivamente, implementato da nuove immagini. Una bella avventura fatta non solo di abilità professionale ma di passione per la gente da ritrarre perché senza l’entusiasmo di voler “leggere” le persone, conoscendole attraverso i propri occhi e cuore, senza sovrastrutture e pregiudizi, i risultati sarebbero asettici. O unilaterali. Perché, come scrisse Roland Barthes in Nota sulla fotografia:

 

“Quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi si deformano. Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte”

 

Con il solo punto di vista del fotografo non è possibile la danza condivisa del ritratto fotografico. O almeno, non quello che dovrebbe apparire con quella spontaneità tipica di una convivialità dove le espressioni degli ospiti del banchetto sono serene, rilassate, sorridenti, paghe. Dalle immagini di Marina Alessi si intuisce che il suo lavoro la diverte. E, volendo continuare il paragone con una tavolata, Alessi sembra essere la perfetta padrona di casa che riesce a mettere a proprio agio anche invitati sconosciuti, creare l’atmosfera giusta della festa (quella del set) e condire con sapienza le proprie portate: i giusti tempi per sistemare con adeguate indicazioni le pose dei soggetti da ritrarre, tranquillizzarli e decidere il momento dello scatto. E per i ritratti di gruppo, è un po’ come quando a tavola percepisci all’istante che quello più in disparte vorrebbe gli si passasse la saliera che subito gli fai arrivare. Sorprendendolo. Tutti tenuti a vista, perché tutti devono star bene.

Se non si è contenti di ritrarre persone, se non si ha un buon rapporto con se stessi, se il proprio volto non è sereno e sorridente come quello di Marina Alessi, i soggetti che sono davanti all’obiettivo rifletterebbero inevitabilmente tutt’altre espressioni.

 

In +D1 presso la Galleria Gallerati, vi sono esposti ritratti di Daniele Di Gennaro, Luca Briasco, Umberto Ambrosoli, Elisa Greco, Amanda Sandrelli, Serena Iansiti, Emiliano Ponzi, Stefano Cipolla, Chicco Testa, Marco Tardelli, Mario Tronco con tre musicisti dell’Orchestra di piazza Vittorio, e Sonia (Zhou Fenxia) con la sua famiglia. Ed altri ancora. Immagini tratte tra tante da una selezione casuale.

 

“Ho sempre fotografato persone: mi piace la complicità che si crea quando le ritraggo e questa maniera di entrare in punta di piedi nel sentimento, nel legame. Soprattutto quando si tratta di ritratti di gruppo – famiglie con figli – ragiono molto in libertà. Non c’è la finzione della messa in posa. Anche per questo i miei ritratti rimangono classici, non di maniera: ritratti di cuore”

 

Ecco, ritratti affettivi. Affezionarsi alle persone che siritraggono. Con tutte le loro emozioni, stati d’animo sfuggenti, sentendoli vicini attraverso quel processo di empatia alchimistica tipica di un collaudato ritrattista.

Grazie a quella tensione e attenzione che la perfetta padrona di casa riesce a creare: Marina Alessi.

 

 

 

MarinaAlessi

+D1 –Ritratti corali

A cura di Manuela De Leonardis

Galleria Gallerati  (Via Apuania, 55 – Roma)

 

Inaugurazione giovedì 14 ottobre 2021, ore 19.00-22.00

Fino a venerdì 12 novembre 2021 (ingresso libero)

Orario: dal lunedì al venerdì: ore 17.00-19.00 / sabato, domenica e fuori orario: su appuntamento

Secondo le disposizioni in vigore, ingressi contingentati e consentiti soltanto con opportuni dispositivi di protezione individuale


Ritratti in galleria su prenotazione

Ufficio stampa: Galleria Gallerati, ufficiostampa@galleriagallerati.it

Informazioni: info@galleriagallerati.it, www.galleriagallerati.it,  www.marinaalessi.com

30.09.2021 # 5803
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Gli specchi di Ivana Galli e i suoi “ritratti scomposti” in occasione della rassegna Illuminazioni a Montorso Vicentino

La ritrattistica fotografica che promette di scoprire se stessi attraverso un affascinante ménage à trois tra psicologia e cubismo

Chi è Ivana Gali

Classe 1968. Non solo fotografa. È infatti creatrice di installazioni site specific e di land art, musicista digitale, contrabbassista e un’insolita performer. I suoi interventi artistici consistono in contaminazioni di proprie esperienze di vita e conoscenze di lavoro sul campo,consapevole che la comunicazione artistica può sfruttare le percezioni emotive, sensoriali, psicologiche, generate da opere (inter)attive.

Autodidatta, niente studi artistici, niente scuole di fotografia se non l’essere stata immersa nella sua infanzia e adolescenza nel mondo del padre fotografo.

 

Cubismo e ricerca della spazialità

A volte, uno degli intenti di chi produce immagini è il voler dare loro una certa spazialità, rompere il limite delle due dimensioni cercando nuove soluzioni visive. Per offrire allo spettatore nuove percezioni dimensionali che possano integrarlo e coinvolgerlo emozionalmente in una realtà spaziale. È il caso dei vari tentativi di codificazione della prospettiva nell’antichità fino a raggiungere i risultati scientifici rinascimentali con successive incursioni anamorfiche di Andrea Pozzo che davano una certa tridimensionalità ai suoi affreschi. Quindi ricerca della profondità, il poter sentirsi dentro l’immagine, come l’invenzione della fotografia stereoscopica e il suo effetto 3D. Poi c’è stato il Cubismo. Poi la spazialità dell’oltre la tela di Lucio Fontana. Le immagini pop-up. Le architetture impossibili di M. C. Escher che stimolano una percezione ottica sovradimensionale.

Insomma, il limite dell’immagine è, per qualcuno, l’immagine stessa.

 

Ritratti scomposti

Ivana Galli prende spunto da questo limite delle due dimensioni. Ma andando oltre il sistema fisico delle immagini. Anche perché parte del suo lavoro fa parte dell’ambito del ritratto fotografico. E fare un ritratto non è come realizzare uno still-life, una natura morta, ma implica un rapporto di intesa tra il soggetto da riprendere e il fotografo per poter restituirne l’anima all’osservatore. È un feeling che si instaura con fiducia e stima reciproca la cui abilità del fotografo non deve essere prevalentemente tecnico-estetica, ma innanzitutto psicologica.

I Ritratti Scomposti di Ivana Galli non cavalcano quel cubismo fotografico fatto di collage o manipolazioni digitali in post-produzione o degli affermati “puzzle” di Polaroid di Maurizio Galimberti che comunque mostrano di un soggetto il suo volume in quanto ripreso da più punti di vista. Ivana adotta invece una sua tecnica di ripresa per cogliere una certa intimità.

 

La macchina di Newton, gli specchi di Ivana Galli

A Helmut Newton capitava di lavorare con degli specchi per ritrarre le sue modelle. Gli servivano affinché si riflettessero per sistemarsi al meglio. E talvolta, un po’ come oggi le influencer si fotografano allo specchio, Newton dava alle modelle la possibilità, per mezzo di un lungo scatto flessibile, di selfiarsi. Era, come lessi su una rivista specializzata negli anni ’80, la cosiddetta “Macchina di Newton”. Un modo per far prendere confidenza del set alle più inesperte.

Ivana Galli usa anche lei gli specchi, ma questi sono per lei un po’ il cuore dei suoi ritratti. E sono specchi particolari costruiti da lei stessa con vari riquadri e disposti con diverse inclinazioni. Per alcuni pannelli il patchwork speculare è fissato, altri hanno la possibilità di ruotare o inclinare i vari riquadri a piacimento.

 

Quando al luna park ci troviamo nella stanza degli specchi, c’è sempre quello che preferiamo che non è detto che sia quello preferito da tutti. Quello che allunga, quello che accorcia, quello che ingrassa, c’è poi quello che ci rende il volto come un mostro o quello che ci accorcia solo le gambe ecc. E davanti a quelli ci spostiamo indietreggiando o avvicinandoci. A ognuno il suo. E forse in quei momenti non ci rendiamo conto che sta entrando in gioco la nostra componente emotiva. Riflettendoci ironizziamo sul nostro aspetto in pose buffe o cerchiamo di individuare il riflesso a noi più congeniale. È psicologia. Un modo di scoprirci, inconsapevolmente giocando ma con serietà con noi stessi.

 

Ecco, Ivana Galli con Ritratti Scomposti ricerca quel lato psicologico del soggetto che si presta a questa sorta di performance che non è altro che un ménage à trois dove lei è l’occhio, il pannello di specchi il cuore e il soggetto ripreso, la mente.

La mostra non consiste in una semplice esposizione dei suoi ritratti ma in sedute psico-fotografiche.

In venti minuti il soggetto si pone innanzi allo specchio multiplo, di fianco a Ivana. E inizia una danza mentale. Il soggetto, riflettendosi, osserva le varie possibilità del suo corpo scomposto fino a individuare l’immagine che gli sembra più congeniale al suo stato d’animo. È un momento narcisistico? Un dialogo con se stesso? Un’analisi di ciò che si scopre insolitamente e si ripercuote nell’intimità del modello? Ivana è lì, ascolta con gli occhi dando il tempo alla persona che ha di fianco, di ritrovarsi. Quando la figura riflessa è pronta, il patchwork di specchi diventa protagonista e Ivana la ritrae. Senza essere lei stessa riflessa.

 

È un gioco a tre: soggetto, fotografa, specchio per un ritratto scomposto ma che ricompone quella che potrebbe essere il quarto elemento del gioco. L’anima più intima della persona ritratta. È la spazialità psicologica dei ritratti di Ivana Galli.

 

È bello perdersi in uno specchio e farlo diventare il tuo viaggio. È una strana sensazione quella che accade in queste performance fotografiche: la persona ritratta non è davanti ad un  obiettivo.

Pone se stessa, rivede parti di sé nella scomposizione, si ricerca.

Io sono a fotografare chi guarda se stesso.

 

 

Mostra d’arte contemporanea ILLUMINAZIONI

Organizzata dall'associazione culturale Miti e Mete

Ritratti Scomposti di Ivana Galli

Villa daPorto Barbaran, Montorso (VI)

25-26 settembre; 2-3 ottobre e 9-10 ottobre

Orario: 16.00-20.00

Per concordare una seduta: WhatsApp 329 7286213

 

Partecipando alla performance “Ritratto  scomposto”,avrete  la possibllità  di "mettervi  a nudo" per uno scatto  unico, portarlo a casa stampato  e, soprattutto, scoprire quali parti vi appartengono di più.

07.09.2021 # 5775
Lo stato italiano adesso, ora, il presente. Call per fotografi percettivi di una realtà distorta

Marco Maraviglia //

Darüber Hinaus / inOltre, Pino Dal Gal oltre il suono della percezione

Un evento sinestetico a Verona tra fotografia e suoni per ascoltare forme e colori

Chi è Pino Dal Gal

PinoDal Gal è un simpatico e attivissimo signorotto di 85 anni (classe 1936) con entusiasmo, curiosità e creatività sempre in esercizio. Fotografo professionista di Verona che ha avuto riconoscimenti nazionali fin dal 1958. Agli inizi degli anni ‘60 inizia a lavorare per la Arnoldo Mondadori Editore. Con le sue ricerche fotografiche ha spaziato nella fotografia di costume, reportage e altri ambiti, con una sensibilità protesa verso il rapporto tra uomo e ambiente. Che sia esso urbano o naturale.

I suoi lavori più importanti riguardano aspetti sociali come Mensa Aziendale,e altri racconti fotografici fra cui Wally,Alberi, Cimitero d'auto, arrivando alla cruente storie di denuncia con Chicken Story e La Cava.

Nel 1970 apre a Verona un’Agenzia diPubblicità e Marketing che resta attiva fino al 2008.
Dopo un periodo di pausa si è dedicato esclusivamente alla fotografia creativa ricercando nuovi significati stilistici della fotografia. Produce quindi alcuni “Racconti” che in parte sono stati sintetizzati in occasione di una sua personale: “Il fiume e altri racconti” organizzata dal CRAF di Spilimbergo Nov 2018-febb 2019.


Il mio stile è quello di non avere uno stile perché fotografo tutto ciò che cattura la mia attenzione visivamente ed emotivamente rispettando ciò che mi trasmette il soggetto ripreso.

 

Il Ponte della diga di Chievo

La sua costruzione è iniziata nel 1920 e fu inaugurato nel 1923. Nel 1945 fu danneggiato durante il ritiro dei tedeschi ma nel 1946 fu ristrutturato lasciandogli tutte le caratteristiche originarie. Un’opera di ingegneria che allo stesso tempo funge da percorso ciclo-pedonale congiungendo le due sponde del fiume Adige e da diga per far confluire le acque nell’attiguo canale per alimentare centrali idroelettriche e fabbriche a Sud di Verona.

E così Pino Dal Gal, essendo di Verona e passando spesso davanti a quel ponte, sembra che se ne innamori adottandolo. Fotograficamente. Per due anni ne immortala le forme e i volumi, i dettagli e la sua essenzialità, senza presenza umana, ascoltandone le luci che avvolgono quell’opera e che variano di ora in ora, di stagione in stagione.

È un genere di lavoro che ogni fotografo dovrebbe fare come esperienza creativa senza pensare a chi destinare le foto perché il resto verrà, se c’è un racconto che parte da un dialogo intimo con il territorio: adottare fotograficamente un’opera dell’uomo. Costruttiva o devastante che sia.

 

Le fotografie

Pino Dal Gal è un fotografo che ha assimilato i vari linguaggi della fotografia, che si sono succeduti nel corso di oltre 60 anni, metabolizzandoli e arricchendo il proprio patrimonio stilistico. Significante e significato coesistono senza lasciare sprovveduto l’osservatore.

InOltre è un lavoro che possiede le caratteristiche della fotografia industriale ma con un certo valore aggiunto di creatività determinato da quella passione che spinge a osservare con costante curiosità.

 

Lavoro ininterrottamente perché “l’osservare” mi suggerisce continuamente soggetti e partiture da indagare.

… La fotografia deve avere un significato, trasmettere un’emozione ma anche un turbamento, deve far pensare, cioè deve avere la forza di dialogare con l’osservatore.

 

Senza dare nulla per scontato Dal Gal rispetta l’equilibrio compositivo nelle sue immagini fatto di rapporti geometrici delle forme dei volumi e dei vuoti degli spazi circostanti e interni ai volumi stessi. Immagini talvolta dall’impatto essenzialmente grafico, minimalista, in cui il dialogo tra ombre e luci lasciano ricordare il cubo di Necker: all’occhio dell’osservatore il fronte e il retro, l’interno e l’esterno, sembrano a volte confondersi, interconnettersi tra loro, producendo “suoni visivi”, sinestesie tanto care allo stesso Dal Gal.

Le immagini di Darüber Hinaus / inOltre mostrano comunque la potenza dell’uomo che gestisce la natura senza violenza e che si manifesta con la sua forza dinamica.

 

Ho cercato di trasmettere, una percezione nuova di un manufatto ampiamente conosciuto dai veronesi ma dato per scontato, di non particolare interesse. Il mio lavoro credo serva per osservare e apprezzare la potenza della struttura che trattiene la potenza dell'acqua...la sinergia fra i due elementi.

 

 

L’evento

L’esposizione consiste nella proiezione in loop di un video con circa sessanta fotografie accompagnate da un intervento del sound artist Giacomo Ceschi.

Il catalogo consiste in un folder di 40 pagine, 34 foto e 4 pagine di presentazione in formato 27x24 cm.

 

 

 

Darüber Hinaus / inOltre, un'esperienzasinestetica di Pino Dal Gal

Inaugurazione: 2 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Finissage: 9 Settembre 2021 dalle 19:30 alle 22:30
Indirizzo dell’evento: Vicolo Borgo Tascherio 1, Verona
Contattati: 3397098383 /
veronettalospazio@gmail.com

Sito WEB di Pino Dal Gal: www.pinodalgal.it

In occasione di Grenze 2021 presso Lo Spazio di Veronetta l'Ass. CulturaleDiplomart, a cura di Ginevra Gadioli
co-curatrice Chiara Fogliatti
sound design Giacomo Ceschi
progetto grafico Paolo D'Amato
progetto video Marco Faes, Francesco Adami
collaboratori Noy Jessica Laufer Alessandro Cailotto

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