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25.02.2020 # 5437

Marco Maraviglia //

Bruno D’Angelo e le geomgrafiche: le grafiche geometriche informatiche

La purezza geometrica ottenuta da funzioni matematiche che genera arte grafica. L’informatica che supera alcune regole della grafica attraverso strutture che potrebbero essere il futuro grafico

Bruno D’Angelo nasce nel 1956.

Nel 1980 acquista la sua prima reflex e, da autodidatta, accentra la sua attenzione sulla composizione fotografica acquistando manuali di fotografia specifici.

Nel 1983 inizia la sua carriera di informatico e acquista il suo primo computer.

Nel 1985 si diverte a fare programmi che tracciano linee in base a funzioni matematiche di Lissajous e dintorni.

Bruno D’Angelo ha il suo primo approccio con la grafica nel 1996 sperimentando il Painter quando apparteneva ancora alla Fractal Design.


Negli ultimi anni Bruno D’Angelo ha iniziato a realizzare quelle che lui chiama geomgrafiche: immagini geometriche generate da funzioni matematiche per via informatica.

Se Aristotele fosse ancora vivo, guardando le immagini di Bruno D’Angelo, avrebbe avuto ulteriori conferme sulle sue teorie filosofiche riguardo l’estetica e il concetto di bellezza.

Armonia e ritmo sono regolati dalla matematica, dalla geometria. Se scrivessimo a casaccio le note su un pentagramma, non avremmo musica ma cacofonie. Probabilmente musica sperimentale. Alla John Cage o in avanti. Ma è un genere di bellezza che, se pur potrebbe essere di tipo emozionale, è priva di melodie che non evocano serenità. Perché sono l’ordine, la proporzione, che garantiscono la facile lettura. Un testo mal scritto, senza ritmo, senza “partitura”, con periodi lunghi o senza punteggiatura, non si lascia leggere facilmente.

L’era classica era “governata” dalla geometria: dalle proporzioni auree dei templi alle sculture dove il discobolo è un po’ l’apoteosi armonica data dall’intersezione di linee e curve.


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Serpentina © Buruno D´Angelo


Del resto sono i cardini della grafica con tutti i suoi crismi geometrici, gabbie, colonne, bottelli, stili… che la rendono pulita e più leggibile. Esempi come David Carson sono le eccezioni che confermano la regola.

Le geomgrafiche di Bruno D’Angelo sono come spartiti musicali che vengono “suonati” dall’osservatore.

Si tratta di una forma di arte astratta in cui il fruitore non deve leggere alcun messaggio ma lasciarsi andare alla propria interpretazione completando l’opera.

Sono opere che non dicono ma stimolano. Io ci metto il 50% realizzando lmmagine grafica-matematica. Il fruitore completa al 50% lpera in base al proprio background culturale ed emozionale.


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Triangolo di Tartaglia © Bruno D´Angelo


Potremmo dire che alcune geomgrafiche si avvicinano allo stile dell’Arte Cinetica, al Linearismo, passando per le opere di Franco Grignani o per l’Op Art cinetica di Antonio Barrese e, ancora, per alcune sperimentazioni di Bruno Munari o la ricerca fractale delle opere di Bruno Di Bello. Bruno D’Angelo insomma, realizza astrattismi geometrici che non sono realizzati con lo Spirograph ma con interventi informatici sui software che lui stesso scrive. Partendo da curve geometriche di cui si conosce l’equazione e trasformandole dal geometrico all’estetico.

mpre badando a un certo ritmo visivo.


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Rumore Rosa © Bruno D´Angelo


Bruno D’Angelo scopre durante una mostra, il movimento Astractura. Fondato dallo storico e critico d’arte Rosario Pinto, ne abbraccia i suoi intenti artistico-filosofici. Si sente parte di una famiglia con la quale condividere quel concetto di bellezza astratta ma pura nel suo geometrismo. Riprende quindi la sua ricerca che aveva sospeso perché trova finalmente persone con le quali confrontarsi.

Rettangoli e spirali auree sono il passato. Le funzioni matematiche potrebbero essere il perfetto connubio tra grafica, arte e geometria e chissà se i programmatori di software per la grafica non inizieranno prima o poi ad inserire dei plug-in per simulare nuovi tipi di strutture in cui inserire gli elementi grafici per impaginare un annuncio pubblicitario o un libro. Perché poi, anche se vedrete delle sfumature nelle geomgrafiche di Bruno D’Angelo, anche queste sono frutto di funzioni matematiche che generano curve e linee di 1pixel di diversa tonalità, tutte accostate tra di loro.


INFO:

Le geomgrafiche di Bruno D’Angelo

25.02.2020 # 5436

Marco Maraviglia //

Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla in mostra con “Fuga dal Museo”

Al MANN gli incredibili fotomontaggi che catapultano nella realtà contemporanea di Napoli, personaggi mitologici e dei dell’era classica.

Attenzione, questo è uno scoop! Le statue dei re della facciata del Palazzo Reale di Napoli, hanno abbandonato le loro nicchie per farsi scattare una foto di gruppo da una turista di passaggio nel bel mezzo di Piazza Plebiscito!!! Ma la sorpresa è che non ne troverete otto ma uno in più: Ferdinando IV, quello di Canova, per intenderci.

E se passate per Spaccanapoli, attenzione a non essere investiti da uno scooter con sopra L’Atlante Farnese, la scultura che normalmente dovrebbe stare nella Sala della Meridiana del MANN.

Eh sì, c’è qualcuno che all’inaugurazione della mostra di Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla, non si era reso conto che si trattava di fotomontaggi. Quindi tranquilli: nessuna statua del MANN è stata maltrattata per realizzare questa mostra. È tutta finzione. Le sculture sono sempre rimaste al loro posto e si tratta solo dell’incredibile mondo di Napoli che ci regalano i due fotografi un po’ mattacchioni e con l’intento di offrire una visione popolare delle sculture Farnese. Grazie al loro senso dell’immagnifico e al Photoshop.

È un mondo divertente, anzi, una Napoli divertente quella che ci propongono Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla. Quaranta fotomontaggi in grande formato che rappresentano parte dello spirito partenopeo e delle atmosfere della città. Con ironia, simpatia, dolcezza e romanticismo. È un modo per immaginare, senza dover sognare, cosa farebbero le sculture di Afrodite, Ercole e “amici” se con la macchina del tempo si trovassero catapultate tra vicoli e scorci di Napoli..

Il nostro progetto nasce dalla volontà di dare vita alle statue del MANN, rendendole vere creature che interagiscono con la realtà. Le sculture divengono persone, che si aggirano per le città, desiderose di scoprirne i misteri, le bellezze e le paure.

Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla, Fuga dal Museo
Selfie con Ferdinando IV

Afrodite si fa un selfie, poi stende il bucato e poi, in un’altra foto ancora, si confronta con la ciaciona di Trallallà attaccata su un muro del C.so Vittorio Emanuele. Artemide fa la spesa dal fruttivendolo. Donne dell’era classica che vivono bene inserite nella realtà odierna. Si sentono a casa. Perché, in fondo, italiani e greci “stessa razza stessa gente”. Anche se a distanza di duemila anni.

Afrodite e Agrippina che inciuciano come comari fuori a un basso. Adone e Venere che si baciano alla stazione prima che parte il treno e, sullo sfondo, un manifesto pubblicitario con un bacio contemporaneo.

Effetti panning, mossi in post-produzione, filtro HDR, “trasforma altera”… a Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla, bisogna dare atto che hanno avuto un bel coraggio nel “profanare” la Grande Bellezza del MANN.

Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla
Atlante

Sono statue che vanno in libera uscita interagendo con la realtà contemporanea di Napoli. Sono fotomontaggi realizzati per cercare di avvicinare il pubblico all’arte rendendola popolare, comprensibile e leggibile da tutti.

L’intento è stato quello di stimolare una certa curiosità nel pubblico. Magari, osservando queste immagini, ci sarà chi andrà poi a cercarsele nel museo per vederle da vicino nella loro tridimensionalità. Possono piacere o meno, a noi interessa che comunque non lascino indifferente l’osservatore.

È un modo di usare la fotografia, di quelli che ho già definito “fotografia utile”: avvicinare la gente all’arte attraverso operazioni POPolari. Pop Art, per certi versi, anzi, Pop Art 2.0.

Lo sviluppo di Fuga dal Museo nasce dal successo del precedente lavoro di Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla: Fantasmi a Pompei, in cui le figure dei mosaici e degli affreschi del MANN erano trasposte, sempre grazie al fotomontaggio, negli scavi dell’antica città vesuviana.

Qui vediamo invece i luoghi di Napoli frequentati dai Corridori, Venere Callipigia ecc. sul lungomare mentre aspettano sotto il sole un bus, o nella stazione Toledo della metro, al Petraio, a Castel dell’Ovo, sotto a un ficus dei giardini del Palazzo Reale. Spesso interagendo con la gente di oggi o con qualche cane di un vicolo.

È una mostra, questa di Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla che non si può raccontare perché è da vedere. Con leggerezza. Sorridendo e incuriosendosi.

Fuga dal museo, di Dario Assisi e Riccardo Maria Cipolla

MANN – Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Dal 2 dicembre 2019 al 24 febbraio 2020

25.02.2020 # 5391

Ilas Web Editor //

Antografia 2014-2019. Una bella mostra di Vincenzo Zannini all’ArtGarage

Continua la rassegna fotografica di Pozzuoli a cura di Gianni Biccari con le diciotto “antografie” di Vincenzo Zannini.

Vincenzo Zannini Antografia

Vincenzo Zannini all’inaugurazione, come un bambino felice, si aggirava tra il pubblico munito di penna per concedere autografi come una vecchia star della fotografia. Con quel suo fare ironico anche con se stesso.

Zannini è un assiduo frequentatore di appuntamenti fotografici in città e questo suo presenzialismo, nell’accezione migliore del termine, lo ha aiutato a sviluppare un certo senso critico su quella che è l’offerta fotografica proposta in occasione di mostre e incontri con gli autori.

È probabilmente stata un tipo di formazione che lo ha portato a sviluppare una propria ricerca visiva lontana dagli stereotipi più sfruttati della fotografia.

Uno di quelli che si stacca dal branco per cercare la propria strada. Un Jonathan Livingston della fotografia partenopea che sperimenta nuovi voli senza temere di cadere.

Vincenzo Zannini Antografia

Ho presentato queste immagini senza pretese, come un bambino al suo primo giorno di scuola che vuole sperimentare le informazioni che gli arrivano dalla maestra.

E infatti, le immagini di Vincenzo Zannini possono non sembrare perfette per i puristi maniacali della postproduzione perché quello che conta è il concept, la ricerca, la sperimentazione. Il poter dimostrare che è possibile fare fotografia senza realizzare fotografia in senso lato. Pur restituendo visioni che fanno riflettere.

Riflessioni sulla decadenza urbanistica. Un tema ricorrente nelle immagini di Vincenzo Zannini che rielabora il suo pessimismo di fondo riportando l’attuale nel passato contraendo lo spazio temporale attraverso le sue “antografie”.

Antografia: l’arte di esprimere simbolicamente idee e sentimenti con il colore e la disposizione dei fiori.

Vocab. Garzanti

Le antografie di Vincenzo Zannini sono immagini in bianconero disposte in maniera sovrapposta e che si rapportano con luoghi contemporanei e del passato. C’è il Centro Direzionale, luogo nato da un grande progetto di organizzazione della città ma che non ha mai decollato e ambientazioni archeologiche come l’Anfiteatro Flavio. Perché certa architettura contemporanea e i resti del passato sono spesso senza una progettualità di mantenimento.

Antografie che esprimono quel sentimento sarcastico del pessimismo dell’autore, facendo combaciare le prospettive dei differenti luoghi come in immagini stereoscopiche ma monoculari.

Vincenzo Zannini Antografia

Probabilmente è anche una sorta di inconscia deformazione professionale che aiuta Vincenzo Zannini nella sua ricerca visto che, dopo il diploma di ottico, ha conseguito studi di oftalmologia per la diagnosi dei strabismi dei bambini.

 

Vincenzo Zannini, classe 1968, è affascinato dallo stile di Gabriele Basilico e Mimmo Jodice, ma persegue un proprio stile sempre con quel suo spirito “da bambino” curioso che vuole individuare cosa può restituirgli la fotografia attraverso una sua costante ricerca e sperimentazione. Utilizzando contrasti forti con neri intensi e luci “sparate”.

Alcune sue immagini possono ricordare quelle di Gennady Blohin o comunque un certo genere di surrealismo contemporaneo sfruttando la tecnica del sandwich che ha le sue prime origini con Henry Peach Robinson fino al più moderno Art Kane.

Tutte immagini prese tra il 2014 e il 2019, una piccola antologia fotografica. Un’Anto-grafia.

Il MADRE sul MADRE, la facciata dell’ufficio postale di p.zza Matteotti con un’auto velata dei Quartieri Spagnoli, guaine per cavi elettrici ripresi a Castel S.Elmo che si immettono nei balconi di un palazzo di via Dei Mille, la città che viene inghiottita come in una cascata di palazzi nel “canale” di Spaccanapoli… il tutto senza presenza umana.

Anzi, solo in un’immagine compare un uomo e il suo doppio: un osservatore. Qualcuno che osserva qualcosa di indefinibile, curvo in avanti. <>. Quasi un monito a chi si lascia trascinare dall’eccesso di osservazione, all’infinito, senza osare al fine di arginare certa decadenza della città.

Antografia 2014-2019 | Una mostra di Vincenzo Zannini

Rassegna fotografica fotoart in Garage a cura di Gianni Biccari

Dal 18 al 31gennaio

ArtGarage

P.co Bognar 21 – Pozzuoli (NA)

Orari: 10.00-16.00 escluso domenica

Ingresso libero

07.02.2019 # 5184

Federica Cerami //

A Napoli “Francesca Woodman. Fotografie dalla collezione di Carla Sozzani”

Non c’è limite al buco nero nel quale è possibile cadere dentro l’atto fotografico


LA MOSTRA

Nella mostra  sono presenti una selezione di quindici opere tra le quali: una (Untitled, 1980, Diazotype print, 360,5×97 cm), esposta per la prima volta a Napoli, un cammeo sulla ricerca estetica della fotografa statunitense Francesca Woodman che si focalizza nel rapporto fra corpo e spazio e tre video realizzati dall’artista fra il 1975 e il 1978 accompagnano le fotografie

“Io vorrei che le mie fotografie potessero ricondensare l’esperienza in piccole immagini complete, nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.” (Francesca Woodman)

BIOGRAFIA

La breve vita della fotografa Francesca Woodman, si è interrotta a soli ventitré anni, riuscendo a fermare nei suoi struggenti scatti delle immagini che le hanno dato l’immortalità.

Francesca Woodman nasce a Denver il 3 aprile 1958, da una coppia di artisti che sin dall’infanzia le fa respirare i sapori, i colori, le sensazioni e le emozioni dell’arte.

A tredici anni riceve in regalo la prima macchina fotografica e da lì prende avvio la sua carriera artistica.

Dedica la sua giovane vita agli studi d’arte e al suo lavoro di esplorazione fotografica.

Il 19 gennaio del 1981 si suicida buttandosi da un palazzo di New York, nello stesso mese è pubblicata la sua prima raccolta di fotografie dal titolo Some Disordered Interior Geometries – Alcune disordinate geometri interiori.  

Nelle sue fotografie predilige nudi femminili ritratti in bianco e nero, tipico del suo stile è l’indugiare su ciò che la circonda sino a diventare tutt’uno con l’ambiente grazie a effetti sfocati ottenuti con lunghi tempi di esposizione

Le immagini di Francesca Woodman appaiono come emblematiche denunce di quel male di vivere che ha attraversato tutto il Novecento, la scelta di un mondo altro, diverso dal mondo reale, con la scelta di quell’unica alternativa possibile per uscire dalla prigionia che la vita impone. Figure sole, decontestualizzate, appaiono avvicinate tra loro apparentemente senza un preciso significato, ma è proprio questo corto circuito semantico che conduce all’armonia.



CONSIDERAZIONI A MARGINE

Un occhio veloce e poco incline all’idea di perdersi dentro le immagini, con difficoltà riesce a trovare nel lavoro della Woodman un filo al quale aggrapparsi per arrivare a percepire il punto della sua riflessione. Per amare la Woodman bisogna lasciarsi andare dentro ogni sua immagine, per poi, magari, ritrovare frammenti di sé persi nel tempo della propria memoria.

Non c’è limite al buco nero nel quale è possibile cadere dentro l’atto fotografico: ogni visione rivolta verso l’esterno è, per la Woodman, il momentaneo punto di arrivo di un dolore silente che non si ferma mai.

Fotografare se stessi può essere un gesto rassicurante quando si riesce a rintracciare anche una vaga idea della propria presenza ma, al tempo stesso, può generare una sofferenza senza fine, quando tutti i propri ritratti, messi assieme, non compongono quel grande mosaico al quale pensavamo di essere destinati.

Dentro le tracce di questa eterea presenza nel mondo della Woodman è facile trovare le anticipazioni di quello che sarà poi il meraviglioso lavoro di autoritratto terapeutico realizzato dagli anni 90 in poi dalla fotografa Spagnola Cristina Nunez.

La Woodman, pur aprendo le porte a una incredibile idea di ricerca di se, non è riuscita a salvarsi dentro queste sue visioni all’apparenza molto delicate e, prematuramente, decise di tirarsi fuori da tutti quei piccoli quadrati di vita che non le restituivano la sua dignità di donna.

Gli orari della mostra: Da venerdì 11 gennaio al 10 marzo 2019, apertura al pubblico mar-ven 10.30-13/16-20, sab.10.30-13. Ingresso libero. Brochure della mostra in galleria, Paparo Edizioni.


29.01.2013 # 2900
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