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In questi giorni ha il corriere della sera ha ritenuto una notizia il fatto che Valeria Fedeli si sia rivolta a un giornalista chiedendogli di chiamarla ministra.
In Italia questa “piccola” battaglia epocale, sull’utilizzo del genere femminile per le professioni e i ruoli laddove la grammatica lo preveda, trova molti critici, molte resistenze, ma il fatto che sia entrata ufficialmente nell’agenda dei media indica che qualche passo in direzione di un linguaggio meno maschilista si sta facendo.
Non si tratta di un tema soltanto italiano però, sono in tanti a prendere la questione delle pari opportunità molto sul serio, basti pensare che in Islanda è stata di recente approvata una legge per la quale le aziende locali devono farsi carico di dimostrare che donne e uomini ricevono lo stesso trattamento salariale.
È un grande passo avanti se si considera che fonti ufficiali attestano che la parità salariale al momento non è stata raggiunta in nessun paese al mondo.
La giornata internazionale della donna, l’8 marzo, è stata l’occasione per molte associazioni di affrontare questi temi.
State Street Global Advisors ha voluto celebrare la leadership femminile, raccontando che le aziende in cui le donne fanno parte dei consigli di amministrazione e ricoprono ruoli di comando, sono aziende più floride, con migliori prestazioni. Non si tratta di un ente benefico, ma di una società che si occupa di management e investimenti, che per l’occasione si è rivolta a McCann per realizzare un progetto di grande impatto emotivo.
Fearless girl è la statua di una ragazza che senza paura sfida il toro di Wallstreet: un luogo simbolo del potere maschile contaminato da un altro simbolo, una forza giovane e consapevole.
È un messaggio che colpisce perché non c’è minaccia in questa sfida, ma c’è un confronto paritario. Certo, è Davide contro Golia, ma non potrebbe essere altrimenti se si considera qual è l’influenza reale delle donne nel mondo della finanza. È un racconto, una storia racchiusa nello sguardo fiero di una ragazzina che sta dritta davanti a un toro e non indietreggia.
Advertising Agency: McCann, New York, USA
Ogni anno vengono buttate in mare circa 8 milioni di tonnellate di immondizia, in buona parte plastica, che potrebbero coprire una superficie equivalente alla superficie di Manhattan 34 volte.
Come sempre, affrontare questi temi in pubblicità è complicato. Tanto per cominciare, si rischia di raggiungere soltanto chi è già sensibile al problema. In secondo luogo, modificare un atteggiamento è quasi impossibile; o meglio, è impossibile per una pubblicità da sola, ma quando alcuni diventano (anche grazie alle pubblicità) argomenti caldi, di cui si parla tanto, allora si compiono passi decisivi.
Quindi uno dei punti importanti è: portare alla ribalta della cronaca argomenti importanti per fare in modo che entrino “in agenda”.
E qui interviene il terzo punto di grande difficoltà: qual è il tono di voce giusto?
Non mi stancherò mai di dire che la colpevolizzazione non è una strada efficace: siamo diventati bravissimi a proteggerci dalla pubblicità, al punto che riusciamo a diventare ciechi davanti ai messaggi che non ci interessano. Figuriamoci quanta attenzione siamo disposti a concedere a chi cerca di farci sentire egoisti.
Quindi ci vuole un approccio che incuriosisca, possibilmente ironico, e un’idea che faccia parlare del tema.
Don't F*ck the Ocean è tutto questo.
Una campagna sociale intelligente di MTV Brasile con un concept piuttosto semplice: riciclare plastica recuperata dall’oceano per farne dei dildo, anzi, dei fucking dildos!
Advertising Agency: Africa, Brazil
Creative Directors: Pedro Bullos, Valdir Bianchi, Sergio Gordilho
Copywriter: Tiago Abreu
Art Director: Linus Oura
Designers: Linus Oura, Marina Cota, Michel Morem
Un’associazione francese si affida al Monopoli per costruire uno uno spot sulle disuguaglianze
È un fatto che i bambini abbiamo molti meno filtri degli adulti quando si confrontano con la realtà
Antipatie e simpatie in genere sono motivate da comportamenti, piccoli egoismi e comunque mai da preconcetti di tipo culturale. Almeno fino a una certa età.
Observatoire des Inegalities, Osservatorio delle disuguaglianze, è un’associazione francese che ha promosso uno spot molto interessante.
Cosa accade quando le regole del gioco non sono uguali per tutti?
Se alcuni giocatori vengono sistematicamente sfavoriti, perché di colore, arabi, donne mentre altri ottengono benefits come la possibilità di guadagnare di più, di non essere mai penalizzati, di scegliere liberamente come giocare, come si sentono i bambini?
Questo Monopoli truccato è un caso esemplare di come l’assenza di pari opportunità, (di cui in molti si riempiono la bocca senza davvero sapere quale sia lo stato della cose), si traduca in profonde ingiustizie e dunque in un senso di rabbia, frustrazione, emarginazione.
Insomma, una società ingiusta è una società che soffoca le opportunità dei suoi “anelli deboli”.
Un tema di grande attualità, che l’agenzia Herezie ha saputo trattare con tatto ed efficacia in questo spot sulle disuguaglianze.
La realtà virtuale fa parte ogni giorno di più delle nostre vite, tanto che nemmeno facciamo più caso al fatto che il nome stesso sia una contraddizione in termini: tra reale e virtuale.
Come sempre, non c’è nulla del nostro quotidiano che non entri a far parte delle tante forme di rappresentazione che popolano la nostra vita, e la pubblicità è senza dubbio una tra le più ricettive.
Va da sé che anche la realtà virtuale ha fatto il suo ingresso nei commercial e, come sempre accade, a volte è stata usata con grande intelligenza, in altri casi è stata uno sfoggio di potenza che compensava la scarsa creatività.
Un esempio di utilizzo molto intelligente è quello fatto da Sodimac, equivalente peruviano di Leroy Merlin, che insieme a McCann ci abitua da anni a campagne divertenti, creative e mai banali.
Questa volta siamo sulla Panamerican Highway, frequentatissima autostrada che collega le zone interne del Perù con la costa, la strada più affollata di cartelloni pubblicitari di tutto il paese.
L’idea è quella di utilizzare i visori non tanto, e non solo, per mostrare i prodotti Sodimac, ma soprattutto per eliminare ogni altro competitor nella gara per catturare l’attenzione.
Advertising Agency: McCann, Lima, Peru
Creative Directors: Jomi Rivera, Pipo Galván
The North Face, con l’agenzia INNORED, gioca tra virtuale e reale per coinvolgere gli ignari acquirenti di un centro commerciale di Seoul in una corsa su slitta stile polo nord.
Advertising Agency: INNORED, Seoul, South Korea
Il passaggio dalla virtualità alla realtà è anche il concept di questo commercial per Old Irish, birra irlandese venduta a Tblisi: 100% Real Virtual Reality gioca sul fatto che un’esperienza diretta, quando si tratta assaggiare qualcosa ma anche quando si tratta di relazioni con altre persone, non ha eguali.
Advertising Agency: Leavingstone, Tbilisi, Georgia
Creative Director: Levan Lepsveridze
Samsung ha invece creato una campagna che poi è diventata un progetto: Launching people è nata nel 2013 e ancora oggi prosegue con la mission di liberare il potenziale delle persone (attraverso prodotti Samsung ovviamente).
Questi due commercial mostrano come la realtà virtuale sia stata usata per aiutare chi aveva paura di parlare in pubblico e per spiegare come comportarsi se si è in difficoltà in acqua per le onde troppo grandi.
Advertising Agency: Cheil Worldwide, South Korea
Advertising Agency: Leo Burnett, Sydney, Australia
Quando ho iniziato a occuparmi di pubblicità non era semplice trovare spot da guardare e studiare, i migliori venivano raccolti in costosissimi dvd (sì, costosissimi, avete capito bene: li dovevi pagare) e gli eventi per eccellenza erano due: il Festival di Cannes (quello della pubblicità) e il Super Bowl, in assoluto lo spazio pubblicitario più pagato.
Cos’è il Super Bowl
Si tratta della finale campionato di football americano. Ma non è una semplice partita, anzi: è uno show a tutti gli effetti. Impossibile calcolare il numero degli spettatori di un evento trasmesso da oltre venti canali televisivi in tutto il mondo, per non parlare del web.
L’halftime show, quello tra il primo e il secondo tempo, quest’anno ha visto protagonista assoluta Lady Gaga (che l’hanno scorso aveva cantato l’inno nazionale), con l’esibizione più twittata di sempre – battendo quelle di Madonna e Katy Perry.
E come ormai accade da qualche anno, sul sito Pepsi è stato possibile seguire le prove e i preparativi.
Per la cronaca, il Super Bowl di quest’anno si è svolto il 5 febbraio, i New England Patriots hanno battutto gli Atlanta Falcons e vinto il loro quinto titolo.
Gli spot del Super Bowl
Anche quest’anno ho atteso con curiosità di vedere quali spot erano stati mandati in onda, aspettandomi il meglio del meglio… e rimanendo piuttosto delusa.
Poca creatività e tanta tanta banalità.
Su trenta commercial, forse una decina sembrano meno noiosi e appena un paio spiccano per spessore.
Il dato che mi ha colpito è che, in un momento di spaccatura degli U.S.A., i temi di grande attualità come l’immigrazione e il ruolo delle donne nella società, siano stati protagonisti anche in pubblicità.
Audi
Audi ha scelto la questione della parità di genere, con un toccante film in un papà si domanda che mondo dovrà raccontare alla sua bambina: se uno in cui gli uomini valgono più delle donne, o uno in cui le cose possono cambiare. Nel frattempo Audi ci annuncia che i suoi stipendi sono gli stessi per tutti i dipendenti. Sembrerà scontato, non lo è affatto.
Advertising Agency: Venables Bell and Partners, San Francisco, USA
Creative Director: Justin Moore
Associate Creative Director: Allison Hayes
Copywriters: Mike Mcguire, Kathy Hepinstall
Director: Aoife Mcardle
84 Lumber
84 Lumber si affida all’agenzia Brunner per un cortometraggio che racconta il viaggio di una madre messicana, che parte per portare la figlia negli Stati Uniti, bello e toccante e senza finale: per sapere come va a finire bisogna andare sul sito dell’azienda, ed è quasi impossibile resistere alla tentazione (io non ce l’ho fatta!).
Advertising Agency: Brunner, Pittsburgh, USA
Creative Director: Dave Vissat
Director: Cole Webley
Budweiser
Il tema dei migranti, a sorpresa, è anche nella campagna di Budweiser, americana che più americana non si può e pure, scoprima oggi, fondata da un tedesco emigrato.
Advertising Agency: Anomaly, New York, USA
Director: Chris Sargent
Coca Cola
Un’altra icona americana si schiera contro le recenti politiche di Trump, con il suo “its Beautiful” che altro non è che una versione speciale del famosissimo inno patriottico America The Beautiful: le parole sono cantate da immigranti, ciascuno nella sua lingua. Chiude l’hashtag #AmericaIsBeautiful.
Advertising Agency: Wieden + Kennedy, USA
La Paris Dakar era un mito prima ancora che un rally: partiva dalla capitale francese e arrivava in quella senegalese, attraversando paesi europei e africani e il deserto del Sahara, lasciando sul percorso feriti e non poche vittime, senza mai perdere quel fascino della sfida senza tempo.
Un mito che si è trasformato negli anni, diventando il Rally Dakar e spostando il percorso in Sud America dopo che nel 2008 la corsa era stata sospesa per un rilevante rischio attentati.
Dal 2 al 14 gennaio si è corsa la competizione del 2007 e per l’occasione Renault ha lanciato #MyDakar, una multisoggetto bella e di grande impatto: 4 spot, 4 donne che raccontano quale sia la loro Dakar, la loro sfida, la corsa della vita. E sono tutti progetti che hanno in comune la speranza, la forza dell’ideale da cui partono e un impatto significativo e rilevante nella vita di altre persone.
Vida Corrida è il progetto di Naide a San Paolo, per coinvolgere ragazzi e bambini in contesti a rischio attraverso lo sport e la sua Dakar è portare lo sport nei quartieri degradati;
Fundaciòn Zorba, in Argentina, è progetto di Isabel per interrompere le corse clandestine, con il loro giro di scommesse e tutto ciò che comportano per gli animali. Non è un problema loro spiega, è un problema umano e si chiama violenza e la sua Dakar è interrompere gli abusi sugli animali;
Ana Marìa vive a Medellin in Colombia, la città di Escobar, famosa nel mondo per la droga, che nel 2012 è stata eletta la città più innovativa del mondo: Ecobikes è un progetto per produrre energia grazie all’attività fisica, particolarmente grazie alle biciclette ed è un progetto che ha trovato il maggiore ostacolo nella resistenza al cambiamento, la sua Dakar è portare ovunque energia pulita e libera;
Aida è messicana, Huerto Romita è un progetto di orti biologici collettivi iniziato per sfida e cresciuto in modo impressionante costruendo una comunità di persone che altrimenti non si sarebbero mai incontrate e che invece si scambiano cibo, coltivato con attenzione e amore, la sua Dakar è riempire la città di orti biologici.
La scelta di queste quattro storie è vincente e molto interessante: la forza delle idee e della passione di queste donne è coinvolgente, sono senza dubbio un’ispirazione, anche solo per il loro approccio, per la determinazione con cui raccontano il proprio progetto. Il collegamento con la sfida è immediato e molto forte: arriverò fino in fondo, non importa quali ostacoli incontrerò.
Ma è molto interessante anche il fatto che si tratti donne, non una scelta scontata visto che parliamo di un rally, e che fa venire in mente un tentativo di coinvolgere un pubblico più ampio anche cambiando la narrazione: la sfida è nella vita di chiunque decida di coglierla. E questo è l’altro elemento molto valido di questa pubblicità: suggerisce che ognuno di noi ha un #MyDakar e mentre ascoltiamo queste donne qualcosa nella nostra testa corre già alla vita che viviamo, ai nostri obiettivi ed ecco qua: ci ha presi coinvolti e ha portato a casa il risultato.
Advertising Agency: Publicis, Buenos Aires, Argentina
Creative Directors: Paula Kozub, Ignacio Jardon
Art Director: Javier Agena Goya
Copywriter: Mauro Ribot
In principio fu Pirelli, dodici scatti, donne bellissime, un grande fotografo e l’edizione limitata: gli ingredienti di The Cal erano pochi e semplici, ma fecero grande un progetto che è entrato nel mito. Dopodiché in molti hanno scelto la strada del calendario “di lusso” e tra quelli che hanno fatto strada e successo i nomi che spiccano sono italiani: Lavazza e Campari per citarne solo due.
Proprio Campari ha saputo andare oltre, annunciando il 24 gennaio la sua Ri(e)voluzione con il progetto Red Diaries: dodici storie, ognuna legata a un bartender e a un cocktail. Il progetto è stato ideato da JWT Milano, che ha affidato al giovano e promettente regista italiano Ivan Olita la regia di questi cortometraggi rilasciati sul sito Campari e sul canale Youtube. “Ogni cocktail racconta una storia” promette l’azienda, e queste storie sono raccontate bene, con fascino e stile.
Il clou di questa campagna però è un altro: Killer in red è il titolo del cortometraggio girato dal premio Oscar Paolo Sorrentino, che racconta la storia di un bartender negli anni ’80, con il dono di capire la personalità dei suoi clienti e dare loro il giusto cocktail, finché arriva un bionda fasciata in un abito rosso e il fantastico Clive Owen, protagonista della storia, le porge un Killer in red, cocktail che scopriremo profetico.
L’atmosfera noir, le tantissime citazioni – una per tutte il cadavere in piscina di Viale del tramonto – lo stile di Sorrentino e il fascino inossidabile del protagonista finiscono per offuscare la bellezza di Caroline Tillette, attrice franco-svizzera semi sconosciuta e baciata dalla fortuna di essere scelta per questo piccolo film.
Per capire la qualità del progetto basterebbe dire che degli oltre 13 minuti di durata, solo 11 sono di narrazione, tutto il resto va via per i titoli di coda, dandoci la percezione di come questo sia in realtà un film in miniatura.
Personalmente ho molto apprezzato il fatto che, benché ci fossero tutti i richiami possibili al cinema americano degli anni ’50, sia stato scelto un regista italiano premio Oscar: un modo importante di sottolineare che Campari è sì un’azienda internazionale, ma che resta profondamente italiana, e proprio per questo innovativa, elegante e fascinosissima.
Ma il calendario? Dopo anni trascorsi in compagnia delle nuove dive non avranno mica lasciato orfani gli aficionados di questo oggetto ormai inutile ma pieno di glamour?
No, non lo hanno fatto: Ale Burset, talentuoso fotografo argentino, ha ritratto i dodici bartender autori dei cocktail e protagonisti dei Red Diaries; anche questa volta – unica tradizione che l’azienda ha rispettato – sono state stampate 9999 copie che verranno regalate. Niente più dive patinate insomma, ma un progetto moderno e integrato.
Chapeau