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10.04.2017 # 4821
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Blog! di Daria La Ragione

In questi giorni ha il corriere della sera ha ritenuto una notizia il fatto che Valeria Fedeli si sia rivolta a un giornalista chiedendogli di chiamarla ministra.

 



In Italia questa “piccola” battaglia epocale, sull’utilizzo del genere femminile per le professioni e i ruoli laddove la grammatica lo preveda, trova molti critici, molte resistenze, ma il fatto che sia entrata ufficialmente nell’agenda dei media indica che qualche passo in direzione di un linguaggio meno maschilista si sta facendo.

Non si tratta di un tema soltanto italiano però, sono in tanti a prendere la questione delle pari opportunità molto sul serio, basti pensare che in Islanda è stata di recente approvata una legge per la quale le aziende locali devono farsi carico di dimostrare che donne e uomini ricevono lo stesso trattamento salariale. 

È un grande passo avanti se si considera che fonti ufficiali attestano che la parità salariale al momento non è stata raggiunta in nessun paese al mondo.

La giornata internazionale della donna, l’8 marzo, è stata l’occasione per molte associazioni di affrontare questi temi.

State Street Global Advisors ha voluto celebrare la leadership femminile, raccontando che le aziende in cui le donne fanno parte dei consigli di amministrazione e ricoprono ruoli di comando, sono aziende più floride, con migliori prestazioni. Non si tratta di un ente benefico, ma di una società che si occupa di management e investimenti, che per l’occasione si è rivolta a McCann per realizzare un progetto di grande impatto emotivo.

Fearless girl è la statua di una ragazza che senza paura sfida il toro di Wallstreet: un luogo simbolo del potere maschile contaminato da un altro simbolo, una forza giovane e consapevole.

È un messaggio che colpisce perché non c’è minaccia in questa sfida, ma c’è un confronto paritario. Certo, è Davide contro Golia, ma non potrebbe essere altrimenti se si considera qual è l’influenza reale delle donne nel mondo della finanza. È un racconto, una storia racchiusa nello sguardo fiero di una ragazzina che sta dritta davanti a un toro e non indietreggia.


Advertising Agency: McCann, New York, USA

 


27.03.2017 # 4804
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

Realtà virtuale e pubblicità

Blog! di Daria La Ragione

La realtà virtuale fa parte ogni giorno di più delle nostre vite, tanto che nemmeno facciamo più caso al fatto che il nome stesso sia una contraddizione in termini: tra reale e virtuale.

Come sempre, non c’è nulla del nostro quotidiano che non entri a far parte delle tante forme di rappresentazione che popolano la nostra vita, e la pubblicità è senza dubbio una tra le più ricettive.

Va da sé che anche la realtà virtuale ha fatto il suo ingresso nei commercial e, come sempre accade, a volte è stata usata con grande intelligenza, in altri casi è stata uno sfoggio di potenza che compensava la scarsa creatività.


Un esempio di utilizzo molto intelligente è quello fatto da Sodimac, equivalente peruviano di Leroy Merlin, che insieme a McCann ci abitua da anni a campagne divertenti, creative e mai banali.

Questa volta siamo sulla Panamerican Highway, frequentatissima autostrada che collega le zone interne del Perù con la costa, la strada più affollata di cartelloni pubblicitari di tutto il paese.

L’idea è quella di utilizzare i visori non tanto, e non solo, per mostrare i prodotti Sodimac, ma soprattutto per eliminare ogni altro competitor  nella gara per catturare l’attenzione.

Advertising Agency: McCann, Lima, Peru

Creative Directors: Jomi Rivera, Pipo Galván

 



The North Face, con l’agenzia INNORED, gioca tra virtuale e reale per coinvolgere gli ignari acquirenti di un centro commerciale di Seoul in una corsa su slitta stile polo nord.

Advertising Agency: INNORED, Seoul, South Korea

 




Il passaggio dalla virtualità alla realtà è anche il concept di questo commercial per Old Irish, birra irlandese venduta a Tblisi: 100% Real Virtual Reality  gioca sul fatto che un’esperienza diretta, quando si tratta assaggiare qualcosa ma anche quando si tratta di relazioni con altre persone, non ha eguali.

Advertising Agency: Leavingstone, Tbilisi, Georgia

Creative Director: Levan Lepsveridze

 



Samsung ha invece creato una campagna che poi è diventata un progetto: Launching people è nata nel 2013 e ancora oggi prosegue con la mission di liberare il potenziale delle persone (attraverso prodotti Samsung ovviamente).

Questi due commercial mostrano come la realtà virtuale sia stata usata per aiutare chi aveva paura di parlare in pubblico e per spiegare come comportarsi se si è in difficoltà in acqua per le onde troppo grandi.


Advertising Agency: Cheil Worldwide, South Korea

 



Advertising Agency: Leo Burnett, Sydney, Australia

 

13.03.2017 # 4799
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

Mario Piazza, la grafica e la storia del Made in Italy

Blog! di Daria La Ragione

Nel 1874 un tedesco geniale, Friedrich Nietzsche, pubblicava la seconda delle sue Considerazioni inattuali, dal titolo “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” in cui mostrava come il rapporto dell’uomo con il proprio passato fosse qualcosa di estremamente complesso e tutt’altro che pacifico.
Ho ripensato a questo testo leggendo un articolo molto interessante sulla rivista dell’AIS/Design, Associazione italiana degli storici del design, scritto da Mario Piazza – 46xy è la sua agenzia – che è uno di quei nomi sconosciuti a giovani grafici e art director, e che invece è nel dna della grafica italiana.
Basti dire che questo signore è stato creative director di Domus dal 2004 al 2007, un cult della nostra editoria, ed è art director di Abitare.
A dare uno sguardo al suo curriculum, dal Politecnico di Milano, presso cui insegna Comunicazione visiva, al dipartimento Indaco della Facoltà del Design di Milano, dove è ricercatore, senza contare il lungo elenco di riviste di cui è collaboratore, si capisce perché lui sia autore di un articolo che racconta come la grafica abbia dato un contributo essenziale al nascita e all’affermazione del made in italy.

«Il prodotto italiano era il sinonimo di stile, di originalità ed eleganza inventiva. Era una sorpresa. E lo stile è in primo luogo una nozione distintiva, una capacità di relazionarsi, un atteggiamento comunicativo del prodotto e dell’oggetto. I prodotti del design italiano erano i primi interpreti di questa funzione comunicativa».*



L’articolo, dal titolo La grafica per il ‘made in italy’, che sarebbe più giusto definire un monografia e che potete leggere qui è una sorta di piccolo libro che bisognerebbe consigliare ai giovani grafici – e probabilmente non soltanto loro – di leggere con attenzione, anzi, con una matita a portata di mano per prendere nota di nomi illustrissimi di grandi professionisti del design e della grafica italiana,
a cominciare proprio da quello di Mario Piazza, che tra l’altro è stato a lungo presidente dell’AIAP.
Un articolo che racconta, storia dopo storia, marchio dopo marchio, quale enorme influenza reciproca la grafica, la pubblicità e il design abbiano esercitato gli uni sugli altri.

«Allora il disegno industriale è stato veicolato attraverso i valori simbolici della propria immagine. Immagine che è stata scritta in primo luogo dai grafici.»*

E torno a Nietzsche: a cosa serve la storia? Che utilità può avere il vasto mondo di internet a disposizione, che racchiude e cataloga tutto lo scibile, tutto il trascorso, tutta la vita se non sappiamo cosa farne?
A farci da zavorra senza dubbio, a soffocarci, ma non è questa la sola possibilità di relazionarci al passato:
leggere nomi con quelli di Steiner, Provinciali, Ricci e poi partire per una viaggio alla scoperta dei loro lavori, con passione, con curiosità, è un’occasione di crescita a disposizione di chiunque sia animato dalla scintilla della curiosità, il solo vero requisito indispensabile a chi voglia occuparsi di creatività.
 
*La grafica per il ‘made in Italy’

13.03.2017 # 4798
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

Elio Carmi e Alessandro Ubertis: il branding design oriented

Blog! di Daria La Ragione

Era il 2009 quando Fausto Lupetti pubblicava per la prima volta Brand – una visione design oriented.
In questo testo, scritto in collaborazione con Elena Wegher, Elio Carmi metteva nero su bianco il modello di branding testato e utilizzato dall’agenzia Carmi&Ubertis, un’eccellenza nel panorama italiano.
Il loro approccio strategico, noto anche come design thinking, utilizza la parola design come sinonimo di progetto: qualunque attività di branding, nell’ottica di Carmi, è un’attività progettuale che deve coniugare razionalità e creatività, analizzare profondamente il passato della marca (se ne ha uno) e il suo contesto, per capire quali cambiamenti sono in atto.
«La Brand deve tenere dunque conto dell’importanza del rapporto tra i propri valori fondativi e la sua capacità di adattarsi alle trasformazioni del contesto esterno.»*

Non è un modello semplicissimo da spiegare, ma forse questa immagine aiuta a comprendere come sia basato sull’idea che il processo sia insieme centrifugo (dalla design strategy si irradia il concept che viene declinato in tutti gli aspetti) e centripeto
(per comprendere appieno la strategia è necessario partire dall’analisi dei suoi dispositivi per risalire al concept).
Rispetto al testo del 2009 il modello ceu ha avuto un update e oggi esiste il modello di branding ceu | 06, le principali novità e una prima spiegazione del metodo possono essere lette in questo documento rilasciato dall’agenzia.
In questi anni Elio Carmi e Alessandro Ubertis hanno avuto modo di testare e perfezionare il loro metodo, lavorando a progetti di primissimo piano, come la brand governance di Expo 2015, un lavoro che si è concretizzato nella definizione delle linee guida per l’utilizzo del marchio da parte di oltre 140 paesi. Un lavoro importante è stato fatto anche per il Padiglione Italia, nella stessa occasione: a partire dal concept Vivaio Italia, ideato dal direttore artistico Marco Balich, Carmi&Ubertis hanno progettato l’identità visiva del padiglione ospitante.



Tra i loro clienti Dainese, Generali, Novartis, Altroconsumo, Sisal, per citare soltanto i più famosi.
In questo video Carmi e Ubertis raccontano cosa pensano del proprio lavoro, cosa si aspettano per il futuro e come amano lavorare.
 
 
*Il modello di branding ceu | 06

06.03.2017 # 4797
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

Roberto Grandi e Bologna: la competenza incontra la creatività

Blog! di Daria La Ragione

Ormai siamo abituati a leggere ci concorsi banditi da comuni e città che sono alla ricerca di un city branding: un marchio che possa identificare e insieme raccontare la specificità di un luogo.
Ce ne sono così tanti che nasce legittimo un sospetto: e cioè che persone di scarsa competenza tentino di aggirare l’ostacolo chiamando a raccolta grafici e designer, con l’auspicio che possano colmare il vuoto di competenze in materia di comunicazione che tristemente affligge buona parte delle nostre istituzioni.
Il dubbio si fa quasi certezza quando queste esperienze sono messe a confronto con il luminoso esempio rappresentato dal City Branding della città di Bologna, del quale mi piacerebbe molto dire che ha fatto scuola, ma sarebbe una bugia dal momento che rimane un’oasi nel deserto.
Le differenze che saltano agli occhi sono moltissime, ma ce n’è una che proprio brilla: pure essendo nato a seguito di un concorso, il brand è Bologna è figlio di un processo lungo e accurato, ma soprattutto figlio di persone competenti e attente.

Spicca su tutte la figura di Roberto Grandi, ordinario di Sociologia dei processi comunicativi dell’Università di Bologna, autore di testi sulla comunicazione pubblica e – udite udite – responsabile scientifico del progetto Bologna City Branding.
Insomma, per una volta si è pensato di acquisirle, queste benedette competenze, prima di chiedere ai grafici di metterci mano.
E la differenza è manifesta: prima di bandire il concorso è stata svolta un’attività di ricerca per chiarire quale fosse la percezione della città, e sono state svolte tre indagini:
– un questionario somministrato prevalentemente a stranieri che hanno soggiornato nella città per periodi più o meno lunghi;
– un’analisi sul web per capire a quali parole veniva associata la parola Bologna;
– un focus con i cittadini per capire l’immagine desiderata della città.

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In un’intervista rilasciata a Smart City Exhibition – che potete leggere qui  – Roberto Grandi ha spiegato:

«il branding oggi non è un problema di marketing classico ma di storytelling, ossia attiene a come si racconta la storia di un brand, quali sono le figure, i colori, le sensazioni per raccontarlo. Dall’analisi delle tre ricerche abbiamo tratto alcune conclusioni su quello che è il cuore dell’identità della città. (…)L’immagine di una città che è considerata un piccolo gioiello nascosto perché non ha mai investito nella propria promozione: ci si capita per caso, di passaggio e per questo il turista non ha aspettative. È un città in cui le persone dicono di non sentirsi trattate da turisti, ma subito da cittadini. Una città accogliente, dove puoi camminare senza avere una meta e perderti. Se dobbiamo pensare all’identità di questa città mettendo insieme le caratteristiche materiali, come le due torri, le piazze, la collina e i portici, e quelle immateriali, è parso evidente come l’elemento distintivo fossero i portici.
Le torri sono abbastanza scontate, i portici sono l’elemento avvolgente che riflette le caratteristiche immateriali, il potersi perdere, il lasciarsi avvolgere dalla città. Dal punto di vista semantico il portico rappresenta la dimensione orizzontale. Quasi tutte le città contemporanee comunicano un senso di verticalità: la dimensione verticale ti sorprende attraverso la vista. La dimensione orizzontale, invece, sorprende attraverso l’udito e l’olfatto: l’ascolto dei rumori, gli odori, l’essere circondati dalle persone. Bologna è città plurisensoriale, ti propone un codice aperto perché ti dice che puoi farti tu il tuo racconto

Il risultato è stato uno dei progetti più innovativi che si siano visti nel nostro paese, che ha dato vita al primo logo generativo di una città. Gli autori sono Matteo Bartoli e Michele Pastore, i progetti arrivati 524, e si sono aggiudicati 14.000€, non visibilità, ma soldi, in grado di attrarre professionisti validi spingendo a competere per un progetto serio e credibile.



Che significa “logo generativo”?
«Il progetto è nato con l’obiettivo di tradurre visivamente le infinite sfaccettature e le percezioni della città – che costituiscono il che cosa è Bologna – costruendo un sistema di scrittura che sostituisce ai grafemi dell’alfabeto dei segni astratti caratterizzanti.
È stato così disegnato un alfabeto di segni geometrici, riconducibili a un immaginario storico tipicamente italiano. (…) Con queste forme/lettere è possibile perciò “scrivere” qualsiasi concetto riferibile alla città,
includendo ogni caratteristica fisica o astratta, generale o personale, che si vuole associare a Bologna. Dal punto di vista grafico si ottiene così una forma precisa e diversa da tutte le altre (un logo) per ogni parola generata. Ogni logo può essere poi colorato con tinte derivate da due colori individuati puntualmente.»

L’Urban Center Bologna, il “luogo in cui puoi conoscere le principali politiche e i progetti che stanno cambiando Bologna”, mette a disposizione di tutti un documento in cui viene raccontata la genesi del logo e le sue caratteristiche, che potete leggere qui, mentre qui potete giocare a creare il vostro logo di Bologna.

06.03.2017 # 4796
La Fearless Girl che sfida il Toro di WallStreet

Daria La Ragione //

Brand identikit: il magazine diretto da Gaetano Grizzanti

Blog! di Daria La Ragione

Magari non lo conoscono ancora, ma gli appassionati di comunicazione e branding hanno a disposizione un piccolo tesoro di informazioni sul branding che li attende online: è brand-identikit.it.
Se il nome vi suggerisce qualcosa avete visto giusto: si tratta del primo magazine italiano sulla brand identity ed è diretto da Gaetano Grizzanti.
Se invece il nome non vi diceva granché ecco spiegato l’arcano: Brand identikit è il nome di libro, ormai famosissimo tra gli addetti i lavori, pubblicato da Gaetano Grizzanti nel 2011 e giunto ormai alla terza edizione.
Il libro è diventato un vademecum per addetti ai lavori, ma il linguaggio accessibile lo ha reso perfetto anche per chi si avvicina al tema da semplice curioso.



Il magazine è a sua volta il luogo in cui ogni studente di comunicazione dovrebbe trascorrere un’ora o due della sua giornata, per scoprire, tanto per dirne una, qual è stata l’evoluzione di grandi marchi con Apple, Alitalia, Eni, Ford e moltissime altre; un’altra sezione da scoprire riguarda il city branding, in Italia una tendenza recente, ma come scopriamo su brand-identikit.it una consuetudine affermata da tempo in altri paesi. Ci sono anche 23 interviste a Gaetano Grizzanti, ognuna delle quali ha molto da offrire.
Il contributo numero uno, però, resta sempre il libro. Per chi non lo avesse letto ecco una piccola anticipazione – tratta dal sito dedicato, da cui potete scaricare l’indice – di quale sia la struttura narrativa:
la prima (parte) riguarda la “Marca” e la seconda il “Marchio”, entrambe costituiscono la parte nozionistica della materia, cioè tutto quello che si deve sapere per avere le basi cognitive sulla brand identity. La terza sezione racconta le storie di venti marche riconosciute, selezionate tra quelle più rappresentative dal punto di vista del branding. La quarta espone cinque case-history italiane di brand identity, sviluppate dall’autore. L’ultima sezione, infine, raccoglie stimoli e argomenti di attualità legati al mondo del brand.

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