Tonino Risuleo //
Greccio. Il caso freddo della Notte Silente
Le tende accostate lasciano entrare una lama che illumina un angolo della stanza; sul comò, nella grossa ceneriera, la mia pipa s’è raffreddata
Solo il sospiro del cigolio della rete del letto e fuori un silenzio profondo che ha ingoiato tutto, anche il brontolare delle auto al semaforo. La notte ha portato la neve.
È la neve nella mattina di Natale, il sogno di ogni bambino: una festa.
E anche per un bambino cresciuto vale lo stesso. Un po’ più in fretta del solito mi preparo per uscire, indosso il solito ingombrante cappotto e m’infilo in tasca la pipa fredda caricata a trinciato.
La neve scricchiola sotto le suole… così si dice -scricchiola- ma davvero non basta a definire questa sensazione fatta di resistenza al calpestio che si fa morbido e ostinato. Piacevole perché unico. Il piede avanza e slitta un po’ all’indietro, ritarda il passo e lascia il tempo di lanciare lo sguardo intorno per vedere quanto di strano ha combinato la precipitazione silenziosa dei fiocchi notturni.
Ma che fine hanno fatto i colori? Sul mio palcoscenico lo scenografo ha di certo scelto un fondale in bianco e nero per dare più importanza alle trovate del coreografo. Questa è la cosa che si nota: ciò che si muove conserva i colori naturali, solo più vividi.
E allora tutto quello che ho intorno cambia, diventa una scena dipinta con l’aerografo come in certe pubblicità degli anni ottanta, più gommosa, come le luccicanti macchinine di una giostra.
Le persone sul marciapiede vanno nella mia stessa direzione tutte con lo stesso incedere incerto, anzi, sembrano addirittura ferme mentre passo oltre raggiungendo la zona del mercato.
Anche qui la sensazione di immobilità confonde la percezione di quello che vedo: frutta e verdure sui banchi si offrono con colori squillanti mentre i venditori propongono la merce con mezzi sorrisi un tantino stolidi. Molti di loro, abbandonate le bancarelle, hanno scelto di avviarsi nella stessa direzione.
Supero un gruppetto di musicisti: il fisarmonicista sul punto si gonfiare il mantice, le guance già piene del trombettista, il violinista che fa slittare l’archetto.
Cavo di tasca la pipa e avvicino il fiammifero per arrostire il trinciato. Anche il fumo che espiro alla prima boccata fatica a salire e mi ristagna attorno al cappello come la nuvoletta del pensatore. Un cane col pelo folto mi fissa dall’altro lato della strada, ha perso il suo padrone e ne cerca uno nuovo senza scodinzolare. Passo accanto al forno, sulla soglia c’è il pizzaiolo con un ruoto di pizza. Sembra offrirla ai passanti ma il suo sguardo è rivolto più in là dove il corso s’è riempito di figure curiosamente incolonnate.
Guadagno posizioni e arrivo in piazza. Una nebbiolina giallastra annulla la profondità e confonde le proporzioni di cose e persone: è tutto troppo grande e tutto troppo piccolo. Un gigantesco carretto viene spinto da un omino curvo verso il fondo della scena. Da un androne ad arco arriva una musica incerta e un canto dal timbro curioso, sembra prodotto da una trombetta.
Mi inoltro nella penombra sotto la volta attorniato da diverse creature che si stringono creandosi uno spazio utile per avvicinarsi al punto da cui arriva la musica: una grossa testuggine accanto a me spinge il deretano di un roseo porcello. La vocetta è quella di un Pulcinella che si accompagna con un mandolino senza corde. Che ci facciamo tutti in questo cortile polveroso?
C’è un’umidità fastidiosa; il caldo appiccicoso delle fiaccole e il respiro della folla appesantisce l’aria provocandomi un certo torpore. Spingo anch’io, cerco un angolo tranquillo, per una volta non mi sento le forze per indagare oltre. Noto una piccola alcova con un basamento in pietra, sembra accogliente, mi accomodo piegando un braccio sotto la testa: sono tanto stanco, mentre le mie palpebre calano sento il soffio di una voce “Nessuno svegli Benino”.
Rientrando dalla toilette in fondo a destra m’accorgo che il locale s’è riempito e il mio tavolo d’angolo è già apparecchiato con tanto di caraffa di rosso. Un cameriere rubizzo accorre a raccontarmi cosa c’è in cucina.
Dopo l’antipasto di salumi e sott’oli ci sono i primi: Cannelloni alla francescana, Fregnacce ai funghi porcini, Ravioli ricotta e spinaci, Tagliatelle al ragù. Di secondo c’è: Coratella, Faraona, Arrosticini di pecora, Costolette d’agnello a scottadito e Coniglio alla cacciatora. Contorni come da tradizione con: Peperoni, Patate, Zucchine e verdure ripassate. Le lunghe tavolate attorno a me mettono allegria; noto un’anziana signora che passa da un commensale all’altro per assicurarsi che tutti si sentano a proprio agio.
Ma ecco le portate, l’allegro vociare si placa, tutti si danno da fare con forchette e cucchiai… A bocca piena non si parla.
È allora che sento arrivare dalla sala al piano superiore una musica incerta che accompagna il canto di una voce dal timbro curioso: sembra quasi una trombetta.