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Paolo Falasconi //
Sessantanove giorni nel segno di Vito Nesta
Al Palazzo Reale di Genova la prima mostra dedicata a un designer contemporaneo, in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università di Genova.
“Il viaggio è sempre una metamorfosi che evita la banalità del quotidiano: viaggiare è uscire fuori da sé stessi per ritrovarsi in maniera diversa.”
Così recita l’incipit dell’ultimo progetto “MiRo” del fotografo milanese Jacopo di Cera. Una tratta ferroviaria, come suggerisce l’abbreviazione “Mi” di Milano e “Ro” di Roma, percorsa per dieci anni e vissuta guardando fuori dallo stesso finestrino, seduto sullo stesso sedile, dello stesso vagone ma con occhi sempre nuovi e affamati.
Un’Italia che scorre, che muta e che stupisce chi ha il coraggio di perdersi per ritrovarsi. Chi di uno status, quello da pendolare, ne fa per necessità una scelta di vita.
E allora tutto diventa ancora una volta occasione per essere altro, altrove. In luoghi dove non siamo, ma saremmo potuti essere. E per innamorarsi, senza paura. E forse il segreto della vita è tutto qui: lasciarsi travolgere dalla bellezza di ciò che ci circonda.
Un viaggio “fotomaterico” dove la fotografia si misura con applicativi diversi e diventa parte integrante di una sintassi più complessa e strutturata. È ora “un punto di partenza e non di arrivo” come suggerisce l’artista. Ogni tappa, ogni fotografia, è infatti una stampa diretta su vetro di un finestrino del treno. Una cornice che inquadra pezzi di vita mai uguali, scanditi da quel viaggio prestabilito dove ci si può perdere tra i pensieri e avere, finalmente, il tempo di respirare.
Un pezzo di un puzzle più grande che vede il fotografo immergersi in realtà disparate dove la fotografia, la geometria del soggetto (“Italian Summer”) e la materia (“Fino alla fine del Mare”) continuano a rincorrersi e intrecciarsi per dare vita a qualcosa di puro.
Jacopo Di Cera nasce a Milano nel 1981. Lavora da subito nelle principali aziende multinazionali occupandosi di marketing. Il suo punto di vista eclettico e travolgente è contaminato dall’influsso di fotografi internazionali con i quali si confronta e sperimenta. Numerosi sono i riconoscimenti che ottiene tra i quali ricordiamo il quarto posto al prestigioso concorso del National Geographic nel 2010. Ha partecipato ad esposizioni e fiere italiane e internazionali (MIA – Milano; Palazzo Velli Expò – Roma; Les rencontres de la photographie – Arles; Festival Con_vivere – Carrara; PAN – Napoli; Paratissima – Torino; Fotofever (Paris Photo) – Parigi; Biennale Arte – Venezia).
Vivian Maier. Un nome, un mistero. Un mondo permeato da una quotidianità precipitosa e ambiziosa del sogno americano e un modo di raccontarlo: il suo, delicato e profondamente evocativo. Ogni gesto apparentemente anonimo diventa così parte di una poesia invisibile che la Maier continua a scrivere instancabilmente per 45 anni, camminando per le strade dei quartieri proletari tra New York e Chicago.
È ora inedita, come suggerisce il nome stesso della mostra “Vivian Maier. Inedita” ospitata dalle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino dallo scorso 9 Febbraio fino al 26 Giugno 2022, dopo una prima tappa al Musée du Luxembourg di Parigi.
La mostra, curata da Anne Morin e co-organizzata da diChroma e dalla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, presenta più di 250 immagini che ci offrono uno sguardo ulteriormente nuovo e pervasivo della vita dell’artista tra fotografie a colori, oggetti personali e filmati in Super 8 dove coincidenze della realtà e occhi sconosciuti si intrecciano ancora esplicandosi in dieci sezioni con la sua figura che guarda e si guarda ora riflessa in una vetrina di un negozio, ora lungo la sua ombra.
Inedita come la serie di scatti realizzati durante il suo viaggio in Italia, tra Torino e Genova, nell’estate del 1959.
Un documentario di vita, dalle tematiche estremamente moderne e dal linguaggio articolato, dettato dall’esigenza d’affermazione e liberazione che accompagna lo spettatore durante tutta la mostra.
Diventa così un’occasione per soffermarsi su un sentire autentico di una donna, di Vivian, non più sconosciuta piombata, solo post mortem nel 2009 grazie al ritrovamento di John Maloof dei suoi negativi, nel cuore della street photography.
Quando
Dove
Prezzo
Intero: € 15,00; Ridotto: € 12,00 (over 65, insegnanti, ragazzi tra 18 e 25 anni, gruppi, giornalisti non accreditati); Ridotto: € 10,00 (possessori del biglietto intero dei Musei Reali); Ridotto ragazzi: € 6,00 (ragazzi tra 12 e 17 anni compiuti); Pacchetto famiglia: fino a due adulti € 12,00 cad. e ogni ragazzo tra 12 e i 17 anni € 6,00 cad.; Gratuito: possessori dell’Abbonamento Musei Piemonte Valle d’Aosta, Torino+Piemonte card, bambini da 0 a 11 anni, persone con disabilità, dipendenti MiC
Più informazioni
Cosa fanno gli artisti per produrre opere? Pensano. A volte si lasciano passare addosso il malessere della vita. Come tir che affondano le ruote su dune di sabbia lasciando tracce, impronte, ma senza distruggerle, accolgono il tormento di quei copertoni che li investono. Metabolizzano il vissuto, a volte inconsciamente, mentre conducono la vita di tutti i giorni. Poi la lente della mente mette a fuoco su ciò che stanno per andare a materializzare. Comunicano visivamente la loro immaginazione. Il loro briefing consiste in quegli input che solo gli artisti colgono grazie a una sensibilità che raccoglie metadati tra i rumori di informazioni lasciate inesplorate dai comuni mortali. Talvolta con risultati avveniristici.
Alla fin fine, fanno comunicazione visiva. Con un approccio diverso da quello di un creativo pubblicitario. Ma comunque comunicano. Art director, copywriter e grafici questo lo sanno e perciò li incontriamo spesso in musei o in occasione di mostre d’arte. L’arte è linfa per la mente. Sorgente per la comunicazione.
Massimo Sgroi, curatore della mostra Modalità: No Humans, ha messo insieme otto artisti internazionali (fotografia, pittura, digital art, installazioni) seguendo il filo di un racconto su quel che potrebbero essere le (im)probabili trasformazioni dell’ambiente psicologico e fisico vissuto dall’uomo; urbano e naturale: Güler Ates, Jean Michel Bihorel, Patrick Jacobs, Federica Limongelli, Suzanne Moxhay, Barbara Nati, Helene Pavlopoulou e Simon Reilly.
Tecnologia e innovazione favoriscono il progresso ma c’è un prezzo da pagare? L’individuo si arricchisce umanamente, emozionalmente, o sta subendo un processo di svuotamento della sua stessa presenza attraverso la trasformazione del proprio habitat?
Il tempo scorre trasformando la vita reale sempre più in un universo parallelo, virtuale, fatto di polvere elettronica. Le piazze dove ci si incontrava divengono “second life”; al calcio o minigolf si gioca online con persone che manco conosci e che vivono (vivono?) in altri luoghi. Con i lockdown si è testato il gradimento del pubblico rispetto ai concerti da seguire online. Da casa. Senza l’essenza del brusio e di sguardi che si incrociano che solo dal vivo fanno meglio apprezzare lo spettacolo. Incontri culturali svolti in video. I veri effetti psicologici dello smart working e della didattica a distanza sono ancora tutti da approfondire. Ma non possiamo negarci che hanno contribuito a una desocializzazione che porta a uno svuotamento di valori dell’individuo. Alterazioni nelle sfere amicali, affettive. E quindi della propria mente.
Un progresso che sembra sfuggire di mano, in cui valori come l’identità, la memoria storica, il pensiero emergente, vengono penalizzati, sopraffatti.L’uomo rischia di diventare sempre più un passivo consumer. Con quella protesi-display di cui non riesce più a farne a meno.
In un mondo di un futuro prossimo, potremmo essere costretti a restare chiusi in casa per lunghi periodi per avversità climatiche, tempeste geomagnetiche, blackout, lunghi periodi di austerity per scarsezza di risorse. Sarebbe una grande brutta guerra che noi contemporanei non vorremmo vivere e di cui abbiamo modo di vedere le prime avvisaglie.
Come sarà il mondo con lo svuotamento interiore dell’individuo? E come sarebbe il mondo con una popolazione fisicamente decimata o annullata del tutto?
Modalità: No Humans ci pone di fronte a riflessioni etiche lasciando all’osservatore un’ampia interpretazione. Ma l’aspetto positivo di un mondo che si rigenera grazie all’assenza umana, per un’implosione del progresso, in paesaggi metafisici e iperrealistici, contrasta con il dramma della sua stessa estinzione. L’URBEX (Urban Exploration) suggerita in alcune opere, contiene fascino e allerta. Il fascino di avere il privilegio di sentirsi unico abitante di paesaggi rigenerati, sfuggiti a regole geologiche e biologiche. E un avvertimento che dovrebbe farci pensare sul dove stiamo andando.
Il mondo di oggi non è un granché ma bisogna essere sognatori per (ri)costruire gli umani.
Photo credit: Barbara Nati, Inverted Kingdom (Underpass); Modalità: No Humans, 2021. CourtesyAndrea Nuovo Home Gallery
MODALITÁ: NO HUMANS
Artisti: Güler Ates, Jean Michel Bihorel, Patrick Jacobs,Federica Limongelli, Suzanne Moxhay, Barbara Nati, Helene Pavlopoulou e SimonReilly.
A cura di Massimo Sgroi
Dal 01/10/2021 al 07/01/2022
Orari: martedì - venerdì, ore 10:00 - 13:15 e 16:15 - 19:00
Sabato, domenica e lunedì su appuntamento / Ingresso Libero
Andrea Nuovo Home Gallery
Via Monte di Dio, 61, 80132 – Napoli
Tel. +39 081-18638995
www.andreanuovo.com/- info@andreanuovo.com
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