
Paolo Falasconi //
Emailchef - Il software per newsletter che punta tutto sulla user experience
Come creare e inviare campagne di email marketing in pochi clic e nel rispetto del GDPR con la piattaforma made in Italy
Quando si parla di scrittura, fotografia, grafica e altre professioni creative, esce sempre fuori una domanda: l’Intelligenza Artificiale, mi ruberà il lavoro? Per esempio, chi come me fa il copywriter, da anni si chiede se i computer scrivono meglio di un professionista della scrittura e quindi potranno “rubargli il lavoro”.
Secondo me questa domanda non è sbagliata, ma ormai superata. Da anni, infatti, i computer hanno iniziato a scrivere. Non molti lo sanno ma intere sezioni di giornali, e-commerce, blog e post sui social sono scritti in tutto o in parte da I.A. Decine di software si sono specializzati nella scrittura di testi di ogni tipo anche se è solo dopo il lancio di Chat GPT che questa possibilità è stata scoperta da tutti. Quindi, quella che sembrava una possibilità riservata solo a pochi editori è diventata per tutti: chiunque oggi può chiedere a questa I.A. di generare qualsiasi tipo di contenuto, in tempo reale e a costo (quasi) zero.
A questo punto, la domanda non è più se i computer scriveranno come un copywriter, redattore e giornalista, perché già lo fanno. La domanda fondamentale diventa se tu, in quanto professionista della scrittura, riesci a tenere il passo di questi software. Cioè se hai ancora una funzione o puoi essere sostituito da una macchina che scrive. Quindi, la domanda a cui cercherò di rispondere è questa:
“London Bridge is down”. E inizia l‘Operazione London Bridge, il protocollo di tutte le fasi ampiamente preorganizzate per i funerali della Regina. Perché nulla è mai stato lasciato al caso. E non lo saranno nemmeno i dettagli del funerale di Lilibet, come veniva chiamata dai più cari.
Abiti dai colori sgargianti che, se messi accanto in un guardaroba, apparirebbero come una mazzetta di colori Pantone. Un outfit specificamente creato per essere identificabile facilmente dai bodyguard, si dice, ma ovviamente anche dalla gente. Cappelli con decorazioni floreali e con colori coordinati agli stessi abiti. Foulard da campagnola annodato sotto il mento durante le sue passeggiate a cavallo in quel di Windsor.
Quel saluto con la mano, unico, che è entrato nell’iconografia di souvenir turistici: pupazzetti con mano mobile esposti nelle vetrine di Portobello road.
Borsetta sempre nera al seguito che la rendeva una donna normale con le sue cose più essenziali da tenere sempre con sé.
La Regina Elisabetta II indubbiamente è stata un’icona POP senza eguali negli ultimi cento anni.
Una questione di cura del brand? Sembrerebbe di sì.
L‘inizio della gestione del suo brand inizia durante i sedici mesi di preparativi per il giorno dell‘incoronazione. Il duca Filippo di Edimburgo, il marito che fu supervisore dei dettagli della celebrazione, sembra che volle fortemente che l‘evento avesse un impatto mediatico facendo entrare le telecamere della BBC e suggerendo alla regia i punti di vista più adeguati. L‘allora premier Churchill lo sconsigliò, ma l‘ultima parola fu della regina. E tutto il mondo per la prima volta visse in tv, se pur in differita, l‘incoronazione di un reale come una favola che si materializzava. Settanta anni fa. Mese più, mese meno.
Per Elisabetta II tutto è andato bene. O perlomeno questa è la percezione della massa. Con alcune decisioni prese senza far rumore. Con la sensazione che ogni sua scelta fosse la più giusta. Quando, fuori dai cancelli di Buckingham Palace, andò tra la gente che deponeva omaggi floreali per Lady Diana, una signora le porse dei fiori ma Elisabetta le disse che dovevano essere per “lei, Lady D” e così le controversie sul suo rapporto con la nuora furono accomodate.
Non possiamo sapere se si trattò di una scena costruita a tavolino. I più maliziosi possono pensarlo.
Perché è il brand, costruito o meno, che conta. E scandali piccoli e grandi a corte passano sempre in secondo piano.
Consapevole del potere di comunicazione dell‘immagine, nel 1970 concede alla BBC di riprendere alcune scene della vita familiare di Buckingham Palace. Entrare in questo modo diretto nelle case contribuì ulteriormente alla sua popolarità.
Nel 1965 i Beatles vengono insigniti del titolo di baronetti. E così anche Angelina Jolie, Elton John, Mick Jagger, Liz Taylor, Emma Thompson, Steven Spielberg, Bono Vox, Rod Stewart e tanti altri hanno avuto onorificenze direttamente dalla regina Elisabetta II.
Circondarsi di personaggi noti del mondo dello spettacolo, a livello internazionale, non fa che aumentare la popolarità su altri canali. Entrando nell’immaginario dei fan che non seguono abitualmente le vicende politiche. E si crea una sorta di transfert di popolarità reciproca. Amplificandola.
Nessun “rumore legale”. La satira non è mai condannata. Stare allo scherzo è caratteristica delle persone intelligenti. E così, guardando i dipinti di George Condo che la ritraggono in maniera ironica, caricaturale, sdentata, aspetto paonazzo, è probabile che abbia solo sorriso.
È stata tra i personaggi che, con la sua effigie, ha occupato più copertine di riviste internazionali.
Nell‘aprile 2022, in occasione dei 70 anni di regno, Vanity Fair le dedica tre copertine diverse tratte dall‘opera in serigrafia Reigning Queens del 1985 realizzata da Andy Warhol. Opera poi acquistata dalla Royal Collection arricchendo la collezione privata nel castello di Windsor.
Un’opera, quella di Warhol, che riproduceva una fotografia di Peter Grugeon fatta a sua Altezza nel 1975 e utilizzata durante il Giubileo d’argento nel 1977.
Il 26 febbraio 1952 Dorothy Wilding realizzò il primo servizio fotografico ufficiale per Elisabetta.
I fotografi hanno avuto un gran ruolo per la comunicazione verso il pubblico, in termini di brand. Quelli che realizzarono ritratti ufficiali della regina sono stati Stirling Henry Nahum (Baron Studios); Cecil Beaton che riuscì a restituire immagini glamour e non austere e “politiche” e così conquistandosi il titolo di baronetto. Poi ricordiamo Antony Charles Robert Armstrong-Jones che sposandosi con Margaret, sorella della regina, ebbe l’occasione di ritrarre scene di vita familiare nella casa reale.
E poi ancora Donald McKague, Anthony Buckley, Annie Leibovitz.
David Bailey, noto fotografo di moda, la immortalò nel 2014. Fotografia in bianconero che lei preferiva perché “i colori distraggono l‘attenzione dal soggetto”.
Il rapporto con la fotografia era costante per Lilibet. Più volte in pubblico è stata immortalata con una Leica a tracolla. Usava anche una cinepresa. In rete circolano foto in cui è ritratta nel momento in cui si “fa un selfie” con alcuni familiari. Segno dei tempi.
Un giorno chissà se vedremo le fotografie che ha scattato in tutti questi suoi anni la regina. Lei – non dimentichiamolo – è stata anche mamma, e poi nonna, ed è stata prima fidanzata e poi moglie. Conoscete fidanzate, mogli, mamme o nonne che non abbiano mai fotografato, per esempio, i loro cari, le vacanze, qualche gita o candeline che venivano spente? Io non ne ho conosciute.
- Giovanni Ruggiero, fotogiornalista
Elizabeth II è stata protagonista in film cinematografici interpretati da Emma Thompson in una serie della BBC, da Helen Mirren (The Queen, 2006) e, ancora, The Crown la serie di Netflix che per quattro stagioni ha ripercorso tutta la sua storia con fatti realmente accaduti e leggermente romanzati. Fino allo spot Happy and glorious per pubblicizzare i giochi olimpici del 2012 a Londra, dove interpreta se stessa al fianco di Daniel Craig, il James Bond dell’epoca. E non sono mancate sitcom dove gli sketch prendevano in giro i comportamenti della regina e i protocolli reali.
Lilibet è stata una donna che sapeva come viaggiare nei tempi che ha vissuto ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda. Senza farsi scalfire da critiche o canzoni di protesta come God save the queen dei Sex Pistols. E così non è mai apparsa agli occhi del mondo antiquata, eccessivamente monarchica o una nonnina ingenua.
Tutto ha contribuito alla sua popolarità. In comunicazione si chiama image making e il guru del marketing Philip Kotler ci potrebbe scrivere un libro intero analizzando tutte le operazioni che hanno contribuito a rendere POP la regina Elizabeth II: il look, la scelta delle foto ufficiali, il canale Twitter usato personalmente nel 2014 (@BritishMonarchy, ma non c’è più), le battute in pubblico, i rapporti con i VIP…
Dio non ha salvato la regina. Si è salvata da sé. Perché ha saputo gestire il suo brand fino alla fine. E non con scelte inconsapevoli.
© Marco Maraviglia
Foto di copertina: Elisabetta II a Berlino – 2015. Fonte Wikimedia
Se c'è una cosa che il tempo in questi ultimi due anni ci ha aiutato a focalizzare, e la pandemia ad evidenziare ancora di più, è che nel mondo della comunicazione pubblicitaria il consumatore in quanto persona e non acquirente, è la figura chiave intorno a cui concentrarsi.
Indipendentemente forse da ciò che il mercato avrebbe voluto, è emerso chiaramente il bisogno delle persone di ricalibrare il proprio stile di vita in funzione di una maggiore attenzione alle interazioni e alla qualità del tempo investito in una qualunque attività.
In termini più concreti questo si potrebbe tradurre come una aumentata propensione alla partecipazione diretta, più immediata, maggiormente orientata a favorire l'interazione fisica possibilmente reale e, dove possibile, anche virtuale sfruttando la tecnologia.
La customer experience ha assunto una importanza fondamentale per garantire il giusto grado di connessione tra il brand e il consumatore e la necessità di garantire la continuità nell'accesso ai beni e ai servizi ha spinto i marchi a dotarsi di piattaforme di e-commerce estremamente avanzate, oltre a curare in generale la UX in modo da eliminare eventuali filtri e passaggi non strettamente necessari per rendere l'esperienza complessiva più fluida e appagante.
L'aspetto più interessante però è che da un punto di vista della creatività, tutto questa tecnologia ha una importanza notevole per consentire alla comunicazione di fare un vero salto in avanti. Stiamo assistendo alla nascita di una nuova fase per la comunicazione pubblicitaria.
Così come appare oggi chiaramente, il commercio non è più solo una questione di transazioni economiche ma rappresenta una grande opportunità per i brand che, sfruttando la tecnologia, possono sperimentare nuove forme di commercio che pongono al centro l'esperienza d'acquisto, e lavorano per costruire nuove interazioni.
Se da un lato il mondo è cambiato, la maggior parte del business pubblicitario sta facendo fatica ad andare avanti, ma la direzione è decisa. Le aziende più innovative si stanno già muovendo per reclutare persone altamente creative capaci di interpretare questi bisogni, schierando nuove competenze e aprendo posizioni per ruoli più complessi e per certi versi meno codificati e più "disordinati".
Il Creative Commerce rappresenta il futuro prossimo su cui si giocherà la carta della creatività interconnessa con la tecnologia e la cultura, per produrre una esperienza del tutto nuova in cui marchio e consumatore sono estremamente vicini.
Per capire di cosa stiamo parlando un ottimo esempio è la campagna DIESEL "Enjoy before returning" di Publicis Italia, vincitrice del Leone di Titanio a Cannes nel 2021, che ha visto un coinvolgimento dei social e di diversi mezzi per raccontare del Wardrobing (cioè l'acquisto e poi la restituzione di un capo dopo averlo indossato). Tutto il concept è costruito per coinvolgere tanto l'acquirente quanto il brand senza soluzione di continuità ed è pensato con l'obiettivo di raggiungere un forte impatto commerciale, come in effetti è accaduto.
Mondo virtuale e mondo reale stanno convergendo rapidamente verso un unico luogo man mano che la tecnologia aprirà nuovi modi per connettersi e i consumatori oramai si aspettano il vantaggio aggiuntivo di una esperienza dove l'aspetto commerciale è solo una parte del gioco.
Su questa base si stanno muovendo molti altri grandi marchi e in effetti il Cannes Lions si è attrezzato con un suo premio Creative Commerce Lions per celebrare proprio l'approccio creativo e immersivo dell'esperienza commerciale.
Stormtrooper attaccati da api assassine, draghi che spengono incendi, un’automobile che diventa la cabina di una ruota panoramica, e la Terra che si trasforma nella pallina di un cono gelato: sembra strano? Non nel mondo LEGO. O, almeno, non nel mondo che LEGO ci ha fatto conoscere e adorare, un luogo fatto di fantasia e creatività, dove tutto è possibile.
Recentemente il brand ha deciso di associare la totale libertà di immaginazione, alla totale libertà di pensiero e, in tal senso, la campagna Don’t stop me now - della serie Rebuild the world - è un inno ad entrambi i valori.
Con LEGO “Adults Welcome” però, l’azienda leader mondiale del settore è andata oltre, superando sé stessa, e proponendo una campagna multi soggetto che mostra come un set LEGO, possa essere amato non solo da bambini e irriducibili appassionati ma anche dagli adulti. Persone con un lavoro a tempo pieno, magari di ufficio, con una routine incessante, per le quali gli imprevisti possono rappresentare una notevole fonte di stress.
Ecco che il marchio si inserisce quasi a gamba tesa in questo meccanismo, spezzando il ciclo al quale i consumatori sono sottoposti ogni giorno e regalando loro una piacevole pausa, per costruire qualcosa con le proprie mani, impegnando il cervello in un’attività diversa, per ritrovare la tranquillità e la spensieratezza che sembravano perdute, grazie ad una sorta di LEGO-terapia.
I tre soggetti della campagna sono del tutto simili tra loro e, all’interno di essi, si alternano diversi protagonisti e i loro piccoli incidenti quotidiani. Escludendo questi due elementi, sia le inquadrature che molti dei set e degli esterni impiegati, sono replicati sistematicamente con grande precisione e maestria.
In un’atmosfera deliziosamente vintage, scopriamo le tipiche attività dei tre personaggi, dal risveglio, al rientro a casa ma, ognuna di esse, è costantemente interrotta da fastidiose disavventure: una ruota a terra, un cucchiaio scivolato nella minestra, un laccio della scarpa spezzato. Al termine di ognuna di queste giornate però, tutti loro ritrovano la quiete e il sorriso, costruendo il proprio modellino di LEGO Adults Welcome.
Tre storie ironiche ed efficaci per un target dalla vita sempre più frenetica, consumatori che, grazie a LEGO, potranno finalmente rilassarsi e tornare bambini per un po’.
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