Marco Maraviglia //
The Queen, una Regina POP che non ha lasciato nulla al caso
Comunicazione, look, battute in pubblico, persino uno spot pubblicitario. Alcuni elementi che hanno reso popolare Lilibet. Un caso da studiare
“London Bridge is down”. E inizia l‘Operazione London Bridge, il protocollo di tutte le fasi ampiamente preorganizzate per i funerali della Regina. Perché nulla è mai stato lasciato al caso. E non lo saranno nemmeno i dettagli del funerale di Lilibet, come veniva chiamata dai più cari.
Abiti dai colori sgargianti che, se messi accanto in un guardaroba, apparirebbero come una mazzetta di colori Pantone. Un outfit specificamente creato per essere identificabile facilmente dai bodyguard, si dice, ma ovviamente anche dalla gente. Cappelli con decorazioni floreali e con colori coordinati agli stessi abiti. Foulard da campagnola annodato sotto il mento durante le sue passeggiate a cavallo in quel di Windsor.
Quel saluto con la mano, unico, che è entrato nell’iconografia di souvenir turistici: pupazzetti con mano mobile esposti nelle vetrine di Portobello road.
Borsetta sempre nera al seguito che la rendeva una donna normale con le sue cose più essenziali da tenere sempre con sé.
La Regina Elisabetta II indubbiamente è stata un’icona POP senza eguali negli ultimi cento anni.
Una questione di cura del brand? Sembrerebbe di sì.
L‘inizio della gestione del suo brand inizia durante i sedici mesi di preparativi per il giorno dell‘incoronazione. Il duca Filippo di Edimburgo, il marito che fu supervisore dei dettagli della celebrazione, sembra che volle fortemente che l‘evento avesse un impatto mediatico facendo entrare le telecamere della BBC e suggerendo alla regia i punti di vista più adeguati. L‘allora premier Churchill lo sconsigliò, ma l‘ultima parola fu della regina. E tutto il mondo per la prima volta visse in tv, se pur in differita, l‘incoronazione di un reale come una favola che si materializzava. Settanta anni fa. Mese più, mese meno.
Per Elisabetta II tutto è andato bene. O perlomeno questa è la percezione della massa. Con alcune decisioni prese senza far rumore. Con la sensazione che ogni sua scelta fosse la più giusta. Quando, fuori dai cancelli di Buckingham Palace, andò tra la gente che deponeva omaggi floreali per Lady Diana, una signora le porse dei fiori ma Elisabetta le disse che dovevano essere per “lei, Lady D” e così le controversie sul suo rapporto con la nuora furono accomodate.
Non possiamo sapere se si trattò di una scena costruita a tavolino. I più maliziosi possono pensarlo.
Perché è il brand, costruito o meno, che conta. E scandali piccoli e grandi a corte passano sempre in secondo piano.
Consapevole del potere di comunicazione dell‘immagine, nel 1970 concede alla BBC di riprendere alcune scene della vita familiare di Buckingham Palace. Entrare in questo modo diretto nelle case contribuì ulteriormente alla sua popolarità.
Nel 1965 i Beatles vengono insigniti del titolo di baronetti. E così anche Angelina Jolie, Elton John, Mick Jagger, Liz Taylor, Emma Thompson, Steven Spielberg, Bono Vox, Rod Stewart e tanti altri hanno avuto onorificenze direttamente dalla regina Elisabetta II.
Circondarsi di personaggi noti del mondo dello spettacolo, a livello internazionale, non fa che aumentare la popolarità su altri canali. Entrando nell’immaginario dei fan che non seguono abitualmente le vicende politiche. E si crea una sorta di transfert di popolarità reciproca. Amplificandola.
Nessun “rumore legale”. La satira non è mai condannata. Stare allo scherzo è caratteristica delle persone intelligenti. E così, guardando i dipinti di George Condo che la ritraggono in maniera ironica, caricaturale, sdentata, aspetto paonazzo, è probabile che abbia solo sorriso.
È stata tra i personaggi che, con la sua effigie, ha occupato più copertine di riviste internazionali.
Nell‘aprile 2022, in occasione dei 70 anni di regno, Vanity Fair le dedica tre copertine diverse tratte dall‘opera in serigrafia Reigning Queens del 1985 realizzata da Andy Warhol. Opera poi acquistata dalla Royal Collection arricchendo la collezione privata nel castello di Windsor.
Un’opera, quella di Warhol, che riproduceva una fotografia di Peter Grugeon fatta a sua Altezza nel 1975 e utilizzata durante il Giubileo d’argento nel 1977.
Il 26 febbraio 1952 Dorothy Wilding realizzò il primo servizio fotografico ufficiale per Elisabetta.
I fotografi hanno avuto un gran ruolo per la comunicazione verso il pubblico, in termini di brand. Quelli che realizzarono ritratti ufficiali della regina sono stati Stirling Henry Nahum (Baron Studios); Cecil Beaton che riuscì a restituire immagini glamour e non austere e “politiche” e così conquistandosi il titolo di baronetto. Poi ricordiamo Antony Charles Robert Armstrong-Jones che sposandosi con Margaret, sorella della regina, ebbe l’occasione di ritrarre scene di vita familiare nella casa reale.
E poi ancora Donald McKague, Anthony Buckley, Annie Leibovitz.
David Bailey, noto fotografo di moda, la immortalò nel 2014. Fotografia in bianconero che lei preferiva perché “i colori distraggono l‘attenzione dal soggetto”.
Il rapporto con la fotografia era costante per Lilibet. Più volte in pubblico è stata immortalata con una Leica a tracolla. Usava anche una cinepresa. In rete circolano foto in cui è ritratta nel momento in cui si “fa un selfie” con alcuni familiari. Segno dei tempi.
Un giorno chissà se vedremo le fotografie che ha scattato in tutti questi suoi anni la regina. Lei – non dimentichiamolo – è stata anche mamma, e poi nonna, ed è stata prima fidanzata e poi moglie. Conoscete fidanzate, mogli, mamme o nonne che non abbiano mai fotografato, per esempio, i loro cari, le vacanze, qualche gita o candeline che venivano spente? Io non ne ho conosciute.
- Giovanni Ruggiero, fotogiornalista
Elizabeth II è stata protagonista in film cinematografici interpretati da Emma Thompson in una serie della BBC, da Helen Mirren (The Queen, 2006) e, ancora, The Crown la serie di Netflix che per quattro stagioni ha ripercorso tutta la sua storia con fatti realmente accaduti e leggermente romanzati. Fino allo spot Happy and glorious per pubblicizzare i giochi olimpici del 2012 a Londra, dove interpreta se stessa al fianco di Daniel Craig, il James Bond dell’epoca. E non sono mancate sitcom dove gli sketch prendevano in giro i comportamenti della regina e i protocolli reali.
Lilibet è stata una donna che sapeva come viaggiare nei tempi che ha vissuto ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda. Senza farsi scalfire da critiche o canzoni di protesta come God save the queen dei Sex Pistols. E così non è mai apparsa agli occhi del mondo antiquata, eccessivamente monarchica o una nonnina ingenua.
Tutto ha contribuito alla sua popolarità. In comunicazione si chiama image making e il guru del marketing Philip Kotler ci potrebbe scrivere un libro intero analizzando tutte le operazioni che hanno contribuito a rendere POP la regina Elizabeth II: il look, la scelta delle foto ufficiali, il canale Twitter usato personalmente nel 2014 (@BritishMonarchy, ma non c’è più), le battute in pubblico, i rapporti con i VIP…
Dio non ha salvato la regina. Si è salvata da sé. Perché ha saputo gestire il suo brand fino alla fine. E non con scelte inconsapevoli.
© Marco Maraviglia
Foto di copertina: Elisabetta II a Berlino – 2015. Fonte Wikimedia