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06.10.2022 # 6148
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Un presente all‘insegna della creatività, tra passato e futuro della professione

Paolo - Ciao Daniele e grazie per aver accettato di fare questa intervista. Sono davvero contento di ritrovarti dopo così tanto tempo, immagino avrai molte cose da raccontare, perciò forse è il caso di procedere con ordine. Intanto possiamo inquadrare il presente. Dove ti trovi attualmente e di cosa ti occupi?


Daniele - Il piacere é tutto mio. Da qualche anno vivo a Londra dove lavoro attualmente come Senior Designer presso AKQA.

L’Ilas é stata una tappa fondamentale per il mio percorso formativo. Mi ha permesso di mettere in pratica le conoscenze accumulate al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, con una visione concreta applicata alla progettazione grafica e all’ideazione di campagne pubblicitarie.

L’esperienza della Ilas mi ha permesso di conoscere persone fantastiche a cui devo tanto, a cominciare dal direttore Angelo Scognamiglio, e tutti i colleghi che sono ancora lì con voi. Da ognuno di loro e soprattutto da te, ho ricevuto insegnamenti e consigli preziosi che ancora oggi applico nel mio lavoro.


P - Aspetta un attimo. Ci siamo lasciati più di 10 anni fa che la tua destinazione era il Brasile, San Paolo per la precisione. Com‘è che sei finito a Londra?


D - E’ vero, ricordi bene. E’ andata così: nel 2013 dopo aver fatto parte del team di SapientNitro di San Paolo in Brasile, mi sentivo pronto per ritornare in Europa e Londra mi sembrava il luogo giusto perché offriva opportunità per certi versi simili al Brasile. Ebbi la fortuna di ottenere il trasferimento presso gli uffici della futura Publicis.Sapient dove avrei cominciato un cammino lungo quasi 9 anni. Ed eccomi qua.



P - Quindi il Brasile è stato la tua prima tappa professionale fuori dai confini italiani. Raccontami.


D - Nel 2009 durante il mio anno di corso di Grafica e Web all’Ilas ho avuto l’opportunità di unirmi al team di Argentovivo / Ilas dove mi é stata data l’opportunità di imparare e lavorare su progetti interessantissimi per clienti esterni e sulla progettazione del materiale comunicativo per la scuola.

Dopo un anno in agenzia come Junior Art Director ho scelto insieme alla mia attuale compagna di fare un’esperienza nel suo paese di origine, il Brasile e in particolare a San Paolo.
 San Paolo é una delle maggiori capitali per il settore creativo a livello mondiale e in particolare per il  digital design. Era la mia prima esperienza all’estero in una città da più di 12 milioni di abitanti. Un‘isola creativa dalle mille opportunità, piena di talenti straordinari e gente unica. Prima della mia partenza da Napoli riuscii a fare un colloquio con una agenzia situata in una città poco distante da San Paolo che apprezzó tantissimo il mio portfolio formato dai lavori che avevo realizzato come studente Ilas e visuals sviluppati con l’agenzia Argentovivo.

Dopo il primo lavoro in terra brasiliana e dopo le prime soddisfazioni decidemmo di spostarci a San Paolo dove il livello di difficoltà sarebbe aumentato da tutti i punti di vista. Un grande passo che fortunatamente si concretizzò in un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di continuare a fare fino ad oggi il lavoro che mi piace e che spero di poter perseguire per molti anni.

L’agenzia a cui forse devo di più durante il periodo trascorso a San Paolo é stata la Grïngo (che fu successivamente acquistata dal gruppo WPP sotto il nome di Possible Worldwide) diretta da André Matarazzo  una delle menti creative più influenti del nostro settore. Con loro ho partecipato a campagne per brand come Coca-Cola e Absolut Vodka nonché su ulteriori progetti e pitches. L’alto ritmo di lavoro e le forte pressioni che si vivono in queste realtà mi hanno permesso di acquisire sempre più fiducia nei miei mezzi – e fu questo banco di prova, insieme alla passione che nutro per il design che mi spinsero a cercare nuove esperienze. Così come il design si evolve nel tempo, la comunità dei designer si muove nella stessa scia che ti porta di continuo a confrontarti con nuove sfide – e Londra per me è stata una di queste.


P- Ok, siamo tornati a Londra. Mi hai detto che ricopri il ruolo di Senior Designer presso AKQA che suona un po’ come una sorta di supervisor. Non dirmi che hai rinunciato alla creatività! Ricordo che ripetevi spesso "toglietemi tutto ma non la possibilità di creare, disegnare". Ti prego, rassicurami.


D- Il team di AKQA é composto da designers, creative developers, 3D artists e creativi dal background straordinario. Le ispirazioni provengono da molteplici fonti e la passione per il design é viva in ogni step del processo creativo perché fa parte della filosofia dell’azienda.

Il ruolo di Senior Designer mi permette di toccare con mano le fasi più importanti di un progetto – dal concept alla realizzazione del prodotto finale. Ogni progetto ha una storia a sé ed i team vengono strutturati in modo diverso. Le figure con le quali collaboro di più ogni giorno sono i creative directors e i designers di UX. Le consegne dei batch (per esempio gruppi di template o components di un app design) vengono spesso organizzate su Design Sprints che hanno di solito la durata di una o due settimane ciascuno.

Una delle sfide più elettrizzanti é proprio quella di lavorare sotto pressione soprattutto quando il tempo a disposizione per la fase di concept (anche detta Discovery Phase o Design Exploration) é molto breve. Su alcuni progetti come ad esempio per i pitch, l’ideazione di un’art direction può anche variare da 1 o 3 giorni nei casi più estremi. 
In queste fasi l’obiettivo del designer é quello di entrare in stretta sintonia con il proprio team e soprattutto capire a fondo il brief. Ogni scelta creativa deve essere coerente con quest’ultimo ed allo stesso tempo essere capace di proporre punti di vista che arricchiscano e migliorino la soluzione che siamo chiamati a proporre.
Nel digital design il concetto di creatività é più ampio perché tiene conto di diversi fattori (come ad esempio lo ‘user testing’) che influiscono sul risultato finale. I prodotti digitali hanno una natura più dinamica perché evolvono nel tempo mentre accompagnano il modo in cui gli utenti ne usufruiscono. Anche il concetto di team é diverso rispetto al passato, perché oggi il cliente partecipa spesso attivamente al processo creativo – dove le energie di tutti convergono in una direzione sola.
Come vedi dipende dal ruolo e dal team in cui si lavora dove le opportunità di creare sono molteplici. Io però con la creatività convivo quotidianamente, quindi spero di averti rassicurato!


 

P - Ok, direi che ci sei riuscito bene e anzi, trovo la cosa molto interessante.

D - Ti dirò di più. Avendone avuto una esperienza diretta posso tranquillamente dire che la percezione che si ha lavorando in un team creativo é molto simile a quella delle attività di studio e laboratorio che si svolgono all’Ilas o presso qualunque università o liceo con orientamento artistico.
 Cambiano le responsabilità ma il concetto alla base di tutto rimane lo stesso. Passione, studio, ricerca e lavoro.



P - C‘è un progetto a cui sei particolarmente affezionato di cui ti andrebbe di condividere con noi qualche dettaglio?


D - É un progetto che ho realizzato qualche anno fa per un contest organizzato da Google Brasil.

Le idee dovevano proporre innovazioni tecnologiche da essere realizzate attraverso l’ausilio dei prodotti Google, a servizio della comunità locale o mondiale. La mia idea proponeva un mapping del livello di inquinamento dell’aria, proposto come contenuto interattivo e incluso come data in Google Maps.

É un progetto che ho conservato in quesi anni a cui ho anche dedicato un personale brand refresh per mantenerlo in linea con i look & feel più recenti di Material Design. Fu il primo progetto dove ebbi l’opportunità di dimostrare a me stesso che potevo curare da solo alcune delle fasi chiave di un prodotto di design: Idea, Concept, UX e UI.

La mia idea fu una delle 10 finaliste selezionate fra le migliaia inviate da tutti gli stati del Brasile e anche sottoscritte dalle maggiori agenzie creative nazionali.

La creazione dell’idea e il riscontro ottenuto durante l’evento a cui partecipammo di persona sono ricchi di ricordi che custodisco con soddisfazione.

Negli anni successivi la stessa Google cominció a sviluppare una idea simile che utilizzava le auto della tecnologia Street View per mappare le aree di inquinamento e ad oggi questa funzione é largamente diffusa e disponibile in molte app di meteo. Per me é stato interessante osservare come anche io nel mio piccolo, nel lontano 2012, mi trovavo in sintonia con innovazioni tecnologiche di questa dimensione.



P - Davvero impressionante. E quale tipo di tecnologia utilizzi per sviluppare questo tipo di progetti? Suppongo che le suite di Adobe la facciano da padrone in tutto il globo. E’ così?


D - Si il pacchetto Adobe é un tool che ogni studio o agenzia acquista per il proprio team. Io utilizzo sopratutto Illustrator, PhotoshopFigma e Principle per il prototyping visivo. Fino a qualche tempo fa, iI tool di riferimento per la UI era invece Sketch.
Con il remote working adottato dalle aziende in seguito alla pandemia, altri software spesso accessibili tramite browser, hanno avuto più successo perché facilitano la collaborazione in tempo reale. Per esempio in alcuni casi dove i vari team si riuniscono per lavorare ad un workshop o un brainstorm – spesso si preferisce accedere a Miro (o soluzioni simili) che permettono di lavorare su board digitali per condividere e archiviare idee e informazioni.



© Daniele Signoriello


P - Davvero molto interessante. Visto che accennavi a Figma, hai sentito della sua recente acquisizione da parte di Adobe? Se ho capito bene oltre manica si usa tanto. Ma in cosa trovi più performante FIGMA rispetto per esempio a XD?



D - Nei progetti a cui ho partecipato, non ho avuto l’occasione di testare XD perché di solito i team creativi adottano un tool unico che viene scelto come riferimento per tutti. Il successo di Figma é stato prevalentemente relativo alla sua capacità di automatizzare molte attività che spesso neanche Sketch era in grado di assicurare con facilità. La caratteristica primaria é l’archiviazione dei file nel cloud e la possibilità di recuperare versioni precedenti di un documento, attraverso la funzione ‘Version history’.

Inoltre, creare e condividere un Design System su Figma é molto semplice e stabile. Le funzioni di Inspect per developers sono già incluse nello stesso file e non vi é più, ad esempio, la necessità di pubblicare i design su Zeplin. Con la recente acquisizione di Figma da parte di Adobe mi aspetto interessanti integrazioni con la suite – sia queste incluse come funzioni native o accessibili attraverso plugins.



P - Certo, chiarissimo.  A proposito di team e lavoro di squadra, come è stato integrarsi in agenzia, insomma, era tutto nuovo per te, la lingua, la città, la cultura. Praticamente un salto nel buio.


D - Vivere e lavorare fuori dall’Italia ti cambia se sei disposto a farlo. Bisogna nella maggior parte dei casi provare ad avere un punto di vista più flessibile rispetto alle situazioni. Qui a Londra e soprattutto nel nostro settore, si incontrano molte culture diverse ma sul posto di lavoro non ci sono e non dovrebbero mai esserci bandiere, razze o generi.

Il mio consiglio é di rimanere fedeli alla propria essenza sempre nel rispetto altrui. Ció ti aiuta ad integrarti più facilmente nel tessuto sociale e lavorativo con un attenzione a mantenere un profilo basso e neutrale senza nessuna forma di ego.

Avere un buon livello di conoscenza della lingua é importante sia per comunicare col proprio team che per collaborare con i clienti – in alcuni casi invece, un livello di inglese intermediate che ti permetta di capire il brief e le task da eseguire, può essere talvolta sufficiente per far parte di un team creativo con risultati soddisfacenti.

A Londra ci si sente sempre un turista anche dopo molti anni e c’é sempre qualcosa da scoprire. Per me l’impatto con la città non é stato traumatico perché l’esperienza di San Paolo mi aveva già abituato ad una realtà simile. Inoltre Napoli nel suo piccolo, ha le caratteristiche di una metropoli e noi del sud in generale (dipendendo sempre dalla nostra storia e background) abbiamo una naturale capacità di adattarci che ci aiuta in ogni singola situazione.



P - Concordo pienamente. Ad ogni modo, anche se lo fai sembrare una passeggiata, non deve essere stato semplice, ti ammiro moltissimo. E quando proprio ti sembrava di sentire "too much pressure"?


D - Io personalmente metto su una bella canzone di Pino Daniele che mi ricollega alla mia città e mi fa ricordare chi sono e da dove vengo. Spesso la musica ci aiuta a staccarci un po’ dalla realtà quando ci sentiamo un po’ persi. In questi casi, molti di noi ci andiamo a ritagliare un spazio per riflettere e ricaricare le energie mentali. A volte basta semplicemente una camminata durante una pausa pranzo per ritrovare il piglio e l’ispirazione giusta.

Capita a tutti di avere un giornata dove si é meno produttivi ma basta avere fiducia che il giorno dopo é possibile recuperare il ritmo che cercavamo. Lavorando in team d’altronde, é più semplice perché le responsabilità possono essere spesso condivise.



P - Questo della musica mi sembra un ottimo suggerimento per tutti quelli che temono di non gestire bene l‘ansia. Perché poi specie all‘inizio, non c‘è solo il lavoro a cui pensare, bisogna occuparsi di tutto, dalla casa, alle questioni burocratiche...


D - Non é sempre facile affrontare tutto perché nella vita possono capitare vari imprevisti. Quando pensi di essere pronto a tutto ti capita di smarrirti alle prime difficoltà. In quei casi, se si incrociano le dita e si spera che la burrasca passi in fretta, nella maggior parte dei casi si ottiene un risultato opposto. Non è sempre semplice ma bisogna provare a rallentare il ritmo in modo da risolvere i problemi uno alla volta.

Per quanto riguarda le questioni burocratiche incluso la ricerca di una sistemazione, fortunatamente nel Regno Unito non ci sono molti impedimenti riscontrabili nel sistema italiano e questo aiuta molto anche coloro che sono agli inizi.



P - Spiegami meglio. Questa sembra essere un’informazione davvero interessante per i nostri lettori.


D - I servizi governativi per esempio sono tutti online e i cittadini non sono obbligati a recarsi personalmente ad uno sportello di immigrazione per la richiesta di un visto o il rilascio di un documento di identità. Anche il sistema medico segue gli stessi principi quindi il cittadino riesce ad avere un controllo più preciso dei propri diritti. Tutto questo aiuta a ridurre lo stress anche per coloro che sono in procinto di trasferirsi per motivi di lavoro o studio.

In alcuni casi le agenzie possono dare supporto nella ricerca di una sistemazione nel caso in cui si provenga dall’estero.



P - un motivo in più per pensare seriamente di fare questa esperienza. But the question of the ages is: dopo 10 anni a Londra, ti sentiresti di suggerire ad un diplomato di provarci? Ci sono realmente possibilità di riuscire a costruirsi un futuro? Dopotutto avranno anche gli inglesi i loro bravi designer.


D - Con le nuove leggi, potrebbe esse più complicato conseguire un lavoro perché bisogna ricevere un invito da parte di un’azienda che dovrà avere l’interesse a investire su un individuo che risiede al di fuori dal territorio britannico.

Il mercato del lavoro a Londra é molto attivo e la richiesta di personale é molto viva. C’é una grande rete di recruiter ad indirizzo creativo che lavora molto sul networking con le aziende. Il mio consiglio é di costruirsi un buon portfolio che possa riflettere al meglio le proprie qualità e anche se a distanza, cominciare a creare un contatto con i recruiter in modo da individuare – in accordo con le attuali leggi di immigrazione, le opportunità che offre il mercato.

Però in generale mi sento di dire che prima di tutto bisogna seguire il proprio istinto e gli interessi cercando di non sentirsi legato ad un paese o ad una cultura. Essere aperti al cambiamento.



P - Hai ragione. Daniele dal tuo interessantissimo racconto mi pare di capire che difficilmente ritornerai in Italia, mi sbaglio?


D - Anche se preferisco non fare programmi a lungo termine, per scaramanzia preferisco rispondere con un ‘Mai dire mai’.



P - Ok, non voglio rubarti altro tempo, è stato tutto molto interessante. Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza, sono sicuro che tornerà utile a molti giovani designer e creativi che non vedono l‘ora di poter affermarsi.


D - Grazie mille per l’invito. Lasciami fare un augurio e un saluto a tutti i vostri lettori e studenti, nella speranza di riuscire a realizzare i propri sogni e ambizioni.




Il suo portfolio


DANIELE SIGNORIELLO

20.09.2023 # 6338
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

jekyll & hyde per Missoni: la nuova identità visiva nasce dall‘heritage del brand

Missoni, marchio italiano di moda di fama internazionale, ha scelto lo studio grafico milanese jekyll & hyde, fondato da Margherita Monguzzi e Marco Molteni per aggiornare la sua brand identity.

Missoni, marchio italiano di moda di fama internazionale, ha scelto lo studio grafico milanese jekyll & hyde, fondato da Margherita Monguzzi e Marco Molteni per aggiornare la sua brand identity.
 
"La stretta collaborazione con l‘azienda ci ha permesso di immergerci nell‘heritage e nell‘essenza più autentica del brand. Basandoci su queste fondamenta, abbiamo ideato il nuovo sistema visivo, con il fulcro rappresentato dall‘introduzione dello zig zag utilizzato come simbolo iconico. Questo segno non solo incarna la nuova direzione del brand, ma affonda le sue radici nella storia stessa di Missoni" spiegano i due direttori creativi di jekyll & hyde. 
 
Il simbolo è stato messo in dialogo anche con la sua classica applicazione come pattern, per definire la linea di packaging e altri elementi della nuova identità, creando così un impatto contemporaneo e fedele alla storia del brand in tutti gli strumenti di comunicazione.
 
"Oggi, i brand devono operare globalmente e digitalmente, adattandosi a diversi formati e dimensioni e garantendo comprensibilità in varie regioni del mondo. Questo ha influenzato altri due temi del lavoro: la creazione di una versione ridotta del logo per assicurare leggibilità e versatilità in ogni contesto, e la progettazione del logo in versione cinese per penetrare nei nuovi mercati orientali" aggiungono.
 
Lo studio ha infine creato le linee guida di tutte le applicazioni, per assicurare coerenza nei diversi touchpoint sviluppando un progetto che ridefinisce l‘identità visiva di Missoni, dimostrando ancora una volta la capacità di questo brand di evolvere senza mai perdere le proprie radici.
 
 

 
jekyll & hyde 

è uno studio di graphic design e comunicazione visiva fondato a Milano nel 1996 da Marco Molteni e Margherita Monguzzi. Numerosi progetti dello studio sono stati segnalati e premiati a livello nazionale e internazionale.
 
via Valtellina, 67 - Milano - Italy

22.05.2023 # 6278
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Marco Maraviglia //

Peggy Kleiber e le emozioni della vita

Per la prima volta l‘opera e l‘archivio in mostra di una fotografa svizzera autodidatta, tra foto di famiglia e viaggi nell‘Italia degli anni ‘60 e ‘70

Non era una misteriosa bambinaia che aveva i libri sullo scaffale con il dorso contro il muro e con l‘hobby della fotografia (v. Vivian Maier). Non era nemmeno la Regina Elisabetta di cui tutte le foto di famiglia che ha scattato non sapremo se riusciremo mai a vederle. E qui non si tratta nemmeno di un ritrovamento fortuito di lastre fotografiche in un mercatino e realizzate da un eccellente anonimo fotografo.

Di Peggy Kleiber si sa abbastanza della sua vita. Una vita trascorsa a immortalare i momenti felici e salienti della sua famiglia che la stessa ha voluto generosamente condividere pubblicamente il suo archivio fotografico.

 

Le fotografie del passato sono una preziosa memoria storica che non riguarda i fatti documentati di per sé, ma è universale, patrimonio dell‘umanità che non può non fare i conti col passato per conoscere il “come eravamo”.

Ci sono persone che preferiscono essere proiettate verso il futuro o il presente. Emotivamente non reggono la visione delle fotografie di famiglia dei tempi andati. Tendono a rimuovere i ricordi forse per non avere rimpianti, rimorsi o per non rivivere il dolore dell‘assenza dei propri cari. Non tutti hanno (avuto) la pazienza o il tempo di metabolizzare il passato esorcizzando un malessere latente che può esserci in ognuno di noi, trasformandolo in ricordi naturali da vivere con serenità. E purtroppo molti archivi fotografici di famiglia non vedranno mai la luce delle gallerie. Chissà quante belle immagini saranno disperse, dimenticate o custodite gelosamente per “rispetto della privacy” o per l‘inconsapevolezza del tesoro antropologico posseduto.

Non c‘è nessuno da condannare per questo.

Ma questa è un‘altra storia.

Due valigie cariche di negativi e stampe fotografiche ritrovate. 15.000 fotografie scattate tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ‘90. Attimi di vita ripresi spontaneamente, senza intento commerciale/professionale e per questo si tratta di fotografie fresche, genuine, spontanee. Senza particolari sovrastrutture di impronta tecnica: è il bello di certa fotografia amatoriale, quella istintiva, realizzata con partecipazione emotiva, che restituisce la bellezza emozionale sentita da chi le scatta.

La scoperta di questo materiale arriva dopo la morte dell‘autrice, Peggy Kleiber, avvenuta nel 2015. In seguito la famiglia decide di valorizzare e rendere pubblico questo importante patrimonio rimasto a lungo nell‘oblio. Nel 2019 si pensò quindi di voler realizzare una mostra iniziando a digitalizzare una parte dei negativi ritrovati.

 

Peggy Kleiber cresce in una famiglia numerosa e vivace a Moutier in Svizzera. Tra le passioni della poesia, musica e letteratura, coltiva la passione per la fotografia. Non fa della fotografia una professione anche perché dalla fine degli anni ‘70 diventa insegnante, senza comunque abbandonare la Leica. La sua ricerca abbracciava la vita privata e la storia collettiva. Fotografie che sì, raccontano attimi intimi di vita familiare ma ricercava la stessa intimità ed empatia quando fotografava i luoghi che visitava nei suoi viaggi in Italia e in Europa.

 

In mostra ci sono 150 fotografie e una selezione delle stampe ritrovate, nei loro formati originali. Tutte scattate da Peggy Kleiber con la sua Leica M3, dotata di esposimetro sul corpo macchina. Con la bellezza dell’assenza di fotoritocco digitale: pure, così come ritrovate.

E poi c’è un video che ripercorre la riscoperta dell‘archivio attraverso i materiali inediti e filmati Super8 di famiglia.

La mostra è in due sezioni: una dedicata alla famiglia con immagini dei momenti salienti (cerimonie, nascite, compleanni, gite…) e l‘altra dedicata ai viaggi in Europa e in Italia, in particolare in Sicilia e a Roma alla quale era particolarmente legata, a partire dai primi anni ‘60. Immagini che non colsero solo la parte turistico-monumentale e artistica della città, ma con excursus nelle periferie che lasciano ricordare le storie di borgate di P. P. Pasolini.

Si tratta di entrare in una storia lunga 40 anni di un mondo che ha subìto repentine trasformazioni sociali, culturali e paesaggistiche.

Fotografie, queste di Peggy, che ci spingono a prestare attenzione alle emozioni tra le persone e alle loro sfumature nei gesti.

Qualcosa di cui abbiamo dimenticato.


Bio (dal comunicato stampa)

Nata il 25 giugno 1940 a Moutier, Peggy Kleiber cresce in un ambiente ricco di stimoli culturali, con tanti fratelli e sorelle. Peggy è la secondogenita: vivace, sensibile, curiosa e generosa. Ama la letteratura e la musica, incontra la passione per la fotografia nel 1961 ad Amburgo, frequentando la scuola Hamburger Fotoschule. Questa esperienza segna un punto di svolta nella vita di Peggy: da quel momento, la sua Leica M3 la seguirà in ogni momento, nei riti di famiglia e nelle ricorrenze, così come nei viaggi all‘estero, alla scoperta del mondo.

Dall‘inizio degli anni ‘60 viaggia in tutta Europa (Parigi, Praga, Amsterdam, Leningrado, solo per citare alcune destinazioni), dedicando una grande attenzione all‘Italia: Roma e la Sicilia sono due capitoli importanti che le permettono di sperimentare e di lasciarsi incantare da luoghi ignoti.

Per Peggy Kleiber la macchina fotografica è un modo per nascondere e rivelare, anche se stessa. Lo fa attraverso lo splendido ciclo delle foto di famiglia, racchiuse nel libro autoprodotto “Rue Neuve 44 Cronaca della vita familiare 1963-1983” e donato ai suoi parenti nel 2006. Dalla fine degli anni ‘70 in poi si dedica con passione all‘insegnamento, senza abbandonare la fotografia, che diventa un modo per ripensare a distanza di tempo all‘intreccio dei rapporti di una vita. Peggy scompare prematuramente nel 2015.

 

 

 

Peggy Kleiber. Tutti i giorni della vita (fotografie 1959 -1992)

a cura di Arianna Catania e Lorenzo Pallini

Museo di Roma in Trastevere

Roma, Piazza S. Egidio 1/b

19 maggio -15 ottobre 2023

Da martedì a domenica ore 10.00 - 20.00

La biglietteria chiude alle ore 19.00

Chiuso lunedì.

 

L‘esposizione è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e realizzata dalle associazioni culturali Marmorata169 e On Image, con la collaborazione dell‘associazione Les photographies de Peggy Kleiber. Servizi museali Zètema Progetto Cultura.

03.08.2022 # 6107
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

Gen Z, come i nativi digitali sfidano i grandi marchi di intrattenimento

Come le nuove generazioni hanno cambiato le aziende

Cresciuti in un periodo di rapidi cambiamenti nella tecnologia e nella società, i membri della Generazione Z, definiti come nati tra il 1995 e il 2010, hanno caratteristiche diverse da qualsiasi altra generazione perché sono nati già immersi totalmente nel mondo connesso e tecnologico che conosciamo.

Questa familiarità, che potrebbe presupporre una facilità da parte delle aziende di intrattenimento nell‘agganciare gli utenti di questa generazione e attrarli verso i propri contenuti, rappresenta in realtà un‘arma a doppio taglio perché la familiarità comporta un alto livello di assuefazione e disinteresse verso i contenuti digitali che tendono a somigliarsi e a sovrapporsi gli uni con gli altri, finendo per scomparire dal radar.

Essendo una generazione di creatori i Gen Z si vedono come trendsetter e vogliono influenzare chi li circonda: la tendenza attuale non è più presentare qualcosa focalizzando sul proprio vissuto, ma presentare qualcosa che nessun altro ha ancora mai provato o visto. Chi riesce nell‘intento e ha un buon seguito, di solito poi riesce a creare una tendenza intorno a quel marchio o quell‘argomento al punto da stimolare i follower a seguirlo per restare al passo. 

Se in un primo momento questo ha scatenato reazioni in parte contrastanti (il fenomeno degli influencer è stato spesso oggetto di critiche e in egual misura di apprezzamenti) adesso sembrerebbe essersi fatto finalmente strada il principio secondo cui ognuno andrebbe incoraggiato a esprimere il proprio gusto, stile, le idee e per far questo tutte le aziende si sono orientate a fornire strumenti specifici per personalizzare l‘esperienza e migliorare la self-presentation con software, elementi interattivi, azioni o effetti speciali che possano aiutare la creatività a esprimersi al massimo. 

Andando più in profondità, occorre osservare che i membri della Gen Z sono anche quelli che più di ogni altro gruppo hanno colonizzato il mondo virtuale, preferendo esprimere i propri sentimenti, aspirazioni, sogni condividendo contenuti con le ben più ampie fandom e i gruppi online con i quali si hanno interessi in comune anziché farlo nel ristretto ambito degli amici, o dei gruppi familiari o scolastici/universitari. In sostanza molto più che in qualunque altra generazione, i Gen Z considerano il mondo virtuale esattamente al pari di quello reale, fisico, e interagiscono con esso senza distinzione alcuna. 

Anche in questo i marchi di intrattenimento hanno dovuto rincorrere questo specifico pubblico rafforzando tutto il mondo di contenuti che orbita intorno ad una serie tv, un videogioco, un prodotto digitale rafforzando il prodotto principale con strategie di marketing come la creazione di spazi di fandom, mantenendo uno spettacolo o un titolo in primo piano, creando spazi incentrati sui fan nei gruppi di Facebook per incoraggiare gli utenti a costruire nuove community.

Evidentemente questo si porta dietro un altro aspetto estremamente interessante, che riguarda il legame che si costruisce tra utente e marchio. Non si era mai osservato prima una connessione così forte, personale, con le aziende e i loro marchi. Incoraggiare il pubblico e offrire loro spazi con possibilità di personalizzare l‘esperienza totalmente su misura dei propri desideri ha la conseguenza di costruire una sorta di casa virtuale nella quale sentirsi a proprio agio e, più le aziende sono capaci di intercettare le differenti sensibilità, più si rafforza il loro legame con i propri utenti riconoscendo convinzioni, valori e personalità simili a quella marca.

Avendo incluso il mondo virtuale tra i luoghi abitualmente frequentati ed essendo, in quanto umani, alla ricerca di una connessione personale e di una relazione (anche con i marchi), soprattutto quando le loro scelte su come trascorrere il tempo libero digitale si espandono, i membri della Gen Z si aspettano che i marchi siano come amici quando interagiscono con loro sui social media, al pari di quanto accade con le persone che conoscono. Questo è un elemento degno di nota perché si è osservato che quando i marchi di intrattenimento personalizzano le interazioni, aprono opportunità di scoperta e instaurano relazioni durature con i clienti. 

La sfida non riguarda soltanto la capacità delle aziende di stabilire una connessione, possibilmente duratura e sincera, ma saper intercettare e condividere i temi di giustizia sociale che sono tanto a cuore a questa generazione e trovare il modo di connettere i valori del marchio alle istanze che gli utenti ritengono essere elementi fondamentali della propria identità.
Molto più che condividere hashtag in occasione di eventi o manifestazioni è risultato premiante costruire strategie di giustizia sociale e mantenerle attive, coinvolgendo gli utenti nel raggiungimento degli obiettivi, fianco a fianco, esattamente come farebbero due buoni amici.

30.03.2022 # 5962
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

La rivista anni Trenta “Campo Grafico” in mostra all’ADI Design Museum

La mostra è ad accesso libero e visitabile fino a domenica 10 aprile.

Alla vigilia dei 90 anni dalla pubblicazione, in occasione della mostra “Campo Grafico 1933/1939: nasce il visual design” – curata da Gaetano Grizzanti, Mauro Chiabrando e Pablo Rossi presso l’ADI Design Museum – vengono esposti per la prima volta tutti i 66 numeri della rivista, a testimoniare l’importanza di un fenomeno culturale riconosciuto a livello mondiale.

La mostra è ad accesso libero e visitabile fino a domenica 10 aprile.

Campo Grafico nasce a Milano sotto l’influenza delle grandi avanguardie culturali e artistiche del ‘900, divenendo rapidamente il luogo geometrico dove si incontrano le tendenze e le correnti ideali che daranno luogo all’Italian Style per la Tipografia e la Comunicazione.

Le 1.650 pagine (più 54 fuori testo e 114 inserti applicati a mano) dei 66 numeri esposti – oggi interamente digitalizzate e di libera consultazione su www.campografico.org – testimoniano l’impatto di questa rivista che, pur essendo tirata in sole 500 copie, è riuscita a comunicare con chiarezza «la mutabilità di tendenze e di mezzi in questa epoca di profonda progressione».

Un pugno di padri “fondatori” del graphic design, tra cui Attilio Rossi, Carlo Dradi, Guido Modiano, Luigi Veronesi, Enrico Bona, Ezio D’Errico, Antonio Boggeri e Bruno Munari guida tra le due guerre quella che è una vera rivoluzione, che, una volta iniziata apre la strada a modalità del tutto diverse di coniugare testi e immagini nella grafica.

Simbolicamente Campo Grafico decolla proprio mentre il nazismo chiude il Bauhaus. La rivista approfitta del fatto che il fascismo non aveva un pensiero unico nell’arte e nella cultura e quindi può portare avanti un’azione di rinnovamento in qualche caso iconoclasta anche verso protagonisti del Regime. Ma non mancheranno momenti di duro confronto quando nel 1934 Attilio Rossi, primo direttore della rivista, rifiuta di pubblicare sulla rivista i manifesti di Persico e di Nizzoli favorevoli al Plebiscito voluto da Mussolini.

La rivista proseguirà negli anni le proprie pubblicazioni con alterne fortune, esaurendo nel 1939 quello che era stata la spinta propulsiva degli inizi. Ma la sua straordinaria qualità e la sua capacità di avere uno “sguardo lungo” nel lanciare il graphic design, oggi la riportano più che mai al centro della scena culturale.

La mostra ha prodotto un catalogo, graficamente in stile iconista (design: Gaetano Grizzanti e Giancarlo Tosoni) tirata in 500 copie numerate, esclusivamente acquistabile presso AIAP Edizioni: www.aiap.it




Mostra: Campo Grafico 1933/1939: nasce il visual design
Luogo: ADI Design Museum
Indirizzo: Piazza Compasso d’Oro 1, 20154 Milano
Ingresso: gratuito / entrata da Via Ceresio 7, Milano
Date di apertura: dal 25 marzo al 10 aprile 2022
Orari di apertura: 10.30 - 20 (chiuso il lunedì)


Cos’è Campo Grafico

A Milano tra le due guerre, “Campo Grafico - Rivista di tecnica ed estetica grafica”, si impone come la più originale impresa collettiva in quelli che retrospettivamente sono definiti gli anni “creativi”, quando alla Galleria Il Milione o al Bar Craja nascevano i fermenti del gusto moderno: si passava dalle discussioni sull’arte astratta e le sue mostre al dibattito sul destino dell’architettura, fino alla nuova tipografia, proprio quella presentata nella Sezione Grafica della Germania 1933 alla V Triennale e simboleggiata dal carattere Futura di Paul Renner.

La Rivista diverrà subito anche un ideale punto di aggregazione di spiriti liberi e indipendenti, molti dei quali destinati a restare nel più assoluto anonimato. Qualunque fosse la loro formazione, tecnica e/o artistica, erano menti aperte agli stimoli intellettuali che avevano caratterizzato le avanguardie europee nell’ultimo decennio.

Come ebbe a ricordare cinquant’anni dopo Attilio Rossi – il primo direttore della rivista Campo Grafico – «erano le esperienze e gli insegnamenti della Bauhaus e di altre avanguardie europee in tutti i campi della cultura, che confluivano programmaticamente in una rivista sperimentale di arti grafiche totalmente nuova».

L’avventura comincia nel 1932 in una trattoria di Via delle Asole a Milano, dove si riuniva periodicamente il nucleo dei fondatori. C’era l’esigenza di un profondo svecchiamento del settore: tecnicamente si voleva portare la qualità tipografica all’altezza della fotografia; esteticamente occorreva superare le barriere e i limiti costituiti delle rigide simmetrie neoclassiche e dalla concezione della tipografia come arte, tradizionali cavalli di battaglia del “Il Risorgimento Grafico” di Raffaello Bertieri. 

Tra i primi “campisti” – come venivano chiamati i collaboratori della rivista Campo Grafico – figurano nomi dei “padri fondatori” del graphic design, tra i quali: Attilio Rossi, Carlo Dradi, Guido Modiano, Luigi Veronesi, Enrico Bona, Ezio D’Errico, Antonio Boggeri e Bruno Munari.

Finalmente si potevano dibattere gli argomenti della nuova estetica grafica che Guido Modiano e Edoardo Persico avevano anticipato sulla rivista “Tipografia” tra il 1931 e il 1932, ma anche l’identità e il ruolo della nuova figura professionale del “progettista grafico”, passando necessariamente attraverso un profondo rinnovamento dei programmi di insegnamento nelle scuole professionali.
Il miracolo diventa possibile grazie all’opera gratuita e volontaria di addetti ai lavori (tipografi, compositori, litografi, linotipisti, fototipisti e grafici) e alla ospitalità – ma in orario festivo – di alcune tipografie.

Appoggiavano l’impresa anche diversi amici sostenitori provenienti da altri ambiti – pittori, scenografi, scultori, architetti – i quali ogni sera si trovavano nello Studio Dradi-Rossi in via Rugabella 34 a Milano (presso cui dal 1934 era ospitata la sede della rivista), superando di fatto la distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

Le 500 copie della tiratura di ogni numero erano vendute in abbonamento a sostenitori e tipografi – molto spesso usate dai proto come strumento di lavoro – e ciò spiega in larga parte perché le collezioni complete dei 66 fascicoli pubblicati, pervenute ancora integre ai nostri giorni, si contino sulle dita di una mano. 

Oltre alla pubblicità e agli articoli, la rivista conteneva spesso anche allegati fuori testo, dove figuravano applicati vari stampati, come: copertine di libri, carte da lettere, biglietti d’auguri, avvisi di chiusura per ferie, manifesti, pieghevoli, cartoline, progetti grafici degli allievi delle scuole, annunci, listini… alcuni dei quali inseriti anche sciolti nei fascicoli.


L’Associazione Campo Grafico

Il 31 gennaio 2013 – a 80 anni dalla pubblicazione di "Campo Grafico / Rivista di Estetica e Tecnica Grafica" – Gaetano Grizzanti costituisce a Milano l’ASSOCIAZIONE CAMPO GRAFICO (associazione culturale, apartitica, aconfessionale, senza finalità di lucro), insieme con Mauro Chiabrando e ai figli dei fondatori della Rivista: Massimo Dradi (scomparso nel 2018) e Pablo Rossi.

L’Associazione – quale organismo ufficiale e fonte autorevole sulla storia di Campo Grafico – è nata con lo scopo di preservare la memoria culturale e documentale della rivista originale, realizzata a Milano dall’anno 1933 all’anno 1939.

Grazie alla sua opera pionieristica nel settore dell’arte grafica e tipografica, tuttora riconosciuta in tutto il mondo in quanto incubatrice del moderno design di comunicazione, "Campo Grafico" ha rivoluzionato l’approccio alla disciplina della progettazione grafica, costituendo oggi un vero e proprio patrimonio culturale italiano e globale.

Nel raccogliere l’ideale lascito testamentario della Rivista, attraverso la stessa anima pionieristica dei “campisti” di allora e in continuità coi loro princìpi estetici e le loro intenzioni pragmatiche, l'Associazione intende divulgare e promuovere – attraverso lo studio del pubblicato e l'analisi del suo contesto storico – lo spirito originario della “cultura di progetto”, intesa quest’ultima come percorso intellettuale, accademico e sperimentale che intreccia e coinvolge i settori della grafica, della tipografia, della stampa, del design, dell’arte, dell’editoria e della comunicazione visiva in genere.


ASSOCIAZIONE CAMPO GRAFICO
Via Eugenio Torelli Viollier 1
20125 Milano
Codice fiscale: 08156350962

Contatti stampa:
Gaetano Grizzanti
Cell. 335 83 67 976
info@campografico.org

27.01.2022 # 5888
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Daria La Ragione //

Lasciateci le ali. Il reportage fotografico di Kira Marinova su Auschwitz.

Gli scatti di Kira Marinova raccontano la vita di un sopravvissuto che con la propria testimonianza ne ha ispirato lo storytelling.

LASCIATECI LE ALI

Chi è andato ad Auschwitz lo sa: la persona che va non è la stessa che torna.
Durante il viaggio di andata la mente è piena di tutto ciò che ha letto, sentito, immaginato.
Spesso nemmeno sa di andare a visitare due posti distinti: Auschwitz e Birkenau, campo di lavoro il primo, campo di sterminio l’altro.




Auschwitz è un posto pieno di fotografie, per ognuna c’è un nome, un’età, e i giorni che è riuscita a sopravvivere in quel luogo.
È anche pieno di oggetti: occhiali, scarpe, protesi, lattine di Zyclon B, migliaia di oggetti che ricordano migliaia di esseri umani trasportati in quei luoghi.
Molte foto sono state scattate. Molte storie raccontate. Eppure è come se tutto ciò rischiasse continuamente di sbiadire, scomparire, banalizzarsi.


È difficile dire quale luogo sia più angosciante. Birkenau è un insieme di casermoni senza porte, senza null’altro che strutture in cui stendersi a morire di freddo e stenti, è un luogo dove agli uomini e alle donne si è tolto tutto, finanche l’umanità.
Ma Auschwitz mette davvero i brividi. Perché è un posto carino, con file di palazzine di mattoni rossi ordinati, alberi  disposti in filari, che probabilmente erano già lì quando Kapò e poveri cristi si dividevano quegli spazi. Sembra un quartiere dormitorio a margine di una fabbrica. Te lo immagini popolato da operai.
E invece sono morti viventi quelli che ci hanno vissuto. 



E alcuni di loro, che sono sopravvissuti, hanno ancora una storia da raccontare.
86 anni, nella libreria di Birkenau, è fermo là, per chiunque voglia ascoltare la storia di un ragazzino di 14 anni che non è morto perché era troppo alto, troppo più alto dei suoi coetanei per essere mandato con loro a morire o farsi torturare dai medici. È là, racconta, parla. E quando si va via, con una scheda di memoria (che ironia!) piena di scatti, cresce passo dopo passo l’urgenza di raccontare, di non lasciar svanire, di far sapere a tutti.
Ecco perché continuare ad andare. Ecco perché continuare a fotografare.
Per non essere più spettatori. Per diventare testimoni.

















In occasione della giornata della memoria Ilasmagazine pubblica gli scatti di Kira Marinova.




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