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06.10.2022 # 6148
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Un presente all‘insegna della creatività, tra passato e futuro della professione

Paolo - Ciao Daniele e grazie per aver accettato di fare questa intervista. Sono davvero contento di ritrovarti dopo così tanto tempo, immagino avrai molte cose da raccontare, perciò forse è il caso di procedere con ordine. Intanto possiamo inquadrare il presente. Dove ti trovi attualmente e di cosa ti occupi?


Daniele - Il piacere é tutto mio. Da qualche anno vivo a Londra dove lavoro attualmente come Senior Designer presso AKQA.

L’Ilas é stata una tappa fondamentale per il mio percorso formativo. Mi ha permesso di mettere in pratica le conoscenze accumulate al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti, con una visione concreta applicata alla progettazione grafica e all’ideazione di campagne pubblicitarie.

L’esperienza della Ilas mi ha permesso di conoscere persone fantastiche a cui devo tanto, a cominciare dal direttore Angelo Scognamiglio, e tutti i colleghi che sono ancora lì con voi. Da ognuno di loro e soprattutto da te, ho ricevuto insegnamenti e consigli preziosi che ancora oggi applico nel mio lavoro.


P - Aspetta un attimo. Ci siamo lasciati più di 10 anni fa che la tua destinazione era il Brasile, San Paolo per la precisione. Com‘è che sei finito a Londra?


D - E’ vero, ricordi bene. E’ andata così: nel 2013 dopo aver fatto parte del team di SapientNitro di San Paolo in Brasile, mi sentivo pronto per ritornare in Europa e Londra mi sembrava il luogo giusto perché offriva opportunità per certi versi simili al Brasile. Ebbi la fortuna di ottenere il trasferimento presso gli uffici della futura Publicis.Sapient dove avrei cominciato un cammino lungo quasi 9 anni. Ed eccomi qua.



P - Quindi il Brasile è stato la tua prima tappa professionale fuori dai confini italiani. Raccontami.


D - Nel 2009 durante il mio anno di corso di Grafica e Web all’Ilas ho avuto l’opportunità di unirmi al team di Argentovivo / Ilas dove mi é stata data l’opportunità di imparare e lavorare su progetti interessantissimi per clienti esterni e sulla progettazione del materiale comunicativo per la scuola.

Dopo un anno in agenzia come Junior Art Director ho scelto insieme alla mia attuale compagna di fare un’esperienza nel suo paese di origine, il Brasile e in particolare a San Paolo.
 San Paolo é una delle maggiori capitali per il settore creativo a livello mondiale e in particolare per il  digital design. Era la mia prima esperienza all’estero in una città da più di 12 milioni di abitanti. Un‘isola creativa dalle mille opportunità, piena di talenti straordinari e gente unica. Prima della mia partenza da Napoli riuscii a fare un colloquio con una agenzia situata in una città poco distante da San Paolo che apprezzó tantissimo il mio portfolio formato dai lavori che avevo realizzato come studente Ilas e visuals sviluppati con l’agenzia Argentovivo.

Dopo il primo lavoro in terra brasiliana e dopo le prime soddisfazioni decidemmo di spostarci a San Paolo dove il livello di difficoltà sarebbe aumentato da tutti i punti di vista. Un grande passo che fortunatamente si concretizzò in un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di continuare a fare fino ad oggi il lavoro che mi piace e che spero di poter perseguire per molti anni.

L’agenzia a cui forse devo di più durante il periodo trascorso a San Paolo é stata la Grïngo (che fu successivamente acquistata dal gruppo WPP sotto il nome di Possible Worldwide) diretta da André Matarazzo  una delle menti creative più influenti del nostro settore. Con loro ho partecipato a campagne per brand come Coca-Cola e Absolut Vodka nonché su ulteriori progetti e pitches. L’alto ritmo di lavoro e le forte pressioni che si vivono in queste realtà mi hanno permesso di acquisire sempre più fiducia nei miei mezzi – e fu questo banco di prova, insieme alla passione che nutro per il design che mi spinsero a cercare nuove esperienze. Così come il design si evolve nel tempo, la comunità dei designer si muove nella stessa scia che ti porta di continuo a confrontarti con nuove sfide – e Londra per me è stata una di queste.


P- Ok, siamo tornati a Londra. Mi hai detto che ricopri il ruolo di Senior Designer presso AKQA che suona un po’ come una sorta di supervisor. Non dirmi che hai rinunciato alla creatività! Ricordo che ripetevi spesso "toglietemi tutto ma non la possibilità di creare, disegnare". Ti prego, rassicurami.


D- Il team di AKQA é composto da designers, creative developers, 3D artists e creativi dal background straordinario. Le ispirazioni provengono da molteplici fonti e la passione per il design é viva in ogni step del processo creativo perché fa parte della filosofia dell’azienda.

Il ruolo di Senior Designer mi permette di toccare con mano le fasi più importanti di un progetto – dal concept alla realizzazione del prodotto finale. Ogni progetto ha una storia a sé ed i team vengono strutturati in modo diverso. Le figure con le quali collaboro di più ogni giorno sono i creative directors e i designers di UX. Le consegne dei batch (per esempio gruppi di template o components di un app design) vengono spesso organizzate su Design Sprints che hanno di solito la durata di una o due settimane ciascuno.

Una delle sfide più elettrizzanti é proprio quella di lavorare sotto pressione soprattutto quando il tempo a disposizione per la fase di concept (anche detta Discovery Phase o Design Exploration) é molto breve. Su alcuni progetti come ad esempio per i pitch, l’ideazione di un’art direction può anche variare da 1 o 3 giorni nei casi più estremi. 
In queste fasi l’obiettivo del designer é quello di entrare in stretta sintonia con il proprio team e soprattutto capire a fondo il brief. Ogni scelta creativa deve essere coerente con quest’ultimo ed allo stesso tempo essere capace di proporre punti di vista che arricchiscano e migliorino la soluzione che siamo chiamati a proporre.
Nel digital design il concetto di creatività é più ampio perché tiene conto di diversi fattori (come ad esempio lo ‘user testing’) che influiscono sul risultato finale. I prodotti digitali hanno una natura più dinamica perché evolvono nel tempo mentre accompagnano il modo in cui gli utenti ne usufruiscono. Anche il concetto di team é diverso rispetto al passato, perché oggi il cliente partecipa spesso attivamente al processo creativo – dove le energie di tutti convergono in una direzione sola.
Come vedi dipende dal ruolo e dal team in cui si lavora dove le opportunità di creare sono molteplici. Io però con la creatività convivo quotidianamente, quindi spero di averti rassicurato!


 

P - Ok, direi che ci sei riuscito bene e anzi, trovo la cosa molto interessante.

D - Ti dirò di più. Avendone avuto una esperienza diretta posso tranquillamente dire che la percezione che si ha lavorando in un team creativo é molto simile a quella delle attività di studio e laboratorio che si svolgono all’Ilas o presso qualunque università o liceo con orientamento artistico.
 Cambiano le responsabilità ma il concetto alla base di tutto rimane lo stesso. Passione, studio, ricerca e lavoro.



P - C‘è un progetto a cui sei particolarmente affezionato di cui ti andrebbe di condividere con noi qualche dettaglio?


D - É un progetto che ho realizzato qualche anno fa per un contest organizzato da Google Brasil.

Le idee dovevano proporre innovazioni tecnologiche da essere realizzate attraverso l’ausilio dei prodotti Google, a servizio della comunità locale o mondiale. La mia idea proponeva un mapping del livello di inquinamento dell’aria, proposto come contenuto interattivo e incluso come data in Google Maps.

É un progetto che ho conservato in quesi anni a cui ho anche dedicato un personale brand refresh per mantenerlo in linea con i look & feel più recenti di Material Design. Fu il primo progetto dove ebbi l’opportunità di dimostrare a me stesso che potevo curare da solo alcune delle fasi chiave di un prodotto di design: Idea, Concept, UX e UI.

La mia idea fu una delle 10 finaliste selezionate fra le migliaia inviate da tutti gli stati del Brasile e anche sottoscritte dalle maggiori agenzie creative nazionali.

La creazione dell’idea e il riscontro ottenuto durante l’evento a cui partecipammo di persona sono ricchi di ricordi che custodisco con soddisfazione.

Negli anni successivi la stessa Google cominció a sviluppare una idea simile che utilizzava le auto della tecnologia Street View per mappare le aree di inquinamento e ad oggi questa funzione é largamente diffusa e disponibile in molte app di meteo. Per me é stato interessante osservare come anche io nel mio piccolo, nel lontano 2012, mi trovavo in sintonia con innovazioni tecnologiche di questa dimensione.



P - Davvero impressionante. E quale tipo di tecnologia utilizzi per sviluppare questo tipo di progetti? Suppongo che le suite di Adobe la facciano da padrone in tutto il globo. E’ così?


D - Si il pacchetto Adobe é un tool che ogni studio o agenzia acquista per il proprio team. Io utilizzo sopratutto Illustrator, PhotoshopFigma e Principle per il prototyping visivo. Fino a qualche tempo fa, iI tool di riferimento per la UI era invece Sketch.
Con il remote working adottato dalle aziende in seguito alla pandemia, altri software spesso accessibili tramite browser, hanno avuto più successo perché facilitano la collaborazione in tempo reale. Per esempio in alcuni casi dove i vari team si riuniscono per lavorare ad un workshop o un brainstorm – spesso si preferisce accedere a Miro (o soluzioni simili) che permettono di lavorare su board digitali per condividere e archiviare idee e informazioni.



© Daniele Signoriello


P - Davvero molto interessante. Visto che accennavi a Figma, hai sentito della sua recente acquisizione da parte di Adobe? Se ho capito bene oltre manica si usa tanto. Ma in cosa trovi più performante FIGMA rispetto per esempio a XD?



D - Nei progetti a cui ho partecipato, non ho avuto l’occasione di testare XD perché di solito i team creativi adottano un tool unico che viene scelto come riferimento per tutti. Il successo di Figma é stato prevalentemente relativo alla sua capacità di automatizzare molte attività che spesso neanche Sketch era in grado di assicurare con facilità. La caratteristica primaria é l’archiviazione dei file nel cloud e la possibilità di recuperare versioni precedenti di un documento, attraverso la funzione ‘Version history’.

Inoltre, creare e condividere un Design System su Figma é molto semplice e stabile. Le funzioni di Inspect per developers sono già incluse nello stesso file e non vi é più, ad esempio, la necessità di pubblicare i design su Zeplin. Con la recente acquisizione di Figma da parte di Adobe mi aspetto interessanti integrazioni con la suite – sia queste incluse come funzioni native o accessibili attraverso plugins.



P - Certo, chiarissimo.  A proposito di team e lavoro di squadra, come è stato integrarsi in agenzia, insomma, era tutto nuovo per te, la lingua, la città, la cultura. Praticamente un salto nel buio.


D - Vivere e lavorare fuori dall’Italia ti cambia se sei disposto a farlo. Bisogna nella maggior parte dei casi provare ad avere un punto di vista più flessibile rispetto alle situazioni. Qui a Londra e soprattutto nel nostro settore, si incontrano molte culture diverse ma sul posto di lavoro non ci sono e non dovrebbero mai esserci bandiere, razze o generi.

Il mio consiglio é di rimanere fedeli alla propria essenza sempre nel rispetto altrui. Ció ti aiuta ad integrarti più facilmente nel tessuto sociale e lavorativo con un attenzione a mantenere un profilo basso e neutrale senza nessuna forma di ego.

Avere un buon livello di conoscenza della lingua é importante sia per comunicare col proprio team che per collaborare con i clienti – in alcuni casi invece, un livello di inglese intermediate che ti permetta di capire il brief e le task da eseguire, può essere talvolta sufficiente per far parte di un team creativo con risultati soddisfacenti.

A Londra ci si sente sempre un turista anche dopo molti anni e c’é sempre qualcosa da scoprire. Per me l’impatto con la città non é stato traumatico perché l’esperienza di San Paolo mi aveva già abituato ad una realtà simile. Inoltre Napoli nel suo piccolo, ha le caratteristiche di una metropoli e noi del sud in generale (dipendendo sempre dalla nostra storia e background) abbiamo una naturale capacità di adattarci che ci aiuta in ogni singola situazione.



P - Concordo pienamente. Ad ogni modo, anche se lo fai sembrare una passeggiata, non deve essere stato semplice, ti ammiro moltissimo. E quando proprio ti sembrava di sentire "too much pressure"?


D - Io personalmente metto su una bella canzone di Pino Daniele che mi ricollega alla mia città e mi fa ricordare chi sono e da dove vengo. Spesso la musica ci aiuta a staccarci un po’ dalla realtà quando ci sentiamo un po’ persi. In questi casi, molti di noi ci andiamo a ritagliare un spazio per riflettere e ricaricare le energie mentali. A volte basta semplicemente una camminata durante una pausa pranzo per ritrovare il piglio e l’ispirazione giusta.

Capita a tutti di avere un giornata dove si é meno produttivi ma basta avere fiducia che il giorno dopo é possibile recuperare il ritmo che cercavamo. Lavorando in team d’altronde, é più semplice perché le responsabilità possono essere spesso condivise.



P - Questo della musica mi sembra un ottimo suggerimento per tutti quelli che temono di non gestire bene l‘ansia. Perché poi specie all‘inizio, non c‘è solo il lavoro a cui pensare, bisogna occuparsi di tutto, dalla casa, alle questioni burocratiche...


D - Non é sempre facile affrontare tutto perché nella vita possono capitare vari imprevisti. Quando pensi di essere pronto a tutto ti capita di smarrirti alle prime difficoltà. In quei casi, se si incrociano le dita e si spera che la burrasca passi in fretta, nella maggior parte dei casi si ottiene un risultato opposto. Non è sempre semplice ma bisogna provare a rallentare il ritmo in modo da risolvere i problemi uno alla volta.

Per quanto riguarda le questioni burocratiche incluso la ricerca di una sistemazione, fortunatamente nel Regno Unito non ci sono molti impedimenti riscontrabili nel sistema italiano e questo aiuta molto anche coloro che sono agli inizi.



P - Spiegami meglio. Questa sembra essere un’informazione davvero interessante per i nostri lettori.


D - I servizi governativi per esempio sono tutti online e i cittadini non sono obbligati a recarsi personalmente ad uno sportello di immigrazione per la richiesta di un visto o il rilascio di un documento di identità. Anche il sistema medico segue gli stessi principi quindi il cittadino riesce ad avere un controllo più preciso dei propri diritti. Tutto questo aiuta a ridurre lo stress anche per coloro che sono in procinto di trasferirsi per motivi di lavoro o studio.

In alcuni casi le agenzie possono dare supporto nella ricerca di una sistemazione nel caso in cui si provenga dall’estero.



P - un motivo in più per pensare seriamente di fare questa esperienza. But the question of the ages is: dopo 10 anni a Londra, ti sentiresti di suggerire ad un diplomato di provarci? Ci sono realmente possibilità di riuscire a costruirsi un futuro? Dopotutto avranno anche gli inglesi i loro bravi designer.


D - Con le nuove leggi, potrebbe esse più complicato conseguire un lavoro perché bisogna ricevere un invito da parte di un’azienda che dovrà avere l’interesse a investire su un individuo che risiede al di fuori dal territorio britannico.

Il mercato del lavoro a Londra é molto attivo e la richiesta di personale é molto viva. C’é una grande rete di recruiter ad indirizzo creativo che lavora molto sul networking con le aziende. Il mio consiglio é di costruirsi un buon portfolio che possa riflettere al meglio le proprie qualità e anche se a distanza, cominciare a creare un contatto con i recruiter in modo da individuare – in accordo con le attuali leggi di immigrazione, le opportunità che offre il mercato.

Però in generale mi sento di dire che prima di tutto bisogna seguire il proprio istinto e gli interessi cercando di non sentirsi legato ad un paese o ad una cultura. Essere aperti al cambiamento.



P - Hai ragione. Daniele dal tuo interessantissimo racconto mi pare di capire che difficilmente ritornerai in Italia, mi sbaglio?


D - Anche se preferisco non fare programmi a lungo termine, per scaramanzia preferisco rispondere con un ‘Mai dire mai’.



P - Ok, non voglio rubarti altro tempo, è stato tutto molto interessante. Grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza, sono sicuro che tornerà utile a molti giovani designer e creativi che non vedono l‘ora di poter affermarsi.


D - Grazie mille per l’invito. Lasciami fare un augurio e un saluto a tutti i vostri lettori e studenti, nella speranza di riuscire a realizzare i propri sogni e ambizioni.




Il suo portfolio


DANIELE SIGNORIELLO

03.08.2022 # 6107
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

Gen Z, come i nativi digitali sfidano i grandi marchi di intrattenimento

Come le nuove generazioni hanno cambiato le aziende

Cresciuti in un periodo di rapidi cambiamenti nella tecnologia e nella società, i membri della Generazione Z, definiti come nati tra il 1995 e il 2010, hanno caratteristiche diverse da qualsiasi altra generazione perché sono nati già immersi totalmente nel mondo connesso e tecnologico che conosciamo.

Questa familiarità, che potrebbe presupporre una facilità da parte delle aziende di intrattenimento nell‘agganciare gli utenti di questa generazione e attrarli verso i propri contenuti, rappresenta in realtà un‘arma a doppio taglio perché la familiarità comporta un alto livello di assuefazione e disinteresse verso i contenuti digitali che tendono a somigliarsi e a sovrapporsi gli uni con gli altri, finendo per scomparire dal radar.

Essendo una generazione di creatori i Gen Z si vedono come trendsetter e vogliono influenzare chi li circonda: la tendenza attuale non è più presentare qualcosa focalizzando sul proprio vissuto, ma presentare qualcosa che nessun altro ha ancora mai provato o visto. Chi riesce nell‘intento e ha un buon seguito, di solito poi riesce a creare una tendenza intorno a quel marchio o quell‘argomento al punto da stimolare i follower a seguirlo per restare al passo. 

Se in un primo momento questo ha scatenato reazioni in parte contrastanti (il fenomeno degli influencer è stato spesso oggetto di critiche e in egual misura di apprezzamenti) adesso sembrerebbe essersi fatto finalmente strada il principio secondo cui ognuno andrebbe incoraggiato a esprimere il proprio gusto, stile, le idee e per far questo tutte le aziende si sono orientate a fornire strumenti specifici per personalizzare l‘esperienza e migliorare la self-presentation con software, elementi interattivi, azioni o effetti speciali che possano aiutare la creatività a esprimersi al massimo. 

Andando più in profondità, occorre osservare che i membri della Gen Z sono anche quelli che più di ogni altro gruppo hanno colonizzato il mondo virtuale, preferendo esprimere i propri sentimenti, aspirazioni, sogni condividendo contenuti con le ben più ampie fandom e i gruppi online con i quali si hanno interessi in comune anziché farlo nel ristretto ambito degli amici, o dei gruppi familiari o scolastici/universitari. In sostanza molto più che in qualunque altra generazione, i Gen Z considerano il mondo virtuale esattamente al pari di quello reale, fisico, e interagiscono con esso senza distinzione alcuna. 

Anche in questo i marchi di intrattenimento hanno dovuto rincorrere questo specifico pubblico rafforzando tutto il mondo di contenuti che orbita intorno ad una serie tv, un videogioco, un prodotto digitale rafforzando il prodotto principale con strategie di marketing come la creazione di spazi di fandom, mantenendo uno spettacolo o un titolo in primo piano, creando spazi incentrati sui fan nei gruppi di Facebook per incoraggiare gli utenti a costruire nuove community.

Evidentemente questo si porta dietro un altro aspetto estremamente interessante, che riguarda il legame che si costruisce tra utente e marchio. Non si era mai osservato prima una connessione così forte, personale, con le aziende e i loro marchi. Incoraggiare il pubblico e offrire loro spazi con possibilità di personalizzare l‘esperienza totalmente su misura dei propri desideri ha la conseguenza di costruire una sorta di casa virtuale nella quale sentirsi a proprio agio e, più le aziende sono capaci di intercettare le differenti sensibilità, più si rafforza il loro legame con i propri utenti riconoscendo convinzioni, valori e personalità simili a quella marca.

Avendo incluso il mondo virtuale tra i luoghi abitualmente frequentati ed essendo, in quanto umani, alla ricerca di una connessione personale e di una relazione (anche con i marchi), soprattutto quando le loro scelte su come trascorrere il tempo libero digitale si espandono, i membri della Gen Z si aspettano che i marchi siano come amici quando interagiscono con loro sui social media, al pari di quanto accade con le persone che conoscono. Questo è un elemento degno di nota perché si è osservato che quando i marchi di intrattenimento personalizzano le interazioni, aprono opportunità di scoperta e instaurano relazioni durature con i clienti. 

La sfida non riguarda soltanto la capacità delle aziende di stabilire una connessione, possibilmente duratura e sincera, ma saper intercettare e condividere i temi di giustizia sociale che sono tanto a cuore a questa generazione e trovare il modo di connettere i valori del marchio alle istanze che gli utenti ritengono essere elementi fondamentali della propria identità.
Molto più che condividere hashtag in occasione di eventi o manifestazioni è risultato premiante costruire strategie di giustizia sociale e mantenerle attive, coinvolgendo gli utenti nel raggiungimento degli obiettivi, fianco a fianco, esattamente come farebbero due buoni amici.

30.03.2022 # 5962
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

La rivista anni Trenta “Campo Grafico” in mostra all’ADI Design Museum

La mostra è ad accesso libero e visitabile fino a domenica 10 aprile.

Alla vigilia dei 90 anni dalla pubblicazione, in occasione della mostra “Campo Grafico 1933/1939: nasce il visual design” – curata da Gaetano Grizzanti, Mauro Chiabrando e Pablo Rossi presso l’ADI Design Museum – vengono esposti per la prima volta tutti i 66 numeri della rivista, a testimoniare l’importanza di un fenomeno culturale riconosciuto a livello mondiale.

La mostra è ad accesso libero e visitabile fino a domenica 10 aprile.

Campo Grafico nasce a Milano sotto l’influenza delle grandi avanguardie culturali e artistiche del ‘900, divenendo rapidamente il luogo geometrico dove si incontrano le tendenze e le correnti ideali che daranno luogo all’Italian Style per la Tipografia e la Comunicazione.

Le 1.650 pagine (più 54 fuori testo e 114 inserti applicati a mano) dei 66 numeri esposti – oggi interamente digitalizzate e di libera consultazione su www.campografico.org – testimoniano l’impatto di questa rivista che, pur essendo tirata in sole 500 copie, è riuscita a comunicare con chiarezza «la mutabilità di tendenze e di mezzi in questa epoca di profonda progressione».

Un pugno di padri “fondatori” del graphic design, tra cui Attilio Rossi, Carlo Dradi, Guido Modiano, Luigi Veronesi, Enrico Bona, Ezio D’Errico, Antonio Boggeri e Bruno Munari guida tra le due guerre quella che è una vera rivoluzione, che, una volta iniziata apre la strada a modalità del tutto diverse di coniugare testi e immagini nella grafica.

Simbolicamente Campo Grafico decolla proprio mentre il nazismo chiude il Bauhaus. La rivista approfitta del fatto che il fascismo non aveva un pensiero unico nell’arte e nella cultura e quindi può portare avanti un’azione di rinnovamento in qualche caso iconoclasta anche verso protagonisti del Regime. Ma non mancheranno momenti di duro confronto quando nel 1934 Attilio Rossi, primo direttore della rivista, rifiuta di pubblicare sulla rivista i manifesti di Persico e di Nizzoli favorevoli al Plebiscito voluto da Mussolini.

La rivista proseguirà negli anni le proprie pubblicazioni con alterne fortune, esaurendo nel 1939 quello che era stata la spinta propulsiva degli inizi. Ma la sua straordinaria qualità e la sua capacità di avere uno “sguardo lungo” nel lanciare il graphic design, oggi la riportano più che mai al centro della scena culturale.

La mostra ha prodotto un catalogo, graficamente in stile iconista (design: Gaetano Grizzanti e Giancarlo Tosoni) tirata in 500 copie numerate, esclusivamente acquistabile presso AIAP Edizioni: www.aiap.it




Mostra: Campo Grafico 1933/1939: nasce il visual design
Luogo: ADI Design Museum
Indirizzo: Piazza Compasso d’Oro 1, 20154 Milano
Ingresso: gratuito / entrata da Via Ceresio 7, Milano
Date di apertura: dal 25 marzo al 10 aprile 2022
Orari di apertura: 10.30 - 20 (chiuso il lunedì)


Cos’è Campo Grafico

A Milano tra le due guerre, “Campo Grafico - Rivista di tecnica ed estetica grafica”, si impone come la più originale impresa collettiva in quelli che retrospettivamente sono definiti gli anni “creativi”, quando alla Galleria Il Milione o al Bar Craja nascevano i fermenti del gusto moderno: si passava dalle discussioni sull’arte astratta e le sue mostre al dibattito sul destino dell’architettura, fino alla nuova tipografia, proprio quella presentata nella Sezione Grafica della Germania 1933 alla V Triennale e simboleggiata dal carattere Futura di Paul Renner.

La Rivista diverrà subito anche un ideale punto di aggregazione di spiriti liberi e indipendenti, molti dei quali destinati a restare nel più assoluto anonimato. Qualunque fosse la loro formazione, tecnica e/o artistica, erano menti aperte agli stimoli intellettuali che avevano caratterizzato le avanguardie europee nell’ultimo decennio.

Come ebbe a ricordare cinquant’anni dopo Attilio Rossi – il primo direttore della rivista Campo Grafico – «erano le esperienze e gli insegnamenti della Bauhaus e di altre avanguardie europee in tutti i campi della cultura, che confluivano programmaticamente in una rivista sperimentale di arti grafiche totalmente nuova».

L’avventura comincia nel 1932 in una trattoria di Via delle Asole a Milano, dove si riuniva periodicamente il nucleo dei fondatori. C’era l’esigenza di un profondo svecchiamento del settore: tecnicamente si voleva portare la qualità tipografica all’altezza della fotografia; esteticamente occorreva superare le barriere e i limiti costituiti delle rigide simmetrie neoclassiche e dalla concezione della tipografia come arte, tradizionali cavalli di battaglia del “Il Risorgimento Grafico” di Raffaello Bertieri. 

Tra i primi “campisti” – come venivano chiamati i collaboratori della rivista Campo Grafico – figurano nomi dei “padri fondatori” del graphic design, tra i quali: Attilio Rossi, Carlo Dradi, Guido Modiano, Luigi Veronesi, Enrico Bona, Ezio D’Errico, Antonio Boggeri e Bruno Munari.

Finalmente si potevano dibattere gli argomenti della nuova estetica grafica che Guido Modiano e Edoardo Persico avevano anticipato sulla rivista “Tipografia” tra il 1931 e il 1932, ma anche l’identità e il ruolo della nuova figura professionale del “progettista grafico”, passando necessariamente attraverso un profondo rinnovamento dei programmi di insegnamento nelle scuole professionali.
Il miracolo diventa possibile grazie all’opera gratuita e volontaria di addetti ai lavori (tipografi, compositori, litografi, linotipisti, fototipisti e grafici) e alla ospitalità – ma in orario festivo – di alcune tipografie.

Appoggiavano l’impresa anche diversi amici sostenitori provenienti da altri ambiti – pittori, scenografi, scultori, architetti – i quali ogni sera si trovavano nello Studio Dradi-Rossi in via Rugabella 34 a Milano (presso cui dal 1934 era ospitata la sede della rivista), superando di fatto la distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

Le 500 copie della tiratura di ogni numero erano vendute in abbonamento a sostenitori e tipografi – molto spesso usate dai proto come strumento di lavoro – e ciò spiega in larga parte perché le collezioni complete dei 66 fascicoli pubblicati, pervenute ancora integre ai nostri giorni, si contino sulle dita di una mano. 

Oltre alla pubblicità e agli articoli, la rivista conteneva spesso anche allegati fuori testo, dove figuravano applicati vari stampati, come: copertine di libri, carte da lettere, biglietti d’auguri, avvisi di chiusura per ferie, manifesti, pieghevoli, cartoline, progetti grafici degli allievi delle scuole, annunci, listini… alcuni dei quali inseriti anche sciolti nei fascicoli.


L’Associazione Campo Grafico

Il 31 gennaio 2013 – a 80 anni dalla pubblicazione di "Campo Grafico / Rivista di Estetica e Tecnica Grafica" – Gaetano Grizzanti costituisce a Milano l’ASSOCIAZIONE CAMPO GRAFICO (associazione culturale, apartitica, aconfessionale, senza finalità di lucro), insieme con Mauro Chiabrando e ai figli dei fondatori della Rivista: Massimo Dradi (scomparso nel 2018) e Pablo Rossi.

L’Associazione – quale organismo ufficiale e fonte autorevole sulla storia di Campo Grafico – è nata con lo scopo di preservare la memoria culturale e documentale della rivista originale, realizzata a Milano dall’anno 1933 all’anno 1939.

Grazie alla sua opera pionieristica nel settore dell’arte grafica e tipografica, tuttora riconosciuta in tutto il mondo in quanto incubatrice del moderno design di comunicazione, "Campo Grafico" ha rivoluzionato l’approccio alla disciplina della progettazione grafica, costituendo oggi un vero e proprio patrimonio culturale italiano e globale.

Nel raccogliere l’ideale lascito testamentario della Rivista, attraverso la stessa anima pionieristica dei “campisti” di allora e in continuità coi loro princìpi estetici e le loro intenzioni pragmatiche, l'Associazione intende divulgare e promuovere – attraverso lo studio del pubblicato e l'analisi del suo contesto storico – lo spirito originario della “cultura di progetto”, intesa quest’ultima come percorso intellettuale, accademico e sperimentale che intreccia e coinvolge i settori della grafica, della tipografia, della stampa, del design, dell’arte, dell’editoria e della comunicazione visiva in genere.


ASSOCIAZIONE CAMPO GRAFICO
Via Eugenio Torelli Viollier 1
20125 Milano
Codice fiscale: 08156350962

Contatti stampa:
Gaetano Grizzanti
Cell. 335 83 67 976
info@campografico.org

27.01.2022 # 5888
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Daria La Ragione //

Lasciateci le ali. Il reportage fotografico di Kira Marinova su Auschwitz.

Gli scatti di Kira Marinova raccontano la vita di un sopravvissuto che con la propria testimonianza ne ha ispirato lo storytelling.

LASCIATECI LE ALI

Chi è andato ad Auschwitz lo sa: la persona che va non è la stessa che torna.
Durante il viaggio di andata la mente è piena di tutto ciò che ha letto, sentito, immaginato.
Spesso nemmeno sa di andare a visitare due posti distinti: Auschwitz e Birkenau, campo di lavoro il primo, campo di sterminio l’altro.




Auschwitz è un posto pieno di fotografie, per ognuna c’è un nome, un’età, e i giorni che è riuscita a sopravvivere in quel luogo.
È anche pieno di oggetti: occhiali, scarpe, protesi, lattine di Zyclon B, migliaia di oggetti che ricordano migliaia di esseri umani trasportati in quei luoghi.
Molte foto sono state scattate. Molte storie raccontate. Eppure è come se tutto ciò rischiasse continuamente di sbiadire, scomparire, banalizzarsi.


È difficile dire quale luogo sia più angosciante. Birkenau è un insieme di casermoni senza porte, senza null’altro che strutture in cui stendersi a morire di freddo e stenti, è un luogo dove agli uomini e alle donne si è tolto tutto, finanche l’umanità.
Ma Auschwitz mette davvero i brividi. Perché è un posto carino, con file di palazzine di mattoni rossi ordinati, alberi  disposti in filari, che probabilmente erano già lì quando Kapò e poveri cristi si dividevano quegli spazi. Sembra un quartiere dormitorio a margine di una fabbrica. Te lo immagini popolato da operai.
E invece sono morti viventi quelli che ci hanno vissuto. 



E alcuni di loro, che sono sopravvissuti, hanno ancora una storia da raccontare.
86 anni, nella libreria di Birkenau, è fermo là, per chiunque voglia ascoltare la storia di un ragazzino di 14 anni che non è morto perché era troppo alto, troppo più alto dei suoi coetanei per essere mandato con loro a morire o farsi torturare dai medici. È là, racconta, parla. E quando si va via, con una scheda di memoria (che ironia!) piena di scatti, cresce passo dopo passo l’urgenza di raccontare, di non lasciar svanire, di far sapere a tutti.
Ecco perché continuare ad andare. Ecco perché continuare a fotografare.
Per non essere più spettatori. Per diventare testimoni.

















In occasione della giornata della memoria Ilasmagazine pubblica gli scatti di Kira Marinova.




16.11.2021 # 5835
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

East Side Stories, il racconto per immagini della periferia napoletana

Il 17 novembre si inaugura la mostra al Made in Cloister con gli scatti degli studenti Ilas

IL CONCEPT

Da sempre luogo dalla spiccata leggibilità e figurabilità, Napoli racconta la sua storia nei secoli attraverso una immagine collettiva, pubblica, comune a tutti i suoi abitanti. 


Indipendentemente dal significato sociale o storico di molte sue aree, il tessuto urbano della città concentra una quantità di segni immediatamente e chiaramente riconoscibili che, nel tempo, hanno consentito di facilitare la sua identificazione visiva e la sua strutturazione, permettendo di sviluppare un atteggiamento da parte non solo degli abitanti ma anche dell'osservatore occasionale di immediate sense of belonging, quella familiarità difficile da codificare eppure così fortemente percepita. 


Alcuni spazi però e in special modo le periferie, cresciute un po' ovunque in Italia in funzione di una urgenza abitativa, restano fuori da questo racconto e, sebbene siano state quasi sempre oggetto di interventi di pianificazione urbanistica e architettonica, sembrano non riuscire ad esprimere il potenziale narrativo ed acquisire quel vocabolario di segni capace di esprimere la specificità del luogo. 


In questo progetto della Fondazione Made in Cloister, su incarico dell'associazione Estramoenia, si è voluto indagare se nell'infinito universo di sguardi e di storie che raccontano visivamente questi spazi, esistono percorsi non ancora esplorati che conducono ad immagini inedite, capaci di arricchire la narrazione di questo luogo con elementi che nel tempo e nello spazio possano ancora costituirsi come simboli, nuovi segni significanti non soltanto per il luogo ma per la vita umana. 


LA MOSTRA

I fotografi, 10 studenti provenienti dal Corso di Fotografia Professionale dell'Accademia di Comunicazione ILAS, selezionati dalla curatrice Arch. Federica Cerami, dopo un workshop curato dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II seguito da un sopralluogo sull'area individuata (compresa a Nord dalla linea ferroviaria Napoli-Salerno ed a Sud dalla fascia costiera dal Porto di Napoli a San Giovanni a Teduccio, a Ovest dalla zona orientale del Centro Storico di Napoli (Via Carbonara e Porta Capuana), ed ad Est dal Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura della Federico II e la iOS Academy) hanno sviluppato un breve racconto fotografico di tre scatti e, tra tutte le proposte ricevute sono state scelte 10 immagini che compongono la mostra EAST SIDE STORIES che si inaugurerà il 17 novembre negli spazi della Fondazione Made in Cloister.


Il progetto si chiuderà con la proclamazione, al termine della mostra, dello scatto vincitore del contest che si aggiudicherà un premio di 1000,00 euro mentre una menzione speciale sarà assegnata all'opera che nel corso dell'esposizione avrà raccolto il maggior numero di pubblicazioni su Instagram (@fondazionemadeincloister ed #eastsidestories). 


Gli scatti in mostra potranno essere acquistati e il ricavato contribuirà agli scopi dell’Associazione Estramoenia. 




Info: 


17 NOVEMBRE 2021

ore 12.00

Fondazione Made in Cloister Piazza Enrico De Nicola n.48, Napoli



Un racconto fotografico dell’area orientale di Napoli creato attraverso la visione di 10 studenti dell’istituto di fotografia ILAS di Napoli.





19.10.2021 # 5820
Generazione ilas: Daniele Signoriello, Senior Designer presso AKQA

Paolo Falasconi //

Aurora Experience, la palestra per under20 per allenarsi alle skill del futuro

un progetto di respiro europeo, nato dalla condivisione di saperi e metodi di un’ampia rete di enti e fondazioni che si occupano di imprenditoria giovanile.

Non ha data, non ha luogo. Aurora Experience è la straordinaria occasione di allenamento delle skill del futuro, pensata da Aurora per gli under20 di tutta Europa.

Sempre aperta ad accogliere nuovi partecipanti, l’Experience è un modo unico per essere pronti alle sfide del XXI secolo. E per potere accedere poi alla Fellowship di Aurora.

Cos’è Aurora?
Aurora è un progetto di respiro europeo, nato dalla condivisione di saperi e metodi di un’ampia rete di enti e fondazioni che si occupano di imprenditoria giovanile. Ne fanno parte tra gli altri Fondazione Homo Ex Machina, Fondazione Golinelli, Junior Achievement Italia e Fondazione Mondo Digitale.
Un network che ogni anno coinvolge più di 200.000 ragazzi in Europa e lungo le coste del Mediterraneo.
L’obiettivo di Aurora è allenare gli under20 a uscire dalla propria comfort zone, facendo scelte lungimiranti e coraggiose, e prendendo decisioni di buon senso per l’ecosistema sociale e imprenditoriale.
“In uno scenario economico incerto e pieno di ambiguità - spiega Jacopo Mele, founder di Aurora - è importante che i ragazzi sviluppino la capacità di sperimentare, andando costantemente oltre i loro limiti. Se questo allenamento avviene nel periodo più intenso e formativo della loro vita, è più probabile che conserveranno a lungo le attitudini sviluppate.”

Cos’è Aurora Experience?
Un percorso di formazione modulare e progressivo, interamente fruibile da remoto, pratico e senza barriere tecnologiche.
È il momento aurorale di un iter, che affianca i ragazzi nell’acquisire:
• strumenti di apprendimento proiettati in un futuro sempre più mutevole
•  competenze spendibili immediatamente, al passo con esigenze e standard internazionali
• una forma mentis improntata alla formazione continua e innovativa

L’Experience è articolata in 3 step: 
1. Consapevolezza
Giocando con KnackApp, i candidati scoprono i punti di forza e le competenze trasversali per sviluppare il proprio potenziale. Partendo da ciò, raccontano in una lettera o in un video motivazionale quali sono le leve che li spingono a esplorare, a migliorare: così imparano a dare una cornice ai loro sogni e alle loro passioni.
Alla lettera (o al video) devono ricevere 10 commenti positivi, mostrando le loro abilità sociali e di creatività relazionale.

2. Coraggio
Devono conquistare due endorsement da parte dei Wizard di Aurora, straordinari professionisti, mentori con cui confrontarsi poi durante la Fellowship. Un test multiplo e difficile, che lascia ai candidati un enorme tesoro:
a. La determinazione di abbandonare la propria area di comfort ed esplorare mondi lontani dai loro interessi del momento;
b. Il coraggio di mettersi in discussione di fronte a professionisti straordinari;
c. La capacità di gestire la comunicazione con i Wizard (ed è fondamentale non
far capire loro che si intende partecipare ad Aurora);
d. La cura nella costruzione di una relazione sana e profonda.

3. Gioco di squadra
L'ultima prova è una escape room, basata su Google Maps e Wikipedia e valutata dal team di esperti di Aurora. Ogni ragazzo viene inserito in una squadra, senza conoscere gli altri componenti.
Si sviluppano così acutezza nell'osservare e nel rendersi utili. Si impara come partecipare attivamente in un gruppo, come condividere ciò che si sa e cosa si fare, come essere empatici. Si costruisce un ruolo di valore per sé stessi e per il gruppo.
Alla fine di ogni step il team di Aurora riconosce a ogni partecipante un open badge che certifica le skill acquisite, a testimonianza di quanto appreso.
Grazie all’Experience, Aurora seleziona ogni anno i 100 profili più adatti e propone loro l’accesso alla Fellowship, che dura tre anni.
“Un programma unico nel suo genere, perché non ha interesse a finanziare un’idea, ma si concentra sul processo di sperimentazione.” Commenta Jacopo Mele, founder di Aurora
Aurora Experience è l’occasione per tutti gli under20 di essere pronti alle sfide del XXI secolo.


Per candidarsi alla Experience e per approfondire l'argomento clicca sul link: 

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