Marco Maraviglia //
L’URBEX di Stefano Barattini: Inside the factory
20 pannelli 100x70 che mostrano aree industriali in stato di abbandono
Stefano Barattini ha sempre avuto un certo interesse per le aree industriali, ma nel 2013 volle andare a vedere dove avevano costruito la Lambretta del 1961 che possedeva: l‘ex fabbrica Innocenti nella zona di Lambrate.
Da lì iniziò la sua URBEX (Urban Explorer) presso altre industrie abbandonate. In Italia e all‘estero.
Quei capannoni enormi pieni di vegetazione, lo scheletro di metallo, i vetri rotti e la ruggine mi hanno fatto amare questi luoghi e da lì ho cominciato.
Le fabbriche, le industrie manifatturiere, le miniere, chiudono perché sono soggette a processi economico-politici, cambiamenti sociali e al terziario che avanza. Non tutti gli imprenditori riescono a stare dietro alle variabili che il tempo impone, adeguando o riconvertendo le proprie aziende e purtroppo a volte, intraprendono la scelta strategica più semplice: delocalizzare.
O chiudere. Abbandonando capannoni, grandi edifici con dentro arredamenti, attrezzature, macchinari, documentazioni d‘archivio… tutto, di quegli edifici, spesso ubicati nelle periferie delle città, subiscono l‘improvvisa assenza umana.
E diviene archeologia industriale.
Fantasmi di vetrocemento, navate in ferro, silos, ciminiere, tutto dimenticato dal tempo e dove a volte la natura inizia a rimpossessarsi selvaggiamente di quegli spazi.
Stefano Barattini e l‘intera comunità che lavora sull‘URBEX, non rivela i luoghi ritratti nelle sue immagini. Per evitare sciacallaggi, furti di quel che resta, vandalismi, occupazioni illecite. Si tratta comunque di documentazioni visive che denunciano il mancato riutilizzo di queste aree. La mancata rigenerazione urbana di strutture che potrebbero diventare attrattive turistiche, mercati, spazi d‘arte, parchi.
È un modo per documentare queste realtà e restituirle come memoria storica e al tempo stesso porre l‘attenzione su una possibile riqualifica del territorio.
La mia ricerca non è solo fotografica. Quando vado in una determinata location, mi documento sulla sua attività del passato e qual era il processo produttivo. Cerco, per quanto possibile, la sua storia: quando ha iniziato, quando ha chiuso e perché.
Alcuni di questi luoghi li ha trovati spulciando su Google map. Talvolta effettua sopralluoghi che gli servono anche a individuare gli orari per fotografare con la luce migliore. Si confronta con la comunità Urbex per attingere ulteriori informazioni e non sempre preferisce andarci da solo per questioni di sicurezza.
Non è possibile avere autorizzazioni per entrare in questi spazi. Non te le danno perché qualunque cosa succeda la responsabilità è sempre della proprietà. Solo in rarissimi casi ci possono essere delle visite guidate ma in quei casi non hai la libertà di movimento per fotografare in maniera autonoma con i punti di vista e i tempi giusti.
Sebbene abbia iniziato a utilizzare un drone dalla fine del 2018, le fotografie di Barattini esposte in questa mostra sono tutte realizzate “con i piedi a terra”. È un genere di fotografia che non raramente i fotografi post-producono forzando col filtro HDR. Ma Barattini no. Cerca di lasciare nella massima naturalezza i suoi scatti.
Non uso HDR, cerco sempre di lasciare la luce così come entra nei locali. Anche se a volte le alte luci sparano, ma quella è, entra di prepotenza nell‘oscurità. Ma in diversi casi se la differenza tra luce e ombra è troppo marcata effettuo due scatti che poi sommo in post produzione, uno per le ombre e uno per le luci.
Ha ripreso circa 123 siti industriali in Italia e all‘estero tra cui piccoli laboratori, grandi aziende, centrali elettriche, siti di stoccaggio.
Tutte immagini riprese “a piombo”, linee cadenti perfettamente verticali che i primi tempi correggeva in Photoshop perché portarsi un banco ottico per i basculaggi in questi luoghi non è convenientemente pratico.
Poi decise di dotarsi di un decentrabile 15mm e la musica è decisamente cambiata, fotograficamente.
Auspicando che la musica cambi anche per questi luoghi affinché siano rivalutati.
Bio
Stefano Barattini nasce a Milano il 4 gennaio 1958.
Studia alla Facoltà di Architettura presso il Politecnico di Milano.
Inizia a fotografare nel 1979, quando ha cominciato a viaggiare e legato indissolubilmente la fotografia al viaggio.
Dal 1990 e per circa 5 anni, collabora con la rivista Mototurismo e Scooter Magazine.
Dopo una pausa di riflessione, nel periodo in cui stava nascendo l‘era digitale, ha ripreso la fotografia adattandosi alle nuove tecnologie, sempre legandola ai viaggi soprattutto in Africa.
L‘architettura (con particolare interesse per il periodo razionalista) e gli spazi suburbani in continua crescita dove la presenza umana, nei suoi scatti, è quasi sempre assente, sono temi che tratta periodicamente.
Dal 2013 ha iniziato la sua ricerca URBEX.
Pubblica Oltre la fabbrica nel 2015; nel 2017 Portraits of Dust distribuito dalla Hoepli e nel 2019 Bauhaus 100, a tiratura limitata, a cura di Foglio Clandestino.
Numerose le sue esposizioni di immagini dell‘Africa, di architettura e luoghi abbandonati.
Inside the factory, di Stefano Barattini
Academy Franco Angeli Bicocca
Viale dell‘Innovazione, 11 – Milano
mart/merc/giov dalle 15.00 alle 18.00
dal 19 giugno al 28 luglio 2023