Paolo Falasconi //
Brassaï. L’occhio di Parigi
Milano, Palazzo Reale, dal 23 febbraio al 2 giugno 2024
Francesco Chiarenza è nato a Comiso in Sicilia il 27 febbraio 1944 dove consegue l‘Attestato di Licenza in Decorazione Plastica. Con un gruppo di compagni si trasferì a Perugia per ottenere il diploma di Maestro d‘Arte in Marmo e Pietra. Successivamente vinse una borsa di studio per quattro anni per frequentare l‘Accademia di Belle Arti, ma vi rinunciò per seguire un corso di due anni all‘Istituto Statale d‘Arte di Napoli per conseguire il diploma di Magistero e poter insegnare.
Fu allievo dello scultore Lelio Gelli che lo tenne sotto la sua ala trasmettendogli tecniche e segreti della scultura.
Finalmente iniziò a insegnare: in Sardegna.
Tornò poi a Napoli per insegnare all‘Istituto Palizzi grazie a una segnalazione di Lelio Gelli. Per meriti.
Perché negli anni ‘60-‘70, per l‘insegnamento negli istituti d‘arte, c‘era bisogno della chiara fama.
Al Palizzi era docente di scultura dove insegnò la lavorazione di marmo e pietra. Andò in pensione come docente di disegno professionale e progettazione e con relativa direzione del laboratorio dove gli allievi realizzavano ciò che disegnavano.
Francesco Chiarenza fa parte di quell‘epopea di artisti che frequentava, e con alcuni sta ancora in contatto, come Vittorio Pandolfi, Aulo Pedicini, Eduardo Alamaro, Enrico Cajati, i fratelli Luigi e Rosario Mazzella, Gaetano Gravina. Un ricco serbatoio di energie e conoscenze condivise.
Nel frattempo fotografava con una vecchia macchina a soffietto, imparò la pratica di camera oscura per stampare le proprie foto in bianconero che scattava a sculture e oggetti di design.
Una vita da curioso e sperimentatore. Negli anni ‘70 disegna e realizza vetrate artistiche, oggetti di design, lampade, vassoi, specchi. Progetta giardini per alcuni amici fin quando negli anni ‘80 inizia a smanettare su un programmino della Apple per il ritocco delle immagini.
Oggi ha ottant‘anni di mente fresca che gli ha consentito di non perdere il treno delle tecnologie digitali.
Cominciò a usare il Photoshop e solo da qualche anno ha iniziato la sua ricerca di destrutturazione delle immagini fotografiche dopo qualche indicazione del figlio Stefano.
Chiarenza realizza immagini le cui composizioni richiamano gli effetti dei lavori di Agostino Bonalumi o, talvolta, quelli di Enrico Castellani.
Se non c‘è si può immaginare. Se non si vede si può osservare perché a volte anche l‘astratto può ingannare: potrebbe non essere astratto in senso lato. Ci sono figure astratte che nascono esclusivamente da un concetto basato sulla poetica di un artista, sul loro concetto espressivo, dalla pulsione emozionale dell‘artista. Ma possono esserci immagini indefinite, blur, che partono dalla realtà. Modificate, manipolate, smontate, destrutturate.
Non è importante che le fotografie destrutturate di Chiarenza partano da immagini di soggetti reali da lui scattate o di altri, scaricate dalla rete. Perché gli interventi di elaborazione digitale le trasformano per ottenere altre visioni. Interpretazioni che dilatano, contraggono scene, restituendo percezioni oniriche, come realizzate da un caleidoscopio anarchico.
Immagini che incuriosiscono, sulle quali ci si sofferma per cercare di intercettare elementi della realtà, stentare nel riconoscere un dettaglio di partenza. Come sogni che ricordi di aver fatto ma di cui non riesci a ricostruire la loro logica e la storia.
Mondi nuovi, come paesaggi di fantascienza o metafisici, colori elettrici, shocking, immagini dinamiche che suggeriscono un movimento in spazi indefiniti dove il primo piano a volte non è che lo sfondo.
È l‘immaginazione creativa di un 80enne che non cerca gloria ma è bello sapere che c‘è, come un “perfetto sconosciuto”.
Fino al 6 aprile in mostra alla galleria Al Blu di Prussia, DRAMA, di Cesare Accetta.
Conobbi Cesare Accetta di persona solo nel ‘97 in occasione di uno degli appuntamenti dei Lunedì della fotografia organizzati da Vera Maone e ospitati presso l‘Archivio Parisio.
Quel pomeriggio mostrò un video che consisteva in una panoramica circolare che non era di 360° ma, in maniera surreale, riprendeva più piani verso l‘infinito.
La ricerca fotografica di Cesare Accetta è sempre stata prevalentemente sul “movimento” sperimentando le varie opportunità che esso propone.
Un movimento fotografico che non si ferma esclusivamente sui tempi lunghi di esposizione dell‘otturatore ma basato anche sul movimento della fotocamera in fase di ripresa.
E non è tutto.
Cesare Accetta indaga da sempre anche il movimento della luce.
Se fotografia è “scrivere con la luce”, Accetta scrive le sue fotografie osservando le infinite variazioni della luce. In studio o in esterni. Plasmandone l‘immaterialità dei fotoni. Caratteristica essenziale per la conduzione della direzione della fotografia per il teatro e il cinema. Non a caso Accetta è wikipedizzato come Direttore della Fotografia.
E quando entri nella galleria di Al Blu di Prussia per visitare DRAMA, la sua attuale mostra, ti rendi conto che per la sistemazione della luce in sala c‘è la sua esperienza di light designer fatta in oltre quarant‘anni di esperienza.
Esperienza maturata come fotografo di scena per il Teatro Instabile di Napoli, per Falso Movimento di Mario Martone, per Antonio Neiwiller e tanti altri. Fino ad avere incarichi come fotografo di scena per Morte di un matematico napoletano e poi con L‘amore molesto di Martone.
E finalmente esordisce come direttore della fotografia nel cinema per le regie dei film di Antonietta De Lillo, Pappi Corsicato, Nina Di Majo e per lo stesso Martone.
Si parte dal nero per plasmare la luce:
Il nero è stato ed è il mio momento di ricerca privilegiato e continua ad essere presente nella mia ricerca; il teatro, inteso come scatola nera, è come la camera oscura. Tutto con la luce deve e può succedere. Quello che si vede e quello che si intravede, ma anche «quel che non si vede»,come diceva Antonio Neiwiller”.
- Cesare Accetta, dicembre 2023
Si entra nella galleria di Al Blu di Prussia e nel primo spazio vi sono fotografie in grande formato a colori. Un corpo femminile mosso, indefinito, tra le fronde di un bosco e anch‘esse mosse, fanno da contrappunto ai ritratti di attrici siti nello spazio successivo. Volti immersi in un nero intenso dai quali scorgere pathos espressivi e l‘occhio si spinge nel dettaglio delle immagini quasi a voler cogliere altre vibrazioni nella bassa luce che li illuminano.
In fondo, un video al rallenty che ricorda la tecnica delle installazioni di Bill Viola. Il ritratto femminile è unico, fisso, ma il lento movimento delle luci e ombre sul suo volto fanno scoprire l‘infinità della gamma emozionale dell‘immagine con le quasi impercettibili variazioni della luce.
In questa mostra ritornano tutte le coordinate e le costanti del lavoro di Cesare: il nero, la luce, il corpo, il colore, il tempo, la ricerca della costruzione di un‘idea incarnata sempre nella figura femminile, in un‘impostazione creativa dove la finzione, ed il soffermarsi innanzitutto sul dato emozionale che essa genera, conferma quanto determinante sia per lui il rapporto con la dimensione drammatica del teatro e del cinema.
- Maria Savarese
Cesare Accetta
Si approccia alla fotografia negli anni ‘70, intrecciando da subito la sperimentazione personale con il teatro di ricerca come fotografo di scena dei principali gruppi e teatri d‘avanguardia napoletani e italiani.
Cesare Accetta ha esposto negli anni il suo lavoro in diverse gallerie e musei italiani. Vanno ricordate alcune importanti mostre, come 03 – 010 nel 2010 al Museo di Capodimonte di Napoli; Dietro gli occhi nel 2012 al PAN| Palazzo delle arti Napoli, in cui ha raccontato vent‘anni di teatro di ricerca napoletano dal 1976, attraverso fotografie per lo più inedite tratte dal suo prezioso archivio di teatro; In luce nel 2016 al Museo Madre di Napoli, opera acquisita nella collezione permanente.
CESARE ACCETTA – “DRAMA”
A cura di Maria Savarese
ideato e realizzato in collaborazione con Alessandra D‘Elia
Al Blu di Prussia – Fondazione Mannajuolo
Via Gaetano Filangieri, 42
dal 9 febbraio al 6 aprile 2024
Orari: martedì-venerdì 10.30-13/16-20; sabato 10.30-13.00
E poi ci si vedeva come le star a bere qualcosa al Jamaica bar, citando Vita Spericolata di Vasco Rossi. Intellettuali, artisti, politici, gente di spettacolo, tutti passavano di lì, in via Brera a Milano. Dove si formavano parte dei fermenti culturali milanesi e italiani del dopoguerra.
Il Jamaica era frequentato anche dal fotografo Alfa Castaldi. Classe 1926, eccentrico, dinamico nonostante la sua mole robusta, dalla simpatia contagiosa, era versatile, eclettico. Un professionista della fotografia conosciuto come “fotografo di moda” ma che ha abbracciato reportage, ritrattistica, fotografia sociale, pubblicità, ricerca e sperimentazione. E le sue immagini riflettono il suo essere esuberante, creativo, ironico, affabile. Un grande comunicatore che portò nella fotografia una ventata di fresca innovazione.
La fotografia di Alfa è stata davvero un grande contenitore di moda a – suo – modo, vissuta sempre con l‘occhio del reporter, con l‘etica del ricercatore, con il “clin d‘oeil” degli amici artisti del bar Giamaica…
- Anna Piaggi, 2005
Alfa Castaldi, nato a Milano, è stato un riferimento della fotografia dagli anni ‘50 fino alla sua morte avvenuta nel 1995.
Allievo prediletto a Firenze del grande storico e critico d‘arte Roberto Longhi che gli stava creando la possibile opportunità di un incarico ministeriale, Castaldi preferì correre da solo per intraprendere la carriera di fotografo.
Quando torna a Milano inizia a frequentare il Jamaica che diventa il suo punto di riferimento dove poter anche lasciare in deposito le sue attrezzature non avendo ancora uno studio fotografico. Lì incontra i fotografi Mario Dondero, Ugo Mulas, Carlo Bavagnoli coi quali discute di fotografia immaginando nuovi scenari che ben presto iniziò a creare anche grazie alle osservazioni che faceva sui lavori dei fotografi della Magnum.
Perché lo scambio di idee, la loro condivisione, il guardarsi intorno, non poteva non portare una mente creativa come quella di Alfa a una contaminazione nel suo stile: quello di non arrugginirsi in un‘etichetta. Perché il suo stile era innanzitutto determinato da libertà, curiosità, interesse per tutto ciò che stimolava la sua creatività.
Alfa Castaldi shakerava la fotografia di moda col reportage.
Nel 1968 realizzò a Praga, per la rivista “Arianna”, il primo shooting di moda italiano ambientato nell‘Europa orientale in quel momento di grande cambiamento storico che conosciamo. Facevano da sfondo agli abiti di alcuni pionieri del fashion made in Italy come Krizia, Ken Scott e tanti altri, i monumenti come il municipio di Starè Mesto e la casa natale di Franz Kafka.
Per Uomo Vogue realizzò alla fine degli anni ‘70 Compagnia di Stile Popolare, una serie di ritratti a pastori sardi ed abruzzesi, contadini tirolesi e tabarri emiliani. Realizzati con banco ottico in grande formato e sempre in esterni.
Cercavo le radici della naturale eleganza maschile e ritrovavo, di volta in volta, la purezza del disegno e dell‘esecuzione artigianale, da sempre ragione prima dello stile. Così come riscoprivo l‘autenticità di tessuti, panni, cotoni: tessuti fabbricati con estrema attenzione – con una cura essa pure artigianale – per gente che della qualità faceva una ragione di vita.
- Alfa Castaldi (1995)
La fotografia di moda per Alfa Castaldi era dinamica, le modelle erano spontanee, le faceva ridere, muovere, mentre ricaricava la fotocamera con una velocità stupefacente.
Non si accontenta di riprendere abiti e modelle secondo i canoni tradizionali. È un ricercatore.
- Giuliana Scimè; 2013 (critica di fotografia)
Il lavoro di Alfa Castaldi è immenso nella sua varietà di argomenti trattati. E la mostra, che consta di 80 fotografie selezionate, non è un‘antologica o una retrospettiva, ma una sintesi che offre gran parte del ventaglio artistico della sua carriera.
Una carriera, quella di Castaldi, che fa capire anche di aver avuto l‘intuizione di ritrarre personaggi di cui all‘epoca non era scontato il loro successo. E possiamo vedere i giovanissimi fotografi Ugo Mulas, Oliviero Toscani e Bruce Weber; Monica Vitti ritratta nel 1960 all‘alba dei suoi inizi cinematografici. E altri personaggi del mondo della moda, dell‘arte, dello spettacolo, ritratti agli inizi della loro carriera.
Una parete di Al Blu di Prussia è un omaggio a Napoli con scene di strada e vedute che sembrano citazioni della Scuola di Posillipo, Migliaro, Irolli, Scarfoglio. Perché Castaldi tra gli interessi per l‘architettura, i murales parigini, le manifestazioni contro il nucleare a Parigi, aveva l‘arte nel sangue e grazie anche a Roberto Longhi.
Nella sala di proiezione della galleria, un video che riserva altre sorprese come i ritratti realizzati con obiettivo soft focus, senza lenti e montato su un soffietto. Oppure la sua sperimentazione sulle fotografie cubiste realizzate su lastre 20x25 e con un lungo lavoro di esposizioni multiple inserendo maschere nello chassis.
Gli spot dei caroselli della Facis in cui è protagonista interpretando se stesso.
E poi ancora, i testi del suo romanzo rimasto incompiuto, Ali Joo, che scorrono su immagini inedite.
Un filmato in cui si percepisce tutta la stima e amore per il padre, da parte del figlio Paolo Castaldi anch‘egli fotografo, e che cura l‘Archivio Alfa Castaldi.
Ci sarebbe tanto altro da dire, questo articolo è riduttivo di fronte a quel vulcano di Alfa Castaldi.
Bisogna vedere la mostra per comprendere parte del suo mondo intimo e professionale.
La mostra è realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Mannajuolo con l‘Archivio Alfa Castaldi che da anni compie un meticoloso lavoro di catalogazione, archiviazione, conservazione e gestione dell‘opera del fotografo milanese, composta da oltre 12.000 immagini.
Alfa Castaldi
a cura di Maria Savarese
Al Blu di Prussia
via Gaetano Filangieri, 42 - Napoli
dal 27ottobre 2023 al 5 gennaio 2024
Orari: martedì-venerdì 10.30-13/16-20; sabato 10.30-13
Anders Petersen, classe 1944, è il pioniere della prima residenza d‘artista fortemente voluta da Cristina Ferraiuolo gallerista della Spot home gallery. Un progetto ideato nel 2019 ma, causa pandemia, rimasto in sospeso e poi finalmente andato in porto.
Circa 60 fotografie bianconero di medie e grandi dimensioni realizzate dall‘artista durante due fasi per un totale di 35 giorni, tra il maggio 2022 e ottobre/novembre 2022.
Un lavoro in cui Cristina Ferraiuolo ha fatto da fixer girando con Petersen per Napoli, seguendo le sue ispirazioni e suggerendogli luoghi in cui sapeva che avrebbe individuato spunti per il progetto.
Anders Petersen non poteva che essere il primo artista in residenza in galleria. Napoli, con il suo caos e la sua umanità variegata, era il luogo ideale per un fotografo come lui. Nella sua lunga carriera ha fotografato tantissime città, da Tokyo a Londra, da Valparaiso a Sète. Napoli, città-mondo, con le sue mille sfaccettature, le contiene un po‘ tutte.
- Cristina Ferraiuolo
Qui non trovate foto “di” Napoli ma foto “a” Napoli.
Immagini scattate a Napoli ma che seguono la poetica tipica di Anders Petersen che cerca estemporaneità, emozioni, dettagli con i quali entrare in empatia per sentirsi lui stesso il soggetto ritratto.
Sembrano fotografie scattate a Parigi, Londra, New York o altre città del mondo, ma è Napoli. Colta in una sua esclusiva intimità attraverso gli occhi del fotografo svedese.
Perché non vi è quasi alcun riferimento architettonico che possa far risalire alla città. Ma il carattere verace, surreale e sanguigno della città, è quel che emerge. Quello che normalmente non “ascoltiamo” vivendola tutti i giorni.
Scorgerete un vassoio per i dolci immaginando che sia stato ritratto in uno dei più famosi caffè di Napoli, ma non è importante sapere se è quello. C‘è da riflettere invece sul perché Petersen l‘abbia ritratto e coglierne la sua bellezza che non va descritta ma vista di persona con quella stessa attenzione metafisica che lui ha percepito.
Riconoscerete Pompei, il Cimitero di Poggioreale o Piazza Mercato, ma non è quello che l‘autore voleva mostrare. Bisogna entrare invece in quell‘empatia tipica che accompagna Petersen da sempre tra lui e i soggetti che catturano la sua attenzione.
Sono immagini senza luogo e atemporali. Evergreen. Potrebbero essere state scattate negli anni ‘60 o su di lì perché sono indatabili.
Alcune sembrano scattate allo Studio 54 di New York o nella Factory di Andy Warhol, ma qui è Napoli. Forse una città universale come lo sono le immagini? Probabile. È lo stile e la ricerca del fotografo che rende il tutto fuori dal tempo restituendoci una Napoli al di fuori dei luoghi comuni.
Il look di alcuni ritratti che richiama atmosfere hippy, situazioni da burlesque o da vecchio circo. Forme insolite, come l‘enorme siepe a poltrona davanti al Museo di Capodimonte o come quella “cosa” maculata di cui non capisci se è un polpo o un pesce. Lo potevi fotografare anche tu? Non l‘hai fatto e vince chi arriva primo: chi osserva dentro ciò che normalmente è innanzi ai nostri occhi ma che ci sfugge.
Perché l‘agave? Perché le teste di pescespada? E quelle bambole forse in attesa di essere “curate”?
L‘allestimento in galleria è come un puzzle di ritagli di vita minimalista. Come un album di appunti visivi scritti in maiuscolo. Vederli raggruppati è come sentire un‘unica essenza che tocca le corde di tutti i sentimenti della città con i suoi odori, suoni e rumori.
Dettagli… mani spesso protagoniste che si intrecciano, carezzano, fermano; braccia che armonizzano l‘inquadratura, il contatto fisico tra i soggetti ritratti. E poi sorrisi cogliendo la bellezza della vecchiaia. Un elegante uomo anziano, in giacca e cravatta con una gerbera nella mano che attende l‘ascensore, assorto da chissà quali pensieri; i gemelli per incrementare la sua “collezione” sul genere.
Fotografie verticali, molte con inquadratura leggermente inclinata, dove la loro diagonale è percorsa dal centro emozionale della composizione.
Bianconeri un po‘ lomography, contrasti alti, vignettature. Scattate con Contax T3 a pellicola, con obiettivo 35 mm perché Peterson preferisce stare dentro la scena che riprende.
Voglio essere il più vicino possibile in modo da poter sentire che qualunque cosa io fotografi assomigli il più possibile a un autoritratto. Voglio che le mie foto siano una parte di me, voglio riconoscervi i miei sogni, le mie paure, i miei desideri.
Biografia
Anders Petersen (Stoccolma,1944) è uno dei più importanti fotografi contemporanei, noto per le sue immagini in bianco e nero dallo stile documentario intimo e personale. Il suo esordio internazionale è avvenuto nel 1978 con la pubblicazione di Café Lehmitz, uno dei libri fotografici più influenti di tutti i tempi, in cui ha ritratto la vita quotidiana in una bettola di Amburgo alla fine degli anni Sessanta. Café Lehmitz è entrato a far parte della cultura pop quando Tom Waits ne ha utilizzato una foto come copertina del suo album Rain Dogs del 1985. Ad oggi Petersen ha pubblicato più di 40 libri, molti dei quali sono diventati parte integrante della storia della fotografia. Tra i premi e i riconoscimenti ricevuti si possono citare: Il premio Photographer of the Year, ai Rencontres d‘Arles 2003; il premio speciale della giuria per la mostra Exaltation of Humanity, al festival internazionale di fotografia di Lianzhou, Cina, 2007; il premio Dr. Erich Salomon della Deutsche Gesellschaft für Photographie, 2008; il premio al miglior libro del 2009 ai Rencontres d‘Arles Book Award insieme a JH Engström per From Back Home. Inoltre, Petersen ha ricevuto il Paris Photo e l‘Aperture Foundation Photo Book of the Year Award 2012, per City Diary, e il premio Lennart af Petersen, 2019. Il lavoro di Anders Petersen è rappresentato nelle collezioni di Fotografiska Stockholm, The Museum of Modern Art New York, Hasselblad Center Göteborg, Bibliothèque nationale de France Paris, Centre Pompidou Paris, Museo di Arte Contemporanea Roma, Museum of Fine Arts Houston, Moderna Museet Stockholm, Maison Européenne de la Photographie Paris, Museum Folkwang Essen e Fotomuseum Winterthur, tra gli altri. Dal 1969 ha tenuto regolarmente mostre personali e collettive in tutto il mondo.
Napoli / Anders Petersen
A cura di Cristina Ferraiuolo
Spot home gallery
Via Toledo, 66 - Napoli
dal 21 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024
Contatti
+39 081 9228816
Per la prima volta le fotografie di 14 grandi fotografi della Magnum sono esposte insieme dal 7 ottobre al 10 dicembre per una Mostra fotografica dedicata alla cultura americana degli anni Cinquanta.
Ecco chi sono gli autori delle 82 immagini esposte: Dennis Stock, Elliott Erwitt, Werner Bischof, Wayne Miller, Philippe Halsman, Inge Morath, Burt Glinn, Bob Henriques, Rene Burri, Cornell Capa, Leonard Freed, Erich Hartmann, Bruce Davidson, Eve Arnold.
La guerra era finita. C‘era la Guerra Fredda, la “spina nel fianco” della rivoluzione cubana, erano anni segnati dalla segregazione razziale, ma si guardava al futuro. Esplodeva il benessere economico americano. Il miracolo americano. L‘alfabetizzazione ebbe un‘impennata. Nelle case prendevano posto gli elettrodomestici che miglioravano la qualità della vita delle casalinghe. Entrava nella cultura americana quel simbolismo poi sceneggiato anche nella serie tv di Happy Days.
Era tutto rock‘n‘roll. Una società al ritmo di Cadillac cabriolet, drive-in e ragazzine che si strappavano i capelli ai concerti di Elvis Presley mentre Joe Di Maggio faceva le sue ultime battute a baseball. Mentre Gregory Peck, Paul Newman, Audrey Hepburn, James Stewart, Charlton Heston, Grace Kelly e tanti altri, recitavano in quelli che sono divenuti cult movie della storia del cinema americano.
La vita era leggera, spensierata e allegra, rappresentata dai film con Marilyn Monroe ma c‘erano anche ombre di una Gioventù Bruciata. Un delirio collettivo di una società americana che andava al massimo e che riusciva finanche a esportare quello stile di vita in gran parte del mondo occidentale.
Un mondo che gettava i semi della POP Art e che lo stesso Andy Warhol ne descrisse alcuni dettagli, di quelli messi sotto al tappeto (America. Un diario visivo). Un mondo che avrebbe dovuto fare poi i conti con le contestazioni degli anni ‘60 contro la guerra in Vietnam e la fobia del comunismo. Ma questa è un‘altra storia.
Era il mito americano ciò che contava. Industrie, consumismo, benessere, emancipazione femminile, tutto concorreva ad alimentare il sogno americano.
In quegli anni i grandi fotografi della Magnum Photos documentavano la società americana a 360°.
Artisti che hanno catturato lo spirito della società d‘Oltreoceano di quei tempi, restituendocene intatta la bellezza, la potenza delle trasformazioni in atto insieme alle profonde contraddizioni che ancora la caratterizzavano, tracciando così una nuova mappa dell‘identità americana ed esplorando le sue dimensioni sociali, culturali, economiche.
- dal comunicato stampa
Gli scatti selezionati in mostra pongono l‘attenzione principalmente sull‘essere umano, in relazione al contesto culturale, sociale, economico e paesaggistico di un decennio felice. Sono immagini a volte in chiave umanista, oppure in stile pubblicitario e fashion, o semplicemente documentarie. O anche ibride, dove il mix di stili erano interscambiabili rendendole più universali, naturali, vive, americane come quella di James Dean in Times Square che è allo stesso tempo ritratto, foto di moda e streetphotography.
Perché è tutto rock‘n‘roll, baby. C‘è dello swing in quelle storie in bianconero. Ed è per questo che The 1950s è prodotta e organizzata dal Summer Jamboree: il Festival Internazionale di musica e cultura dell‘America anni ‘40 e ‘50 più grande d‘Europa.
Un happening, che si terrà dal 7 al 10 dicembre, per tutti gli appassionati di quei favolosi 1950s americani, tra concerti live di Rock‘n‘Roll, Swing, Country, Rockabilly, Rhythm‘n‘Blues, Hillbilly, Doo-wop, Western swing e i classici di Natale suonati da artisti provenienti da tutto il mondo al Pala Verdi.
E, negli spazi delle Fiere di Parma, in alcuni padiglioni sarà possibile fare rifornimento di regali vintage e prelibatezze enogastronomiche. E poi ancora, esibizioni di ballo, Burlesque Show e Dance Camp, Tatoo Convention con i maestri del tatuaggio 24h.
Il Summer Jamboree sarà per la prima volta in versione Christmas edition#1.
Pronti a partire? Chiudete gli occhi e immaginatevi già in questo viaggio nel sogno americano a bordo di una chopper o di una Cadillac, entrando in un libro di Jack Kerouac. Tra fotografie da osservare al ritmo di Johnny B. Goode di Chuck Berry e White Christmas cantata da Pelvis.
THE 1950s
Storie americane dei grandi fotografi Magnum
un progetto espositivo originale, prodotto e organizzato dal Summer Jamboree in collaborazione con l‘agenzia Magnum Photos
a cura di Marco Minuz per Suazes insieme con Summer Jamboree
dal 7 ottobre al 10 dicembre 2023
Palazzo del Governatore, Parma
Info
Tel. 0521/218035
Orari: da mercoledì a domenica dalle 10 alle 19
Biglietto
Intero 8,00 euro
Ridotto 6 euro
- Studenti universitari dai 18 ai 25 anni con documento e tesserino universitario
- Visitatori con invalidità
- Convenzioni con aziende e/o partner della Mostra
- Gruppi scuole
Gratuito
- Minori di 14 anni
- Guide turistiche abilitate con tesserino di riconoscimento
- Un accompagnatore per ogni gruppo anche scolastico
- Un accompagnatore per disabili che presenti necessità
- Giornalisti accreditati dall‘ufficio stampa degli organizzatori della Mostra e del Comune di Parma
Foto:
Copertina: Wyoming, USA, 1954; © Elliott Erwitt/Magnum Photos
Al centro: James DEAN in Times Square, New York, USA, 1955; © Dennis Stock/Magnum Photos
In calce: Beauty class at the Helena Rubinstein Salon, New York, USA, 1958; © Inge Morath/Magnum Photos
Italy / Napoli
tel(+39) 0814201345
fax(+39) 081 0070569
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Italy / 80133 Napoli
Via Alcide De Gasperi, 45
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