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01.01.1970 # 5797

Marco Maraviglia //

Vittime di Dio in mostra al PAN con la rassegna Ceci N’est Pas Un Blasphème

Un intenso progetto di Antonio Mocciola e Carlo Porrini: circa 40 scatti fotografici, attraverso un viaggio che assegna volti viventi a donne e uomini uccisi con la scusa della fede nel corso della storia

Bruciati vivi, impiccati, gassati, strangolati, decapitati, giustiziati dietro processi sommari, a volte prima torturati. Sono state le “pecore nere” dell’umanità dei tempi. Quelli che hanno detto “no” a una Fede unilaterale. No alle regole indiscutibili impartite dall’alto. No al pensiero indottrinato. No all’impossibilità di teorizzare oltre il già sancito. Pur sapendo di mettere a rischio la propria incolumità. Pur sapendo di dover trascorrere il resto degli anni della propria vita in fughe o peregrinaggi posticipandosi la condanna a morte.

Coraggio o incoscienza?

“Semplicemente” persone libere dentro che andavano contro il sistema sociale, religioso e politico in cui vivevano. Per dignità. Per coscienza. Per rispetto di se stessi, per onestà intellettuale e cercando forse di dare forza e voce a chi non ne aveva. Mine vaganti. Paladini di un pensiero emergente. Affinché lo stato delle cose non restasse palude e ignoranza collettiva. Martiri ma non sempre santificati. Individui che non erano cittadini del proprio tempo.

Eretici, ribelli, farneticanti, rivoluzionari del pensiero e delle idee che andavano oltre il consentito dalle caste. Oltre i dogmi. Oltre quanto deciso dai poteri religiosi. E si marchiavano per sempre. Ricercati perché condannati. Spesso senza nemmeno un processo pilotato, così, giusto per salvare almeno la faccia del Potere.

Il peccato era ragionare diversamente da ciò che era scritto e ormai consolidato nel corso dei secoli. Era blasfemia. Eresia. Punibile.

 

Antonio Mocciola e Carlo Porrini hanno voluto omaggiare con il progetto espositivo Vittime di Dio (nudi eretici) alcuni di questi personaggi rappresentativi dell’attivismo del pensiero diverso, in occasione della rassegna Ceci N’est PasUn Blasphème. Questa non è una bestemmia.

Contro la censura di un certo modo di pensare, dire, essere in modalità borderline. In controtendenza col pensiero unico delle epoche del passato.

È una rassegna contro le censure? E allora è l’occasione per sbattere corpi nudi in prima pagina…pardon, sulle pareti. Seni, fondoschiena, genitali maschili e femminili sono il pretesto per attirare l’attenzione del pubblico e far scorgere su ogni corpo i nomi delle Vittime di Dio. Nomi scritti a mano con inchiostro ad acqua per maquillage o stampati a timbro con caratteri tipografici in legno della Tipografia Museo di Carmine Cervone.

Giordano Bruno, Giovanna D’Arco, Ambrogio Cavalli, Beatriz Kimpa Vita, Cayetano Ripoli… Vittime dell’Inquisizione, del vecchio Clero, a volte con la colpa di non essere stati eterosessuali o comunque non convenzionali e quindi “fuorilegge”.

 

A loro dedichiamo questa mostra fotografica, alle Vittime di Dio. Del quale noi neghiamo l'esistenza, o quantomeno ne sospendiamo la possibilità, e dunque ci si legga con ironia. Dio non uccide perché non esiste, e se esiste uccide e allora siamo tutti vittime.

Le Vittime di Dio che qui immortaliamo sono quegli esseri umani che, in nome di un Dio altrui, sono stati uccisi da altri esseri umani.

E li presentiamo in natura, in carne e ossa, come agnelli sacrificali. Sul loro corpo indifeso il graffio di un nome, il loro. Giovanna D’Arco o Pierre de Bruys, Anna Weiler o Giordano Bruno, ma anche illustri sconosciuti. C'è stato, democraticamente, un rogo per chiunque.

- Antonio Mocciola e Carlo Porrini

 

Fotografie in bianconero dai forti chiaroscuri, luci ed espressioni di persone ritratte che evocano scene e percezioni caravaggesche. Individui drammaticamente soli. In un limbo. Come nudi su una lastra di ghiaccio sospesa nel vuoto. Urla munchiane e maschere da tragedia greca nel silenzio dell’ignoranza. Corpi in tensione, aggrovigliati su se stessi, nudi e crudi ma dove il focus, il punctum, il centro emozionale di tali immagini non sono capezzoli e falli ma quei nomi scritti sulle carni reincarnate, non sempre facilmente leggibili e quindi da scoprire con l’attenta osservazione. Perché a volte sfuggenti nell’ombra. O perché forse ancora tendiamo a dimenticare quei protagonisti della libertà del pensiero, continuando a nasconderli sotto a un tappeto intriso di sangue.

 

Modelle e modelli si sono prestati ammirevolmente con entusiasmo a questo progetto abbracciando la causa. Senza pudore. Forse emuli di quel pensiero divergente che è, in fondo, ciò che dissuaderebbe repressioni e censure per l’evoluzione delle civiltà.

Modelle e modelli che non sono mai stati tali. Qualcuno sì, attore, attrice, ma tutte e tutti che hanno seguito le indicazioni registiche degli autori delle immagini: Antonio Mocciola, Carlo Porrini, Gian Paolo Bocchetti e FedericaPone.

 

Vittime di Dio, è un progetto contro l’omertà. È qualcosa che sembra cavalcare l’onda del contemporaneo se guardiamo altri ambiti perché ancora oggi, pur non essendoci roghi, fucilazioni, ghigliottine, esistono altri mezzi per uccidere moralmente e mettere a tacere chi tende ad esprimere pensieri diversi: macchina del fango, denigrazioni, diffamazioni, fakenews, ricatti, corruzioni. Perché c’è sempre bisogno di yesmen e non di obiettori eretici. Ma, come disseGiovanni Falcone:

 

Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.

 

 

 

 

"LE VITTIME DI DIO" nudi eretici

di Antonio Mocciola e Carlo Porrini

Con contributi di Gian Paolo Bocchetti ed Emanuela Pone

In occasione del festival internazionale delle Arti Censurate "Ceci n'est pas un blasphème" diretto da Emanuela Marmo

PAN – Palazzo delle Arti di Napoli

Via dei Mille, 60 - Napoli

01.01.1970 # 5768

Marco Maraviglia //

Food e passione. L’ingegnere che da cuoco divenne fotografo a 50 anni

La photofoodgraphy di Luciano Furia al MUSEUM con oltre 50 fotografie che raccontano la sua passione per la cucina e la bellezza dei cibi

Chi è Luciano Furia

Ingegnere elettronico, vive sei anni negli States conseguendo un dottorato sugli effetti biologici delle microonde. Ma non ha mai fatto l’ingegnere e non si è mai iscritto nemmeno all’albo pur continuando ad applicare le sue conoscenze per uso personale: i backup dei suoi file li fa su nastri magnetici garantendogli una durata maggiore rispetto ad altri supporti digitali.

Lavorava in banca ma, scontento del suo lavoro, venticinque anni fa con “furia” entra in tandem nella società della moglie che si occupa di traduzioni per la manualistica di multinazionali e localizzazioni software. Traducono manuali da quelli per pacemaker a quelli delle moto. Clienti in tutto il mondo trattati solo virtualmente, senza mai incontrarli di persona e scavalcando tutte le crisi economiche che si sono avute dall’attentato delle Twin Towers dell’11 settembre 2001 in poi: «Perché se si scassa una parte del mondo, c’è tutto il resto che continua a correre».

 

La furia di Luciano Furia

Da piccolo gli regalano 7-8 Instamatic, per rimpiazzare quelle che di volta in volta rompe maldestramente. Fin quando il padre gliregala una reflex che preserva con più attenzione iniziando ad appassionarsi alla fotografia con maggiore serietà.

Le sue prime foto che ebbero particolari riconoscimenti riguardavano i concerti che fotografava a Villa Pignatelli e quelli del maestroSalvatore Accardo. Nel 2019, in occasione dei 100 anni dell’Orchestra AlessandroScarlatti, tenne la prima mostra nella stessa Villa Pignatelli alias Casa dellaFotografia.

 

La vita fotografica di Luciano Furia ricomincia a 50 anni

Quando gli astronauti dell’Apollo 11 andarono sulla luna nel’69 ci fu un certo fragore nel pubblico per il fatto che avevano tutti quasi 40anni. All’epoca si era considerati vecchi a quell’età ma fu l’occasione per far emergere tutta la classe dei quarantenni pimpanti. Ma oggi ance a 60 anni si può decidere di reinventarsi…

A 50 anni Luciano Furia riceve in regalo la sua prima reflex digitale e riprende a fotografare con più interesse. Era il 2009 ed inizia a imparare da autodidatta fin quando segue con la Adobe un corso che gli rilascia il Certificate Aperture. Poi passerà al Capture One tenendo a precisare che non utilizza il Photoshop perché le sue immagini subiscono solo interventi di post-produzione analoghi a quelli che potevano farsi in una camera oscura.

 

Nel 2010, avendo un grande interesse per la gastronomia, si iscrive a un corso di cucina. Porta la sua reflex sempre con sé e fotografa per diletto ciò che viene preparato durante le lezioni. Le sue foto iniziano a essere notate da alcuni chef che gli chiedono di lavorare per lui.

Ma Luciano Furia non intende rubare il lavoro dei fotografi professionisti facendo l’abusivo e allora si impegna ancora di più: frequenta un corso di fotografia commerciale alla ILAS tenuto da Fabio Gordo approfondendola tecnica dello still life e finalmente apre la P.IVA. È finalmente fotografo professionista!

 

Le collaborazioni con gli chef

Realizza un libro per lo chef Ciro Salatiello; viene contattato da un’agenzia di Milano per realizzare le guide Voiello L’Oro diNapoli; accompagna Franco Pepe a New York, Los Angeles e Hong Kong per presentare la pizza all’ananas in compagnia di Oscar Farinetti e Massimo Bottura.

 

Le pizze mi hanno consentito di girare il mondo

 

E la seguente è la bibliografia con le sue immagini da food photographer:

 

  • ·      2015: Gli ingredienti di una vita: di CiroSalatiello, Polidoro editore
  • ·      2016: Storia di Fabbricanti di Maccheroni:Storia e ricettario del Pastificio Gentile, Polidoro editore
  • ·      2017: Cucina Creativa Mediterranea. Librofotografico di ricette dello chef stellato Vincenzo Guarino, Polidoro editore
  • ·      2018: Pizza fritta: di Enzo Coccia: GuidoTommasi editore
  • ·      2016 e 2017: Guida l’Oro di Napoli per Voiellocon le ricette, rispettivamente, di 40 e 50 chef campani
  • ·      2018: Pizza di Gino Sorbillo, Dissapore Editore
  • ·      2019: Mostra fotografica su le “Settimana diMusica d’insieme” parte dell'esposizione “Napoli: Musica ininterrotta” a Villa Pignatelli, curata da SCABEC e Associazione Scarlatti

 

Le foto sessuate di Luciano Furia

Non è un food stylist, non allestisce lui i piatti da riprendere ma, quando glieli poggiano sul set, dedica tutta l’attenzione alla tecnica fotografica decidendo punti di vista, inquadrature, la luce più giusta per lui per esaltarne l’appetibilità.

Ma l’aspetto creativo c’è e i cibi con i loro colori e forme, ritengo che abbiano un tono succulento e sessuato nelle immagini diLuciano Furia. Perché sono uno di quelli che pensa “dimmi come mangi e ti dirò come sei in amore”.

Chi è di buona forchetta ha evidentemente la predisposizione a percepire e quindi evidenziare i dettagli di una salsa che scorre, quelli delle righe di una conchiglia di pasta, della plasticità di un impasto come se fosse un velo scultoreo, le trasparenze glamour di una semplice foglia di basilico odi una fetta di limone, o entrare dentro quelle caverne di pizze fritte dove assaporare con gli occhi l’imbottitura degli ingredienti.

Luciano Furia tende a spogliare voluttuosamente i piatti che fotografa: una lasagna nel ruoto la vede triste come una donna vestita in modo castigato e per lui va tolta da un ruoto e adagiata su un piano per gustarne voyeuristicamente il suo aspetto nascosto.

 

Non ho una filosofia interpretativa delle mie foto: il giudizio discriminante è uno solo “Fa venire fame? OK, la foto è buona!”.



Food e Passione, di Luciano Furia

Rassegnafotografica Un altro sguardo a cura di Mario Laporta

Dal 15 al 27 luglio(mercoledì chiuso)

MUSEUM

Largo Corpo diNapoli, 3

Per ulteriori informazioni

Mario Laporta347 8322262

FedericaPalmer 347 3381625

01.01.1970 # 5450

Marco Maraviglia //

Florian Castiglione, Ischia forme e fisionomie rurali in mostra al PAN

Architetture mediterranee e rupestri misconosciute alle pendici del Monte Epomeo. Un’escursione nei luoghi più segreti di Forio sulle tracce di tecniche di costruzione tramandate dai turchi

Chi è Florian Castiglione

Classe 1986. Architetto. Florian Castiglione ha insegnato Storia della Fotografia presso il Dipartimento di Architettura della Federico II di Napoli. Attualmente è funzionario architetto della Soprintendenza Archeologica e Belle Arti della Regione Umbria. È autore di numerosi contributi in volumi e riviste di architettura.

Un’attrazione carnale

La lontananza dagli affetti può far scattare meccanismi che possono rinforzare i legami. È una prova del nove: se veramente ami qualcuno o qualcosa da cui ti distacchi, l’esserne lontano per forza di cose, non fa che accrescere il desiderio di accorciare quella distanza. Passione. È quel propulsore della vita che contribuisce a mettere in moto la grande bellezza perché entusiasmo, adrenalina, curiosità, sono tra gli ingredienti che ti stimolano a fare progetti, costruire idee, sogni…

Ed è un po’ così per Florian Castiglione che ogni volta che torna nell’Isola Verde, avverte che l’attrazione verso il suo territorio, lì dove è nato, è ogni volta più forte.

Come in una forte e vera storia d’amore, Florian vuole approfondire la conoscenza di ogni centimetro di “pelle”, aprire ogni cassetto chiuso dell’anima della sua amata: Ischia.

Ischia, forme e fisionomie rurali

Ischia è nota in tutto il mondo per le tipiche attività turistiche: il mare, lo struscio della sera tra i baretti, le terme, i locali, la festa di Sant’Anna… Tutte attività che si svolgono prevalentemente lungo le coste mentre alle pendici dell’Epomeo c’è un mondo incontaminato, silenzioso, antico, che custodisce parte di quella che è la vera essenza mediterranea dell’isola e che talvolta è spalmata nella “nebbia del tempo”, quella che fa dimenticare, quella che man mano fa sparire alcune tracce dell’uomo.

Il paesaggio non c’è fino a quando la coscienza non lo trasforma in parola, immagine, racconto e rappresentazione; in altro modo, l’esperienza di vita nel tempo e nello spazio. L’IDENTITA’ di un luogo viene definita come caratterizzata da saperi, memorie, affetti; così a un paesaggio esterno se ne affianca uno interno, misterioso e nascosto, a volte sconosciuto.


Casa di pietra alla Falanga - Forio © Florian Castiglione

Dalla Cappadocia al Tirreno

Architetture in pietra. Case scavate nella roccia, nel tufo. Abitazioni che tracciano l’architettura del luogo tra il medioevo e il ‘600. Architettura mediterranea e rupestre.

Florian Castiglione percorre le zone non conosciute dal turismo di massa, ma nemmeno da tanti isolani che ci vivono, ritraendo forme e volumi di case dalla tipica architettura mediterranea e rupestri, in armonia con la grafica di luci e ombre che le rivestono dandole maggiore corpo.

Abitazioni rupestri le cui tecniche di realizzo sembra che siano state tramandate dai turchi, che attraversarono gli appennini dalla Puglia alla Campania lasciando tracce in Basilicata (Matera) e che per praticità ripresero le stesse tipologie delle abitazioni della Cappadocia. Scavi nella roccia e nel tufo, abitazioni realizzate a Km0, senza trasporto di mattoni, ma sfruttando direttamente il materiale presente sul territorio. Un’architettura non invasiva, che sfrutta materia e forme del territorio, uno stile ripreso anche dagli architetti più creativi degli ultimi 100 anni.

…importante esempio di architettura fondata sull’integrazione simbiotica con il territorio e il paesaggio. Le case di pietra furono scavate, mediante una lunga opera di trasformazione di massi franati dal monte Epomeo, dalle comunità contadine in cerca di nuovi insediamenti e terreni per le coltivazioni.


Eremo di San Nicola - Monte Epomeo © Florian Castiglione

I ritratti di Florian Castiglione

Tra le 40 foto allineate lungo le pareti del foyer del PAN, compaiono dei ritratti. Sono contadini, pescatori, vecchi del posto. Custodi di tradizioni e di memorie. Personaggi dell’isola che Florian Castiglione ha incontrato durante le sue escursioni fotografiche e che gli hanno raccontato luoghi “segreti”, aneddoti, leggende e storie tramandate, talvolta accompagnandolo lungo i sentieri fino all’ultimo casa abbandonata.

Sono lì. Osservano in obiettivo. Il volto al centro del fotogramma. Una non-espressione che sintetizza tutto il vissuto rurale che va invece letto nei solchi del viso. Ragnatele che sono come testi in codice decifrabili solo da connessioni immateriali.

Non esiste architettura se non c’è l’uomo e loro sono come una piccola rappresentanza vivente del territorio. Figli del passato. Figli del Mediterraneo. Figli di Ischia.

La mostra

Florian Castiglione ha scattato a mano libera tutte le foto con una Rolleiflex binoculare e quindi su pellicola 6×6. Si tratta di una selezione di 40 scatti realizzati nell’arco di un anno, successivamente scansionati e con postproduzione tipica da camera oscura: correzioni sulle luci e ombre, contrasti…

Stampate in fine art e montate su MDF.

La sequenza delle immagini esposte consiste in tre sezioni combinate tra loro: architettura mediterranea, architettura rupestre e volti degli abitanti.

ISCHIA | FORME E FISIONOMIE RURALI

Mostra fotografica di Florian Castiglione

PAN Palazzo delle Arti Napoli – Sala foyer, Via dei Mille, 60

Dal 4 al 16 ottobre 2019

Tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30
Martedì chiuso

Ingresso gratuito

promossa dall’Associazione SediMenti di Giorgio Coppola e Maria Alessandra Masucci, e realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli


Casa colonica - Forio © Florian Castiglione

01.01.1970 # 5449

Marco Maraviglia //

Massimo Vicinanza a Mosca con “Lucania”: oltre 60 foto della Basilicata

La Basilicata è esportata in Russia con immagini che raccontano tutte le sfaccettature paesaggistiche, architettoniche e altro ancora, di una delle regioni meno battute dall’industria turistica

Chi è Massimo Vicinanza

Ex Capitano di lungo corso. Giornalista, Presidente e co-fondatore dell’Associazione Photo Polis. Massimo Vicinanza è docente di fotografia digitale all’Accademia di Belle Arti di Napoli, capo redattore della rivista Acqua Marina, redattore di FullPress e FullTravel, corrispondente di riviste internazionali come free-lance.

Massimo Vicinanza è un fotografo “outsider”, di quelli che non ricercano popolarità sul territorio con presenzialismo o attraverso i social network: semplicemente lavora, andando dritto al committente realizzando con loro anche libri fotografici che illustrano spaccati che riguardano il rapporto tra ambiente e uomo.

Il libro Kastellos, architettura rom in Romania (2010) è un eccezionale ed esclusivo documento che Massimo Vicinanza realizzò con non poche difficoltà logistiche e le cui immagini sono state esposte in più occasioni tra cui al Palazzo Reale di Napoli, all’Istituto Italiano di Cultura a Madrid e al Complesso monumentale Carcere Borbonico di Avellino.

Altro suo libro è Con l’acqua e con il vento, viaggio nell’Italia delle energie rinnovabili (2006), un’affascinante “reportage lento” sebbene realizzato in pochi giorni, relativo alla presenza di centrali ad energia non fossile presenti in tutta Italia.

Uomo e ambiente, l’etica dei reportage di Massimo Vicinanza

Uomo, architettura, ambiente, urbanistica… Massimo Vicinanza, avendo navigato per mari entrando in contatto con molte città del mondo, è rimasto sensibile a ciò che può determinare emotivamente sull’uomo la conformazione e l’assetto di un territorio.

Dalla parlantina spedita e senza prender fiato, in occasione delle presentazioni delle sue mostre non risparmia di raccontare episodi, aneddoti e risoluzioni di problemi tecnici incontrati durante i suoi reportage.

Si tratta di racconti fotografici “puliti”, senza particolari effetti di postproduzione che vogliano inseguire stili artefatti di una certa fotografia contemporanea. Quelle di Massimo Vicinanza sono immagini che mostrano, che documentano, scevre da rumori visivi e da domande che potrebbe farsi l’osservatore.

Fotografia sull’onda del less is more. Ciò che rappresenta è ciò che vedi. Senza sovrastrutture pseudo-artistiche e questo perché il fotografo ha fatto la sua lunga gavetta con l’editoria di viaggio e turismo internazionale che gradisce questo stile visivo.


Castelmezzano © Massimo Vicinanza

La Lucania di Massimo Vicinanza

Massimo Vicinanza ha un’attrazione particolare per la Lucania (il modo con cui è preferito chiamare la Basilicata dai suoi abitanti).

Da molti anni la Lucania esercita su di me un fascino particolare, o meglio una irresistibile attrazione fisica. I suoi paesini sono avvolti in un silenzio ovattato, le stelle illuminano la notte grazie al bassissimo inquinamento luminoso...


Come esiste il cosiddetto “mal d’Africa”, il fotografo ha una sorta di “mal di Lucania” perché attratto dalla sua diversità di colori, dalla grande varietà dei paesaggi e innanzitutto, dall’atmosfera accogliente che riescono a trasmettere gli abitanti. Una dimensione dai sapori emotivi e gastronomici, antichi, genuini che si tramandano da generazioni, senza contaminazioni metropolitane.

“Lucania” di Massimo Vicinanza è un’esplorazione fotografica di luoghi noti e misconosciuti della Basilicata. Da Nord a Sud, da Ovest a Est in cui si incontrano pastori con bestiame al pascolo e paesini abbandonati; resti archeologici romani e interni di abitazioni rurali con pentolame provato da anni di pranzi in famiglia; tracce di tradizioni religiose, architetture bizantine, nobiliari e popolari in tufo, pietra, cotto… tanta roba.


Nell’immaginario collettivo questa piccola regione meridionale a forte vocazione agricola evoca povertà, sottosviluppo ed emigrazione e richiama alla memoria storie di brigantaggio, vecchie superstizioni e suggestivi rituali pagani.


Sarconi © Massimo Vicinanza

“Lucania” come meta turistica proposta attraverso le foto di Massimo Vicinanza

Location preferita da molti registi del cinema (inter)nazionale ma ignorata dal business turistico che concentra l’attenzione principalmente su Matera (Capitale Europea della Cultura 2019), la Lucania di Massimo Vicinanza mostra e dimostra attraverso le sue immagini quanto questa regione, in tutta la sua estensione, sia ricca di attrazioni paesaggistiche, urbane e gastronomiche per quel turismo lento adatto a viaggiatori goethiani. Una regione in cui il silenzio e stimoli visivi naturali, non possono non piacere a chi svolge lavori creativi o a chi cerca di ritrovare una dimensione umana.

“Lucania” di Massimo Vicinanza è una intelligente operazione di esportazione di una parte del territorio italiano.

All’estero se dici Italia, ti dicono le classiche icone di Napoli (pizza, “maccaroni”, “muzzarella”, tarantella…) o Capri, il Colosseo, Leonardo e Caravaggio, ma la Basilicata sarà stata vista a stento in “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

Una mostra fotografica se non ha un obiettivo, è una semplice esposizione di immagini rese inutili dall’assenza dello scopo stesso della mostra.

E Massimo Vicinanza forse avrà contribuito in parte anche lui ad incrementare un po’ di turismo russo in una delle più belle regioni del nostro Paese: la “Lucania”.


Montescaglioso © Massimo Vicinanza

Lucania, di Massimo Vicinanza

Galleria delle Arti di Zurab Tsereteli – Galleria delle Arti Russa, Prechistenka 19, Mosca, Russia

Dal 23 ottobre al 10 novembre

Orari di visita: mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica – dalle 12.00 alle 20.00, biglietteria – fino alle 19.00, martedì – dalle 12.00 alle 22.00, biglietteria – fino alle 21.00

Prezzo del biglietto:

Adulti: 300 rubli (ca. 4,00 euro)

 

Catalogo:

inclusivo di prefazioni dell’Ambasciatore Pasquale Terracciano, del Presidente dell’Accademia Russa delle Arti Zurab Tsereteli e dello stesso autore.

 

Grazie all’Ambasciata d’Italia a Mosca in collaborazione con l’Accademia Russa di Arte, con il sostegno dell’Agenzia Nazionale per il Turismo in Italia ENIT e dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca


01.01.1970 # 5446

Marco Maraviglia //

Effetto Museo, Massimo Pacifico e le osmosi di gente per musei

I visitatori sono i protagonisti degli scatti ambientati nei più noti istituti culturali del mondo. Cinquanta immagini per ripercorrere il legame tra vita ed arte. Un cacciatore orwelliano di foto

Chi è Massimo Pacifico


Nasce a Sulmona (AQ), nel 1951 e fiorentino d’adozione. Massimo Pacifico diventa fotografo professionista nel 1977.

Collabora, con testi e fotografie, con dozzine di riviste illustrate (di attualità, di viaggi e di stili di vita, italiane, tedesche, americane e giapponesi), realizzando centinaia di reportage dei cinque continenti.

Dal 1991 è giornalista professionista.

È stato Presidente per 10 anni dell’Airf (Associazione Italiana Reporter Fotografi) della Toscana; v. Presidente per 2 anni del Gist (Gruppo Italiano Stampa Turistica), presidente per 9 anni della Neos Giornalisti di Viaggio Associati.

Autore di molti libri per Electa, Alinari, Fos, Najs et alia e ha esposto le sue immagini ad Algeri, Boston MA, Firenze, Milano, Venezia, Williamsburg VA, Kyoto, USA, ….

“EFFETTO MUSEO Intrusioni istantanee nei luoghi dell’Arte”, è una mostra itinerante che viene implementata di volta in volta nei vari spazi in cui espone.

Nel 2005 fonda, a Milano, la rivista mensile VERVE, che dirige fino al 2010, e quindi, nel 2011, la rivista, sempre mensile, BOGART. Dal 2014 cura la pubblicazione online della visual web review BARNUM.


Il Bresson che è in Massimo Pacifico


Quando vi trovate in un museo in giro per il mondo, potreste essere immortalati dall’obiettivo di Massimo Pacifico. Non ve ne accorgereste perché non vi chiederà di mettervi in posa. Lui, come un angelo invisibile, cercherà di cogliere il vostro momento di massima attenzione (o distrazione) mentre ammirate un’opera da vicino o da lontano, mentre leggete un’etichetta didascalica incurvati, mentre fissate nella vostra memoria i chiaroscuri di un dipinto

Non di rado varco soglie maestose, e fotografo, e molto. Con diaframmi aperti e tempi di scatto, per quanto consentito dalla tecnologia, brevi. Ho la pretesa di congelare attimi irripetibili e di produrre immagini semplici, usando un lessico elementare. Tento, alla maniera di Henry Cartier-Bresson, di allineare l’obiettivo all’occhio e al cuore… e anche a quella parte del cervello dove alligna l’ironia.

Londra, Victoria and Albert Museum. 2015; © Massimo Pacifico

Massimo Pacifico ritrattista antropologo

Massimo Pacifico non è un voyeur, non un guardone ma semplicemente cerca di mettere in sintonia il suo cuore e mente, con il nostro esserci in un museo. Fotografa sulla stessa onda dell’attenzione che dedichiamo all’osservazione per capire, studiare, conoscere la Grande Bellezza prodotta da artisti di ogni epoca.

È un po’ un approccio da antropologo, quello di Massimo Pacifico. Studiare il modo di come il pubblico si interfaccia con un museo e le opere che contiene.


Simbiosi e osmosi con il museo: il pubblico ritratto da Massimo Pacifico

Osservando le immagini di Massimo Pacifico, l’occhio non si focalizza sulle opere presenti nelle inquadrature, ma sugli atteggiamenti del pubblico, la sua concentrazione, o il suo modo acrobatico o goffo che sia, per scattare una foto all’opera o un suo dettaglio preferito. A volte l’opera è fuori campo perché è il visitatore il centro emozionale dell’immagine e, se si tratti di un fiammingo o di un dipinto rinascimentale, il “gioco” non consiste nel riconoscere l’autore o il titolo dell’opera ma cogliere le sensazioni dell’osservatore ritratto. O anche di chi non osserva ma fruisce a modo suo lo spazio di un museo.

Gli scatti di Massimo Pacifico non sono a caso, sono bressionani, street-photography museale, people-museum-photography. Gente in giro per musei che diventa il vero “spettacolo” del museo stesso.

Qualcuno potrebbe obiettare che l’idea non è originale ricordando alcune fotografie di Alécio De Andrade o di Elliot Erwitt (che talune erano però preparate come quella della Maya desnuda e Maya vestida), o direbbe “l’ho fatto anch’io” ma l’idea consiste in una ricerca visiva appassionata e psicologica costante, durata 15 anni, e presentata con un certo stile. Dalle immagini naturali, plastiche, dai colori morbidi tipici di quelli che percepiamo quando siamo in un museo.


MUSEUM DER BILDENDEN KÜNSTE - LIPSIA - Germania 2014; © Massimo Pacifico

Le affinità e le ironie nelle foto di Massimo Pacifico

Quelle di Massimo Pacifico, sono uno spaccato internazionale ma universale, mono-lingua, del modo di rapportarsi dell’umanità con i musei.

Persone che si appisolano sulle panchine delle sale; un custode eretto sull’attenti anche se in assenza di visitatori; turisti con audio-guide che indicano ai propri compagni di viaggio il dettaglio dell’opera che stanno ascoltando; un bambino che gattona sotto un quadro che ritrae dei puttini, quasi come se fosse scappato dal dipinto; la turista con spacco glamour tra opere altrettanto glamour del periodo dell’Arte Romantica; il tatuaggio sul braccio del visitatore che si intona con la decorazione floreale; le affinità tra l’abbigliamento dei visitatori con le opere esposte; bambini che cercano di orientarsi con la mappa del museo lasciando immaginare che vogliano ritrovare i propri genitori o cercare “il tesoro”…

Un mondo nel mondo dove regna l’equilibrio compositivo delle foto oltre che l’attimo colto spesso al volo in stile bressoniano che solo un osservatore e amante della gente riesce a prevedere.


Londra, Victoria and Albert Museum. 2015; © Massimo Pacifico

Scatti realizzati in musei di tutto il mondo

Da sempre in molti musei internazionali è consentito poter fare riprese fotografiche a mano libera e senza flash. In Italia solo in seguito al “Decreto Franceschini”, sull’onda del piano programmatico del precedente Ministro Massimo Bray, dal 2014 il MiBac ha consentito le riprese nei musei statali. Ovviamente le dirigenze di alcuni musei si sono attrezzati con targhe da apporre innanzi alle biglietterie per vietare l’uso degli stick per selfie.

Massimo Pacifico è comunque sempre riuscito a “rubare” qualche scatto nei musei anche prima del Decreto Cultura del 2014. Perché un fotografo professionista deve sempre riuscire a “portare gli scatti a casa” per sostenere il proprio lavoro.


Le tele di Massimo Pacifico

Cinquanta fotografie. Di formato vario dal 50×75 al 120×80. Tutte stampate su tela, un po’ come se Massimo Pacifico volesse ironizzare auto-citandosi come pittore. I bordi sui telai sono una piccola chicca da vedere di persona.


Effetto Museo, di Massimo Pacifico

Dal 31 ottobre al 6 gennaio 2020

MANN – Museo Archeologico di Napoli

Sale 94 e 95


STAEDELSCHES KUNSTINSTITUT - FRANCOFORTE SUL MENO – Germania 2012; © Massimo Pacifico

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