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31.08.2022 # 6111
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Paolo Falasconi //

A Torino Tornano i Graphic Design Days

Il festival internazionale di visual design dal 17 settembre al 2 ottobre 2022

Si svolgerà dal 17 settembre al 2 ottobre la settima edizione di Graphic Days®, il festival internazionale di visual design promosso a Torino dal 2016 dall‘associazione Print Club Torino, dall‘agenzia quattrolinee e dall‘associazione Plug. Per la prima volta il festival sarà completamente diffuso in città in 6 location principali e con un calendario di oltre 40 appuntamenti a cura degli studi di design del territorio. Altra novità importante di quest‘edizione: tutte le iniziative saranno dedicate al tema Kids.

“Abbiamo scelto di innovare il format del festival” sottolineano Ilaria Reposo e Fabio Guida, curatori artistici di Graphic Days® “perché desideriamo aumentare la pervasività dei nostri contenuti in città e mescolare i pubblici. Non più quindi un luogo principale che ospita la gran parte degli appuntamenti, ma numerose sedi che inaugurano in giorni diversi e illuminano differenti aree delle città, dando vita a un fitto calendario di iniziative che coinvolgerà 12 quartieri e un comune fuori Torino.”

Il 17 e 18 settembre la settima edizione di Graphic Days® apre con un evento speciale all‘interno dei Docks Dora, con un programma di mostre, workshop, talk, proiezioni video, performance, una mostra dell‘artigianato e un‘area food & beverage allestita per l‘occasione. Il 21 settembre inaugura una mostra personale dell‘illustratore Lucio Schiavon presso Spazio Musa, il locale polifunzionale situato di fronte al Santuario della Consolata; si tratta della prima personale dell‘artista, una retrospettiva sull‘opera dell‘illustratore e un percorso declinato sul tema Kids, realizzato ad hoc per il festival. La casa del festival sarà nella Manica del Mosca della Cavallerizza Reale, che dal 23 settembre al 2 ottobre sarà animata da un ricco palinsesto di iniziative tra performance, talk, appuntamenti con illustratori e serigrafi, a corollario di un ampio percorso espositivo dedicato alle eccellenze del panorama del visual design internazionale.

Tra le 6 location principali, il laboratorio Print Club Torino dove il 24 e il 25 settembre si svolgeranno workshop dedicati alla serigrafia e alle tecniche di stampa e la Casa del Pingone che ospiterà una mostra dell‘artista Riccardo Colombo e alcuni laboratori.

Le serate del 27 e del 29 settembre saranno dedicate agli appuntamenti del calendario In the city: oltre 100 studi di design, artisti e realtà che operano sul territorio partecipano al festival curando e progettando nelle proprie sedi 42 iniziative dedicate alle tematiche del festival.

Non si tratta di un festival per kids, ma di un festival che affronta come il visual design si declina per i bambini; non mancheranno in ogni caso anche attività direttamente rivolte ai più giovani. In particolare, dopo la chiusura del festival, venerdì 7 e sabato 8 ottobre verrà attivato un nuovo hub: Cumiana15, per l‘evento off pensato per i bambini dai 6 agli 11 anni e per le loro famiglie con l‘obiettivo di stimolare lo sviluppo della creatività e delle capacità cognitive nei più piccoli. Il programma sarà realizzato con il supporto scientifico di Giorgio Camuffo, professore di comunicazione visiva presso l‘Università Libera di Bolzano e capoprogetto di EDDES, il programma di ricerca dedicato all‘applicazione del design in campo educativo e formativo.



05.04.2022 # 5959
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Nicola Cozzolino //

Quali sono le figure professionali che operano nel mondo della comunicazione visiva? Scopriamolo insieme.

In un mondo che premia sempre la velocità rispetto alla qualità, è importante saper distinguere competenze e incompetenze per evitare sgradevoli errori.

Nel corso della mia carriera professionale ho autonomamente deciso di imparare una serie di discipline un po’ per poter meglio rispondere alle varie esigenze di mercato e un po’ perché amo profondamente quello che faccio. La mia idea di base è che, quando chiedi a qualcuno di produrre qualcosa per te o se un cliente ha un certo tipo di esigenza, la cosa più importante è sapere di cosa si stia parlando.


Ma questa non è per forza una regola. Molti professionisti del settore, infatti, puntano sulla qualità e sulla formazione in una specifica disciplina. In questo modo si riduce la possibilità di commettere errori e si rispettano le diverse competenze senza prevaricazioni di sorta. Questo sistema garantisce sempre di lavorare con alti standard di qualità e consente di creare team multidisciplinari in cui ognuno opera in totale autonomia collaborando con diversi esperti in vari ambiti della comunicazione e della progettazione.


Ci si affida, dunque, alle abilità dei singoli professionisti nei vari settori di appartenenza, in grado di soddisfare i bisogni di una data commessa. Parliamo di graphic designer, web designer, illustratori, copywriter, fotografi, ecc... L’importante è, quindi, che ogni attore conosca approfonditamente e in maniera esaustiva la sua materia, in base agli studi, alla preparazione, all’attitudine e alla propria qualifica professionale, così da offrire il massimo contributo possibile nell’eseguire il proprio compito.


Questo è il modo giusto. Ma ce ne sarebbe anche uno sbagliato, purtroppo.


Spesso infatti, per esigenze di budget, per inefficienza o per mancanza di conoscenza, si affidano mansioni a professionisti che nulla conoscono di una certa materia. Assistiamo, quindi, alla sofferenza di graphic designer che si cimentano con le regole del mondo della comunicazione digitale, web designer che hanno a che fare con tecniche di fotoritocco e video editing e copywriter che provano a misurarsi con il fantastico mondo della progettazione visiva.


In pratica sarebbe come schierare una squadra di calcio in cui ognuno ricopra un ruolo diverso dal proprio. Si, certo, puoi anche vincere qualche partita, ma hai le stesse probabilità che un fulmine ti colpisca in piena estate mentre mangi il tuo bel ghiacciolo in riva al mare.


A quanto pare, perciò, un imbianchino può anche saper cambiare un rubinetto, ma se chiami un idraulico forse è meglio. Ma quali sono le discipline del design? Quante figure professionali esistono nel mondo della progettazione legata alla comunicazione?

Iniziamo dalle basi.


Grafico Pubblicitario


La figura del grafico pubblicitario, ben nota ai più per la conoscenza di alcune parole in inglese che spesso e volentieri esibisce in contesti disparati, nasce come derivazione dei primordiali illustratori nel mondo della pubblicità. Fino agli anni Sessanta del Novecento infatti, questa professione era ricoperta da abili disegnatori in grado di realizzare ritratti e illustrazioni più o meno complesse e di realizzare caratteri tipografici in corsivo per abbellire le composizioni. Con l’avvento della tecnologia, con l’utilizzo sempre più massiccio di caratteri tipografici industriali, creati per specifiche esigenze, questa figura è stata gradualmente sostituita con professionisti in grado di usare computer, di conoscere e lavorare con i font, di manipolare e lavorare con immagini e materiale vario. Ecco che nasce la figura del grafico pubblicitario, ossia quei professionisti in grado di produrre composizioni visive su formati pubblicitari seguendo le specifiche di un direttore creativo, un art director o un copywriter. 



Grafico Editoriale


Ve li ricordate quei manufatti di carta patinata simili a libri che contenevano articoli e comunicati di vario genere? Si, esatto, le riviste! Appunto, i grafici editoriali sono specializzati nella progettazione riservata a quella specifica area della comunicazione visiva. La figura del grafico editoriale è spesso tormentata e martoriata, ma le competenze necessarie ad essere un professionista in questa materia sono decisamente tante e complicate. Griglie, guide, margini, colonne, correzioni, bozze, file per la stampa e chi più ne ha più ne metta. A questi progettisti viene affidato l’arduo compito di impaginare materiale da consultare, da leggere e da comprendere (eventualmente). Credo non ci sia compito più difficile. Bisogna infatti conoscere i formati, adattare i contenuti rispetto alle griglie di progettazione, creare le griglie di progettazione, scegliere con cura font e dimensioni, contrasti e posizionamenti, conoscere le regole di lettura e leggibilità, di vicinanza e di allineamento, stabilire le gerarchie visive degli elementi, saper usare un telefono e ordinarsi un caffè al bar. Praticamente tutto, tranne lavorare con foto, immagini e illustrazioni. 



Illustratore


Gli illustratori sono quegli amici un po’ strani che avevamo a scuola, quelli che detenevano la misteriosa arte della rappresentazione visiva su carta. Insomma quelli che un po’ erano artisti e un po’ erano musicisti, un po’ street artist e un po’ casinari e che poi, non si sa bene come, a un certo punto, hanno deciso di diventare tatuatori. Quelli che, però, non hanno scelto questa strada sono diventati illustratori. L’illustrazione è la più affascinante tra le discipline applicate alla comunicazione visiva, per la sua intrinseca caratteristica di saper dimostrare il lavoro svolto. Quando si sceglie un font, infatti, tutti ignorano che per sceglierlo si è diventati ciechi davanti a un computer, che si è letto fino alla nausea o che si è guardato il lavoro altrui per trovare nuove idee fino alla denuncia per stalking. Quando invece si disegna, allora cambia tutto. Ci si perde subito in domande tipo “ma come hai fatto?” Oppure in espressioni di ammirazione tipo “madòh bellissimoh!”. 



Se, però, da un lato la figura dell’illustratore suscita tanti followers, è altrettanto vero che la fama ha sempre un prezzo da pagare. Quanti di voi, infatti, possono dire di non aver mai chiesto all’amico o all’amica che sapevano disegnare di fargli un ritratto del proprio cane ormai scomparso da tempo o di disegnargli la “grafica” per la partecipazione delle nozze del cugino “che tanto che ci vuole ci metti un attimo”?


Questa è la principale causa di morte degli illustratori: non essere pagati per il lavoro svolto. 


Recentemente, questi abili professionisti sono diventati molto richiesti. Un po’ per compensare le mancanze professionali di qualcun altro, un po’ perché ciò che si vede si vende sempre meglio. Molti si improvvisano come grafici pubblicitari o brand designer, ma non sempre i risultati sono entusiasmanti. Possedere buon gusto non è sufficiente per realizzare un progetto. Ma sicuramente aiuta. 


Ora che abbiamo fatto chiarezza sulle basi, possiamo anche fermarci a riprendere fiato. Nella prossima filippica vi parlerò di altre mitologiche figure, che vivono ai margini della società civile in tane illuminate appena dalla luce asettica di un neon, circondati da un alone di mistero e di tetra leggenda. Praticamente parleremo dei programmatori.

17.03.2022 # 5942
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Nicola Cozzolino //

Graphic Designer cosa fa e come diventare un Grafico Professionista.

Come si svolge il lavoro di graphic designer e dove lavora un graphic designer.

La prima volta che raccontai a mia madre di voler diventare un graphic designer, mi chiese di aggiustarle il condizionatore.  Visto che sapevo usare i computer, qualsiasi tecnologia non doveva essere un mistero per me. 

Quando ho iniziato a fare questo lavoro, il graphic designer sostanzialmente era colui il quale non aveva voglia di lavorare o di studiare e perciò passava il suo tempo a fare “disegnini” al computer. 


Ma come si diventa graphic designer?


Sostanzialmente ci sono due strade: essere il cugino di qualcuno che prima o poi ti chiederà un logo per un biglietto da visita, oppure studiare. 

Io direi che la seconda strada sia più affidabile, ma come spesso accade nelle cose della vita, la strada più giusta è anche quella più difficile.


Ma le cose facili durano sempre poco. 



Come amo ripetere ai miei allievi, un graphic designer non è un artista ma un artigiano, che come qualsiasi artigiano, per imparare deve praticare. E la pratica non si improvvisa, richiede studio e applicazione. 


Per essere degli abili professionisti della comunicazione visiva, bisogna soprattutto essere presenti, essere immersi nella cultura contemporanea, attingere dal passato per proiettarsi nel futuro. E per questo sguardo attivo, è indispensabile una discreta cultura generale.


Oltre alle tecniche base della progettazione, guide, griglie, allineamenti, gestione degli spazi, equilibri, tecniche del colore, uso dei caratteri tipografici, percorsi di lettura, gerarchie visive, lo studio del graphic design si avvale di molte discipline, dalla sociologia alla psicologia, all’antropologia. 


Queste discipline sono nuclei fondanti per la competenza, non solo perché non sapremo mai con quale progetto dovremo misurarci, ma anche perché, come ogni forma di espressione umana, la grafica parla degli esseri umani agli esseri umani. 

In un bellissimo documentario su un font che ha partecipato alla più grande rivoluzione nel campo della progettazione grafica (Helvetica), qualcuno afferma che i designer collegano le loro teste a quelle degli altri con fili invisibili. Più ci si addentra in questo campo e più ci si rende conto di quanto sia vero. 

Si, è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo (cit.), direbbe qualcuno, ma in realtà si sceglie di essere graphic designer perché si segue la propria inclinazione, sedotti dal gusto e il piacere divino della creazione. 

Avere un’idea e realizzarla è una sensazione di febbrile soddisfazione. Vedere in giro il proprio lavoro, osservare l’effetto che produce sulle persone e il suo impatto sulla società è un’esperienza destinata a segnarci profondamente.


Ogni traguardo, però, necessita del suo percorso. Troppo spesso ho visto svilire questa bellissima professione, troppo spesso assistiamo allo spettacolo di millantatori di varia natura e grado che si improvvisano. No. Il design merita di più, merita rispetto e considerazione. 


Un graphic designer produce bellezza, arte, cultura, e quando si compie questa operazione si lascia una traccia di sé agli altri nel mondo. 


In definitiva, per diventare un graphic designer servono un computer, una matita e un po’ di creatività. Per diventare invece un grande graphic designer servono conoscenza, capacità, cultura e attitudine al miglioramento costante. Perché il miglior lavoro sarà sempre il prossimo, perché la professionalità si costruisce confrontandosi con il cammino percorso.


Ecco come si diventa graphic designer.  

Perché farlo?


Perché essere graphic designer è soprattutto una missione di civiltà.

02.03.2022 # 5931
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Marco Maraviglia //

Salvatore Mattozzi, un creativo eclettico al servizio dell’informazione

Illustrazioni, fotomontaggi, immagini che hanno documentato oltre trent’anni della storia editoriale italiana tra storia, cultura e ambiente

Chi è Salvatore Mattozzi

Classe 1955. Nato a Napoli.

È disegnatore, fumettista, illustratore, fotografo, videomaker, grafico, giornalista.

Salvatore Mattozzi è uno degli illustratori più prolifici dello scenario editoriale italiano che dal 1976 vanta collaborazioni per i principali quotidiani, settimanali e mensili nazionali tra cui Il Corriere della Sera, Il Mattino, Il Sole 24 ore, Campus Web, Happy Web, L'automobile, Il Male, L'Espresso, Class. Ha realizzato copertine per libri editi da Mondadori, Pironti, Liguori. E non è tutto.

 

Il suo libretto scolastico lo indirizzava, al termine delle scuole medie, verso il Liceo Artistico ma, avendo avuto votazioni basse dovette ripiegare verso il Liceo Scientifico. Solo un paio d’anni dopo si presentò da privatista per accedere al Liceo Artistico iniziando dal II anno. Dopo una lunga frequentazione come studente di Architettura, lascia l’Università per iniziare a prendersi la sua vita.

Il suo percorso professionale è fatto di innumerevoli tappe che si sono avvicendate tra di loro con una cronologia che talvolta si accavalla, si dirama, si allunga e allarga verso varie esperienze che non possono non collocarlo in quella fascia di creativi poliedrici che hanno lasciato traccia un po’ ovunque nel campo della comunicazione.

 

Qualcosa delle sue esperienze

Iniziò a lavorare nello studio di progettazione del padre architetto che realizzava importanti edifici di Napoli.

Disegnatore tecnico ma anche costruttore di modelli plastici per importanti società. Una passione che a Salvatore Mattozzi gli è rimasta portandolo a riprodurre in scala la stazione della metropolitana dei Campi Flegrei in maniera maniacale e iperrealistica. Colorandone anche con l’aerografo alcuni dettagli. Ma questo lo fa per se stesso. Dal 2017.

Per un periodo lavorò a Radio Spazio Uno come autore di programmi tra cui Strazionissimo che si ispirava alla nota trasmissione Alto Gradimento di Arbore e Boncompagni. Lì entrò in contatto con i rappresentanti di case discografiche che notarono alcuni suoi disegni appesi alle pareti della radio e, da cosa nasce cosa, conobbe Roberto Davini che lo presentò negli uffici della casa discografica RCA dove iniziò a realizzare alcune copertine e successivamente anche per CGD Messaggerie Musicali, Bideri, Wroom.

Suo è Roghetto il diavoletto che disegnò come mascotte per RAI Radio1 di cui realizzarono un gadget che girava nelle redazioni della radio.

Su invito del giornalista Luciano Scateni, iniziò a collaborare per Paese Sera.

Nel 1979 partecipa alla prima edizione del Napoli Comics con una tavola su Stankimort, un omino che acquisiva poteri da super eroe per risolvere i problemi di Napoli ingerendo un semplice chicco di caffè. Grazie al successo del personaggio frutto della fantasia dello stesso Mattozzi, si aprirono le porte del maggior quotidiano del Sud, Il Mattino, che gli pubblicò nel 1981 un inserto di otto pagine dal titolo Super uomini si nasce.

Nel frattempo l’organizzazione della Napoli Comics, gli affidava la realizzazione del manifesto delle edizioni successive della mostra-concorso del fumetto.

Un giovane “Armando Testa” partenopeo cresceva.

Al Mattino ci resta. Anzi, gli affidano la sua postazione dove disegnare per lavorare alla rubrica Mattino ragazzi e poi nel 1986 parte il progetto W la bici dove per la prima volta vengono illustrati itinerari cicloturistici in Campania e da Mattozzi stesso individuati in quanto è sempre stato appassionato di bici, natura, storia, archeologia.

Quel suo Stankimort intanto continuava a viaggiare su altre onde, anzi, su veri chicchi di caffè perché divenne testimonial per il caffè Cirio col primo importante contratto di lavoro.

Per la pubblicità firma inoltre i manifesti per il Comune di Milano, per A2A Energia, per alcune edizioni di Innamorarsi a Napoli e Domenica ecologica e altri lavori per il Comune di Napoli.

A cavallo tra la fine degli anni ’80 e la prima metà dei ’90, Salvatore Mattozzi firma le copertine dei supplementi settimanali del Mattino: La Domenica e L’Agenda del Sole.

Nel 1999 cosceneggiatore con Sonia Bruno e Francesco Esposito, realizza le tavole per il libro La rivoluzione che non fu; Napoli 1799 pubblicato da Liguori Editore. Con ritmo serrato, ironia, tagli delle inquadrature delle strip da videoclip, colori forti.

 

L’alta velocità ai tempi delle chine e della carta

Praticamente entra nelle grazie del direttore del Mattino, Pasquale Nonno, e durante la Guerra del Golfo l’art director del giornale, Carlo Monti, lo incarica di realizzare le tavole che illustrassero la posizione dei mezzi militari. Quasi in tempo reale.

 

Si lavorava ad alta velocità e a mano. Disegni su carta. Alle 15.00 dal corrispondente a Baghdad arrivavano le informazioni. Per le 17.30 dovevo consegnare il lavoro per l’edizione di mezzanotte. Il tutto si ripeteva alle tre del mattino per l’edizione aggiornata che usciva all’alba. Perché nel frattempo truppe e carrarmati si erano già spostati.

Anche di domenica. Giorni di vacanza che saltavano. Poi l’arrivo del computer, del digitale, anche se all’inizio è stato traumatico, mi fece capire che potevo aumentare la mia velocità implementando l’analogico con la tavoletta grafica.

 

Nel periodo analogico Salvatore Mattozzi lavorava con chine, pastelli acquerellabili, areografo. “Per le copertine dei dischi i colori avrebbero contrastato troppo se non avessi usato l’aerografo per rendere le sfumature giuste.”

Nel 1993 Piergiorgio Malone, rinomato designer della grafica italiana e progettista grafico di importanti giornali nazionali, invita Mattozzi a passare al digitale.

 

I “frottage” di Salvatore Mattozzi

La stampa chiamava “frottage” alcuni lavori di Mattozzi ma in realtà erano fotomontaggi realizzati con tecniche miste: ritagli di fotografie con interventi grafici. Tecnica utilizzata da artisti del ‘900 tra cui Henri Matisse, John Heartfield, Hannah Höch.

Fotomontaggi che poi, grazie al digitale, gli hanno consentito di essere più veloce affinandone la tecnica.

Come gli inserti per il Corriere in occasione dei 40 anni di Sanremo.



tecnica- collage fotografico su carta Il Mattino - Mercoledì 8 Gennaio 1997

© Salvatore Mattozzi


Un artista?

Chine, aerografo, pastelli, fotomontaggi… Salvatore Mattozzi ha avuto nel suo percorso professionale la capacità di rinnovare il suo stile. A differenza di altri ben noti illustratori e vignettisti che sono sempre riconoscibili probabilmente per esigenze commerciali, Mattozzi ha sempre scardinato la sua creatività avventurandosi tra reminiscenze culturali e artistiche che lo hanno formato. Nelle sue illustrazioni si intravedono influenze jacovittiane, disneyane, di Bruno Bozzetto, di un certo filone della Pop Art, un po’ di Cubismo, fino a giungere al suo ultimo periodo in cui è fortemente presente lo stile Futurista.

Perché Mattozzi è un appassionato di cultura con una folta libreria i cui libri spaziano dall’archeologia all’arte, dalla fotografia all’architettura, dall’ambiente alla storia e tanti input non possono non dargli spunti alimentando quel prolifico laboratorio di creatività che è nella sua mente.

E il mondo di Mattozzi non è solo fumetto, illustrazione, fotografia, documentari realizzati per la RAI con Mario Franco e Aldo Zappalà ma anche impegno sociale, archeologico e per l’ambiente in quanto promotore dell’Associazione Gruppo Archeologico Napoletano con la quale realizza la prima carta archeologica dei Campi Flegrei e dei Monumenti storici dei Camaldoli e collabora con il Club Alpino, Lega Ambiente, Cicloverdi, WWF.

Ha esposto in varie occasioni i suoi lavori presso lo Studio Morra, al Goethe Institut, all’Institute Francaise de Naples Grenoble.

 

Non sono io a definirmi artista. Non potrei mai essere uno che dice “sono un artista”. Se lo sono, lo lascio dire ad altri.

 

La pensione

Salvatore Mattozzi è ormai in pensione ma resta attivissimo. Circondato da qualcuno dei suoi trentacinque gatti ai quali ha dato nomi di grandi aziende, continua a lavorare per se stesso. Schizzi, disegni, progetti, video, cartoni animati.

Una virulenza creativa addirittura accresciuta nel periodo del lockdown pandemico.

 

Per me non c’è bisogno dello psicanalista. Esprimo i miei problemi, paure, angosce, crisi esistenziali esorcizzandole attraverso il lavoro… di quest'ultimo periodo è tutto materiale inedito, mai pubblicato e che nessuno vedrà mai.

 

La prossima mostra

In occasione dei 130 anni di Il Mattino, alcuni lavori di Salvatore Mattozzi saranno esposti al Circolo della Stampa di Avellino.

Inaugurazione il 12 marzo alle ore 17.30

Info

Pagina Facebook



Corriere della Sera - CorrierEconomia lunedì 9 gennaio 2012 disegno digitale su tavoletta grafica © Salvatore Mattozzi

01.03.2022 # 5929
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Nicola Cozzolino //

Può un poster cambiare il mondo? Forse no, ma possiamo sicuramente provare a farlo insieme.

La grafica ha sempre giocato un ruolo importante nelle vicende umane sin dai tempi più remoti. Essere graphic designer oggi significa anche raccogliere questo testimone.

Come designer mi chiedo sempre quale impatto può avere il mio lavoro nella vita di tutti i giorni. Può davvero un logo, un font o un poster cambiare il mondo?

Probabilmente no, ma di sicuro il design può influire sulle coscienze in maniera più o meno diretta. Herbert Lubalin, uno dei grafici più influenti del XX secolo, tra le varie perle ci regalò una bellissima rielaborazione grafica ispirandosi a una frase di Bertrand Russel “The Next War Will Determine Not What Is Right But What Is Left”. Questo bellissimo ed evocativo lettering è, di questi tempi più attuale che mai. 


È chiaro che Lubalin non intendesse cambiare il mondo, ma di sicuro ha voluto sottolineare il suo punto di vista nei confronti della guerra contribuendo in maniera attiva alla diffusione di un messaggio di pace. Del resto, ciò che vediamo e leggiamo rimane più a lungo impresso nelle nostre menti, nel bene e nel male. 

Il ruolo della grafica nella politica è sempre stato molto importante. Pensiamo alle propagande naziste o comuniste e all’uso massiccio della grafica durante la campagna americana per l’arruolamento nella Seconda Guerra Mondiale. Questa abitudine a servirsi di un messaggio visivo chiaro e incisivo, è sempre stata una chiave importante per convincere, aggregare o includere pubblico.



Anche le recenti campagne di Obama e Trump in America hanno sottolineato la potenza comunicativa della grafica nel messaggio politico. Di esempi ce ne sono tanti. La comunicazione, infatti, ha sempre bisogno di una forma adeguata per poter essere veicolata in modo efficace. 

Quindi, a quanto pare, un poster non può cambiare il mondo, ma molti poster potrebbero sicuramente provare a farlo. 

Qualche tempo fa il celebre movimento Black Lives Matter ha scosso le nostre coscienze sul tema razziale negli USA e in tutto il mondo. Al di là della vicenda, le persone si sono riconosciute in una battaglia comune per il bene e la giustizia sociale. Anche in quel caso la grafica ha giocato un ruolo importante. Ricordate la lunga scritta gialla sull’asfalto comparsa su tutti i notiziari? Potente, coinvolgente, emozionante. Ecco che il ruolo del design, in un contesto del genere, diventa un’importante spinta aggregante in cui migliaia o milioni di persone si riconoscono. 



Oltre che nella politica, quindi, la grafica ha un ruolo importante anche nelle battaglie sociali. Pensiamo alla controcultura degli anni Sessanta e Settanta, pensiamo alle migliaia di volantini stampati durante le rivolte studentesche in giro per il mondo, ve la ricordate tutti l’immagine di Che Guevara stampata su t-shirt e cappellini?
La grafica ha sempre espresso un grande potenziale laddove bisognava comunicare in modo diretto contro un sistema di oppressione o di ingiustizia, allo stesso modo in cui si è dimostrata utile per accompagnare i grandi misfatti della Storia moderna.



Cosa c’è dietro questo potere? 

Credo siano tre le componenti che bisogna considerare:
La qualità del contenuto
La forma con cui è veicolato
Il momento storico in cui avviene questa sinergia

In pubblicità, e più in generale in comunicazione, si cerca spesso la “viralità” di un messaggio e la si progetta spesso a tavolino con campagne programmate e costruite ad arte. Ma se il contesto è giusto, se esiste uno spirito comune, se ci si riconosce in un messaggio potente e aggregante, allora non ci sarà bisogno di fare altro che confezionare tutto questo in una forma adeguata e coerente per arrivare dritti al cuore delle persone. 

I designer lo sanno, lo sappiamo bene che il nostro lavoro influisce sempre sulle scelte degli altri, sappiamo bene che le persone reagiranno in un modo oppure in un altro rispetto alle nostre scelte stilistiche o comunicative. Nessun designer si astiene dal comunicare la propria visione del mondo, ma lo fa sempre con molta cura e molta responsabilità proprio perché consapevoli del proprio ruolo e del proprio potere. 

Siamo immersi nella realtà, siamo figli del tempo che viviamo, i designer posseggono una spiccata sensibilità e sentono sempre la pressione del mondo che li circonda. In questi tempi, per molti versi bui, il ruolo della progettazione grafica è ancora più importante considerata la grande potenza distributrice dei canali digitali. Deve perciò essere dovere di tutti noi provare sempre a rimanere dal lato giusto della Storia, in modo che una volta terminata la nostra candela, le tracce che avremo lasciato raccontino una storia di umanità e coraggio.

Perché è di questo che il mondo ha soprattutto bisogno.
Il buon design è soprattutto Rivoluzione. 

24.02.2022 # 5924
A Torino Tornano i Graphic Design Days

Nicola Cozzolino //

Come nasce un’idea e come possiamo provare a trovare la soluzione adatta nel momento giusto.

Tutti i creativi si trovano a lottare con un foglio bianco prima o poi. Ma per fortuna c'è sempre una via d'uscita

Molti giovani designer sono spesso preoccupati dalla ricerca di un’idea per i loro progetti. Partiamo con il dire che cercare un’idea è già una buona notizia. Spesso, infatti, la cattiva progettazione parte dalla direzione opposta, ossia quella di produrre senza avere ben chiaro l’obiettivo. Quindi, iniziare con il piede giusto è sicuramente un buon modo di approcciarsi ad un nuovo progetto.

Innanzitutto cerchiamo di capire cosa si intende per “idea”.

Niente nasce da niente. La nostra mente è un nastro che parte dalla nascita e continua a girare per tutto il resto della nostra vita. Perciò, ogni azione è la conseguenza di qualcosa che abbiamo imparato, visto, fatto, letto o vissuto. L’idea, quindi, è la sintesi di un’esperienza. 

È chiaro che questa sintesi deve essere strutturata e visualizzata per poter essere valutata e validata. La nascita di un’idea è spesso collegata ad un momento di relax mentale. Spesso, infatti, le idee migliori ci arrivano quando non stiamo lavorando o mentre ci occupiamo di altro, quando, appunto, non stiamo spingendo per far uscire qualcosa che, in realtà, non ha alcun bisogno di essere spinto.

Le idee vanno nutrite, non estratte.

FASE UNO

Quando cominciamo un progetto, la cosa migliore da fare è informarsi. La conoscenza è sempre potere, soprattutto quando lavoriamo su qualcosa di nuovo o fuori dalla nostra comfort zone. Cerchiamo di raccogliere tutte le informazioni possibili sull’argomento, creando una mappa mentale che colleghi e ordini tutto il materiale. 

Dallo studio si acquisisce competenza dell’argomento. Nel campo della comunicazione visiva, questa fase include anche tutte le implicazioni commerciali, sociali o economiche che il nostro lavoro dovrà affrontare o generare. Per esempio, per creare un marchio di un’azienda, oltre a conoscere il campo in cui opera, il prodotto che crea, il settore di appartenenza, è utile anche conoscere gli obiettivi del progetto, le motivazioni, l’audience e tutto il contesto in cui stiamo per operare. 

In questo modo il quadro sarà sufficientemente ampio per affrontare lo step successivo: ricerca di un linguaggio visivo adeguato alle nostre esigenze. Una volta individuati i confini del campo in cui dobbiamo giocare la nostra partita bisogna capire in che modo vogliamo giocarla. A questo punto è utile ricercare stili e codici visivi che possano suggerire una soluzione al nostro problema. 

FASE DUE

È evidente che nulla si inventa dal nulla, perché è molto probabile che qualcun'altro abbia affrontato il nostro stesso problema in maniera più o meno esaustiva. Ecco che cercare competitor, progetti simili o che ci possano suggerire il linguaggio adatto da usare, può essere di grande aiuto nella costruzione dell’ambiente adatto alla nascita di un’idea. 

Guardare, guardare, guardare e riempire quel contenitore infinito che è la nostra mente. La cosa più importante è ridurre l’ansia da prestazione. Non cerchiamo la grande idea che cambi il mondo, non cerchiamo la soluzione definitiva a tutti i problemi dell’umanità. 
Il nostro obiettivo è semplicemente quello di realizzare un progetto coerente e originale che soddisfi le esigenze della richiesta o della commessa e produca risultati relativamente significativi. 

Si, è un bell’impegno, ma rilassiamoci, perché lavorare in miniera sembra essere un tantino più duro, che ne pensate?

FASE TRE

Una volta raccolte tutte queste informazioni, mentre gli occhi ci bruciano e la deadline si avvicina e la macchina del caffè ormai non risponde più ai comandi, bisogna spegnere, staccare la spina. 

Questo è il momento di sedimentare e di lasciare che tutto il materiale visto o letto, che tutti gli appunti segnati, le note e le idee che ci sono sembrate prima brillanti e poi stupidissime, si posino sul fondo e che a galla rimanga solo ciò che ci ha toccato davvero, che ha solleticato la nostra voglia di misurarci con l’ignoto. 

Dopo questa pausa sarà il momento di produrre, di fare, fare e fare ancora. Non esiste una sola soluzione ai problemi, alla fine siamo creativi, quindi siamo abituati a trovare più soluzioni ai problemi più disparati. Legarsi ad una sola possibilità è come andare a Las Vegas e puntare tutto su un solo numero alla roulette. Un bel rischio. 

Massimo Vignelli suggeriva che il Design è uno. Ed aveva ragione, perché uno è il modo corretto di interpretare un’idea, ma non esiste una sola idea ed ognuna ci porterà in una direzione differente. 

IL PIANO B

E se non arriva l’idea? Non preoccupatevi, non sempre arrivano, ma quando non accadrà, grazie allo studio e alla raccolta che avrete fatto, potrete disporre di un’altra arma per districarvi nel fantastico mondo del “doveva essere pronto per ieri”. 

Ovviamente parlo dell’esperienza. 
Come ho scritto all’inizio, è dall’esperienza che nascono le idee. 
Ecco. Tutto torna. 

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