Urania Casciello //
Generazione ILAS: intervista a Maurizio Pagnozzi
Creatività, essenzialità e paternità, le tre parole che racchiudono la nostra intervista al designer Maurizio Pagnozzi.
Maurizio Pagnozzi studia Graphic Design presso “Scuola la Tecnica” di Benevento, dove si diploma con il progetto “Anatomy of the typeface”. Continua i suoi studi alla ILAS di Napoli dove studia Graphic Design, Art Direction e Copywriting. Dal gennaio 2014 comincia la sua carriera come Teacher of Visual Communication. L’insegnamento va di pari passo con la sua attività di designer e fonda lo studio One Design.
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(Urania Casciello) A cosa stai lavorando attualmente?
(Maurizio Pagnozzi) Da qualche mese sono diventato papà e ho deciso di prendermi una piccola pausa dal lavoro fino al nuovo anno, per poter godere pienamente questi primi irripetibili momenti. Quindi attualmente è questo il progetto che mi tiene impegnato maggiormente, un’esperienza del tutto nuova tra pappine, ninne nanne, sonaglini e passeggiate nei parchi di Londra, ma altrettanto stimolante.
Da dove viene la tua ispirazione?
Vivo a Londra da ormai 8 anni, questa città è stata da sempre la fonte primaria della mia ispirazione, ricevo continui stimoli visivi grazie ai tanti musei, alla street art, alla sua architettura che è un mix perfetto tra antico e moderno, ma anche grazie ai vari pub e ai tanti eventi live. Amo perdermi nei vari quartieri che sono a loro volta micromondi così diversi gli uni dagli altri. Dopo tanti anni ancora resto meravigliato nello scoprire cose nuove. Quando sono in giro per la città amo scattare foto che poi racchiudo nella mia cartella di ispirazione.
Segui un rituale per trovare idee creative?
Sono principalmente un brand designer, ho ormai sviluppato un mio modo personale per gestire tutta la fase progettuale e creativa, anche per ottimizzare il tempo e arrivare quanto prima all’idea “giusta” da presentare al cliente. Nella fase creativa amo stare completamente solo per poter essere rilassato al massimo e far andare la fantasia, ho bisogno solo di un taccuino e una matita per i miei scarabocchi e un po’ di musica nelle orecchie. Uso la mia personale raccolta di ispirazione che contiene anche foto di nuvole, intagli di mobili e cancellate, solo per fare qualche esempio strambo.
Che ricordi hai del tuo percorso di studi alla ilas?
Sono ormai trascorsi 10 anni, ero lì principalmente per approfondire un percorso formativo iniziato altrove, ma avevo ancora voglia di saperne di più di design e di iniziare un percorso in settori nuovi per me, ma estremamente correlati, come quello in art direction e copywriting. Pensavo che avere un’infarinatura di questi concetti mi sarebbe sicuramente tornata utile in futuro. Ma ero lì anche per un motivo puramente personale, volevo avere la conferma che quello che stavo studiando e approfondendo mi piaceva così tanto da farlo diventare davvero il lavoro della mia vita. L’esperienza fu molto positiva, continui stimoli dati dal confronto con colleghi e docenti e soprattutto ebbi quella conferma che cercavo, ero completamente preso da questo settore. Inoltre, ebbi l’occasione di mostrare per la prima volta i miei progetti e da lì partì quella rivoluzione, inizialmente anche mediatica, che mi ha portato fin qui.
Hai sempre saputo di voler fare questo lavoro?
In realtà sono arrivato al design per caso, studiavo giurisprudenza, ma non ero più motivato come un tempo. Mi sentivo molto frustrato per questo, ero dispiaciuto nel vedere i miei amici amare quello che studiavano, mentre per me non era più così da un po’. Dopo un viaggio di qualche mese all’estero, in cui mi ero appassionato alla fotografia, un amico mi parlò di un corso di design in cui si studiavano anche principi di fotografia e fotoritocco. Ho quindi iniziato solo per curiosità, mai avrei immaginato che quello sarebbe diventato qualcosa di più di un hobby e che mi avrebbe portato a fare quello oggi amo così tanto, un lavoro mai statico, che mi ha portato parecchio in giro e che ben si collega a un’altra mia passione, che è quella di viaggiare.
Tra i tuoi lavori c’è qualcosa che ti rappresenta di più o di cui sei più fiero?
Onestamente non sono uno che si affeziona a un progetto in particolare, sono quasi sempre più soddisfatto di quelli sviluppati per ultimi, ma non posso negare che il mio One Design sia quello che mi ha dato più visibilità e notorietà, inizialmente anche sui social. È stato pubblicato in diversi libri del settore, blog e riviste. Ancora oggi qualche volta capita che i miei clienti lo citino nelle prime email e molto spesso ricevo segnalazioni di plagio. Cominciai a pensarci mentre ero alla Ilas, durante una lezione di storia della grafica nella quale Daria la Ragione ci parlava dei loghi che sfruttano i principi della Gestalt. Mi venne la voglia di cimentarmi e cominciai a lavorarci su. Lo perfezionai una volta terminati i miei studi e finii per usarlo per il mio studio di grafica che aprii qualche mese dopo e posso dire che ha superato anche la prova del tempo dato che lo uso ancora oggi.
Hai ricevuto numerosi riconoscimenti per i tuoi lavori e sei membro di due giurie prestigiose. Cosa si prova a stare dalla parte di chi giudica? Quali sono le caratteristiche che ti colpiscono dei lavori in gara?
È molto stimolante farne parte, perché anno dopo anno si può notare lo sviluppo dello stile grafico e anche la direzione in cui sta andando il nostro settore, mi permette quindi di essere costantemente aggiornato, quello che ricevo in cambio è sicuramente maggiore di quello che do. Amo i progetti in cui vedi ben sintetizzati i principi base del design, in cui il progettista è consapevole di quello che sta facendo, in cui il risultato visivo è frutto di un percorso pensato e di una scelta sensata. Le mode del momento vanno e vengono, ma quei principi restano saldi nel tempo.
Dalla Pratica… alla teoria! Ho letto che stai scrivendo un libro sul Branding! Come è nata questa idea?
Qualche anno fa ho tenuto una serie di workshop e seminari in giro per l’Italia. Dopo quella esperienza ho ricevuto diverse richieste per continuare alcuni discorsi iniziati durante quegli incontri, ho quindi deciso di trascrivere quella che negli anni è stata la mia esperienza come brand designer, analizzando anche il percorso creativo e progettuale di alcuni miei lavori, partire da lì quindi come spunto per parlare delle regole fondamentali del branding.
Che consiglio daresti a chi si approccia adesso al tuo lavoro?
Di essere sempre curiosi, leggere libri del settore e non, visitare mostre, sfruttare al meglio tutti i mezzi attuali per soddisfare questa voglia di saperne di più, cercare stimoli visivi anche attraverso film o video games. Avere un certo bagaglio può di certo fare la differenza. Inoltre, penso che sia fondamentale non smettere mai di studiare, continuare a farlo anche quando si pensa erroneamente di saperne abbastanza.
Un film e un libro che ti hanno cambiato la vita.
Sono da sempre un appassionato di cinema, pur usufruendo delle piattaforme streaming amo collezionare film in bluray, anche perché amo gli extra che contengono approfondimenti sui diversi aspetti di produzione e realizzazione dei film. Non ho limiti di gusto, vedo indistintamente film muti degli anni ‘20 dello scorso secolo, film dell’età d’oro di Hollywood, cinema francese, neorealismo italiano, ma anche blockbuster e b-movies. Per questo motivo non ho un film preferito in particolare, ma è stata in generale la scoperta del cinema a cambiarmi la vita. Però posso citare una serie tv che ho molto amato, si tratta di Med Man, serie sugli albori dell’advertisement nella New York degli anni ‘60 in una certa Madison Avenue, di cui consiglio la visione a tutti quelli che si approcciano al nostro settore. Per quanto riguarda il libro non posso non citare Alice in Wonderland, il libro feticcio di tutte le persone curiose e a cui io e mia moglie ci siamo ispirati per il nome di nostra figlia.
Una parola che ti rappresenta.
Senza dubbio minimal, è qualcosa che da sempre ho cercato di rendere al meglio nei miei progetti. Semplicità e essenzialità per esprimere al meglio un concetto con il minor numero di elementi possibili. Negli anni ho cercato il più possibile di renderlo mio, facendolo diventare anche un modo di pensare e di risolvere i problemi della vita quotidiana. Il cercare di arrivare a una soluzione nel modo più semplice, un po’ come si faceva da bambini, semplificando e mai complicando.
Tre cose a cui non potresti mai rinunciare.
Il mio Ipad, perché vivendo fuori da anni ho la possibilità di portare sempre con me tutti i miei libri e le mie riviste, ma anche per i miei scarabocchi o per appuntare note quando non ho con me fogli di carta, soprattutto nella fase esplorativa e di sviluppo di un concept, poi la musica che da sempre mi aiuta a rilassare la mente e lo smartphone per la fotocamera, dato che mi permette di poter scattare foto che possono poi servire ad ampliare la mia cartella di ispirazioni.
Cosa ti guida?
Il poter fare un lavoro che fortunatamente amo fare, l’essere continuamente stimolato dai nuovi progetti lavorativi, ogni nuovo progetto è sempre una nuova sfida. Sono sempre curioso di scoprire dove il mio lavoro può portarmi.
Progetti futuri?
Prima di tutto ho in programma di aggiornare finalmente il mio portfolio, sono ormai 5 anni che non lo faccio perché collaborando quasi esclusivamente con agenzie non ho più avuto questa esigenza, ma ora ho una gran voglia di far vedere alcuni lavori realizzati negli ultimi anni. Inoltre, ho trovato molto stimolante gli incontri e i seminari fatti in passato, potrebbe essere arrivato il momento di organizzare nuovamente qualcosa, dato che la pandemia ha reso la voglia di incontrare gente ancora più grande. Per quanto riguarda invece il futuro mi auguro davvero di poter continuare a svolgere al meglio il mio lavoro, ad essere stimolato e continuare a non annoiarmi. Ci sono nuove sfide che mi piacerebbe realizzare al meglio, alcune di queste riguardano Londra, altre invece l’Italia. Ma resto pur sempre campano e da buon campano sono molto scaramantico, non ne parlo fino alla completa realizzazione